Aspettò, ascoltando mentre Irrien iniziava a trattare gli affari della città. Per lo più erano questioni banali. Quanto avevano preso. Quanto c’era ancora da prendere. Di quante guardie avevano bisogno per tenere al sicuro le mura, e come controllare il flusso di cibo.
“Abbiamo un’offerta da parte di un mercante per dare rifornimenti ai nostri eserciti,” disse uno dei cortigiani. “Si chiama Grathir.”
Stefania sbuffò e Irrien si voltò a guardarla.
“Hai qualcosa da dire, schiava?”
Stefania inghiottì il desiderio di ribattere a quelle parole. “Solo che Grathir è noto per fornire beni inferiori allo standard. Il suo precedente partner d’affari però è in procinto di assumere la sua attività. Se sosterrete lui, potrete ottenere le scorte di cui avete bisogno.”
Irrien la fissò con sguardo calmo e posato. “E perché me lo stai dicendo?”
Stefania sapeva che era la sua occasione, ma doveva giocarsela con attenzione. “Voglio dimostrarti che ti posso essere utile.”
Irrien non rispose, ma voltò la sua attenzione agli uomini presenti. “Lo terrò in considerazione. Cosa c’è poi?”
Poi, a quanto pareva, c’erano petizioni da parte dei rappresentanti degli altri sovrani di Cadipolvere.
“La Seconda Pietra vorrebbe sapere quando tornerete a Cadipolvere,” disse uno dei rappresentanti. “Ci sono questioni che richiedono la presenza delle Cinque Pietre insieme.”
“La Quarta Pietra Vexa richiede più spazio per il suo contingente di navi.”
“La Terza Pietra Kas manda le sue congratulazioni per la nostra vittoria condivisa.”
Stefania scorse con la mente i nomi delle altre Pietre di Cadipolvere. Ulren l’Astuto, Kas Barba Biforcuta, Vexa – l’unica Pietra donna – Borion il Dandy. Nomi secondari se paragonati a Irrien, eppure teoricamente tutti al suo stesso livello. Solo il fatto che non fossero lì presenti conferiva a Irrien assoluto potere.
Insieme ai nomi, la memoria di Stefania recuperò interessi, debolezze e desideri. Ulren stava invecchiando all’ombra di Irrien e avrebbe avuto il seggio della Prima Pietra se il grande condottiero non se lo fosse preso. Kas era cauto, un mercante che calcolava ogni moneta prima di agire. Vexa teneva una casa al di fuori della città, dove si diceva che i suoi servitori fossero tutti senza lingua in modo che non potessero riportare quello che vedevano. Borion era il più debole, e probabilmente avrebbe perso il posto contro il prossimo sfidante.
Mentre pensava alla situazione a Cadipolvere, Stefania posò delicatamente le dita sul braccio di Irrien. Si mosse delicatamente, quasi solo sfiorandolo. Aveva imparato le abilità della seduzione molto tempo fa, poi aveva speso tempo a perfezionarle su una scia di utili amanti. Aveva fatto invaghire anche Tano, no? Quanto più difficile poteva essere Irrien?
Sentì il momento in cui lui si irrigidì.
“Cosa stai facendo?” le chiese.
“Sembra che tu sia nervoso per tutte queste chiacchiere,” disse Stefania. “Pensavo di poter aiutare. Magari potrei aiutarti a rilassarti… in altri modi?”
La chiave era di non spingere troppo. Di dare un accenno di offerta, ma mai di chiedere le cose direttamente. Stefania mostrò il suo aspetto più innocente, guardò Irrien negli occhi… e poi lanciò un grido quando lui le sferrò con noncuranza uno schiaffo.
La rabbia avvampò in lei per quel gesto. L’orgoglio di Stefania le disse che avrebbe trovato un modo di farla pagare a Irrien per quel colpo: si sarebbe vendicata.
“Ah, ecco la vera Stefania,” disse Irrien. “Pensi che mi lasci prendere in giro dalla tua finta apparenza di umile schiava? Pensi che sia tanto stupido da credere che tu possa essere distrutta con un solo giro di botte?”
La paura scorse ancora in Stefania. Poteva ancora ricordare il fischio della frusta mentre Irrien la colpiva. La sua schiena ancora bruciava per il ricordo delle sferzate. C’era stato un tempo in cui aveva goduto di punire gli schiavi che lo meritavano. Ora il pensiero le portava solo dolore.
Ma lo stesso avrebbe usato anche il dolore se avesse dovuto.
“No, ma sono sicura che hai in programma dell’altro,” disse Stefania. Questa volta non cercò neanche di mostrare innocenza. “Ti divertirai a tentare di spezzarmi, tanto quanto io mi divertirò a giocare con te mentre lo fai. Non è metà del divertimento?”
Irrien la colpì di nuovo. Stefania allora gli fece vedere il suo atteggiamento di sfida. Era ovviamente quello che voleva. Avrebbe fatto tutto quello che doveva per legare Irrien a sé. Una volta fatto questo, non avrebbe avuto importanza quello che lei avrebbe dovuto soffrire per arrivarci.
“Pensi di essere speciale, vero?” le disse Irrien. “Sei solo una schiava.”
“Una schiava che tieni incatenata al tuo trono,” puntualizzò Stefania con la sua voce più sensuale. “Una schiava che ovviamente progetti di portare nel tuo letto. Una schiava che potrebbe essere molto di più. Una compagna. Conosco Delo come nessun altro. Perché non lo ammetti?”
Irrien allora si alzò in piedi.
“Hai ragione. Ho fatto un errore.”
Allungò un braccio, prese le catene e le staccò dal trono. Stefania per un momento provò un senso di trionfo mentre lui la faceva alzare da terra. Anche se adesso era crudele con lei, anche se l’avesse trascinata in camera sua e l’avesse gettata lì per farla sua, sarebbe comunque stato un progresso.
Ma non fu lì che la gettò. La spinse sul marmo freddo e lei ne sentì la durezza sotto alle ginocchia mentre scivolava e andava a fermarsi davanti a una delle figure lì presenti.
Lo shock la colpì più del dolore. Come poteva Irrien fare una cosa del genere? Non era stata tutto quello che avrebbe mai potuto desiderare? Stefania alzò lo sguardo e vide un uomo con una veste nera che la guardava con ovvio sdegno.
“Ho fatto l’errore di pensare che valesse la pena spendere un po’ di tempo per te,” disse Irrien. “Vuoi un sacrificio, sacerdote? Prendila. Toglile il bambino e offrilo agli dei in mio nome. Non ho intenzione di avere piccoli mocciosi che gironzolano pretendendo questo trono. Quando hai finito, getta quel che resta di lei a qualsiasi bestia se la mangi.”
Stefania fissò il sacerdote, poi guardò nuovamente verso Irrien, quasi incapace di formare le parole. Non poteva essere vero. Non poteva. Non l’avrebbe permesso.
“Per favore,” disse. “Questa è una follia. Posso fare per te molto più di questo!”
Ma non sembrava importare loro. Il panico divampò in lei, insieme al pensiero scioccato che questo stesse veramente accadendo. Avevano davvero intenzione di farlo.
No, no, non potevano!
Stefania gridò mentre il sacerdote la afferrava per le braccia. Un altro le prese le gambe e la portarono via mentre si dimenava tra loro. Irrien e gli altri seguirono il gruppetto, ma in quel momento a Stefania non interessava. Aveva solo un pensiero in mente: stavano per uccidere il suo bambino.
CAPITOLO DUE
Ceres ancora non poteva credere di essere scappata. Stava stesa sul ponte della piccola imbarcazione che aveva rubato, ed era impossibile pensare di essere effettivamente lì e non nella fossa per i combattimenti sotto al castello, in attesa di morire.
Non che adesso fossero in salvo. Il volo di una freccia sopra di loro rendeva la cosa molto chiara.
Ceres guardò oltre il parapetto della barca, cercando di capire se ci fosse qualcosa che poteva fare. Gli arcieri tiravano dalla riva e la maggior parte dei loro dardi finiva nell’acqua attorno alla barca, mentre solo poche frecce colpivano il legno facendoli fremere.
“Dobbiamo muoverci più rapidamente,” disse Tano accanto a lei. Corse verso una delle vele. “Aiutatemi a tirare su questa.”
“Non… ancora,” disse una voce roca dall’altra parte del ponte.
Akila era steso lì, e agli occhi di Ceres aveva un aspetto orribile. La spada della Prima Pietra gli era rimasta conficcata nel corpo fino a pochi minuti prima, e ora che Ceres l’aveva estratta stava ovviamente perdendo sangue. Lo stesso riuscì a sollevare la testa e a guardarla con un’urgenza che era difficile ignorare.
“Non ancora,” ripeté. “Le navi attorno al porto hanno il nostro vento, e una vela sarebbe solo un bersaglio migliore. Usate i remi.”
Ceres annuì, tirando Tano verso il punto dove i combattenti che avevano salvato stavano remando. Era difficile trovare un posto dove infilarsi vicino a quegli uomini massicci, ma lei si schiacciò in mezzo e offrì le sue poche forze rimaste come aiuto ai loro sforzi.
Si tirarono nell’ombra di una galea ormeggiata e le frecce si fermarono.
“Ora dobbiamo agire con astuzia,” disse Ceres. “Non possono ucciderci se non ci trovano.”
Lasciò andare il remo e gli altri fecero lo stesso per un momento o due, lasciando che la barca galleggiasse accanto alla nave più grande, nascosta alla vista dalla riva.
Questo le concesse un momento per avvicinarsi ad Akila. Ceres lo aveva conosciuto solo per poco tempo, ma sentiva ancora il senso di colpa per quello che gli era accaduto. Stava combattendo per la sua causa quando aveva subito la ferita che anche adesso sembrava una bocca spalancata sul fianco del suo corpo.
Sartes e Leyana stavano inginocchiati accanto a lui, tentando ovviamente di fermare l’emorragia. Ceres si sentì sorpresa per l’ottimo lavoro che stavano facendo. Capì che la guerra aveva costretto la gente ad imparare ogni genere di abilità che altrimenti non avrebbero mai appreso.
“Ce la farà?” chiese a suo fratello.
Sartes sollevò lo sguardo su di lei. Aveva le mani piene di sangue. Accanto a lui Leyana sembrava pallida per lo sforzo.
“Non lo so,” disse Sartes. “Ho visto abbastanza ferite da spada prima, e penso che questa abbia mancato gli organi vitali, ma mi baso solo sul fatto che non è ancora morto.”
“Stai facendo le cose in maniera perfetta,” gli disse Leyana prendendogli una mano. “Ma questo è tutto quello che possiamo fare: avremmo bisogno di un vero guaritore.”
Ceres era felice che fosse lì. Dal poco che aveva visto di quella ragazza fino ad ora, Leyana e suo fratello sembravano fatti l’uno per l’altra. E sembrava veramente che stessero facendo un ottimo lavoro tenendo in vita Akila.
“Ti porteremo da un guaritore,” promise Ceres, anche se non era certa di come avrebbero mai potuto mantenere la promessa in quel momento. “In qualche modo.”
Tano ora era alla prua della barca. Ceres andò da lui, sperando che avesse più idee di lei su come uscire da lì. Il porto era pieno di barche in quel momento, e la flotta degli invasori era come una città galleggiante attorno alla città vera e propria.
“Era peggio di così a Cadipolvere,” disse Tano. “Questa è la flotta principale, ma ci sono altre barche che stanno ancora aspettando di arrivare.”
“Che stanno aspettando di fare a pezzi l’Impero,” lo corresse Ceres.
Non era certa dei suoi sentimenti al riguardo. Lei stessa si era data da fare per far crollare l’Impero, ma questo… questo significava solo che sempre più gente soffriva. Gente comune e nobili senza distinzione si sarebbero trovati ridotti in schiavitù nelle mani degli invasori, se non fossero stati altrimenti uccisi. Ormai avevano probabilmente trovato anche Stefania. Ceres avrebbe forse dovuto provare una certa forma di soddisfazione per questo, ma era difficile provare qualcosa di diverso dal sollievo per averla allontanata finalmente dalle loro vite.
“Sei pentito di aver abbandonato Stefania?” chiese Ceres a Tano.
Lui allungò un braccio e le cinse la vita. “Sono pentito che siamo dovuti arrivare a tanto,” disse. “Ma dopo tutto quello che ha fatto… no, non me ne pento. Se lo meritava, e si meritava anche di peggio.”
Sembrava che lo intendesse sul serio, ma Ceres sapeva quanto potessero essere complicate le cose quando si trattava di Stefania. Però ormai era sparita, probabilmente morta. Erano liberi. O lo sarebbero stati se ce l’avessero fatta a uscire vivi da quel porto.
Dall’altra parte del ponte vide suo padre fare un cenno e indicare.
“Lì, vedete quelle navi? Pare che se ne stiano andando.”
Era proprio così: c’erano galee e cocche che lasciavano il porto, addossate l’una all’altra a formare un gruppo come se temessero che qualcuno potesse prendere tutto quello che avevano se non avessero fatto così. Dato come erano quelli di Cadipolvere, qualcosa del genere sarebbe probabilmente accaduto.
“Cosa sono?” chiese Ceres. “Navi mercantili?”
“Alcune forse sì,” rispose suo padre. “Piene di bottino derivato dalla conquista. Immagino che diverse trasportino anche schiavi.”
Quel pensiero riempì Ceres di disgusto. Che ci fossero navi pronte a portare via la gente dalla sua città per farle vivere un’esistenza in catene era una cosa che le faceva venire voglia di fare a pezzi quelle navi con le sue stesse mani. Ma non poteva. Loro avevano solo una barca.
Nonostante la sua rabbia, Ceres poteva vedere l’opportunità che rappresentavano.
“Se riusciamo ad andare laggiù, nessuno obietterà al fatto che ce ne stiamo andando,” disse.
“Però dobbiamo pur sempre arrivarci, laggiù,” sottolineò Tano, ma Ceres lo vide intento a individuare un passaggio.
Le navi erano così vicine l’una all’altra che sembrava di guidare la loro imbarcazione lungo una serie di canali piuttosto che in mare aperto. Iniziarono a scegliere la via da percorrere in mezzo alle navi ammassate, usando i loro remi e cercando di non attirare l’attenzione su di sé. Ora che non erano più visti da coloro che avevano tentato di colpirli da riva, nessuno aveva alcun motivo di pensare che fossero fuori posto. Potevano perdersi nella grande massa della flotta di Cadipolvere, usandola come copertura anche se alcuni avessero cercato di inseguirli dall’interno.
Ceres sollevò la spada che aveva estratto dal corpo di Akila. Era tanto grande da riuscire appena a sollevarla, ma se alcuni inseguitori fossero arrivati a loro, avrebbero presto scoperto come sapeva brandirla bene. Magari avrebbe addirittura avuto l’opportunità di ridarla al suo proprietario un giorno, piantandola di punta nel cuore della Prima Pietra.
Ma per ora non potevano permettersi un combattimento. Li avrebbero etichettati come stranieri, e avrebbe fatto girare contro di loro qualsiasi barca presente nei dintorni. Ceres decise invece di aspettare, sentendo la tensione mentre scivolavano in mezzo a quelle diverse imbarcazioni, oltre gli scafi di navi bruciate e oltre barche dove stava accadendo di peggio. Ceres vide barche in cui la gente veniva marchiata come bestiame, ne vide una dove due uomini stavano combattendo a morte mentre i marinai li incitavano, ne vide una dove…
“Ceres, guarda,” disse Tano indicando una nave vicina.
Ceres guardò e vide solo un altro esempio dell’orrore che li circondava. Una donna dall’aspetto strano, il volto ricoperto di qualcosa che sembrava cenere, era stata legata alla prua di una nave come una polena. Due soldati muniti di fruste stavano facendo a turno per colpirla, sferzandola a sangue poco alla volta.
“Non c’è niente che possiamo fare,” disse il padre di Ceres. “Non possiamo combatterli tutti.”
Ceres poteva capire quell’opinione, ma lo stesso non le piaceva l’idea di starsene lì mentre qualcuno veniva torturato.
“Ma è Jeva,” rispose Tano. Subito colse l’occhiata confusa di Ceres. “È stata lei a portarmi al Popolo delle Ossa che ha attaccato lo flotta in modo che potessi arrivare alla città. È colpa mia se questo sta accadendo.”