Bowyer sollevò improvvisamente l’accetta in alto sopra la propria testa.
Alistair chiuse gli occhi sapendo che in un momento se ne sarebbe andata da quel mondo.
Con gli occhi chiusi sentì che il tempo rallentava. Le immagini lampeggiarono davanti a lei nella mente. Vide la prima volta che aveva incontrato Erec, nell’Anello, al castello del duca, quando era una servitrice e si era innamorata di lui a prima vista. Riprovò quell’amore per lui, lo stesso amore che ancora provava in quel giorno, che le bruciava dentro come la prima volta. Vide suo fratello Thorgrin, vide il suo volto e per qualche motivo non lo vide nell’Anello, nella Corte del Re ma in una terra remota, in un oceano lontano, esiliato dall’Anello. Soprattutto vide sua madre. La vide sul ciglio di una scogliera, davanti al suo castello, in alto al di sopra dell’oceano, di fronte al ponte sospeso. La vide protendere in avanti le sue braccia e sorriderle con dolcezza.
“Figlia mia,” le disse.
“Madre,” rispose Alistair. “Vengo da te.”
Ma con sua sorpresa sua madre scosse lentamente la testa.
“La tua ora è adesso,” le disse. “Il tuo destino in questa terra non è ancora completo. Hai ancora un grandioso destino davanti a te.”
“Ma come, madre?” le chiese. “Come posso sopravvivere?”
“Tu sei più grande di questa terra,” le rispose la donna. “Quella lama, quel metallo di morte, appartiene a questo mondo. Le tue manette appartengono a questo mondo. Sono limitazioni terrene. Sono solo delle limitazioni se tu credi in esse, se tu permetti loro di avere potere su di te. Tu sei spirito, luce ed energia. È lì che si trova il tuo vero potere. Tu sei al di sopra di tutto. Stai permettendo che dei limiti fisici ti contengano. Il tuo problema non è la tua forza, ma la tua fiducia. Fiducia in te stessa. Quanto forte è la tua fiducia?”
Mentre Alistair stava in ginocchio, tremando con gli occhi chiusi, la domanda di sua madre le risuonò nella testa.
Quanto forte è la tua fiducia?
Alistair si lasciò andare, dimenticò le manette, si mise nelle mani della propria fede. Iniziò a liberarsi della propria fiducia nelle limitazioni fisiche appartenenti a questo pianeta e spostò invece la propria fede verso il potere supremo, l’unico e solo potere supremo che poteva troneggiare sopra ogni cosa al mondo. Il potere che aveva creato anche quel mondo. Il potere che aveva dato origine a ogni cosa. Quello era il potere con cui aveva bisogno di mettersi in sintonia.
Così facendo, in una frazione di secondo Alistair sentì un improvviso calore scorrerle nel corpo. Si sentì in fiamme, invincibile, più grande di ogni cosa. Sentì fiamme vere e proprie emanate dalle proprie mani, sentì che la sua mente vibrava e vorticava e provò un fortissimo calore generarsi nella fronte, in mezzo agli occhi. Si sentì più forte che mai, più forte delle sue manette, più forte di ogni cosa materiale.
Alistair aprì gli occhi e mentre il tempo ricominciava a scorrere a normale velocità, sollevò lo sguardo vedendo Bowyer che calava l’ascia con sguardo torvo.
Con un movimento fulmineo Alistair si voltò e sollevò le braccia. Questa volta le funi si spezzarono come se fossero fili. Con lo stesso movimento, veloce come la luce, si mise in piedi, sollevò una mano puntandola contro Bowyer e mentre l’ascia scendeva accadde una cosa del tutto incredibile: l’accetta si dissolse. Divenne cenere e polvere e cadde in un mucchietto ai suoi piedi.
Bowyer continuò la rotazione senza tenere più nulla in mano e barcollò in avanti cadendo in ginocchio.
Alistair ruotò e gli occhi le si fermarono su una spada dalla parte opposta della radura, appesa alla cintura di un soldato. Allungò l’altra mano e ordinò alla spada di andare da lei. L’arma si sollevò dal suo fodero e volò in aria, proprio verso il suo palmo aperto.
Con un solo movimento Alistair la afferrò con forza, ruotò, la sollevò in aria e la calò dietro al collo esposto di Bowyer.
La folla sussultò scioccata mentre la lama tagliava la carne e Bowyer, decapitato, collassava al suolo privo di vita.
Rimase morto a terra, nel preciso punto dove pochi attimi prima avrebbe voluto vedere Alistair morta.
Dalla folla si levò un grido e Alistair vide Dauphine che si liberava dalla presa del soldato, poi afferrava un pugnale dalla cintura dello stesso e gli tagliava la gola. Con lo stesso movimento si voltò e tagliò le funi che tenevano legato Strom. Strom afferrò subito una spada dalla mano di un altro soldato, ruotò e tagliò la gola a tre degli uomini di Bowyer prima che questo potessero neanche reagire.
Con Bowyer morto vi fu un momento di esitazione: la folla chiaramente non sapeva cosa fare. Le grida si levarono tra la gente, dando forza a tutti quelli che si erano trovati ad allearsi con lui con riluttanza. Stavano ora riconsiderando la loro posizione, specialmente mentre decine di uomini leali ad Erec rompevano i ranghi e correvano al fianco di Strom combattendo insieme a lui, corpo a corpo, contro i fedeli di Bowyer.
Lo slancio passò presto in favore degli uomini di Erec man mano che un uomo alla volta, una fila alla volta, le alleanze di riformavano. Gli uomini di Bowyer, presi alla sprovvista, si voltarono e fuggirono attraversando la piana fino al versante roccioso della montagna. Strom e i suoi uomini li seguirono da vicino.
Alistair rimase ferma, con la spada ancora in mano, guardando la grandiosa battaglia che si stava scatenando nella campagna, le grida e i corni che riecheggiavano mentre l’intera isola sembrava lanciarsi alla carica, scatenando la guerra da una parte e dall’altra. Il suono delle armature sferraglianti e delle grida di morte degli uomini riempirono l’aria e Alistair capì che era appena scoppiata una guerra civile.
Alistair sollevò la propria spada che brillava al sole, e capì di essere stata salvata dalla grazia divina. Si sentì rinata, più potente che mai, e sentì che il suo destino la stava chiamando. Era traboccante di ottimismo. Gli uomini di Bowyer sarebbero stati uccisi, lo sapeva. La giustizia avrebbe vinto. Erec sarebbe salito al trono. Si sarebbero sposati. E presto lei sarebbe stata la regina delle Isole del Sud.
CAPITOLO SEI
Dario correva lungo il sentiero di terra battuta che portava fuori dal villaggio e seguiva le impronte che conducevano a Volusia. Aveva nel cuore la determinazione di salvare Loti e uccidere gli uomini che l’avevano presa. Correva con una spada in mano: una spada vera, fatta di vero metallo. Era la prima volta che ne impugnava una. Solo quello era sufficiente, lo sapeva bene, per far uccidere lui e tutto il suo villaggio. Il metallo era un tabù, anche se suo padre e il padre di suo padre temevano possederne e Dario sapeva di aver oltrepassato un confine dal quale non c’era via di ritorno. Ma a Dario non interessava più. Aveva subito troppe ingiustizie nella sua vita. Con la scomparsa di Loti non poteva pensare ad altro che a recuperarla. Aveva avuto appena un’occasione per conoscerla, ma paradossalmente gli pareva che lei fosse tutta la sua vita. Una cosa era che lui venisse preso e portato via come schiavo, ma che fosse lei ad essere portata via…questo era troppo. Non poteva permettere che venisse portata via e continuare a considerarsi un uomo. Era ancora un ragazzo, lo sapeva, ma stava diventando uomo. Ed erano proprio queste decisioni, se ne rendeva conto, queste dure decisioni che nessun altro avrebbe preso, a renderlo veramente un uomo.
Dario correva solo lungo la strada, con il sudore che gli scorreva negli occhi, respirando affannosamente, un uomo pronto ad affrontare un esercito, una città intera. Non c’era alternativa. Aveva bisogno di trovare Loti e portarla indietro, oppure morire nel tentativo. Sapeva che se avesse fallito – o anche se avesse avuto successo – questo avrebbe scatenato la vendetta contro tutto il suo villaggio, contro tutto il suo popolo. Se si fosse fermato a pensarci avrebbe anche potuto tornare indietro.
Ma c’era qualcosa a guidarlo che era più forte del suo stesso istinto di sopravvivenza, dell’istinto di sopravvivenza della sua famiglia e della sua gente. Era guidato da un desiderio di giustizia. Per la libertà. Da un desiderio di eliminare l’oppressore ed essere libero, anche se solo per un momento nella sua vita. Se non per se stesso, allora per Loti. Per la sua libertà.
Dario era guidato dalla passione e non dal pensiero logico. C’era l’amore della sua vita là fuori e lui aveva sofferto un po’ troppe volte per mano dell’Impero. Qualsiasi fossero le conseguenze, non gli interessava più. Aveva bisogno di mostrare loro che c’era un uomo tra la sua gente, anche se era solo un uomo, addirittura solo un ragazzo che non aveva intenzione di abbassarsi al loro trattamento.
Dario continuò a correre, girando e svoltando facendosi strada attraverso campi che gli erano familiari, fino ad arrivare nella periferia del territorio di Volusia. Sapeva che solo essere scovato lì, così vicino a Volusia, gli sarebbe costato la vita. Seguiva le tracce raddoppiando la velocità, vedendo le orme di zerta vicine e sapendo che si stavano muovendo lentamente. Sapeva che se avesse proseguito abbastanza velocemente avrebbe potuto prenderli.
Dario svoltò dietro a una collina e finalmente, in lontananza, scorse ciò che stava cercando: lì a forse cento metri da lui, c’era Loti incatenata al collo con spesse catene di ferro lunghe quasi dieci metri che la tenevano legata ai finimenti della zerta. Sulla zerta sedeva il supervisore dell’Impero, quello che l’aveva rapita. Le dava le spalle e al suo fianco, a piedi, si trovavano altri due soldati dell’Impero con addosso la tipica armatura nera e oro che scintillava al sole. Erano grossi quasi il doppio di Dario, guerrieri formidabili, uomini con le armi migliori e una zerta al comando. Dario sapeva bene che ci sarebbe voluto un esercito di schiavi per sopraffare quei soldati.
Ma Dario non aveva paura di imbattersi in loro. Tutto ciò che aveva a trasportarlo era il suo spirito, la sua forte determinazione, e sapeva che doveva trovare un modo perché questo gli bastasse.
Continuò a correre avvicinandosi sempre più alla carovana che non si aspettava di averlo alle calcagna e presto fu alle loro spalle, correndo verso Loti da dietro, sollevando la spada in alto e colpendo con forza la catena che la teneva legata alla zerta mentre lei lo guardava con espressione sbalordita.
Loti gridò e fece un balzò indietro, scioccata mentre Dario tagliava le sue catene liberandola. Il caratteristico suo o del metallo squarciò l’aria. Loti rimase ferma, libera, le catene ancora attaccate al collo e penzolanti sul petto.
Dario si voltò e vide un’espressione di pari sbigottimento anche sul volto del supervisore dell’Impero che lo guardava dalla sua zerta. I soldati che camminavano a terra accanto a lui si fermarono, tutti sorpresi di vedere Dario.
Dario rimase lì con le braccia tremanti, tendendo verso di loro la sua spada di metallo e determinato a non mostrare paura, difendendo Loti.
“Non ti appartiene,” gridò con voce tremante. “È una donna libera. Siamo tutti liberi!”
I soldati guardarono il supervisore.
“Ragazzo,” disse questi a Dario, “hai appena fatto l’errore più grande della tua vita.”
Fece un cenno ai suoi soldati che sollevarono le loro spade contro di lui e lo attaccarono.
Dario rimase impassibile, tenendo la spada con mani tremanti, ed ebbe la sensazione che i suoi antenati lo stessero guardando. Sentiva che tutti gli schiavi uccisi in passato lo stavano guardando e sostenendo. E iniziò a sentire un forte calore crescere dentro di sé.
Percepì il suo potere nascosto che iniziava a muoversi, chiedendogli di essere usato. Ma Dario non voleva concedersi di utilizzarlo. Voleva combattere uomo contro uomo, batterli come li avrebbe battuti qualsiasi normale essere umano, mettere in pratica l’allenamento con i suoi fratelli d’armi. Voleva vincere da uomo, combattere come un uomo con reali armi di metallo e sconfiggerli con i loro stessi mezzi. Era sempre stato più veloce di tutti gli altri ragazzi più grandi, con le loro lunghe spade di legno e la struttura muscolosa, anche ragazzi che erano il doppio di lui. Rimase saldo al suo posto e si preparò mentre lo attaccavano.
“Loti!” gridò senza voltarsi. “CORRI! Torna al villaggio!”
“NO!” gli rispose lei.
Dario sapeva che doveva fare qualcosa: non poteva stare lì e aspettare che lo raggiungessero. Sapeva che doveva sorprenderli, fare qualcosa che non si aspettavano.
Improvvisamente si lanciò all’attacco scegliendo uno dei due soldati e correndo verso di lui. Si scontrarono nel mezzo della radura polverosa e Dario lanciò un forte grido di battaglia. Il soldato fece roteare la propria spada verso la sua testa, ma Dario parò il colpo. Le loro spade sprizzarono scintille nel primo impatto di metallo contro metallo che Dario avesse mai provato. La lama era più pesante di quanto si aspettasse, il colpo del soldato più forte e lui sentì una forte vibrazione, sentì tutto il braccio che gli tremava fino al gomito e alla spalla. Questo lo prese alla sprovvista.
Il soldato si voltò velocemente intenzionato a colpire Dario di lato, ma anche lui si voltò e parò il colpo un’altra volta. Non aveva niente di simile ai combattimenti con i suoi compagni: Dario sentiva che si stava muovendo più lentamente del solito e che la spada era troppo pesante. Gli ci voleva tempo per abituarcisi e sembrava che l’altro soldato si stesse muovendo al doppio della sua velocità.
Il soldato colpì di nuovo e Dario si rese conto che non sarebbe riuscito a batterlo colpo dopo colpo: avrebbe dovuto fare affidamento sugli altri poteri che possedeva.
Si fece da parte schivando il colpo anziché pararlo e poi diede una gomitata nella gola al soldato. Lo prese perfettamente. L’uomo tossì e barcollò indietro, chinandosi e portandosi le mani al collo. Dario sollevò l’elsa della spada e gli diede un colpo alla schiena mandandolo a faccia in giù nella terra.
In quel momento anche l’altro soldato attaccò e Dario si voltò, sollevò la spada e bloccò il potente colpo che stava scendendo verso il suo volto. Il soldato continuò a lanciarsi contro di lui mandando Dario a terra.
Dario sentì la cassa toracica che quasi gli si spezzava mentre il soldato si trovava sopra di lui ed entrambi atterravano al suolo sollevando una grossa nuvola di polvere. Il soldato lasciò andare la spada e allungò le mani cercando di accecare Dario con le dita.
Dario gli afferrò i polsi, tenendoli fermi con mani tremanti ma perdendo terreno. Capì che doveva fare presto qualcosa.
Sollevò un ginocchio e si girò, riuscendo a portare l’uomo di lato. Con lo stesso movimento estrasse il lungo pugnale che aveva visto alla cintura dell’avversario e lo sollevò spingendolo nel petto dell’uomo mentre rotolavano a terra.
Il soldato gridò e Dario rimase sopra di lui guardandolo morire davanti ai suoi occhi. Rimase immobile e scioccato. Era la prima volta che uccideva un uomo. Era un’esperienza surreale. Si sentiva vittorioso e rattristato allo stesso tempo.
Dario udì un grido da dietro che lo riportò alla realtà si voltò vedendo l’altro soldato, quello che aveva atterrato per primo, che si era rimesso in piedi e correva verso di lui. Sollevò la spada facendola roteare intenzionato a colpirgli la testa.
Dario attese, concentrato, poi schivò il colpo all’ultimo momento e il soldato inciampò passando oltre.
Dario prese il pugnale dal petto dell’uomo morto e si voltò mentre anche il soldato si girava e tornava indietro. Dario, in ginocchio, si chinò e lanciò il coltello.