La Legge Delle Regine - Морган Райс 3 стр.


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Gwendolyn sentì un liquido fresco e dolce gocciolarle sulle labbra, sulla lingua, sulle guance e sul collo. Aprì la bocca e bevve, deglutendo con energia man mano che quella sensazione la risvegliava dai suoi sogni.

Aprì gli occhi continuando a bere avidamente, vedendo volti sconosciuti che le stavano attorno. Mandò giù fino a che si mise a tossire.

Qualcuno la sollevò e la mise a sedere mentre tossiva senza riuscire a controllarsi, e le diedero delle pacche sulla schiena.

“Shhhh,” disse una voce. “Bevi lentamente.”

Era una voce gentile, la voce di un guaritore. Gwen sollevò lo sguardo e vide un anziano con il volto pieno di rughe che si facevano più fitte mentre le sorrideva.

Gwen si guardò attorno e vide decine di altri volti che non conosceva, la gente di Sandara che la guardava in silenzio osservandola attentamente come se fosse qualcosa di strano. Gwendolyn, sopraffatta da sete e fame, si allungò e come una pazza afferrò il recipiente che le stavano porgendo versandosi il liquido dolce in bocca e continuando a bere svuotandolo completamente come se non avesse potuto bere mai più.

“Lentamente ora,” le disse l’uomo. “O starai male.”

Gwen sollevò lo sguardo e vide decine di guerrieri, il popolo di Sandara, che si stavano occupando della nave. Vide la sua gente, i sopravvissuti dell’Anello, sdraiati, in ginocchio o seduti mentre qualcuno si prendeva cura di ciascuno e dava loro da bere. Si stavano tutti riprendendo dopo essere stati sul punto di morire. Tra loro vide Illepra che teneva tra le braccia la bimba che Gwen aveva salvato sulle Isole Superiori e le dava da mangiare. Gwen fu felice di sentire il pianto della bambina. L’aveva passata ad Illepra quando era stata troppo debole per tenerla in braccio e vederla viva la fece pensare a Guwayne. Gwen era determinata a fare in modo che quella creatura vivesse.

Gwen si sentiva meglio ogni momento di più e si mise a sedere bevendo ancora e chiedendosi cosa fosse quel liquido. Il suo cuore era colmo di gratitudine per quelle persone: avevano salvato loro la vita.

Accanto a sé Gwen udì un mugolio e abbassando lo sguardo vide Krohn che era ancora lì sdraiato con la testa sulle sue gambe. Gli diede da bere dal contenitore e lui leccò con gratitudine. Gwen gli accarezzò amorevolmente la testa: gli doveva la vita. E vederlo le fece venire in mente Thor.

Gwen guardò la gente di Sandara non sapendo come ringraziarli.

“Ci avete salvati,” disse. “Vi dobbiamo le nostre vite.”

Gwen si voltò e guardò Sandara che si avvicinava e le si inginocchiava accanto scuotendo la testa.

“La mia gente non crede ai debiti,” le disse. “Per loro è un onore salvare chi si trovi in difficoltà.”

La folla si aprì e Gwen vide apparire un uomo serio che sembrava essere il loro capo: un uomo forse sulla cinquantina con la mascella definita e le labbra sottili. Si accucciò accanto a lei con indosso una grossa collana turchese fatta di conchiglie che luccicavano al sole e chinò la testa. I suoi occhi gialli erano pieni di compassione mentre la guardava.

“Sono Bokbu,” disse con voce profonda e autoritaria. “Abbiamo risposto a Sandara perché è una di noi. Vi abbiamo accolti mettendo a rischio le nostre stesse vite. Se l’Impero dovesse vederci qui ora, con voi, ci ucciderebbero tutti.”

Bokbu si rialzò in piedi, le mani sui fianchi, e Gwen stessa si alzò, aiutata da Sandara e dal guaritore. Bokbu sospirò e si guardò attorno dando un’occhiata a tutta la gente e alle misere condizioni della nave.

“Ora stanno meglio, ora devono andarsene,” disse una voce.

Gwen si voltò e vide un guerriero muscoloso, senza camicia e con una lancia in mano, che insieme ad altri si portava vicino a Bokbu e li guardava tutti con freddezza.

“Rimanda questi stranieri in mare,” aggiunse. “Perché dovremmo spargere sangue per loro?”

“Io sono del vostro stesso sangue,” disse Sandara facendo un passo avanti e guardandolo con severità.

“È per questo che non avresti mai dovuto portare qui questa gente e metterci tutti in condizione di pericolo,” le rispose seccamente.

“Porti disgrazia alla nostra nazione,” gli rispose Sandara. “Hai dimenticato le leggi dell’ospitalità?”

“Tu porti disgrazia trascinandoli qui,” ribatté l’uomo.

Bokbu sollevò le mani di lato e i due fecero silenzio.

Bokbu rimase fermo, senza alcuna espressione in volto: sembrava stesse pensando. Gwendolyn rimase pure ferma osservando la scena e rendendosi conto della situazione precaria nella quale si trovavano. Rimettersi in mare, lo sapeva bene, avrebbe significato morte certa, ma allo stesso tempo non voleva mettere in difficoltà quella gente che l’aveva aiutata.

“Non intendevamo farvi del male,” disse Gwen rivolgendosi a Bokbu. “Non è mio desiderio mettervi in pericolo. Possiamo imbarcarci subito.”

Bokbu scosse la testa.

“No,” disse. Poi guardò Gwen e la fissò pensieroso. “Perché hai portato qui il tuo popolo?”

Gwen sospirò.

“Siamo sfuggiti da un grosso esercito,” disse. “Hanno distrutto la nostra patria. Siamo venuti qui in cerca di una nuova casa.”

“Siete venuti nel posto sbagliato,” le disse il guerriero. “Questa non diventerà casa vostra.”

“Silenzio!” gli disse Bokbu lanciandogli un’occhiataccia. Finalmente il guerriero tacque.

Bokbu si voltò verso Gwendolyn e la fissò negli occhi.

“Sei una donna nobile e coraggiosa,” gli disse. “Vedo che sei un capo. Hai ben guidato il tuo popolo. Se ti faccio tornare in mare, morireste di certo. Magari non oggi, ma certamente nel giro di pochi giorni.”

Gwendolyn lo guardò con fermezza.

“E allora moriremo,” rispose. “Non permetterò che la tua gente muoia per far vivere la mia.”

Lo guardò intransigente, impassibile, rafforzata dalla sua nobiltà e dal suo coraggio. Vide che Bokbu la osservava con rinnovato rispetto. Un teso silenzio pervadeva l’aria.

“Vedo che in te scorre sangue di guerriero,” le disse. “Starai con noi. La tua gente si riprenderà fino a che sarà di nuovo forte e in salute. Non importa quante lune ci vorranno.”

“Ma capo…” iniziò il guerriero.

Bokbu si voltò e si limitò a lanciargli un’occhiata.

“Ho deciso.”

“Ma la loro nave!” protestò. “Se rimane qui nel porto l’Impero la vedrà. Moriremo tutti prima che la luna sia completa!”

Il capo guardò l’albero maestro, poi la nave, considerando tutto. Gwen si guardò attorno e studiò il paesaggio vedendo che si trovavano completamente inseriti in un porto nascosto, circondati da una fitta vegetazione. Si voltò e vide dietro di loro il mare aperto, capendo che l’uomo aveva ragione.

Il capo la guardò e fece un cenno.

“Vuoi salvare la tua gente?” le chiese.

Gwen annuì con decisione.

“Sì.”

Lui annuì in risposta.

“I capi devono prendere dure decisioni,” le disse. “Ora tocca a te. Vuoi stare con noi, ma la tua nave ci farà uccidere tutti. Invitiamo la tua gente a riva, ma non possiamo permettere che la tua nave resti. Dovrai bruciarla. Allora vi accetteremo.”

Gwendolyn rimase ferma di fronte al capo con il cuore che le si spezzava al pensiero. Guardò la nave, la nave che li aveva portati attraverso l’oceano, che aveva salvato il suo popolo per mezzo mondo. Nella mente le vorticavano emozioni contrastanti. La nave era l’unico mezzo che avevano per andarsene.

Ma di nuovo, per andarsene da cosa? Ritornando al largo in un infinito oceano di morte? La sua gente poteva camminare a malapena, avevano bisogno di riprendersi. Avevano bisogno di riparo, di un porto e di un rifugio. E se bruciare la nave era il prezzo per la loro vita, allora che fosse così. Se avessero deciso di rimettersi in mare, allora avrebbero trovato un’altra nave, o ne avrebbero costruita una, o avrebbero fatto qualsiasi altra cosa fosse necessaria. Per ora dovevano vivere. Questo era ciò che contava di più.

Gwendolyn lo guardò e annuì solennemente.

“Che così sia.”

Bokbu la guardò con sguardo colmo di ammirazione. Poi si voltò e gridò un comando: attorno a loro tutti gli uomini scattarono in azione. Si sparpagliarono sulla nave aiutando i membri dell’Anello, rimettendoli in piedi uno alla volta e accompagnandoli giù dalla nave lungo le tavole di legno, fino alla spiaggia sabbiosa. Gwen rimase a guardare Godfrey, Kendrick, Brandt, Atme, Aberthol, Illepra, Sandara e tutta la gente che amava di più al mondo passarla accanto.

Rimase lì e attese fino a che ogni persona ebbe lasciato la nave, fino a che lei fu l’unica rimasta: solo lei, Krohn ai suoi piedi e accanto a lei, in silenzio, il capo.

Bokbu teneva una torcia in fiamme e la porse a uno dei suoi uomini. Questi la allungò e toccò la nave.

“No,” disse Gwen afferrandogli il braccio.

L’uomo la guardò sorpreso.

“Un capo deve farlo da sé,” gli disse.

Gwen prese con cautela la pesante torcia infiammata, poi si voltò ricacciando una lacrima e diede fuoco a una vela ammucchiata sul ponte.

Gwen rimase ferma a guardare le fiamme che facevano presa propagandosi sempre più velocemente sulla nave.

Lasciò cadere la torcia. Il calore saliva così rapidamente che Gwen si voltò, seguita da Krohn e Bokbu, e scese la tavola di legno diretta verso la spiaggia, verso la sua nuova casa, verso il luogo che era loro rimasto nel mondo.

Mentre si guardava attorno osservando quella giungla straniera, udì gli strani versi di uccelli e animali che non conosceva e non poté che chiedersi: Avrebbero potuto costruire una nuova patria lì?

CAPITOLO CINQUE

Alistair stava in ginocchio sulla pietra, tremante per il freddo, e guardava la prima luce del primo sole nell’alba che si alzava sulle Isole del Sud illuminando le montagne e le vallate con il suo tiepido bagliore. Le tremavano le mani che erano ammanettate ai ceppi di legno mentre stava lì inginocchiata lì, con il collo appoggiato dove molti altri colli si erano adagiati prima. Abbassò lo sguardo e poté vedere le macchie di sangue sul legno, le fenditure dove le lame erano scese prima. Percepiva la tragica energia di quel legno mentre il suo collo lo toccava, sentiva gli ultimi momenti, le ultime emozioni di tutti coloro che vi erano stati uccisi prima di lei. Il suo cuore era gonfio di miseria.

Alistair sollevò coraggiosamente lo sguardo e vide il suo ultimo sole, vide il nuovo giorno che iniziava provando la surreale sensazione che non avrebbe vissuto per vederlo svolgersi. Apprezzava quel momento più di quanto avesse mai fatto. Mentre scrutava quella fresca mattinata una leggere brezza soffiava e le Isole del Sud apparivano più belle che mai, il posto più bello che avesse mai visto, con gli alberi in fiore in un’esplosione di arancio, rosso, rosa e viola, i frutti appesi in abbondanza. Grossi uccelli dalle piume viola e api arancioni stavano già ronzando nell’aria e la dolce fragranza dei fiori la avvolgeva trasportata dal vento. La nebbia luccicava alla luce dando a ogni cosa un tocco di magia. Non aveva mai sentito un tale attaccamento a quel posto: sapeva che era una terra dove sarebbe stata felice di vivere per sempre.

Alistair sentì dei piassi sulla pietra e guardando oltre vide Bowyer che si avvicinava fermandosi davanti a lei. Teneva in mano una grossa accetta che gli penzolava di lato e la guardava con sguardo accigliato.

Dietro a lui Alistair poteva vedere le centinaia di abitanti delle Isole del Sud, allineati come uomini leali a lui, disposti in un grande cerchio attorno a lei in quello spiazzo di pietra. Erano tutti a una buona ventina di metri da lei, lasciando un ampio spazio per lei e Bowyer. Nessuno voleva essere più vicino quando il sangue sarebbe spruzzato.

Bowyer teneva l’ascia con le dita che gli prudevano, chiaramente ansioso di finirla con quella storia. Gli leggeva negli occhi il desiderio di essere re.

Alistair era soddisfatta almeno per una cosa: per quanto fosse ingiusto, il suo sacrificio avrebbe permesso ad Erec di vivere. Questo significava per lei più della sua vita stessa.

Bowyer fece un passo avanti, si chino verso di lei e le sussurrò nell’orecchio a voce bassa in modo che nessuno potesse udire: “Sii certa che il tuo colpo di morte sarà ben netto,” le disse alitandole sul collo. “E così sarà anche quello di Erec.”

Alistair lo guardò con allarme e confusione.

Lui le sorrise, un sorrisino dedicato solo a lei e che nessun altro poteva vedere.

“È giusto così,” le sussurrò. “Potrebbe non accadere oggi, potrebbe non accadere per molte lune. Ma un giorno, quando meno se l’aspetta, tuo marito si troverà il mio pugnale nella schiena. Voglio che tu lo sappia prima che ti spedisca all’inferno.”

Bowyer fece due passi indietro, strinse la mano con forza attorno all’impugnatura dell’accetta e piegò il collo preparandosi a tirare il colpo.

Il cuore di Alistair batteva fortissimo mentre stava lì inginocchiata, rendendosi conto della profonda malvagità di quell’uomo. Non solo era ambizioso, ma anche codardo e bugiardo.

“Liberatela!” chiese una voce improvvisamente, squarciando il silenzio della mattina presto.

Alistair si voltò alla meno peggio e vide scatenarsi il caos mentre due figure improvvisamente facevano irruzione tra la folla, al limitare della radura e venivano trattenute dalle mani nerborute delle guardie di Bowyer. Alistair fu scioccata e riconoscente di vedere la madre di Erec e la sorella lì in piedi, con sguardi affannati a segnare loro il volto.

“È innocente!” gridò la madre di Erec. “Non dovete ucciderla!”

“Avreste il coraggio di uccidere una donna?” strillò Dauphine. “È una straniera. Lasciatela andare. Rimandatela alla sua terra. Non deve essere coinvolta nei nostri affari.”

Bowyer si voltò verso di loro e tuonò: “È una straniera che aspirava a diventare la nostra regina. A uccidere il nostro precedente re.”

“Sei un bugiardo!” gridò la madre di Erec. “Tu non hai bevuto alla fonte della verità!”

Bowyer scrutò i volti della folla.

“C’è nessuno qui che osi disobbedire al mio comando?” gridò voltandosi e incrociando gli sguardi di tutti con atteggiamento di sfida.

Alistair si guardò attorno speranzosa, ma uno alla volta tutti gli uomini, coraggiosi guerrieri, per la maggior parte appartenenti alla tribù di Bowyer, abbassarono lo sguardo, nessuno intenzionato a sfidarlo in combattimento.

“Io sono il vostro campione,” tuonò Bowyer. “Ho sconfitto tutti i miei avversari durante il torneo. Non c’è nessuno qui che potrebbe battermi. Nessuno. E se c’è, lo sfido a farsi avanti.”

“Nessuno a parte Erec!”, gridò Dauphine.

Bowyer si voltò e la guardò con occhi torvi.

“E dove si trova ora? Sta morendo. Noi delle Isole del Sud non abbiamo bisogno di uno storpio come re. Sono io il vostro re. Sono il miglior campione che viene subito dopo. Secondo le leggi di questa terra. Come mio padre era re prima del padre di Erec.”

La madre e la sorella di Erec si lanciarono entrambe in avanti per fermarlo, ma i suoi uomini le afferrarono e le tirarono indietro trattenendole. Alistair vide vicino ad esse il fratello di Erec, Strom, con i polsi legati dietro la schiena. Anche lui stava cercando di liberarsi, ma non ci riusciva.

“Pagherai per questo, Bowyer!” gli gridò Strom.

Ma Bowyer lo ignorò. Si voltò invece di nuovo verso Alistair e lei vide dai suoi occhi che era determinato ad andare avanti. Era giunta la sua ora.

“Il tempo è pericoloso quando l’inganno è dalla tua parte,” gli disse Alistair.

Lui la guardò torvo: chiaramente le sue parole gli davano ai nervi.

“E queste saranno le tue ultime parole,” le disse.

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