Sovrana, Rivale, Esiliata - Морган Райс 3 стр.


Il cuore di Ceres le si strinse nel petto, perché Tano era tornato in città solo per lei.

“Lo stesso,” disse suo padre, “cercare di aiutarla ci metterà tutti a rischio.”

Ceres udì quello che stava dicendo, ma voleva lo stesso dare il suo aiuto. E sembrava che Tano fosse un passo avanti rispetto a lei.

“Dobbiamo aiutare,” disse Tano, “mi spiace.”

Suo padre fece per afferrarlo, ma Tano fu velocissimo. Si tuffò in acqua e nuotò verso la nave ignorando apparentemente la minaccia di qualsiasi predatore ci fosse in mare. Ceres considerò il pericolo della cosa per un momento… e poi si gettò a sua volta e lo seguì.

Era difficile nuotare tenendo in mano la grossa spada che aveva rubato, ma in quel momento aveva bisogno di qualsiasi arma avesse potuto prendere. Si tuffò tra le onde gelide sperando che gli squali fossero già sazi dopo la battaglia, e che non sarebbe morta per le schifezze che così tante navi gettavano fuori bordo. Le sue mani si strinsero attorno alle funi della galea attraccata e iniziò ad arrampicarsi.

Era difficile. Il fianco della nave era scivoloso e le funi sarebbero state difficili da risalire anche se Ceres non fosse stata esausta dopo giorni di tormento tra le mani di Stefania. In qualche modo riuscì a tirarsi sul ponte e a gettare la grossa spada davanti a sé nel modo in cui un pescatore avrebbe potuto gettare una rete di vongole.

Salì in tempo per vedere un marinaio che si gettava contro di lei.

Ceres afferrò con due mani la spada rubata, la conficcò e la riestrasse. La fece roteare disegnano un arco e tagliò la testa del marinaio staccandogliela dalle spalle, poi cercò la minaccia successiva. Tano stava già lottando con uno dei marinai che stava picchiando la donna del Popolo delle Ossa, quindi Ceres corse ad aiutarlo. Colpì l’uomo alla schiena e Tano gettò il corpo morente contro l’altro marinaio che stava venendo verso di loro.

“Tu la liberi,” disse Ceres, “e io li tengo a bada.”

Fece roteare la sua spada in cerchi e archi, tenendo sotto controllo i marinai mentre Tano lavorava per liberare Jeva. Da vicino aveva un aspetto ancora più strano di quello che le era apparso da lontano. La sua pelle morbida e scura aveva delle figure e dei vortici blu disegnati sopra che ricoprivano tutto il cranio come nuvole di fumo. Frammenti di ossa decoravano il suo abito di seta e i suoi occhi brillavano di un senso di sfida di fronte alla situazione difficile in cui si trovava.

Ceres non aveva tempo di guardare mentre Tano la liberava, perché doveva concentrarsi nel tenere indietro i marinai. Uno cercò di colpirla con un’ascia facendola roteare sopra la testa. Ceres fece un passo avanti nello spazio creato dall’arma, poi colpì passandogli oltre. Poi iniziò a brandire la spada in cerchio costringendo gli altri ad arretrare. La conficcò nella gamba di un uomo, poi diede un calcio alto e lo colpì sotto la mascella.

“Ce l’ho fatta,” disse Tano, e Ceres si guardo alle spalle vedendo che aveva effettivamente liberato la donna del Popolo delle Ossa… che scivolò velocissima ad afferrare il coltello di un uomo caduto.

Si muoveva nella folla di marinai come un vortice, colpendo e uccidendo. Ceres guardò verso Tano, poi andò con lei cercando di tenere il passo con l’avanzata della donna che in teoria avrebbero dovuto salvare loro. Vide Tano parare un colpo di spada e poi ribattere, ma anche lei aveva un colpo da deviare in quello stesso istante.

Tutti e tre combattevano insieme, spostandosi come i partecipanti a qualche danza formale dove non sembrava esserci mai carenza di partner. La differenza era che questi partner erano armati e un passo falso avrebbe significato la morte.

Combattevano con forza e Ceres gridava la sua rabbia mentre la attaccavano. Colpiva e si muoveva e colpiva di nuovo, vedendo Tano lottare con la forza ordinata e impeccabile di un nobiluomo. La donna del Popolo delle Ossa accanto a lui invece si lanciava in un turbinio di violenta aggressione.

Poi arrivarono i combattenti e Ceres capì che era tempo di andare.

“Di lato!” gridò correndo verso il parapetto.

Si tuffò e sentì di novo l’acqua fredda mentre ci finiva dentro. Nuotò in direzione della barca, poi si tirò su lungo il bordo dello scafo. Suo padre la tirò a bordo e poi aiutò anche gli altri uno per uno.

“Ma cosa pensavate di fare?” chiese suo padre quando ebbero raggiunto il ponte.

“Pensavo che non sarei potuto restare a guardare,” rispose Tano.

Ceres avrebbe voluto discutere, ma sapeva che era parte di come era fatto Tano. Era proprio una delle cose che amava di lui.

“Pazzi,” disse la donna del Popolo delle Ossa con un sorriso. “Meravigliosamente pazzi. Grazie.”

Ceres si guardò attorno osservando le barche che erano loro più vicine. Erano tutte armate adesso e molti dei marinai a bordo correvano a fornirsi di altre armi. Una freccia colpì l’acqua vicino a loro, poi un’altra.

“Remate!” gridò ai combattenti, ma dove potevano andare? Già vedeva le altre navi che si spostavano per bloccarli. Presto non ci sarebbe stata via di scampo. Era il genere di situazione in cui lei avrebbe potuto usare i suoi poteri un tempo, ma ora non li aveva.

Ti prego, madre, implorò nel silenzio della sua mente, mi hai già aiutata prima. Aiutami anche adesso.

Percepì la presenza di sua madre da qualche parte al limitare del suo essere, effimera e calmante. Poté sentire l’attenzione di sua madre che guardava attraverso lei, che cercava di capire cosa le fosse successo.

“Cosa ti hanno fatto?” sussurrò la voce di sua madre. “Questa è opera dello stregone.”

“Ti prego,” disse Ceres. “Non ho bisogno dei miei poteri per sempre, ma mi serve aiuto adesso.”

Nella pausa che seguì una freccia colpì il ponte tra i piedi di Ceres. Era di gran lunga troppo vicino.

“Non posso sciogliere quello che è stato fatto,” disse sua madre. “Ma posso darti un altro dono, solo per questa volta. Sarà solo per una volta però. Non penso che il tuo corpo potrebbe sopportare di più.”

A Ceres non interessava: l’importante era fuggire. Le barche si stavano già avvicinando. Dovevano farlo.

“Tocca l’acqua, Ceres, e perdonami, perché farà male.”

Ceres non obiettò. Mise invece una mano tra le onde e sentì l’acqua bagnata che le scorreva sulla pelle. Si preparò…

… e dovette trattenersi dal gridare mentre qualcosa scorreva in lei brillando e uscendo dall’acqua e risalendo in aria. Era come se qualcuno avesse steso un velo di mussola a ricoprire tutto il mondo.

Attraverso esso Ceres poté vedere arcieri e guerrieri che la guardavano scioccata. Poteva sentirli gridare sorpresi, ma i rumori apparivano sommessi.

“Si lamentano che non riescono a vederci,” disse Jeva. “Dicono che questa è magia nera.” Guardò Ceres con un’espressione di rispetto e timore. “Pare che tu sia proprio quello che Tano ha detto.”

Ceres non ne era certa. Mantenere quella condizione faceva più male che mai. Non era certa di quanto avrebbe potuto resistere.

“Remate,” disse. “Remate prima che si dissolva!”

CAPITOLO TRE

Nel tempio dagli alti soffitti del castello Irrien guardava passivamente mentre i sacerdoti preparavano Stefania per il sacrificio. Stava immobile mentre loro trafficavano, legandola sull’altare, assicurandosi che stesse ferma mentre gridava e lottava.

Di solito Irrien aveva poco tempo per cose del genere. I sacerdoti erano un gruppo di pazzi ossessionati dal sangue che sembravano pensare che placare la morte potesse tenerla a bada. Come se qualche uomo potesse frenare la morte eccetto che con la forza delle sue braccia. Le implorazioni non funzionavano, non agli dei e non, come la sovrana di Delo brevemente in carica stava scoprendo, a lui.

“Per favore, Irrien, farò tutto quello che vuoi! Vuoi che mi inginocchi davanti a te? Ti prego!”

Irrien stava come una statua, ignorandola allo stesso modo in cui ignorava il dolore alla sua ferita, mentre attorno a lui nobili e guerrieri stavano a guardare. C’era un certo valore nell’aver permesso loro di assistere a questa cosa, almeno, come c’era pure del valore nel placare i sacerdoti. Il loro favore era un’altra fonte di potere da accaparrarsi, e Irrien non era così sciocco da ignorarlo.

“Non mi desideri?” implorava Stefania. “Pensavo che mi volessi come tuo giocattolino personale.”

Irrien non era neanche tanto scemo da ignorare il fascino di Stefania. Quello era parte del problema. Quando la sua mano si era posata sul suo braccio, aveva sentito qualcosa che andava oltre i soliti impulsi di desidero che aveva provato per bellissime schiave. Non lo avrebbe permesso. Non poteva permetterlo. Nessuno avrebbe avuto alcun potere su di lui, neanche il genere di potere che veniva da dentro lui stesso.

Guardò verso la folla. C’erano un sacco di donne bellissime lì, le ex damigelle di Stefania in ginocchio e incatenate. Alcune di loro piangevano vedendo quello che stava accadendo alla loro ex signora. Molto presto si sarebbe distratto con loro. Per ora doveva sbarazzarsi della minaccia che Stefania aveva rappresentato facendogli provare qualcosa.

Il più alto sacerdote avanzò, i fili d’oro e d’argento nella sua barba che tintinnavano al suo incedere.

“È tutto pronto, mio signore,” disse. “Tireremo fuori il bambino dalla pancia di sua madre e poi lo offriremo in sacrificio come si deve sull’altare.”

“E i vostri dei troveranno soddisfacente tutto questo?” chiese Irrien. Se il sacerdote colse la leggera nota di derisione, non osò certo darlo a vedere.

“Molto soddisfacente, Prima Pietra. Assolutamente molto soddisfacente.”

Irrien annuì.

“Allora faremo nel modo che voi suggerite. Ma sarò io ad uccidere il bambino.”

“Voi, Prima Pietra?” chiese il sacerdote. Sembrava sorpreso. “Perché?”

Perché era la sua vittoria, non quella del sacerdote. Perché era stato Irrien a farsi strada combattendo attraverso la città, mentre questi sacerdoti erano probabilmente stati al sicuro sulle navi che li trasportavano. Perché era stato lui a subire una ferita in tutto questo. Perché Irrien si prendeva le morti che gli appartenevano, piuttosto che lasciarle a uomini minori. Non spiegò niente di questo però. Non doveva a nessuno alcuna di queste spiegazioni.

“Perché ho scelto di farlo,” disse. “Avete qualche obiezione?”

“No, Prima Pietra, nessuna obiezione.”

Irrien godette della nota di paura presente nella voce, non per se stessa, ma perché era un promemoria del suo potere. Tutto questo lo era. Era una dichiarazione della sua vittoria come anche gratitudine a qualsiasi dio stesse guardando. Era un modo di ottenere quel luogo e allo stesso tempo di sbarazzarsi di un bambino che avrebbe potuto tentare di chiedere il suo trono quando fosse cresciuto abbastanza.

Perché era un promemoria del suo potere, se ne stava a guardare la folla mentre i sacerdoti iniziavano il loro massacro. Stavano in piedi e in ginocchio in file ordinate: i guerrieri, gli schiavi, i mercanti e coloro che sostenevano di avere sangue nobile. Guardò la loro paura, i loro pianti, la loro repulsione.

Dietro di lui i sacerdoti cantavano, parlando antiche lingue che si pensavano insegnate dagli dei stessi. Irrien si guardò alle spalle e vide il più superiore dei sacerdoti che teneva una spada sollevata sulla pancia nuda di Stefania, pronta a tagliare mentre lei lottava per liberarsi.

Irrien riportò l’attenzione a coloro che guardavano. Si trattava di loro, non di Stefania. Guardò il loro orrore mentre le implorazioni di Stefania diventavano urla dietro di lui. Guardò le loro reazioni e vide chi era colpito, chi spaventato, chi lo fissava con tacito odio e chi sembrava apprezzare lo spettacolo. Vide una delle damigelle presenti svenire alla vista di ciò che stava accadendo dietro di lui e si risolse di farla punire. Un’altra stava piangendo così forte da doversi far sostenere da un’altra ancora.

Irrien aveva scoperto che osservare coloro che lo servivano gli diceva più di loro di quanto avrebbe potuto fare una dichiarazione di lealtà. Silenziosamente individuò tra gli schiavi coloro che dovevano essere ancora annientati del tutto, coloro tra i nobili che lo guardavano con troppa gelosia. Un uomo saggio non abbassava mai la guardia, neanche quando aveva vinto.

Le grida di Stefania si fecero più acute per un momento, salendo in un crescendo che sembrava perfettamente sintonizzato con il canto dei sacerdoti. Poi lasciò spazio ai gemiti e si spense. Irrien dubitava che sarebbe sopravvissuta, ma in quel momento non gli interessava. Stava compiendo il suo scopo mostrando al mondo che era lui a comandare lì. Tutto il resto non era necessario. Quasi sgraziato.

Da qualche parte in esso le urla si unirono a quelle delle più belle donne di Delo, intrecciandosi ai vagiti del suo bambino. Irrien arretrò verso l’altare, allargando le braccia e attirando l’attenzione di coloro che guardavano.

“Siamo venuti qui e l’Impero era debole, quindi l’abbiamo preso. Io l’ho preso. Il posto del debole è quello di servire o di morire, e io ho deciso quale fosse.”

Si girò verso l’altare dove giaceva Stefania, il suo vestito strappato di dosso, ora rivestita di un caos di sangue e liquido amniotico come se fosse ricoperta di seta o tessuto. Stava ancora respirando, ma i suoi respiri erano scossi e la ferita non era una piccolezza dalla quale sarebbe potuto sopravvivere.

Irrien richiamò l’attenzione dei sacerdoti, poi girò di scatto la testa verso la figura prostrata di Stefania.

“Disponete di quella.”

Loro si affrettarono a obbedire, portandola via mentre uno dei sacerdoti gli porgeva il bambino come se gli stesse presentando il più grande dei doni. Irrien lo guardò. Era strano che una cosa così piccola e fragile potesse potenzialmente costituire una tale minaccia per uno come lui, ma Irrien non era uomo da correre stupidi rischi. Un giorno quel bambino sarebbe diventato un uomo e Irrien aveva visto cosa succedeva quando un uomo aveva la sensazione di non avere ciò che gli apparteneva. Lui aveva dovuto ucciderne parecchi al suo tempo.

Mise il bambino sull’altare, si girò verso il pubblico mentre sguainava un pugnale.

“Guardate tutti,” ordinò. “Guardate e ricordate cosa succede qui. Le altre Pietre non sono qui per prendersi questa vittoria, ma io sì.”

Si rigirò verso l’altare e istantaneamente capì che c’era qualcosa che non andava.

C’era una figura lì, un uomo dall’aspetto giovane con la pelle pallida, i capelli chiari e gli occhi di un profondo color ambra che ricordavano ad Irrien quelli di un gatto. Indossava una tunica, ma era chiara, mentre quelle dei sacerdoti erano scure. Fece scorrere un dito sul sangue che c’era sull’altare senza apparente disgusto, semplicemente per interesse.

“Ah, Stefania,” disse con voce piana e piacevole, e quasi certamente bugiarda. “Le ho offerto una possibilità di essere mia discepola una volta. Avrebbe dovuto accettare.”

“Chi sei?” chiese Irrien. Spostò la presa sul pugnale che teneva in mano, modificandola da una stretta che era intesa a colpire a una migliore per combattere. “Perché osi interrompere la mia vittoria?”

L’altro uomo allargò le braccia. “Non intendo interrompere niente, Prima Pietra, ma stavi per distruggere qualcosa che mi appartiene.”

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