Sarah, con la guancia che palpitava ancora per via dello schiaffo, annuì docilmente. Anche se si sforzava di comprendere appieno la situazione, sapeva che sfidare apertamente Chiqy nelle condizioni in cui era in quel momento sarebbe stato poco furbo.
“Secondo, soddisferai i bisogni dei miei clienti. Non deve piacerti per forza, anche se, chi lo sa, magari ci prenderai gusto. Non ha importanza. Tu fai quello che dice il cliente, qualsiasi cosa sia. Altrimenti ti picchierò fino a farti sputare sangue. Conosco diversi metodi per farlo in modo che i clienti continuino a trovarti attraente. Da fuori sembrerai un angelo. Ma dentro sarai poltiglia. Ci siamo chiariti?”
Sarah annuì di nuovo. Tentò ancora di tirarsi su e strizzò gli occhi alla luce, sperando di capire dove si trovava. Non riconosceva nessuna delle altre ragazze. Improvvisamente un brivido gelato le risalì la spina dorsale.
Dov’è Lanie?
“Mi puoi dire cos’è successo alla mia amica?” chiese in quello che sperava non fosse un tono di sfida.
Prima che capisse cosa stava accadendo Chiqy l’aveva schiaffeggiata di nuovo, questa volta sull’altra guancia. La forza che ci mise la fece sbattere duramente contro il materasso.
“Non avevo finito,” lo sentì dire nonostante le orecchie le fischiassero. “L’ultima regola è che tu non parli a meno che non ti faccia io una domanda. Come ho detto, imparerai presto che fare la spocchiosa qui non funziona. Hai capito?”
Sarah annuì, notando che nel farlo la testa le pulsava.
“Ma a questa domanda risponderò,” disse Chiqy con un sorriso crudele in volto. Indicò un materasso a circa cinque metri di distanza.
Sarah guardò in quella direzione e vide un uomo che pareva avere sui sessant’anni sopra a una ragazza che teneva la testa molle di fianco. Proprio allora l’uomo le afferrò il mento e le sollevò il viso in modo da baciarla.
Sarah rischiò di soffocare di nuovo vedendo che era Lanie. Era nuda dalla vita in giù e la canotta nera le era stata sollevata fino al collo, scoprendole il reggiseno. Quando l’uomo ebbe perso interesse per le sue labbra, la lasciò andare e la testa le ciondolò in direzione di Sarah.
Vide che l’amica era cosciente, anche se solo a malapena. Gli occhi dalle palpebre pesanti erano appena due fessure e non sembrava capire quel che accadeva attorno a lei. Aveva il corpo floscio e non reagiva fisicamente alle cose che le venivano fatte.
Sarah osservava bene la scena, ma in un qualche modo l’orrore del momento parve accadere lontanissimo, su un pianeta distante. Forse erano le droghe. Forse era stato il fatto di essere stata colpita in viso due volte. Ma si sentiva ottusa.
Forse dovrei esserne grata.
“Era difficile da gestire, quindi abbiamo dovuto calmarla parecchio,” disse Chiqy. “Potrebbe accadere anche a te. Oppure, se non crei tanti problemi, non dovremo farti l’iniezione della buonanotte. Sta a te decidere.”
Sarah lo guardò e fece per rispondere, ma poi si ricordò delle regole e si morse la lingua. Chiqy se ne accorse e sorrise.
“Brava. Impari velocemente,” disse. “Puoi parlare.”
“Niente iniezione della buonanotte,” lo implorò.
“Okay, ci proveremo senza droghe. Ma se… ti dimeni, abbiamo l’ago pronto per te. Capito?”
Sarah annuì. Chiqy, con un sorriso soddisfatto stampato in faccia, annuì di rimando e se ne andò, chiudendosi la tenda alle spalle.
Non sapendo quanto tempo avesse, Sarah si guardò intorno disperata, cercando di fare il punto della situazione. Indossava ancora i jeans e il top color foglia di tè, il che suggeriva che ancora non le era stato fatto nulla. Si controllò le tasche in cerca del telefono, del portamonete e dei documenti, ma era sparito tutto. Ovviamente.
Un forte gemito femminile che veniva da lì vicino la fece uscire dalla sua ottusità e si sentì invadere da qualcosa di simile al panico. Ne fu contenta, dato che arrivò accompagnato da una scarica di adrenalina che le schiarì la mente e le diede un maggiore controllo sugli arti.
Pensa, Sarah, finché ancora puoi. Sei sparita da un po’. Ti stanno cercando. Mamma e papà non avrebbero mai aspettato tanto a lungo che ti mettessi in contatto con loro senza chiamare la polizia. Se ti stanno cercando devi dar loro un indizio, qualcosa che faccia loro sapere che sei stata qui, nel caso in cui accadesse qualcosa.
Abbassò lo sguardo sulla sua maglietta. Aveva detto a sua madre che cosa indossava oggi? No, ma si erano videochiamate quella mattina su FaceTimed, quindi aveva visto come era vestita. Se lo sarebbe ricordato di sicuro. Dopotutto, avevano comprato quei vestiti insieme al negozio Cabazon del centro commerciale.
Si abbassò per strapparsi una striscia lunga circa cinque centimetri sulla cucitura vicino alla vita, dove era più debole. Si stava chiedendo dove lasciarla quando udì avvicinarsi due voci maschili. Proprio mentre la tenda veniva riaperta con uno strattone, ficcò il tessuto sotto al materasso in modo che ne fosse visibile solo un pezzettino.
Cercando di comportarsi il più normalmente possibile, guardò i due uomini. Uno era Chiqy. L’altro era un bianco basso di più di quarant’anni, in giacca e cravatta. Portava gli occhiali, che si cavò e posò sulle scarpe dopo essersele sfilate per sistemarle vicino alla tenda.
“Quanti anni ha?” chiese.
“Sedici,” rispose Chiqy.
“Un po’ matura per i miei gusti, ma andrà sicuramente bene,” disse avvicinandosi al materasso.
“Ricordati cosa ti ho detto,” la avvertì Chiqy.
Annuì. Lui sembrò soddisfatto e fece per andarsene quando l’uomo disse, “Un po’ di privacy, per favore.”
Chiqy, riluttante, chiuse la tenda. L’uomo era in piedi sopra di lei e la guardava – i suoi occhi vagavano dappertutto. Sarah si sentì male.
Cominciò a spogliarsi e Sarah usò quel tempo per decidere la prossima mossa da fare. Non avrebbe permesso che accadesse. Di quello era sicura. Se l’avessero uccisa, be’, okay. Ma non sarebbe diventata una schiava sessuale. Doveva solo aspettare che si aprisse una breccia.
Non ci volle molto.
L’uomo si era tolto i pantaloni e i boxer e gattonava verso di lei. Strizzava appena gli occhi, e lei capì che senza gli occhiali era un po’ incerto. Presto fu su di lei, a quattro zampe.
È questo il momento.
Con un rapido movimento, Sarah si portò la gamba destra al petto e cacciò il piede in avanti, colpendo con l’avampiede della scarpa lo scroto dell’uomo. Lui grugnì immediatamente e le collassò sopra.
Se lo era aspettata, e gli spinse via il torso contorto. Poi balzò in piedi e corse alla tenda. L’uomo era dietro di lei, che si lamentava nel tentativo di parlare. Fece sbucare la testa fuori dalla tenda e si guardò intorno.
Al limitare del deposito vide la porta principale. Ma tra dove si trovava lei e la libertà c’erano infiniti materassi occupati e almeno mezza dozzina di uomini che vagavano, tenendo tutto sotto controllo. Non c’era modo di riuscire ad arrivare laggiù.
Ma forse poteva trovare una porta secondaria, spostandosi nell’ombra contro i muri. Stava per partire quando udì la voce dell’uomo, soffocata e dolorante, ma chiara.
“Aiuto!”
Non c’era più tempo. Uscendo dalla tenda si precipitò sulla sinistra, in cerca di qualsiasi cosa che somigliasse a una porta. Riuscì a percorrere circa sei metri prima che apparisse un tizio a bloccarle la strada.
Girò su se stessa e si mise a correre nell’altra direzione, ma andò dritta verso Chiqy, che la avvolse con un braccio enorme. Si poteva a malapena muovere.
Molti metri più in là, vide l’uomo che era arrivato in giacca e cravatta. Era piegato in due, però in piedi. Era ancora senza i pantaloni. Alzando una mano, la indicò.
“Dopo questo, la voglio per metà prezzo.”
Sarah vide Chiqy prendere qualcosa dalla tasca e capì che cosa fosse – una siringa. Cercò di liberarsi, ma invano. Sentì una puntura acuta sul braccio.
“Ti avevo avvertita che avrei dovuto usare l’iniezione della buonanotte se ti fossi comportata male,” disse, quasi in tono di scusa.
Sarah sentì Chiqy mollare la stretta, ma capì che era solo perché lei stava perdendo il controllo di tutti i muscoli. Anche lui se ne accorse, e la lasciò andare. Quando si accasciò al suolo, era già completamente incosciente.
CAPITOLO CINQUE
Keri era tesa e nervosa, seduta nella sala d’aspetto dell’ufficio della sicurezza del Fox Hills Mall. Per la quarta volta negli ultimi quindici minuti, le passò per la mente lo stesso pensiero: ci sta mettendo troppo.
Uno degli addetti alla sicurezza stava cercando il video dell’area ristorante delle due del pomeriggio, l’ora in cui Lanie aveva postato l’ultima foto su Instagram. Ci stava volendo un’eternità, o perché il sistema era vecchio o perché il ragazzo era un incapace.
Ray sedeva sulla sedia accanto a lei, divorando un cartoccio di pollo che aveva preso quando avevano visitato il ristorante. Il cartoccio di Keri le stava in grembo, per lo più intatto.
Nonostante il fatto che fossero le sei e trenta e che le ragazze non si facessero sentire solo da quattro ore e mezza circa, Keri aveva l’inquietante sensazione che ci fosse qualcosa di davvero strano in quel caso, anche se ancora non aveva le prove per dimostrarlo.
“Devi buttar giù quella roba tutta insieme?” chiese sgradevolmente a Ray.
Si bloccò nel bel mezzo di una masticata e la guardò interrogativamente prima di chiedere, con la bocca piena, “Che cos’hai?”
“Scusa. Non dovrei prendermela con te. Mi dà fastidio che ci voglia così tanto. Se le ragazze sono state davvero rapite, tutto questo trastullarsi ci fa perdere tempo prezioso.”
“Diamogli altri due minuti. Se per allora non ce la fa, caliamo la scure. Ci stai?”
“Ci sto,” rispose Keri, e prese un bocconcino dal cartoccio.
“Lo so che la situazione ti infastidisce,” disse Ray, “ma chiaramente hai qualcos’altro. Credo che abbia a che fare con quella cosa che mi hai tenuto nascosta alla stazione di polizia. Adesso abbiamo un po’ di tempo. Perciò dimmi.”
Keri lo guardò e capì che, persino con un pezzo di lattuga tra i denti a renderlo ridicolo, non stava scherzando.
Sei più vicina a quest’uomo di quanto tu lo sia a chiunque altro al mondo. Merita di sapere. Diglielo.
“Okay,” disse. “Aspetta, però.”
Prese il piccolo rilevatore di cimici e di telecamere che teneva nella borsa e fece cenno a Ray di seguirla in corridoio.
L’aggeggio le era stato consigliato da un esperto di sicurezza e sorveglianza che una volta Keri aveva aiutato per un caso. Le aveva detto che era una buona combinazione di trasportabilità, affidabilità e convenienza – e fino a quel momento pareva avesse avuto ragione.
Nelle settimane che erano seguite all’accenno da parte dell’avvocato Jackson Cave al fatto che l’avrebbe tenuta sotto stretta osservazione, aveva scoperto molti dispositivi d’ascolto. Una cimice le era stata messa nella lampada della scrivania dell’ufficio. Sospettava che un addetto alle pulizie fosse stato pagato per metterla lì.
Aveva trovato anche sia una telecamera che una cimice audio nel suo nuovo appartamento. La cimice si trovava nel soggiorno e la telecamera era stata sistemata nella camera da letto. Aveva trovato una cimice anche nel volante dell’auto e un’altra nel parasole della macchina di Ray.
Edgerton le aveva aggiunto delle protezioni extra al computer dell’ufficio con lo scopo specifico di rilevare software di tracking. Fino a quel momento non era stato scoperto niente. Ma lei andava sul sicuro, ed evitava di usarlo per qualcosa che non fosse il lavoro d’ufficio.
Il cellulare era rimasto pulito, probabilmente perché non lo lasciava mai. Era l’unico dispositivo con cui aveva comunicato con il Collezionista, e quindi era quello con cui era più protettiva.
Quando ebbero raggiunto la sala, Keri si controllò con l’aggeggio; poi controllò Ray. Indicò il telefono di Ray. Lui lo prese e lei controllò anche quello.
Ray si era sottoposto alla procedura molte volte nelle ultime settimane. Inizialmente aveva opposto resistenza, ma dopo che Keri aveva trovato la cimice nella sua macchina non si era più rifiutato. Anzi, avrebbe voluto togliere quella e tutte le altre.
Lei l’aveva pregato di lasciarle al loro posto e di comportarsi come se fosse tutto normale. Se Cave avesse saputo che l’avevano scoperto, avrebbe sospettato che sapessero del Collezionista e avrebbe potuto dirgli di darsi alla fuga.
Cave sospettava già che fosse stata Keri a rubargli i file con i dossier sui rapitori mercenari. Ma non poteva esserne certo. In caso contrario non avrebbe comunque saputo quanto aveva scoperto Keri dei legami segreti che aveva con quel mondo oscuro, né se anche lei aveva messo sotto sorveglianza lui. Così, ovviamente, Cave non voleva rischiare di incriminarsi contattando il Collezionista, se poteva evitarlo.
Lui credeva che fossero a uno stallo. E considerando che Jackson Cave in quel momento aveva molte più informazioni di Keri, lei era contentissima della situazione.
Aveva promesso a Ray che quando lasciare le cimici al loro posto sarebbe stato controproducente se ne sarebbe sbarazzata, anche se così avrebbe messo in allarme Cave. Avevano persino una frase in codice che significava che era ora di buttarle via. Era “Bondi Beach,” un riferimento a una spiaggia australiana che Keri sperava di vedere, un giorno. Se avesse detto quelle parole, Ray avrebbe saputo che finalmente poteva liberarsi della cimice posta nel parasole.
“Soddisfatta?” le chiese quando Keri ebbe finito di controllare entrambi accuratamente con il dispositivo.
“Sì. Scusami. Senti, stamattina ho ricevuto un’email dal nostro amico,” disse, scegliendo di essere criptica sul Collezionista anche se era sicura che non li stesse ascoltando nessuno. “Ha accennato al fatto che si sarebbe fatto sentire. Immagino di essere un po’ nervosa. Ogni volta che vibra il telefono penso che sia lui.”
“Ti ha dato un programma?” chiese Ray.
“No. Ha solo detto che mi avrebbe contatta presto; nient’altro.”
“Per forza sei così agitata. Pensavo che stessi solo esagerando per il caso.”
Keri sentì il caldo affiorarle alle guance e fissò in silenzio il partner, sconvolta dal commento. Ray sembrò capire subito di essersi spinto troppo in là, e stava per sistemare le cose quando l’addetto alla sicurezza li chiamò dalla stanza del computer.
“Ho trovato qualcosa,” gridò.
“Hai avuto fortuna,” sibilò Keri con rabbia e superando con foga Ray – che si tenne a debita distanza.
Nella sala del computer, la guardia aveva il filmato video acceso alle quattordici e cinque. Sarah e Lanie erano chiaramente visibili, sedute a un tavolino nel centro della zona ristorante. Videro Lanie fare una foto al suo pranzo con il telefono, quasi sicuramente una parte del post che Edgerton aveva trovato su Instagram.
Dopo un paio di minuti, un ragazzo alto dai capelli scuri coperto di tatuaggi si avvicinò. Diede a Lanie un lungo bacio, e dopo qualche altro minuto di chiacchiere si alzarono tutti e se ne andarono.
L’addetto alla sicurezza fermò l’immagine e si voltò verso Keri e Ray. Keri lo guardò con attenzione per la prima volta. Portava una targhetta che diceva “Keith” e non poteva avere più di ventitré anni, con la pelle unta e brufolosa e la schiena incurvata che lo faceva somigliare a un ossuto Quasimodo. Finse di non notarlo mentre parlava.