La porta si aprì prima ancora che fossero arrivati al portico, e ne uscì una coppia chiaramente preoccupata. Keri rimase sorpresa dalla loro età. La donna – minuta, ispanica, con un taglio di capelli corto che aveva un suo senso – sembrava avere sui cinquantacinque anni. Indossava un completo carino ma logoro e delle scarpe nere vecchie ma immacolate.
L’uomo era di quindici centimetri abbondanti più alto di lei. Era un bianco, con un principio di calvizie e ciuffi di capelli biondi tendenti al grigio, e con gli occhiali appesi al collo. Come minimo aveva l’età della donna – probabilmente era più vicino ai sessanta. Era vestito in modo più causal – con pantaloni comodi e una camicia con bottoni al colletto fresca di bucato. I mocassini marroni erano lisi e uno era slacciato.
“Siete i detective?” chiese lei allungando la mano ancor prima di averne avuto conferma.
“Sì, signora,” rispose Keri, prendendo il comando. “Sono la detective Keri Locke dell’unità persone scomparse della Divisione Pacific del dipartimento di polizia di Los Angeles. Lui è il mio partner, il detective Raymond Sands.”
“Piacere di conoscervi,” disse Ray.
La donna fece cenno a entrambi di entrare mentre parlava.
“Grazie per essere venuti. Io sono Mariela Caldwell. Lui è mio marito, Edward.”
Edward annuì ma non parlò. Keri capì che non sapevano da dove cominciare, quindi prese l’iniziativa.
“Perché non ci sediamo in cucina e non ci raccontate che cosa vi sta facendo preoccupare tanto?”
“Certo,” disse Mariela, e li guidò per uno stretto corridoio adornato di fotografie di una ragazza dai capelli scuri con un caldo sorriso. Dovevano essere almeno venti le foto che ritraevano l’intera vita della ragazza, dalla nascita a oggi. Arrivarono a un piccolo ma ben arredato angolo per le colazioni. “Posso offrirvi qualcosa – caffè, o uno snack?”
“No, grazie signora,” disse Ray cercando di stringersi contro il muro per accomodarsi sulla sedia. “Vediamo di sederci e di recuperare più informazioni che possiamo nel minor tempo possibile. Perché non cominciate dicendoci che cosa vi ha fatto preoccupare? A quel che ho capito Sarah non si fa sentire solo da poche ore.”
“Da quasi cinque ore, ormai,” disse Edward parlando per la prima volta mentre si sedeva davanti a Ray. “Ha chiamato sua madre a mezzogiorno per dirle che si sarebbe vista con un’amica che non vedeva da un po’. Sono quasi le cinque del pomeriggio adesso. Sa che deve farsi sentire ogni due ore circa quando esce, anche solo un messaggio per dire dove si trova.”
“Non se ne dimentica mai?” chiese Ray mantenendo il tono neutrale, così solo Keri colse lo scetticismo sottinteso. Per un attimo nessuno dei Caldwell parlò, e Keri temette che Ray li avesse offesi. Alla fine rispose Mariela.
“Detective Sands, so che può essere difficile crederlo. Ma no, non se ne dimentica mai. Io e Ed abbiamo avuto Sarah molto tardi. Dopo diversi tentativi falliti, il suo arrivo è stato una benedizione. È la nostra unica figlia e ammetto che siamo entrambi un po’, diciamo, presenti.”
“Genitori elicottero,” aggiunse Ed con un caustico sorriso.
Sorrise anche Keri. Faticava a colpevolizzarli.
“Comunque,” proseguì Mariela, “Sarah sa che è il nostro bene più prezioso al mondo, e sorprendentemente non ne è infastidita né si sente soffocare. Nei weekend prepariamo dei dolci insieme. Le piace ancora andare al lavoro col padre nelle giornate ‘porta la figlia al lavoro’. È venuta addirittura al concerto di Motley Crue con me qualche mese fa. Ci è molto affezionata. E dato che sa quanto ci è preziosa, è molto zelante nel tenerci aggiornati. Abbiamo stabilito noi la politica dello ‘scrivici dove sei’. Ma è stata lei a scegliere la regola delle due ore.”
Keri li osservò entrambi con attenzione mentre parlavano. Mariela teneva per mano Ed e lui le accarezzava delicatamente il dorso con il pollice. Aspettò finché non ebbe terminato, poi prese la parola.
“E anche se se ne fosse dimenticata, per la prima volta in assoluto, non sarebbe stata via così tanto senza mettersi in contatto con noi o risponderci. Insieme, le abbiamo mandato una dozzina di messaggi e l’abbiamo chiamata circa sei volte. Nel mio ultimo messaggio le ho detto che avrei chiamato la polizia. Se ne avesse ricevuto almeno uno, si sarebbe fatta sentire. E, come ho detto al tenente, il GPS del suo telefono è spento. Non era mai successo prima.”
Quell’inquietante dettaglio rimase sospeso nella stanza, minacciando di soffocare qualsiasi altra cosa. Keri cercò di reprimere ogni deviazione verso il panico facendo rapidamente la domanda successiva.
“Signore e signora Caldwell, posso chiedervi perché Sarah oggi non era a scuola? È venerdì.”
Entrambi la guardarono con espressione sorpresa. Persino Ray parve preso alla sprovvista.
“Ieri era il Ringraziamento,” disse Mariela. “Oggi non c’è scuola.”
Keri sentì il cuore balzarle in gola. Solo un genitore avrebbe saputo quel genere di dettaglio e solo per ragioni pratiche – lei non era più un genitore.
Evie adesso avrebbe avuto tredici anni. In circostanze normali Keri si sarebbe occupata di trovare qualcuno che si occupasse della figlia mentre lei lavorava. Ma non viveva in circostanze normali da moltissimo tempo.
I rituali associati alle vacanze scolastiche e familiari erano andati sbiadendo nel corso degli ultimi anni, fino al punto in cui una cosa che un tempo per lei era ovvia non se la ricordava più.
Cercò di rispondere ma le uscì un’incomprensibile tosse. Le si annebbiarono gli occhi e abbassò la testa in modo che non se ne accorgesse nessuno. Ray venne in suo aiuto.
“Quindi Sarah aveva il giorno libero e voi no?” chiese.
“No,” rispose Ed. “Ho un piccolo colorificio nel Westchester Triangle. Non è che mi rotoli nei soldi. Non posso prendermi molti giorni liberi – Ringraziamento, Natale, Capodanno, e basta.”
“E io faccio la paralegale per un grosso studio a El Segundo. Normalmente oggi sarei a casa, ma stiamo preparando un caso importante e avevano bisogno di tutti.”
Keri si schiarì la gola e, sicura di aver ripreso il controllo di se stessa, si unì di nuovo alla conversazione.
“Con quale amica doveva incontrarsi Sarah?” chiese.
“Si chiama Lanie Joseph,” disse Mariela. “Erano amiche alle elementari. Ma quando ci siamo trasferiti qui dal vecchio quartiere, hanno perso i contatti. Francamente avrei preferito che le cose fossero rimaste così.”
“Che cosa intende dire?” chiese Keri.
Mariela esitò, quindi prese la parola Ed.
“Vivevamo a South Culver City. Non è molto lontano da qui, ma la zona è molto più povera. Le strade sono più grezze, e così sono anche i ragazzi. Lanie aveva un acume che ci ha sempre messi un po’ a disagio, anche quando era giovane. La cosa è peggiorata. Non voglio sparare giudizi, ma crediamo che abbia preso una brutta strada.”
“Abbiamo fatto economie e messo via dei risparmi,” disse Mariela, chiaramente a disagio a lanciare calunnie davanti a sconosciuti. “L’anno in cui Sarah ha cominciato le medie, ci siamo trasferiti qui. Abbiamo comprato questa casa appena prima che il mercato esplodesse. È piccola ma adesso non saremmo mai in grado di permettercela. Ce l’abbiamo fatta appena anche allora. Ma lei aveva bisogno di un nuovo inizio con amici diversi.”
“Perciò si erano perse di vista,” li pungolò delicatamente Ray. “Che cosa le ha fatte risentire, ultimamente?”
“Si vedevano un paio di volte l’anno, ma basta,” rispose Ed. “Però Sarah ci ha detto che Lanie ieri le aveva mandato un messaggio per dirle che ci teneva tanto a vederla – che aveva bisogno di un consiglio. Non ha detto su cosa.”
“Certo,” aggiunse Mariela, “dato che è una ragazza così dolce e disponibile, ha accettato senza esitazioni. Ricordo che ieri sera mi ha detto, ‘Che razza di amica sarei, mamma, se non aiutassi qualcuno quando ha più bisogno di me?’”
Mariela crollò, colta dall’emozione. Keri vide Ed stringerle teneramente la mano come supporto. Invidiava quei due. Persino in un momento così vicino al panico erano uniti sullo stesso fronte, a finire l’uno le frasi dell’altra, a sostenersi emotivamente. La devozione e l’amore che condividevano in qualche modo impediva loro di cadere a pezzi. Keri si ricordò di un tempo in cui pensava di avere la stessa cosa.
“Sarah ha detto dove si sarebbero incontrate?” chiese.
“No, l’hanno deciso solo a mezzogiorno. Ma è certo che fosse un posto vicino – forse l’Howard Hughes Center o il centro commerciale Fox Hills Mall. Sarah non ha ancora la patente quindi doveva essere un posto servito dagli autobus.”
“Può darci qualche sua foto recente?” chiese Keri a Mariela, che si alzò immediatamente per andarle a prendere.
“Sarah usa i social?” chiese Ray.
“Usa Facebook. Instagram, Twitter. Non so che altro. Perché?” rispose Ed.
“A volte i ragazzini sugli account condividono dettagli che sono utili alle indagini. Conoscete le password?”
“No,” disse Mariela prendendo qualche foto dalle cornici. “Non abbiamo mai avuto motivo di chiedergliele. Ci mostra sempre i post sul suo account. Non sembra che nasconda qualcosa. Siamo anche amici su Facebook. Non ho mai sentito la necessità di chiederle quel genere di cose. Non riuscite a entrarci voi?”
“Sì,” le disse Keri. “Ma senza le password ci vuole tempo. Ci serve un’ordinanza del giudice. E adesso non ne abbiamo fondato motivo.”
“E il GPS spento?” chiese Ed.
“Quello aiuta a costruire il caso,” rispose Keri. “Però a questo punto è tutto circostanziale, al massimo. Avete entrambi spiegato in modo convincente perché la situazione è molto insolita. Però, sulla carta, un giudice potrebbe non vederla così. Ma non preoccupatevi troppo. Siamo appena all’inizio. È questo che facciamo – indagini. E mi piacerebbe cominciare andando a casa di Lanie a parlare con i suoi genitori. Avete l’indirizzo?”
“Sì,” disse Mariela porgendo a Keri molte fotografie di Sarah prima di prendere il telefono e scorrere la lista contatti. “Però non so quanto vi sarà utile. Il padre di Lanie non c’è e la madre è… poco coinvolta. Però se pensate che possa esservi d’aiuto, eccolo.”
Keri si appuntò le informazioni e tutti andarono alla porta. Si strinsero le mani con formalità, il che colpì Keri come una cosa stranissima per delle persone che avevano appena avuto una conversazione così intima.
Lei e Ray erano a metà strada sul vialetto quando Edward Caldwell li chiamò per fare un’ultima domanda.
“Mi dispiace chiedervelo, ma avete detto che questo è appena l’inizio. Sembra quindi che il processo potrebbe essere lungo. Ma a quel che ho capito in caso di persona scomparsa le prime ventiquattr’ore sono cruciali. Mi sbaglio?”
Keri e Ray si guardarono e poi tornarono a rivolgere lo sguardo a Caldwell. Nessuno dei due sapeva come rispondere. Alla fine parlò Ray.
“Non sbaglia, signore. Ma ancora non abbiamo indizi che sia accaduto qualcosa di sospetto. E, in ogni caso, ci avete contattati rapidamente. Questo aiuta molto. Lo so che sentirselo dire è dura, ma cercate di non preoccuparvi. Prometto che ci faremo sentire.”
Si voltarono per andare alla macchina. Quando Keri fu sicura che non li potessero sentire, borbottò sottovoce, “Sei bravo a dire bugie.”
“Non stavo dicendo bugie. Tutto ciò che ho detto è vero. Potrebbe tornare a casa in ogni momento e sarà tutto finito.”
“Immagino di sì,” riconobbe Keri. “Ma l’istinto mi dice che questo caso non sarà così facile.”
CAPITOLO TRE
Seduta sul sedile del passeggero sulla strada per Culver City, Keri si rimproverava in silenzio. Cercava di ricordarsi che non aveva fatto niente di male. Ma era distrutta dal senso di colpa per essersi dimenticata qualcosa di così semplice come il fatto che oggi le scuole erano chiuse. Persino Ray non era stato capace di nascondere la sorpresa.
Stava perdendo contatto con la sua parte genitoriale, e la cosa la spaventava. Quanto ci sarebbe voluto perché dimenticasse altri dettagli più personali? Poche settimane prima aveva ricevuto degli indizi anonimi che l’avevano portata alla foto di una ragazzina adolescente. Però Keri, con grande vergogna, non era stata capace di dire se si trattasse di Evie.
Vero, erano passati cinque anni e la fotografia era granulosa e scattata da lontano. Ma il fatto che non avesse saputo riconoscere immediatamente se la foto ritraeva sua figlia oppure no l’aveva scossa. Perfino dopo che il guru informatico del dipartimento, il detective Kevin Edgerton, le aveva detto che il confronto digitale che aveva fatto della foto con le fotografie di Evie a otto anni era inconclusivo, la vergogna era rimasta.
Avrei dovuto saperlo e basta. Una brava madre avrebbe capito subito se la foto era vera.
“Ci siamo,” disse piano Ray, riportandola alla realtà.
Keri alzò lo sguardo e capì che erano parcheggiati proprio alla fine della strada dove si trovava la casa di Lanie Joseph. I Caldwell avevano ragione. Quella zona, anche se si trovava a meno di cinque miglia dalla loro abitazione, sembrava molto più rozza.
Erano solo le cinque e mezza, ma il sole era già quasi del tutto tramontato e le temperature precipitavano. Piccoli gruppi di ragazzi con abiti tipici di gang si raccoglievano sui vialetti e sulle scalinate d’ingresso, a bere birra e a fumare cose che non parevano sigarette. I prati erano per la maggior parte marroni più che verdi, e i marciapiedi erano spaccati ovunque, con le erbacce che combattevano per conquistare il loro spazio. La maggior parte degli edifici del quartiere erano case a schiera o duplex e tutti avevano le sbarre alle finestre e porte di metallo pesante.
“Che ne dici – dovremmo chiamare il dipartimento di Culver City e chiedere dei rinforzi?” chiese Ray. “Tecnicamente siamo fuori dalla nostra giurisdizione.”
“Naa. Ci vorrà troppo tempo e voglio mantenere un basso profilo, entrare e uscire. Più rendiamo la cosa formale più tempo ci vorrà. Se a Sarah è successo davvero qualcosa, non abbiamo tempo da perdere.”
“Okay, allora cominciamo,” disse.
Uscirono dalla macchina e si diressero svelti all’indirizzo fornito da Mariela Caldwell. Lanie viveva sulla porzione davanti di una casa a schiera di due unità sulla Corinth, a sud di Culver Boulevard. La freeway 405 era così vicina che Keri riusciva a riconoscere il colore dei capelli degli automobilisti che vi sfrecciavano.
Mentre Ray bussava alla porta di metallo esterna, Keri osservava due case più in là cinque uomini accalcati attorno al motore di una Corvette smontata lì sul vialetto. Molti di loro lanciavano occhiate sospettose agli intrusi, ma nessuno disse nulla.
Dall’interno si sentiva il frastuono di molti bambini che strillavano. Dopo un minuto, la porta interna fu aperta da un piccolo bambino biondo che non poteva avere più di cinque anni. Indossava jeans bucati in più punti e una t-shirt bianca con su uno sgorbio della “S” di Superman fatto in casa.
Alzò gli occhi su Ray, allungando il collo il più possibile. Poi guardò Keri, e considerandola apparentemente meno minacciosa parlò.
“Che cosa vuoi, signora?”
Keri capì che il bambino non aveva una vita particolarmente dolce e luminosa, quindi si abbassò sulle ginocchia e parlò con il tono più delicato che potesse fare.
“Siamo agenti di polizia. Dobbiamo parlare con tua mamma per un attimo.”
Il bambino, imperturbato, si voltò e urlò.
“Mamma. C’è la polizia. Vogliono parlarti.” Apparentemente non era la prima volta che riceveva visite dalle forze dell’ordine.
Keri vide Ray guardare i ragazzi attorno alla Corvette e, evitando di voltarsi anche lei in quella direzione, disse sottovoce, “Abbiamo problemi, laggiù?”