Sogno Da Mortali - Морган Райс 6 стр.


Godfrey si voltò verso Merek ed Ario, ma anche loro si fecero indietro.

“Di qualsiasi cosa si tratti,” disse Merek, “non voglio esserne parte.”

Improvvisamente uno dei prigionieri nella cella si gettò su Godfrey.

“Non ho potuto fare a meno di sentire,” disse ghignando e mostrando un sorriso privo di qualche dente, alitandogli il suo fiato stantio in viso. “Sarò più che felice di darti un pugno, almeno chiuderai il becco! Non c’è bisogno che tu me lo chieda due volte.”

Il prigioniero ruotò e colpì Godfrey al naso con le sue nocche ossute. Godfrey provò un forte dolore passargli attraverso il cranio e gridò portandosi le mani al naso. Il sangue gli colava su tutta la faccia gocciolandogli sulla camicia. Il dolore gli arrivava agli occhi, annebbiandogli la vista.

“Ora mi serve quella fascia,” disse Godfrey voltandosi verso Merek. “Puoi prendermela?”

Merek, confuso, seguì il suo sguardo dall’altra parte del corridoio, dove il prigioniero giaceva privo di conoscenza nella fossa.

“Perché?” gli chiese.

“Fallo e basta,” disse Godfrey.

Merek corrugò la fronte.

“Se potessi legare qualcosa insieme forse potrei raggiungerla,” disse. “Qualcosa di lungo e fino.”

Merek si portò la mano al colletto e ne estrarre un fil di ferro. Lo srotolò constatando che era abbastanza lungo per il suo scopo.

Si appoggiò contro le sbarre della cella, con sufficiente attenzione da non allertare la guardia, e allungò il fil di ferro cercando di agganciare la stola. Lo spinse a terra ma arrivò a pochi centimetri dall’obiettivo.

Provò ripetutamente, ma continuava a trovarsi incastrato con il gomito tra le sbarre. Le sue braccia non erano abbastanza fine.

La guardia si voltò verso di lui e Merek ritrasse velocemente il ferro prima che potesse vederlo.

“Fammi provare,” disse Ario facendosi avanti mentre la guardia si voltava di nuovo dall’altra parte.

Ario afferrò il lungo filo di ferro e fece passare il braccio tra le sbarre: era molto più magro e lo fece scorrere fino alla spalla.

Quei pochi centimetri in più erano proprio ciò di cui avevano bisogno. L’uncino si impigliò all’estremità della stola rossa e Ario iniziò a tirarla verso di lui. Si fermò quando la guardia, rivolta verso un’altra direzione e mezza appisolata, scosse la testa, la sollevò e si guardò in giro. Attesero tutti, sudando e pregando che non si girasse verso di loro. Attesero per quella che parve loro un’eternità, finché alla fine la guardia riabbassò la testa e si riappisolò.

Ario tirò la fascia sempre più vicina, facendola strisciare sul pavimento della prigione fino a portarla nella cella attraverso le sbarre.

Godfrey la prese e la indossò e tutti si allontanarono da lui spaventati.

“Cosa diavolo stai facendo?” chiese Merek. “Quella fascia è infettata dalla peste. Potresti contagiarci tutti.”

Anche gli altri prigionieri nella cella si fecero indietro.

Godfrey si rivolse a Merek.

“Inizierò a tossire e non ho intenzione di fermarmi,” disse con indosso la fascia e con l’idea che gli si faceva sempre più definita in mente. “Quando la guardia arriverà vedrà il mio sangue sulla fascia e voi gli direte che ho la peste e che hanno fatto un errore a non separarmi dagli altri.”

Godfrey non attese tempo. Iniziò a tossire violentemente, prendendo il sangue dal volto e strofinandolo su se stesso per assumere un aspetto peggiore. Tossì più forte che mai fino a che sentì la porta della cella aprirsi e la guardia entrare.

“Fate stare zitto il vostro amico,” disse la sentinella. “Chiaro?”

“Non è nostro amico,” rispose Merek. “È uno che abbiamo conosciuto qui. Un appestato.”

La guardia, sorpresa, abbassò lo sguardo e notò la fascia rossa, quindi sgranò gli occhi.

“Come ha fatto a entrare qui?” chiese. “Avrebbero dovuto separarlo.”

Godfrey tossì sempre più forte, tutto il corpo scosso da spasmi di tosse.

Presto sentì delle mani ruvide che lo afferravano e trascinavano fuori, spingendolo. Inciampò nel corridoio e con un’ultima spinta venne gettato all’interno della fossa con le vittime della peste.

Rimase sdraiato sopra i corpi infetti, cercando di non respirare troppo rumorosamente, cercando di voltare la testa dall’altra parte e non inalare la malattia di quei corpi. Pregò Dio di non essere contagiato. Sarebbe stata una lunga notte, sdraiato lì.

Ma ora non lo stava più guardando nessuno. E quando fosse giunta la luce del giorno, si sarebbe alzato.

E avrebbe colpito.

CAPITOLO OTTO

Thorgrin si sentiva tirare verso il fondo dell’oceano, la pressione gli schiacciava le orecchie mentre scendeva nell’acqua ghiacciata e si sentiva come trafitto da milioni di pugnali. Eppure mentre precipitava sempre più a fondo successe la cosa più strana: non cresceva il buio, ma la luce si faceva più chiara. Mentre si dimenava affondando, schiacciato dal peso del mare, abbassò lo sguardo e fu scioccato di vedere, in una nuvola di luce, l’ultima persona che si sarebbe aspettato di vedere lì: sua madre. Gli sorrideva, la luce così intensa da fare fatica a guardarla, allungando le braccia verso di lui che cadeva proprio verso di lei.

“Figlio mio,” gli disse con voce cristallina nonostante l’acqua. “Sono qui con te. Ti voglio bene. Non è ancora giunta la tua ora. Sii forte. Hai superato la prova, ma c’è ancora molto da fare. Affronta il mondo e non dimenticare mai chi sei. Non dimenticare mai: il tuo potere non viene dalle armi ma da dentro di te.”

Thorgrin aprì la bocca per rispondere ma in quel momento si trovò sommerso dall’acqua, quasi sul punto di annegare e andare a fondo.

Si svegliò di soprassalto e si guardò attorno chiedendosi dove si trovasse. Sentiva del materiale ruvido attorno ai polsi e si rese conto di essere legato con le mani dietro alla schiena a un palo di legno. Si guardò attorno nella buia cella sentendo un movimento ondulatorio e capendo all’istante che si trovava su una nave. Lo capiva dal modo in cui il suo corpo si muoveva, dai piccoli fasci di luce che filtravano, dall’odore stantio di uomini in trappola sottocoperta.

Thorgrin si guardò in giro, subito in guardia, sentendosi debole e cercando di ricordare. L’ultima cosa che aveva in mente era il tremendo temporale, il naufragio, tutti i suoi uomini che cadevano dalla barca. Ricordò Angel, ricordò di averla afferrata per salvarle la vita e ricordava la spada alla cintura, la Spada della Morte. Come aveva potuto sopravvivere?

Si guardò attorno chiedendosi come potesse trovarsi ancora su una barca, confuso, cercando disperatamente i suoi fratelli ed Angel. Si sentì sollevato quando riuscì a scorgere delle figure nel buio, vedendoli tutti lì, legati a dei pali con delle corde: Reece e Selese, Elden e Indra, Mati, O’Connor e a pochi passi da lui Angel. Fu felice di vedere che erano vivi sebbene sembrassero tutti esausti, abbattuti dalla tempesta e dai pirati.

Udì una risata roca, voci che discutevano ed esultavano da qualche parte sopra di lui, poi sentì qualcosa di simile a delle esplosioni e uomini che camminavano sul ponte. A quel punto ricordò: pirati. Quei mercenari che avevano tentato di farlo affondare in mare.

Ne avrebbe riconosciute le voci ovunque: il rumore di individui crudeli, annoiati dal mare, dediti alla crudeltà: ne aveva incontrati tantissimi ormai. Si rese conto, riscuotendosi dal suo sogno, che ora era prigioniero. Cercò di lottare contro le corde per liberarsi.

Non ci riuscì. Le sue braccia erano ben legate e così anche le caviglie. Non sarebbe andato da nessuna parte.

Thorgrin chiuse gli occhi cercando di chiamare a raccolta i suoi poteri da dentro di sé, i poteri che sapeva avrebbero smosso le montagne se l’avesse deciso.

Ma non avvenne nulla. Era troppo stanco dopo il caos generato dal naufragio e le sue forze erano ancora scarse. Aveva imparato dalle esperienze passate che aveva bisogno di tempo per riprendersi. Tempo che sapeva di non avere.

“Thorgrin!” lo chiamò una voce sollevata squarciando il buio. Era una voce che conosceva bene e guardando oltre vide Reece, legato a pochi passi da lui, che lo guardava colmo di gioia. “Sei vivo!” aggiunse.

“Non sapevamo se ce l’avresti fatta!”

Thor si voltò e vide O’Connor legato dall’altra parte, anche lui felicissimo.

“Ho pregato per te ogni minuto,” disse una voce dolce che risuonò nell’oscurità.

Thor si voltò e vide Angel con gli occhi colmi di lacrime di gioia e sentì subito quanto tenesse a lui.

“Le devi la vita, sai,” disse Indra. “Quando hanno tagliato le funi facendoti cadere in mare è stata lei a tuffarsi e a riportarti in superficie. Senza il suo coraggio ora non saresti seduto qui.”

Thor guardò Angel con un nuovo rispetto e un nuovo sentimento di gratitudine e devozione.

“Piccola, troverò un modo per ripagarti,” le disse.

“L’hai già fatto,” rispose lei e Thor vide quanto stesse parlando sinceramente.

“Ripagala tirandoci tutti fuori di qui,” disse Indra lottando contro le sue funi, irritata. “Quei pirati succhia sangue sono la feccia più infima che esista. Ci hanno trovati che galleggiavamo in mare e ci hanno legati tutti mentre eravamo ancora privi di conoscenza dopo la tempesta. Se ci avessero affrontati da uomini la storia sarebbe stata molto diversa.”

“Sono codardi,” disse Mati. “Come tutti i pirati.”

“Ci hanno anche preso le nostre armi,” aggiunse O’Connor.

Il cuore di Thor si fermò un istante ripensando alle sue armi, alla sua armatura, alla Spada della Morte.

“Non preoccuparti,” disse Reece vedendo la sua faccia. “Le nostre armi hanno superato la tempesta, anche le tue. Almeno non si trovano in fondo al mare. Ma i pirati le hanno prese. Vedi lì, attraverso le fessure?”

Thor sbirciò e vide, sul ponte, tutte le loro armi adagiate sotto il sole e i pirati attorno ad esse. Vide l’ascia da guerra di Elden, l’arco dorato di O’Connor, l’alabarda di Reece, la lancia di Indra e il sacco di sabbia di Selese. Infine anche la sua Spada della Morte. Vide i pirati, con le mani ai fianchi, che le esaminavano con soddisfazione.

“Non ho mai visto un spada come quella,” disse uno di essi agli altri.

Thor arrossi per la rabbia vedendo il pirata che picchiettava la sua spada con il piede.

“Sembra quella di un re,” disse un altro avvicinandosi.

“L’ho trovata prima io, quindi è mia,” disse il primo.

“Sei mi uccidi per averla,” disse l’altro.

Thor vide gli uomini iniziare ad azzuffarsi, poi udì un pesante tonfo mentre entrambi cadevano sul ponte, lottando, mentre gli altri pirati si mettevano attorno ad essi incitandoli. Rotolavano da una parte e dall’altra prendendosi a pugni e a gomitate mentre gli altri li sostenevano. Alla fine Thor vide il sangue spruzzare attraverso le fessure mentre uno dei due pirati picchiava la testa dell’altro diverse volte.

Gli altri esultavano godendosi il combattimento.

Il pirata vincitore, un uomo senza camicia con il corpo muscoloso e una lunga cicatrice lungo il petto, si alzò e respirando affannosamente si avvicinò alla Spada della Morte. Thor lo guardò allungare una mano e afferrarla sostenendola con fare vittorioso. Gli altri esultarono.

Thor avvampò alla vista. Quella feccia umana con la sua spada in mano, una spada da re. Una spada che lui aveva ottenuto rischiando la vita. Una spada che era stata data a lui e a nessun altro.

Si udì un grido improvviso e Thor vide il volto del pirata contorcersi improvvisamente per il dolore. Gridò e gettò la spada come se avesse tenuto in mano un serpente. Thor la vide volare in aria e atterrare sul ponte con un tonfo e un rumore metallico.

“Mi ha morso!” gridò il pirata rivolto agli altri. “Quella dannata spada mi ha morso la mano, guardate!”

L’uomo mostrò la mano facendo notare che mancava un dito. Thor guardò la spada, l’elsa visibile attraverso le fessure, e vide un piccolo dente affilato che sporgeva da una delle facce intagliate su di essa. Da quella bocca scendeva del sangue.

Gli altri pirati si voltarono a guardarla.

“Appartiene al diavolo!” gridò uno di essi.

“Io non la tocco!” strillò un altro.

“Non importa,” disse uno pirata girando la schiena. “Ci sono un sacco di altre armi tra cui scegliere.”

“E il mio dito?” gridò il pirata in agonia.

Gli altri risero ignorandolo e si concentrarono invece sulle altre armi, lottando tra essi per accaparrarsele.

Thor riportò la sua attenzione alla spada vedendola ora posata lì, così vicina a lui, ad allettarlo dall’altra parte delle fessure. Cercò un’altra volta di liberarsi con tutte le sue forze, ma le funi non cedevano. Le avevano legate proprio bene.

“Se potessimo solo prendere le nostre armi,” sibilò Indra. “Non posso sopportare la vista di quelle mani sudice sulla mia lancia.”

“Forse posso esservi di aiuto,” disse Angel.

Thor e gli altri si voltarono verso di lei scettici.

“Non mi hanno legata come voi,” spiegò Angel. “Avevano paura della mia lebbra. Mi hanno legato le mani, ma poi hanno lasciato stare. Vedete?”

Angel si alzò in piedi mostrando i polsi legati dietro alla schiena, ma il piedi liberi che le permettevano di camminare.

“Ben poco vantaggio per noi,” disse Indra. “Sei pur sempre chiusa qua sotto insieme a tutti noi.”

Angel scosse la testa.

“Non capisci,” disse. “Sono più piccola di tutti voi. Posso stringermi e passare attraverso quelle fenditure.” Si voltò verso Thor. “Posso riuscire a prendere la tua spada.”

Lui la guardò, impressionato dal suo coraggio.

“Sei molto coraggiosa,” le disse. “Ti ammiro per questo. Ma sarebbe pericoloso per te. Se ti scoprono lì, potrebbero ucciderti.”

“O peggio,” aggiunse Selese.

Angel li guardava fiera e con insistenza.

“Morirei comunque, Thorgrin,” rispose Angel. “L’ho imparato tanto tempo fa. Me l’ha insegnato la mia vita. Me l’ha insegnato la mia malattia. La morte non mi preoccupa: solo vivere conta per me. E vivere liberi, svincolati dai legami degli uomini.”

Thor la guardò ispirato, stupito dalla sua saggezza, così profonda data la sua giovane età. Sapeva già tante cose sulla vita, più di tanti grandi maestri che aveva incontrato.

Thor annuì con solennità. Poteva scorgere lo spirito guerriero in lei e non aveva intenzione di trattenerlo.

“Allora vai,” le disse. “Fai in fretta e in silenzio. E se vedi qualsiasi segno di pericolo, torna da noi. Mi interessa più di te che della spada.”

Angel si illuminò, incoraggiata. Si voltò rapidamente e attraversò di corsa la cella procedendo goffamente con le mani dietro alla schiena, fino a raggiungere le fenditure. Si inginocchiò e guardò fuori sudando e sgranando gli occhi per la paura.

Alla fine, vedendo una possibilità, infilò la testa in uno spazio tra le tavole abbastanza largo da farla passare. Scivolò tra le assi spingendosi con i piedi.

Un attimo dopo era scomparsa dalla cella e Thor poté vederla in piedi sul ponte. Gli batteva forte il cuore in petto e pregava per la sua salvezza, pregava che riuscisse a prendere la spada e a tornare da lui prima che fosse troppo tardi.

Angel si alzò in piedi, si accucciò e si diresse rapidamente verso la spada. Allungò un piede scalzo, lo posò sull’elsa e la fece scivolare.

La spada fece un forte rumore scivolando sul ponte, verso la cella. Era a pochi centimetri dalla fessura quando improvvisamente una voce squarciò l’aria.

“La piccola schifosa!” gridò un pirata.

Thor vide tutti i pirati voltarsi verso Angel e correre verso di lei.

Anche Angel si mise a correre cercando di tornare, ma la presero prima che potesse farcela. La afferrarono e la sollevarono e Thor li vide camminare con lei verso il corrimano, come se fossero pronti a gettarla in mare.

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