Su nessuno degli uomini c’erano segni identificativi, ma l’ultimo con la pistola aveva una grossa mazzetta di banconote in euro, forse qualche migliaio. Reid si infilò anche quella in tasca, e infine prese la Beretta. Il peso dell'arma gli sembrava stranamente naturale tra le mani. Calibro nove millimetri. Cartuccia di quindici colpi. Cilindro da centoventicinque millimetri.
Le sue mani estrassero abilmente il caricatore in un gesto fluido, come se fossero controllate da qualcun altro. Tredici colpi. Lo rinfilò e l’armò.
Poi uscì di lì.
Fuori dalle grosse porte di metallo c’era uno squallido corridoio che finiva in una scalinata, che a sua vota portava verso l’alto. In cima si intravedeva la luce del giorno. Reid fece cautamente le scale, con la pistola alzata, ma non udì niente. L’aria diventava sempre più fresca man mano che saliva.
Si trovò in una piccola cucina sporca, con le pareti scrostate e pile di piatti coperti di rimasugli dentro il lavandino. Le finestre erano traslucide, imbrattate di grasso. Il radiatore in un angolo era freddo al tocco.
Reid controllò il resto dalla casetta; non c’era nessun altro a parte i quattro uomini morti nello scantinato. L’unico bagno era in uno stato persino peggiore della cucina, ma vi trovò un kit di pronto soccorso dall’aria antica. Non osò guardarsi allo specchio mentre si lavava quanto più sangue poteva dal volto e dal collo. Tutto, dalla testa ai piedi, gli faceva male, era indolenzito o bruciava. Il piccolo tubetto di antisettico era scaduto tre anni prima, ma lo usò ugualmente, sussultando mentre premeva le bende sui tagli aperti.
Poi si sedette sul water e si strinse la testa tra le mani, prendendosi un momento per recuperare la calma. Potresti andartene, si disse. Hai dei soldi. Vai all’aeroporto. No, non hai un passaporto. Vai all’ambasciata. O trova un consolato. Ma…
Ma aveva appena ucciso quattro uomini, e il suo sangue era sparso per tutto lo scantinato. E c'era anche un altro problema, molto più grave.
“Non so chi sono,” mormorò ad alta voce.
Quei lampi, quelle visioni che gli apparivano nella mente, erano tutti dalla sua prospettiva. Il suo punto di vista. Ma non aveva, non avrebbe mai fatto niente del genere. Soppressione della memoria, aveva detto l’interrogatore. Era mai possibile? Pensò di nuovo alle sue figlie. Erano al sicuro? Avevano paura? Erano… sue?
Quell’idea lo scosse nel profondo. E se, in qualche modo, quello che aveva creduto fosse reale non lo fosse stato affatto?
No, si disse con fermezza. Erano le sue figlie. Era stato presente alla loro nascita. Le aveva cresciute. Nessuna di quelle visioni bizzarre e intrusive lo contraddiceva. E doveva trovare un modo per contattarle, per accertarsi che stessero bene. Erano la sua priorità principale. Non poteva usare il cellulare usa e getta per contattare la sua famiglia, non sapeva se fosse tracciato o chi potesse essere in ascolto.
Improvvisamente ricordò il pezzo di carta con sopra il numero di telefono. Si alzò e lo tirò fuori dalla tasca. Fissò la carta macchiata di sangue. Non sapeva di cosa si trattasse o perché credessero che fosse una persona diversa da quella che diceva di essere, ma nelle profondità della sua coscienza c’era una certa urgenza, qualcosa che diceva che suo malgrado era stato coinvolto in un affare molto, molto più grande di lui.
Con mani tremanti, fece il numero sul cellulare.
Una burbera voce maschile rispose al secondo squillo. “Avete fatto?” chiese in arabo.
“Sì,” rispose Reid. Cercò di mascherare la voce il meglio possibile e di fingere l’accento giusto.
“Hai le informazioni?”
“Mh.”
La voce rimase in silenzio per un lungo momento. Il cuore di Reid gli tamburellava nel petto. Aveva capito che non era l’interrogatore?
“Rue de Stalingrad 187,” disse alla fine l’uomo. “Alle otto di sera.” E riappese.
Reid chiuse il cellulare e fece un profondo respiro. Rue de Stalingrad? pensò. In Francia?
Non sapeva ancora cosa fare. Gli sembrava che la sua mente avesse buttato giù un muro e che avesse scoperto un’altra stanza dall’altra parte. Non poteva tornare a casa senza sapere che cosa gli stava succedendo. E anche se lo avesse fatto, quanto ci sarebbe voluto perché ritrovassero lui e le ragazze, come la prima volta? Tutto quello che aveva era un indizio. Doveva seguirlo.
Uscì dalla piccola casa e si ritrovò in un vicolo stretto, che si apriva su una strada chiamata Rue Marceau. Capì subito dove era, un sobborgo di Parigi, a poca distanza dalla Senna. Gli venne quasi da ridere. Aveva creduto di essere in mezzo alle strade distrutte dalla guerra di una città del Medio Oriente. Invece era in un viale pieno di negozi e casette a schiera, dove normali passanti si godevano il pomeriggio, infagottati contro la gelida brezza di febbraio.
Si infilò la pistola nella vita dei jeans e uscì in strada, mescolandosi alla folla e cercando di non attirare l’attenzione sulla maglia sporca di sangue, le bende o gli ovvi lividi. Si strinse le braccia attorno al corpo. Avrebbe avuto bisogno di nuovi abiti, una giacca, e qualcosa di più caldo di una camicia.
Doveva accertarsi che le sue ragazze fossero al sicuro.
Poi avrebbe trovato delle risposte.
CAPITOLO QUATTRO
Camminare per le strade di Parigi era un sogno, solo che c’era finito in una maniera che nessuno si sarebbe auspicato. Reid raggiunse l’incrocio tra Rue de Berri e Avenue des Champs-Élysées, una zona sempre frequentata di turisti nonostante il tempo freddo. L’Arc de Triomphe si profilava in lontananza a nord-ovest, il monumento centrale di Place Charles de Gaulle, ma la sua grandezza era invisibile agli occhi di Reid. Una nuova visione gli era apparsa nella mente.
Sono già stato qui. Sono stato in questo punto a guardare i cartelli stradali. Indossavo jeans e una giacca nera da motociclista, i colori del mondo appiattiti dagli occhiali scuri…
Voltò verso destra. Non era certo di che cosa avrebbe trovato, ma aveva lo strano sospetto che l’avrebbe capito quando lo avesse visto. Era una sensazione bizzarra, non sapere dove stava andando fino a quando non fosse arrivato a destinazione.
Si sentiva come se ogni nuovo panorama portasse con sé un vago ricordo, ognuno sconnesso dall’altro, ma in un certo modo congruenti. Sapeva che il bar all’angolo vendeva i migliori pasticcini che avesse mai gustato. Il profumo dolce della pasticceria dall'altra parte della strada gli faceva venire l’acquolina in bocca e voglia di ventagli di pasta sfoglia. Ma non li aveva mai mangiati. Non era così?
Persino i suoni lo turbavano. I passanti chiacchieravano pigramente mentre passeggiavano per il viale, lanciando occhiate rapide al suo volto contuso e bendato.
“Non voglio sapere che faccia ha il tizio con cui si è scontrato,” borbottò un giovane francese alla sua ragazza. Entrambi ridacchiarono.
Okay, niente panico, pensò Reid. A quanto pare conosco l’arabo e anche il francese. L’unico altro linguaggio che il professor Lawson parlava era il tedesco, e qualche frase in spagnolo.
C’era anche qualcos’altro, di più difficile da definire. Sotto i nervi scossi e l’istinto di scappare, di tornare a casa, di andare a nascondersi, sotto tutto quello c’era una corrente fredda e dura come l’acciaio. Era come avere la mano pesante di un fratello maggiore sulla spalla, una voce in fondo alla mente che diceva: Rilassati. Sai cosa fare.
Mentre quella voce lo sospingeva dolcemente dal fondo della sua stessa mente, al centro dei suoi pensieri c’erano le sue ragazze e la loro sicurezza. Dove erano? A che cosa stavano pensando in quel momento? Che cosa gli sarebbe successo se avessero perso entrambi i genitori?
Non aveva mai smesso di pensare a loro. Persino mentre lo picchiavano in quell’orribile prigione nello scantinato, anche con quelle visioni che si intrufolavano nella sua testa, continuava a pensare alle sue figlie, e in particolare all’ultima questione. Che cosa gli sarebbe successo se fosse morto in quello scantinato? O se fosse morto in quella assurda missione che stava intraprendendo?
Doveva esserne sicuro. In qualche modo doveva mettersi in contatto con loro.
Per prima cosa gli serviva una giacca, e non solo per coprire la camicia sporca di sangue. La temperatura a febbraio si aggirava intorno ai dieci gradi, ma era comunque troppo freddo per girare in camicia. Il viale formava una specie di tunnel del vento e la brezza era gelida. Si infilò nella boutique d’abiti più vicina e scelse il primo cappotto che colse il suo sguardo: una giacca di pelle color marrone scuro, con la fodera di lana. Strano, pensò. Non avrebbe mai scelto una giacca come quella in passato, vista la sua passione per il tweed e il plaid, ma ne era stato attirato.
La giacca di pelle costava duecentoquaranta euro. Niente di grave, aveva le tasche piene di soldi. Scelse anche una camicia nuova, una maglietta color grigio ardesia e poi un paio di jeans, calzini nuovi e robusti stivali marroni. Portò tutti gli indumenti al bancone e pagò in contanti.
Su una delle banconote c’era un’impronta insanguinata, ma il commesso dal volto impassibile fece finta di non notarla. Una visione simile a un lampo gli apparve nella mente:
“Un uomo entra in una stazione di servizio coperto di sangue. Paga la sua benzina e fa per andarsene. Il benzinaio sbalordito lo chiama: ‘Ehi, amico, stai bene?’ L’uomo sorride. ‘Oh, sì, tutto a posto. Non è il mio sangue.’”
Non ho mai sentito questa barzelletta prima di adesso.
“Posso usare i vostri camerini?” chiese in francese.
Il commesso indicò verso il fondo del negozio. Non aveva pronunciato una sola parola per tutta la transazione.
Prima di cambiarsi, Reid si guardò per la prima volta in uno specchio pulito. Gesù, aveva un aspetto spaventoso. Il suo occhio destro si stava gonfiando e il sangue aveva macchiato le bende. Avrebbe dovuto trovare una farmacia e comprare del materiale da primo soccorso decente. Si sfilò i jeans luridi e macchiati di sangue sulla coscia ferita, sussultando per il dolore. Qualcosa cadde a terra, spaventandolo. La Beretta. Si era quasi dimenticato di averla.
La pistola era più pesante di quanto si sarebbe immaginato. Novecento quarantacinque grammi, scarica, pensò. Prenderla in mano era come abbracciare un ex amante, familiare ed estraneo allo stesso tempo. La appoggiò e finì di cambiarsi, spinse i vestiti vecchi nella busta del negozio e si infilò la pistola nella vita dei nuovi jeans, dietro la schiena.
Sul viale, Reid tenne la testa bassa e camminò in fretta, con lo sguardo puntato sul marciapiede. Non aveva bisogno di essere distratto da altre visioni in quel momento. Gettò la busta con i vestiti vecchi in un cassonetto in un angolo senza nemmeno rallentare.
“Oh! Excusez-moi,” si scusò quando colpì con una spallata una donna di passaggio in un tailleur elegante. Lei gli lanciò un’occhiataccia. “Mi dispiace molto.” La donna sbuffò e si allontanò. Reid si infilò le mani nelle tasche della giacca, insieme al cellulare che le aveva sfilato dalla borsetta.
Era stato facile. Troppo facile.
Un paio di isolati dopo, si rifugiò sotto il tendone di un negozio e tirò fuori il cellulare rubato. Emise un sospiro di sollievo: aveva preso di mira quella donna d’affari per una ragione, e il suo istinto non si era sbagliato. Aveva Skype installato sul cellulare e un account collegato a un numero americano.
Aprì il browser internet del telefono, cercò il numero di Pap’s Deli nel Bronx e chiamò.
Una giovane voce maschile rispose in fretta. “Pap’s, come posso aiutarvi?”
“Ronnie?” Uno dei suoi studenti dell’anno precedente lavorava part time nella rosticceria che preferiva. “Sono il professor Lawson.”
“Ehi, prof!” rispose allegramente il giovane uomo. “Come va? Vuole fare un ordine d’asporto?”
“No. Sì… più o meno. Ascolta, ho bisogno di un enorme favore, Ronnie.” Pap’s Deli era a soli sei isolati da casa sua. Quando era bel tempo, andava a piedi per prendere i panini. “Hai Skype sul tuo cellulare?”
“Sì?” rispose Ronnie, con un tono confuso nella voce.
“Bene. Ecco quello che mi serve che tu faccia. Scriviti questo numero…” Disse al ragazzo di correre a casa sua, vedere chi ci fosse, se c’era qualcuno, e richiamare il numero americano su quel telefono.
“Professore, è nei guai?”
“No, Ronnie, va tutto bene,” mentì. “Ho perso il mio telefono e una donna gentile mi sta lasciando usare il suo per far sapere alle ragazze che sto bene. Ma ho solo qualche minuto. Quindi se potessi…”
“Non dica altro, prof. Felice di aiutarla. La richiamo tra qualche minuto.” Ronnie riappese.
Mentre aspettava, Reid camminò avanti e indietro sotto il tendone, controllando il telefono ogni manciata di secondi per non perdere la chiamata. Gli sembrò che fosse passata un’ora prima che suonasse di nuovo, anche se in realtà si trattò solo di sei minuti.
“Pronto?” rispose alla chiamata su Skype al primo squillo. “Ronnie?”
“Reid, sei tu?” Un’agitata voce femminile.
“Linda!” disse senza fiato lui. “Sono così felice che tu sia lì. Ascolta, devo sapere…”
“Reid, che cosa è successo? Dove sei?” volle sapere la donna.
“Le ragazze, sono a…”
“Che cosa è successo?“ lo interruppe Linda. “Le ragazze si sono svegliate questa mattina, sono andate giù di testa perché eri sparito, quindi mi hanno chiamata e io mi sono precipitata…”
“Linda, ti prego,” cercò di intervenire, “dove sono?”
Lei continuò a parlargli sopra, chiaramente turbata. Linda aveva molte buone qualità, ma la lucidità nei momenti di crisi non era fra di esse. “Maya ha detto che a volte vai a fare delle passeggiate al mattino, ma sia la porta davanti che quella sul retro erano spalancate, e lei voleva chiamare la polizia perché non lasci mai il cellulare a casa, e ora arriva questo ragazzo della rosticceria e mi dà il suo telefono…?”
“Linda!” sibilò seccamente Reid. Due uomini anziani che passavano di lì sobbalzarono al suo scoppio. “Dove sono le ragazze?”
“Sono qui,” ansimò la donna. “Sono entrambe qui, a casa insieme a me.”
“Sono al sicuro?”
“Sì, certo. Reid, che cosa sta succedendo?”
“Hai chiamato la polizia?”
“Non ancora, no… alla televisione dicono che bisogna aspettare ventiquattro ore per poter segnalare qualcuno come disperso… Sei finito nei guai? Da dove mi stai chiamando? Che account è questo?”
“Non te lo posso dire. Ascoltami e basta. Di’ alle ragazze di preparare una valigia e portale in albergo, ma non in uno vicino, esci dalla città. Magari nel Jersey…”
“Reid, cosa?”
“Il mio portafoglio è sulla scrivania dell’ufficio. Non usare direttamente la carta di credito. Prendi prima del denaro contante da tutte le carte che ci sono e usalo per pagare l’albergo. Non dare una data per il check out.”
“Reid! Non ho intenzione di fare niente fino a quando non mi dici che cosa… aspetta un secondo.” La voce di Linda si fece soffocata e distante. “Sì, è lui. Sta bene. Almeno credo. Aspetta, Maya!”
“Papà? Papà, sei tu?” Una nuova voce a telefono. “Che cosa è successo? Dove sei?”
“Maya! Io, uh, ho dovuto sbrigare una faccenda, è stata una cosa estremamente all’ultimo minuto. Non ho voluto svegliarti….”
“Mi stai prendendo in giro?” La sua voce era stridula, agitata e preoccupata allo stesso tempo. “Non sono stupida, papà. Dimmi la verità.“
Lui sospirò. “Hai ragione. Mi dispiace. Non posso dirti dove sono, Maya, e non dovrei rimanere a telefono tanto a lungo. Solo, fai quello che dice tua zia, okay? Dovrete stare fuori di casa per un po’. Non andate a scuola. Non girate da sole. Non parlate di me a telefono o per computer. Hai capito?”