Obiettivo Primario - Джек Марс 4 стр.


Martinez puntò la pistola contro di lui.

“Come si chiama il tizio? Quello che stiamo cercando?”

“Abu Mustafa Faraj al-Jihadi?” rispose Luke. Non era veramente una domanda. Non era niente, solo una sfilza di sillabe.

L’uomo annuì. Non rispose. Sembrava che stesse soffrendo.

Luke prese una piccola fotocamera digitale da dentro il giubbotto. Era dentro una custodia di plastica rigida. Avrebbe potuto farla rimbalzare sul pavimento e non si sarebbe rotta. Ci armeggiò per un secondo, e poi scattò qualche foto dell’uomo. Controllò le immagini prima di spegnere la fotocamera. Andavano bene, non erano propriamente di qualità professionale, ma Luke non lavorava per il National Geographic. Gli bastava avere le prove. Abbassò lo sguardo sul leader dei terroristi.

“Beccato,” disse. “Grazie per aver giocato con noi.”

BANG!

Martinez sparò un singolo colpo, e la testa dell’uomo esplose.

“Missione compiuta,” disse il soldato. Scosse il capo e si allontanò.

La radio di Luke si accese con un crepitio.

“Stone! Dove sei?”

“Murphy. Come è la situazione?”

La voce del soldato andava e veniva. “È un bagno di sangue qua fuori. Ho perso tre uomini. Ma abbiamo assunto il controllo di uno dei loro cannoni, e ci siamo aperti un varco. Se vogliamo uscire di qui, dobbiamo andare ADESSO.”

“Saremo fuori tra un minuto.”

“Io non ci metterei così tanto,” replicò Murphy. “Non se volete vivere.”

***

Sei uomini correvano attraverso il villaggio.

Dopo il combattimento il posto era diventato una città fantasma. Da un momento all’altro, Luke si aspettava che spari o missili emergessero con fragore dalle piccole case. Ma non succedeva niente. Non sembrava nemmeno che fosse rimasta della gente.

Nella direzione da dove erano venuti si alzava del fumo. Le mura del complesso erano distrutte. L’elicottero continuava a bruciare, le fiamme scoppiettavano nel silenzio inquietante.

Luke riusciva a sentire il respiro ansimante degli altri uomini, che correvano in salita carichi dell’attrezzatura e le armi. In dieci minuti arrivarono alla vecchia base operativa avanzata sulle colline rocciose fuori dal villaggio.

Con sorpresa di Luke, il posto andava bene. Non c’erano scorte, ovviamente, ma le sacche di sabbia erano ancora al loro posto, e da lì si vedeva tutta l’area circostante. Luke riusciva a intravedere le luci accese nelle case, e l’elicottero in fiamme.

“Martinez, vedi se riesci a richiamare Bagram alla radio. Ci serve un’estrazione. La partita di nascondino è finita. Digli di mandarci aiuti in forze. Dobbiamo tornare dentro al campo e portare fuori i nostri uomini.”

Martinez annuì. “Te l’avevo detto, amico. La fortuna finisce per tutti.”

“Non parlarmene, Martinez. Tiraci fuori di qui, va bene?”

“Certo, Stone.”

Era una notte buia. La tempesta si era calmata. Avevano ancora le armi, e in mezzo al terrapieno protetto dalle sacche di sabbia gli uomini stavano ricaricando le munizioni e controllando l’equipaggiamento.

Non era fuori questione che…

“Murphy, lancia un raggio di segnalazione,” disse. “Voglio vedere con cosa abbiamo a che fare.”

“E rivelare la nostra posizione?” contestò Murphy.

“Credo che sappiano già dove siamo,” replicò lui.

Murphy scrollò le spalle e sparò nel cielo notturno.

Il razzo si alzò lentamente nell’aria, gettando ombre spettrali sul terreno roccioso al di sotto. La terra sembrava quasi ribollire. Luke fissò e fissò, cercando di dare un senso a quello che stava vedendo. C’era talmente tanta attività da sembrare un formicaio, o una colonia di ratti.

Erano uomini. Centinaia di uomini stavano portando loro stessi, la loro attrezzatura e le loro armi in posizione.

“Direi che avevi ragione,” disse Murphy. “Sanno che siamo qui.”

Luke guardò Martinez.

“Martinez, come è la situazione dell’estrazione?”

Il soldato scosse la testa. “Dicono che non è possibile. Ci sono violente tempeste di sabbia ovunque tra qui e la base. Zero visibilità. Non riescono neanche a far decollare gli elicotteri. Ci ordinano di tenere duro fino al mattino. Il vento dovrebbe abbassarsi dopo l’alba.”

Luke lo fissò. “Devono fare di meglio di così.”

Martinez scrollò le spalle. “Non possono. Se gli elicotteri non volano, non c’è niente da fare. Vorrei che le tempeste fossero iniziate prima della nostra partenza.”

Luke fissò la massa brulicante di talebani sul fianco della collina sotto di loro. Si rivoltò verso il commilitone.

Martinez aprì la bocca come per parlare.

Lui gli puntò contro il dito. “Non dirlo. Preparati a combattere e basta.”

“Sono sempre pronto a combattere,” replicò il soldato.

Gli spari iniziarono un momento più tardi.

***

Martinez stava gridando.

“Arrivano da tutti i lati!”

Aveva gli occhi sgranati. Le sue pistole erano svanite. Aveva preso un AK-47 da un talebano, e stava infilzando con la baionetta chiunque oltrepassasse il muro. Luke lo guardava in preda all’orrore. Era un’isola, una piccola nave in un mare di combattenti talebani.

E stava naufragando. Poi svanì sotto un gruppo di uomini.

Stavano cercando di sopravvivere fino all’alba, ma il sole si rifiutava di sorgere. Le munizioni erano finite. Era freddo, e Luke non aveva più la maglietta. Gli era stata strappata nella foga della mischia.

Combattenti talebani barbuti e con il turbante si riversavano oltre le mura dell’avamposto. Gli uomini gridavano tutto intorno a lui.

Un guerriero superò le mura con un’accetta di metallo.

Luke gli sparò in faccia. L’uomo ricadde senza vita contro le sacche di sabbia. Così era Luke ad avere l’accetta. Si gettò in mezzo ai talebani che circondavano Martinez, agitando selvaggiamente l’arma. Il sangue schizzò. Lui colpì e tagliò.

Martinez riapparve, di nuovo in piedi, e sferrò colpi con la baionetta.

Luke affondò l’accetta nel cranio di un uomo. Andò a fondo e non riuscì più a estrarla. Anche con l’adrenalina che gli scorreva nelle vene, non gli rimanevano più forze. Guardò Martinez.

“Stai bene?”

Il soldato scrollò le spalle e indicò i corpo che li circondavano. “Sono stato meglio di così, devo ammetterlo.”

C’era un AK-57 ai piedi di Luke. Lo prese e controllò il caricatore. Vuoto. Lo gettò via ed estrasse la pistola. Sparò verso il fossato, invaso dai nemici. Una fila stava correndo verso di loro. Altri ancora arrivavano scivolando, cadendo e saltando al di là del muro.

Dove erano i suoi uomini? Qualcun altro era ancora vivo?

Uccise il combattente più vicino con un proiettile in faccia. La sua testa esplose come un pomodoro maturo. Poi afferrò il suo corpo per la tunica e lo tenne come uno scudo. L’uomo senza testa era leggero, quasi come se fosse un mucchio di vestiti vuoti.

Uccise quattro uomini con quattro colpi. Continuò a sparare.

Ma poi finì i proiettili. Di nuovo.

Un talebano lo caricò con un AK-47 con la baionetta attaccata. Luke gli spinse contro il cadavere, poi gettò la pistola come un tomahawk. Rimbalzò sulla testa dell’uomo, distraendolo per un secondo. Luke sfruttò quel momento. Lo aggredì, superando la lama della baionetta. Affondò due dita negli occhi dell’avversario e tirò.

L’uomo gridò. Sollevò le mani al volto. Ora era Luke ad avere l’AK. Pugnalò il nemico con la baionetta al petto, due, tre, quattro volte. La spinse in fondo.

L’uomo tirò il suo ultimo respiro davanti a lui.

Le mani di Luke si mossero sul suo cadavere. C’era una granata nel taschino del morto. La prese, tolse la sicura e la gettò al di là del bastione sull’orda in arrivo.

Arrivò a terra.

BOOOM.

L’esplosione fu vicina, e alzò polvere e roccia e sangue e ossa. Il muro di sacche di sabbia quasi gli collassò addosso.

Luke si rialzò a fatica, assordato e con le orecchie che fischiavano. Controllò l’AK. Vuoto. Ma aveva ancora la baionetta.

“Avanti, bastardi!” gridò. “Andiamo!”

Altri uomini oltrepassarono il muro, e lui li pugnalò in preda alla frenesia. Li colpì e macellò a mani nude. Li sparò con le loro stesse pistole.

Un uomo superò quello che era rimasto del muro. Ma non era un uomo, era un ragazzo. Non aveva la barba. Non gli serviva un rasoio. La sua pelle era liscia a scura. I suoi occhi marroni erano rotondi per il terrore. Si stringeva le mani al petto.

Luke stava affrontando un ragazzino che doveva avere appena quattordici anni. Ce n’erano altri che si avvicinavano alle sue spalle. Scivolavano e atterravano contro la barriera. Il passaggio era ostruito dai cadaveri.

Perché tiene le mani così?

Luke sapeva il motivo. Era un attentatore suicida.

“Granata!” gridò, anche se nessuno era vivo per sentirlo.

Balzò all’indietro, scavando sotto un corpo e poi un altro. Ce n’erano così tanti che non poteva smettere di strisciare, avanzando fino al centro della terra, mettendo una coperta di uomini morti tra di sé e il ragazzo.

BOOOM!

Udì l’esplosione, soffocata dai cadaveri, e percepì l’ondata di calore. Sentì gli strilli degli attaccanti morenti. Ma poi arrivò un altro boato, e poi un altro ancora.

E un altro.

Luke stava perdendo i sensi per i traumi. Forse era stato colpito. Forse stava morendo. Se era così che si moriva, non era poi così male. Non c’era dolore.

Pensò al ragazzino, un adolescente magrolino, con il torso largo quanto quello di uomo robusto. Aveva avuto indosso un giubbotto esplosivo.

Pensò a Rebecca, incinta del suo bambino.

L’oscurità lo avvolse.

***

A un certo punto il sole era sorto, ma non aveva portato con sé alcun calore. Il combattimento era finito. Lui non riusciva a ricordare quando, né come si fosse concluso. Il terreno era frastagliato e bucherellato. C’erano cadaveri ovunque. Uomini magri e barbuti erano stesi a terra, con gli occhi fissi e sgranati.

Luke. Il suo nome era Luke.

Era seduto su un mucchio di corpi. Si era svegliato sotto di essi, ed era emerso strisciando come un serpente.

Erano impilati come legname. Non gli piaceva sedere su di loro, ma era comodo. Era abbastanza alto da dargli una visuale sul lato della collina attraverso i resti del muro di sacchi di sabbia, ma comunque basso quanto bastava perché nessuno tranne un cecchino estremamente bravo avrebbe potuto colpirlo.

I talebani non avevano molti cecchini bravi. Alcuni, ma non molti, e la maggior parte dei soldati attorno a lui sembravano morti.

Nelle vicinanze ne notò uno che strisciava sulla collina, lasciandosi dietro una traccia di sangue come la bava di una lumaca. Avrebbe dovuto andare lì e ucciderlo, ma non voleva rischiare di spostarsi all’aperto.

Luke abbassò lo sguardo su se stesso. Non aveva un gran bell’aspetto. Il suo petto era macchiato di rosso. Era intriso del sangue dei morti. Tremava per la fame e la stanchezza. Fissò le montagne circostanti, illuminate dal sole che sorgeva. Sarebbe stata una bella giornata. Quello era un paese splendido.

Quanti altri ce n’erano là fuori? Quanto tempo ci sarebbe voluto prima che arrivassero?

Scosse la testa. Non lo sapeva. Non aveva importanza. Qualsiasi numero sarebbe stato eccessivo.

Martinez era steso sulla schiena lì vicino, più in basso nella trincea. Stava piangendo. Non riusciva a muovere le gambe. Ne aveva avuto abbastanza. Voleva morire. Luke si rese contro che lo stava ignorando ormai da un po’.

“Stone!” stava dicendo. “Ehi, Stone. Ehi! Uccidimi, amico. Uccidimi e basta. Ehi, Stone! Ascoltami, amico!”

Luke era intorpidito.

“Non ho intenzione di ucciderti, Martinez. Starai bene. Ti tireremo fuori di qui, e i dottori ti rimetteranno a posto. Quindi dacci un taglio… okay?”

Lì accanto, Murphy era seduto su una roccia, fissando nel vuoto. Non stava nemmeno cercando di mettersi al riparo.

“Murph! Vieni qua. Vuoi che un cecchino ti pianti un proiettile in testa?”

Murphy si girò e guardò Luke. I suoi occhi erano semplicemente… vuoti. Scosse la testa. Gli sfuggì un sospiro. Sembrò quasi una risata. Rimase fermo dove era.

Sotto i suoi occhi tirò fuori una pistola. Era incredibile che ne avesse ancora una addosso. Luke aveva combattuto a mani nude, usando rocce e oggetti taglienti per…

Non sapeva quanto tempo.

Murphy si puntò la canna della pistola al lato della testa, senza spostare lo sguardo da Luke per tutto il tempo. Premette il grilletto.

Click.

Lo premette ancora e ancora.

Click, click, click, click… click.

“Finiti,” disse.

Gettò via l’arma. Cadde lungo il lato della collina.

Luke guardò la pistola che rimbalzava in lontananza. Arrivò molto più lontano di quanto non si sarebbe aspettato. Alla fine si fermò con uno scivolone in mezzo alla ghiaia e sassi. Spostò lo sguardo su Murphy. Il soldato rimase fermo lì, guardando il vuoto.

Se fossero arrivati altri talebani, sarebbero stati finiti. Nessuno di quegli uomini riusciva più a combattere, e l’unica arma che Stone aveva ancora era la baionetta piegata in mano sua. Per un momento, pensò vagamente di cercare armi tra i cadaveri. Non era certo di avere la forza per alzarsi. Forse avrebbe dovuto strisciare.

Uno stormo di insetti neri apparve nel cielo in lontananza. Capì subito che cosa erano. Elicotteri. Elicotteri dell’esercito degli Stati Uniti, probabilmente Black Hawks. Stava arrivando la cavalleria. Luke non ne fu felice, né turbato.

Non sentiva niente.

CAPITOLO TRE

19 marzo

Notte

Un aeroplano sopra l’Europa

“I suoi uomini sono comodi?”

“Sì, signore,” rispose Luke.

Murphy non rispose. Era seduto su una poltrona dall’altra parte della stretta corsia, di fronte a Luke, fissando l’oscurità cupa fuori dal finestrino. Erano in un piccolo jet arredato quasi come un soggiorno. Luke e Murphy erano seduti in fondo, rivolti in avanti. Nella parte anteriore c’erano tre uomini, inclusi un colonnello della Delta Force e un generale a tre stelle del Pentagono. Il terzo era in abiti civili.

Dietro gli uomini c’erano due Berretti Verdi, in piedi sull’attenti.

“Specialista Murphy?” disse il generale. “È comodo?”

Murphy abbassò la tenda del finestrino. “Sì, sto bene.”

“Murphy, sa come ci si rivolge a un superiore?” domandò il colonnello.

Murphy si girò dal finestrino. Guardò direttamente gli uomini per la prima volta.

“Non sono più nel vostro esercito.”

“Perché è su questo aereo, quindi?”

Lui si scrollò. “Qualcuno mi ha offerto un passaggio. Non ci sono molti voli commerciali fuori dall’Afghanistan di questi tempi. Quindi ho pensato che fosse meglio approfittare di questo.”

L’uomo in abiti civili lanciò un’occhiata verso la porta della cabina.

“Se non è nell’esercito, suppongo che possiamo sempre chiederle di andarsene. Ovviamente la strada è lunga fino a terra.”

Murphy seguì il suo sguardo.

“Lo faccia. Le prometto che verrà insieme a me.”

Luke scosse la testa. Se quello fosse stato un parco giochi, gli sarebbe quasi venuto da ridere. Ma non lo era, e quegli uomini erano mortalmente seri.

“Okay, Murph,” disse. “Datti una calmata. Io ero su quella collina insieme a te. Nessuno su questo aereo ci ha messo là.”

Murphy fece spallucce. “Va bene, Stone.” Guardò il generale. “Sì, sono comodo, signore. Molto comodo, grazie.”

Il generale studiò alcuni documenti davanti a sé.

“Grazie, signori, per il vostro servizio. Specialista Murphy, se è interessato a essere congedato in anticipo dai suoi doveri, le suggerisco di affrontare l’argomento con il suo ufficiale in comando quando sarà tornato a Fort Bragg.”

“Okay,” rispose lui.

Il generale alzò lo sguardo. “Come sapete, questa è stata una missione difficile che non è andata esattamente secondo i pieni. Vorrei approfittare dell’occasione per familiarizzare con i fatti della situazione. Ho i rapporti stilati sulla missione in seguito al vostro ritorno a Bagram. Capisco dalle testimonianze, e dalle prove fotografiche, che in complesso la missione è stata un successo. Concorderebbe, sergente Stone?”

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