La Bugia di un Vicino - Блейк Пирс 5 стр.


L'ascensore la portò al terzo piano, dove si trovava il suo cubicolo, accanto ad altri. Mentre camminava in corridoio, incrociò Nikki Rhodes. Pensò di salutarla, o di ringraziarla sarcasticamente per il colloquio fuori programma con Johnson. Ma alla fine, decise di fare la superiore. Non avrebbe preso parte ai suoi giochetti.

Tuttavia, bastò quell’incontro fatto di mute occhiatacce per spingere Chloe a prendere una decisione: sì, sarebbe andata in quel locale. E se le cose non fossero migliorate prima di sera, avrebbe bevuto ben più di un bicchiere.

Sembra che stia succedendo spesso, ultimamente, si disse.

Era un pensiero che la tormentò per tutto il resto della giornata, ma, proprio come i pensieri ricorrenti su suo padre, riuscì a spingere anche quello negli angoli più reconditi della sua mente.

CAPITOLO CINQUE

Quando arrivò al locale alle 18:45, era più o meno ciò che si era aspettata. Vide diversi volti che le erano familiari, ma nessuno che conoscesse bene. E questo perché non c’era nessuno che conoscesse bene. Un altro svantaggio del fatto che Johnson le avesse fatto cambiare dipartimento all’ultimo minuto era il fatto che ben poche delle persone nel ViCAP avevano seguito i suoi stessi corsi di formazione.

I due volti che le erano più noti erano di due ragazzi. Il primo era Riggins, che era seduto con un altro agente, intento a parlare animatamente di qualcosa. Poi c’era Kyle Moulton, il bell’agente che si era offerto di portarla a pranzo dopo la prima fase dell’orientamento – lo stesso agente che l’aveva in un certo senso colpita quando le aveva chiesto se avesse mai avuto tendenze violente. Si sentì un po’ scoraggiata nel vederlo intento a chiacchierare con altre due donne. D’altronde, non c’era da stupirsi: Moulton era bello da morire. Somigliava un po’ a Brad Pitt da giovane.

Decise di non interromperlo, andando invece a sedersi con Riggins. Per quanto potesse sembrare presuntuoso, le piaceva l’idea di uscire con qualcuno che aveva espresso ammirazione per il suo successo di quella mattina.

“Questo sgabello è occupato?” chiese, accomodandosi accanto a lui.

“Niente affatto” disse Riggins. Sembrava sinceramente felice di vederla, e le guance paffute si allargarono in un sorriso. “Sono contento che tu abbia deciso di venire. Posso offrirti da bere?”

“Ma certo. Solo una birra per ora.”

Riggins chiamò il barista e gli fece segnare il primo drink di Chloe sul suo conto. Lui aveva appena finito un rum e Cola, e ne approfittò per ordinarne un secondo.

“Com’è andato il tuo primo giorno?” chiese Chloe.

“Bene. Ho passato la maggior parte del tempo impegnato a fare ricerche per un caso su un trafficante di droga. Sembra noioso, ma in realtà mi è piaciuto parecchio. Allora, com’è stato lavorare al fianco della Rhodes per un’intera giornata?” volle sapere Riggins. “Certo, risolvere il caso dev’essere stato fantastico, ma si sa che quella è un tipo difficile con cui avere a che fare.”

“Tra noi c’era parecchia tensione. È un’agente fantastica, ma...”

“Avanti, dillo” la esortò Riggins. “Io non posso chiamarla stronza perché non mi piace dare della stronza a una donna davanti a un’altra donna.”

“Non è una stronza” ribatté Chloe. “È solo molto diretta e scrupolosa.”

La conversazione proseguì ancora un po’, restando molto informale. Chloe diede qualche sbirciata in direzione dell’agente Moulton. Una delle donne se n’era andata, quindi ne rimaneva una soltanto, con cui stava ancora parlando, chino verso di lei e sorridente. Chloe tendeva ad essere un po’ ingenua quando si trattava di relazioni, ma era abbastanza certa che Moulton fosse innamorato di quella donna.

Provò una fitta di delusione inaspettata. Erano passati solo due mesi da quando lei e Steven si erano lasciati. Chloe immaginò di sentirsi interessata a Moulton solo perché era stato il primo a comportarsi in modo amichevole con lei dopo che Johnson le aveva fatto mancare la terra sotto i piedi. Inoltre, non era per niente allettante l’idea di tornare al suo nuovo appartamento da sola. Anche il fatto che Moulton fosse incredibilmente bello giocava un ruolo importante.

Sì, è stato un errore uscire. Posso bere spendendo molto meno a casa.

“Va tutto bene?” Chiese Riggins.

“Sì, credo di sì. È stata solo una lunga giornata. E domani se ne preannuncia una altrettanto lunga.”

“Torni a casa in macchina o a piedi?”

“In macchina.”

“Ah... allora è meglio che non ti offra un altro drink, eh?”

Chloe sorrise, suo malgrado. “Come sei responsabile.”

Lanciò un'occhiata a Moulton e alla donna con cui stava parlando. Al momento si stavano entrambi alzando. Mentre si dirigevano all’uscita, Moulton posò delicatamente la mano sulla parte bassa della schiena della donna.

“Posso chiederti che cosa ti ha spinto a intraprendere la strada che ti ha portata a una carriera come questa?” chiese Riggins.

Lei sorrise nervosamente e finì la sua birra. “Problemi familiari”, rispose. “Grazie per avermi invitato, Riggins, ma devo tornare a casa.”

Lui annuì, come se avesse capito. Chloe si accorse anche che si guardò lentamente intorno nel locale e vide che era l'unico a rimanere. Questo le fece pensare che forse Riggins aveva alcuni fantasmi personali con cui stava lottando.

“Abbi cura di te, agente Fine. Ti auguro che domani tu possa avere lo stesso successo di oggi.”

Chloe uscì dal locale, già facendo programmi per il resto della serata. Aveva ancora degli scatoloni da disfare, un letto da montare e una assortimento di biancheria da lavare e di utensili di cucina da mettere via.

Non è esattamente la vita eccitante che mi aspettavo, pensò con un po’ di sarcasmo.

Mentre si dirigeva verso la sua auto, ancora nel parcheggio sotto il quartier generale dell'FBI, il suo telefono squillò. Quando vide il nome sul display, si sentì invadere dalla rabbia e fu tentata di non rispondere.

Steven. Non aveva idea del perché la stesse chiamando, e fu proprio per questo che decise di rispondere. Sapeva che, se non l'avesse fatto, quella domanda l'avrebbe fatta impazzire.

Rispose alla chiamata, detestando sentirsi immediatamente nervosa. “Ciao, Steven.”

“Chloe. Ehi.”

Chloe aspettò, sperando che si sbrigasse a dirle cosa volesse. Ma non era da Steven arrivare dritto al punto.

“Va tutto bene?” chiese lei.

“Sì, è tutto a posto. Scusa... non ho nemmeno pensato a cosa avresti potuto pensare vedendo la mia chiamata...”

Smise di parlare, ricordando a Chloe uno dei suoi tanti piccoli e fastidiosi difetti, che non si era mai reso conto di avere.

“Cosa vuoi, Steven?”

“Voglio che ci troviamo per parlare” disse. “Così, giusto per riallacciare i contatti e aggiornarci.”

“Non credo proprio che sia una buona idea.”

“Non ho secondi fini” le assicurò. “Te lo giuro. È solo che... sento che ci sono alcune cose di cui devo scusarmi. E poi ho bisogno... anzi, tutti e due abbiamo bisogno di una chiusura. Non credi?”

“Parla per te. Le cose sono già sistemate per me. Non è necessaria alcuna chiusura.”

“D’accordo, allora consideralo un favore. Voglio solo una mezz'oretta. Mi piacerebbe togliermi alcuni pesi dal petto. E a dirla tutta... mi piacerebbe vederti ancora una volta.”

“Steven... sono occupata. La mia vita è incasinata adesso, e...”

Si fermò, non era nemmeno sicura di come proseguire. In realtà, non è che avesse un’agenda fitta di impegni che le avrebbe impedito di incontrarsi con lui. Sapeva che a Steven anche solo fare quella telefonata doveva essere costato uno sforzo enorme. Aveva dovuto umiliarsi, il che non era qualcosa che gli fosse mai riuscito bene.

“Chloe...”

“Va bene. Mezz'ora. Ma non verrò lì da te. Se vuoi vedermi, devi venire tu a Washington. Le cose sono incasinate qui, adesso, e non posso...”

“Ok, vengo io. Quando sarebbe un buon momento per te?”

“Sabato. All’ora di pranzo. Ti scriverò dove per messaggio.”

“Per me va bene. Grazie mille, Chloe.”

“Prego.” Sentì che avrebbe dovuto dire qualcos’altro, una cosa qualunque per alleviare la tensione. Ma alla fine, tutto quello che disse fu “Ciao, Steven”.

Terminò la chiamata e rimise in tasca il telefonino. Non poté fare a meno di chiedersi se avesse ceduto solo perché si sentiva piuttosto sola. Pensò all'agente Moulton e si chiese dove fosse andato insieme alla sua amica. Ma soprattutto, si domandò perché le importasse così tanto.

Raggiunse l’auto e tornò a casa, mentre le strade di Washington cominciavano a scurirsi nel crepuscolo. Era una città straordinaria; nonostante il traffico e la strana fusione di storia e commercio, era in qualche modo bellissima lo stesso. Quel pensiero rese Chloe malinconica, mentre si dirigeva verso il suo appartamento – un appartamento nuovo, che si era ritenuta fortunata a trovare, ma che ora le sembrava un’isola lontana da tutto e da tutti.

***

Quando il cellulare trillò, il mattino dopo, Chloe si sentì emergere dalla foschia di un sogno. Cercò di afferrarne gli ultimi brandelli mentre fuggiva da lei, ma poi si fermò, chiedendosi se ne valesse la pena. Gli unici sogni che faceva ultimamente erano su suo padre, tutto solo in prigione.

Le sembrò di poter persino sentire la sua voce canticchiare un vecchio pezzo di Johnny Cash, che aveva cantato spesso nel loro appartamento quando era bambina. “A Boy Named Sue” ricordò. O forse no. Tutte quelle canzoni iniziavano a sembrarle uguali.

Ad ogni modo, era “A Boy Named Sue” la canzone che aveva in mente quando era stata svegliata. Quando staccò il telefono dal caricatore sul comodino, vide che segnava le 6:05 – appena venticinque minuti prima della sveglia che aveva impostato.

“Pronto, parla l’agente Fine” rispose.

“Agente Fine, sono il vicedirettore Garcia. Vorrei che venisse nel mio ufficio subito. Diciamo entro un'ora. Ho un caso che voglio affidare a lei e all’agente Rhodes il prima possibile, stamattina.”

“Sì, signore” disse, alzandosi. “Sarò lì subito.”

In quel momento, non le importava di dover passare un altro giorno con Nikki Rhodes. Tutto quello che le importava era che, fino a quel momento, il suo punteggio con i casi era 1-0, ed era impaziente di migliorare quel risultato.

CAPITOLO SEI

Chloe arrivò nell'ufficio del vice direttore Garcia tre minuti dopo. Era seduto al piccolo tavolo da riunioni in fondo alla stanza, intento a sfogliare alcuni documenti. Vide che aveva già sistemato due tazze fumanti di caffè nero per loro, ai lati opposti del tavolo.

“Buongiorno, agente Fine” disse vedendola entrare. “Ha già visto o parlato con l'agente Rhodes?”

“Stava entrando nel parcheggio proprio mentre salivo in ascensore.”

Garcia parve pensarci su per un momento, forse confuso sul perché Chloe non avesse semplicemente aspettato la collega all'ascensore, dato che l’aveva vista. Poi si domandò quanto Johnson gli avesse raccontato della piccola lotta di potere che era in atto tra loro.

Poiché aveva già bevuto un caffè in macchina mentre arrivava, Chloe si sedette davanti a una delle tazze e si limitò a sorseggiarne un po’. Preferiva il caffè macchiato e leggermente zuccherato, ma non voleva apparire capricciosa. Stava ancora sorseggiando, quando Nikki Rhodes entrò nella stanza. La prima cosa che fece fu lanciare a Chloe un’occhiata irritata. Poi si sedette davanti all'altra tazza di caffè.

Garcia le guardò entrambe, apparentemente intuendo la tensione tra loro, ma poi scrollò le spalle. “Abbiamo un omicidio a Landover, nel Maryland. È un caso che all'inizio è apparso abbastanza normale. La polizia del Maryland se ne sta già occupando, ma hanno chiesto il nostro aiuto. Dovreste anche sapere che Jacob Ketterman, degli affari pubblici della Casa Bianca, conosceva la vittima. Un tempo lavorava con lei. Ci ha chiesto di esaminare il caso, come favore. E poiché è coinvolta la Casa Bianca, dovremo tenere la cosa riservata. Dovrebbe essere semplice, con questo caso. A quanto sembra, si tratta di un semplice omicidio. È uno dei motivi per cui abbiamo deciso di mettere in campo dei nuovi agenti. Sarà un buon test, e non sembra esserci fretta di chiudere il caso, anche se ovviamente preferiremmo che fosse risolto il prima possibile.”

Fece scivolare due copie del verbale verso di loro. I dettagli erano concisi e diretti. Mentre Chloe leggeva, Garcia ripeté ciò che aveva appreso.

“La vittima è la trentaseienne Kim Wielding. Lavorava come tata per la famiglia Carver quando è stata uccisa. Per quel che possiamo dire, qualcuno è entrato in casa e l'ha uccisa. È stata colpita alla testa due volte con qualcosa di molto duro, poi è stata strangolata. Le ferite alla testa erano piuttosto brutte. Non è ancora stato determinato quale delle due cose l'abbia uccisa. Abbiamo bisogno di voi due per scoprire chi è stato.”

“L'omicidio era l'unico motivo per cui l'assassino è entrato in casa?” chiese Chloe.

“Così sembra. Non pare sia stato rubato nulla. La casa era esattamente come i Carver l’avevano lasciata... ad eccezione della loro tata morta. L'indirizzo è nel fascicolo” proseguì Garcia. “Ho appena parlato al telefono con lo sceriffo di Landover. I coniugi Carver e i loro tre figli sono alloggiati in un motel da quando è avvenuto l'omicidio, due giorni fa. Ma stamattina vi aspetteranno in casa per rispondere a qualsiasi domanda. E questo è tutto, agenti. Andate là fuori e portateci un'altra vittoria. Passate dal reparto risorse umane e fatevi assegnare un’auto. Conoscete la procedura?”

Chloe non la conosceva, ma annuì comunque. Immaginava che Nikki Rhodes sapesse già tutto. Visto com’era andata il giorno prima, Chloe credeva che la collega conoscesse ogni singolo dettaglio su come funzionavano le cose al Bureau.

Chloe e Nikki si alzarono dal tavolo. Chloe bevve un ultimo sorso di caffè, prima di uscire dall'ufficio di Garcia. Camminarono lungo il corridoio verso l'ascensore senza dire una parola.

Sarà una lunga giornata, se non mettiamo da parte questa stupida rivalità, pensò Chloe.

Mentre Chloe spingeva il pulsante con la freccia verso il basso, si rivolse a Nikki e fece del suo meglio non solo per rompere il ghiaccio, ma per scioglierlo del tutto.

“Agente Rhodes, parliamoci chiaro. Hai qualcosa contro di me?”

Nikki sorrise e si prese un momento per pensare alla risposta. “No” disse alla fine. “Non ho niente contro di te, agente Fine. Ma sono un po’ titubante a lavorare con qualcuno che è stato inserito nel ViCAP all'ultimo minuto. Mi chiedo se questo non sia una specie di favore che ti è stato fatto, il che sarebbe ingiusto nei confronti di altri agenti che si sono fatti il ​​culo per far parte di questo programma.”

“Non che siano affari tuoi, ma mi è stato chiesto di entrare a far parte di questo programma. Ero perfettamente soddisfatta del mio corso con la Squadra Ricerca Prove.”

Nikki scrollò le spalle, mentre le porte dell'ascensore si aprivano. “Non so se alla SRP sarebbero contenti di come hai contaminato quell'impronta, ieri.”

Chloe rimase in silenzio a quelle parole. Avrebbe potuto continuare quella piccola guerra di parole con Nikki, ma questo non avrebbe fatto altro che rendere il loro rapporto di lavoro ancora peggiore di quanto non fosse già. Se voleva cambiare le cose, avrebbe semplicemente dovuto provare all’agente Rhodes di essere all’altezza.

Inoltre, era vero che aveva combinato un casino il giorno prima. E l'unico modo per risolverlo era mettersi alla prova con questo nuovo caso.

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