Conven sorrideva portandosi avanti a tutti.
“Proprio il genere di situazioni che piacciono a me!” gridò, lanciando un urlo di battaglia e galoppando davanti a tutti, intenzionato ad attaccare per primo. Conven sollevò in aria la sua ascia da guerra ed Elden lo guardò con ammirazione e preoccupazione insieme, dato che pareva intenzionato ad attaccare l’esercito dei McCloud completamente da solo.
I McCloud ebbero poco tempo per reagire mentre Conven roteava la sua ascia come un folle, colpendo due soldati alla volta. Una volta trovatosi nel mezzo della folla, si lanciò da cavallo e atterrò mandando a terra altri tre soldati, facendoli cadere dalle loro cavalcature.
Elden e gli altri erano subito dietro di lui. Si scontrarono con il resto dei McCloud che furono troppo lenti a reagire, non aspettandosi un attacco alle spalle. Elden brandì la spada con rabbia e destrezza, mostrando alle reclute della Legione come si doveva fare e usando tutta la sua forza per colpire un uomo dopo l’altro.
La battaglia si fece fitta e corpo a corpo man mano che il loro piccolo gruppo costringeva i McCloud a cambiare direzione e a mettersi sulla difensiva. Tutte le reclute della Legione si buttarono nella mischia, lanciandosi temerariamente in battaglia e scontrandosi con i McCloud. Elden vedeva con la coda dell’occhio i ragazzi che combattevano ed era fiero di notare che nessuno di essi esitava. Erano tutti in guerra e si battevano come veri uomini anche se in minoranza. Nessuno sembrava curarsene. I McCloud cadevano da una parte e dall’altra, presi alla sprovvista.
Ma lo slancio cambiò presto direzione, non appena l’esercito dei McCloud riprese forza e la Legione si trovò ad affrontare veri soldati professionisti. Alcuni della Legione iniziarono a cadere. Merek ed Ario vennero colpiti da dei fendenti di spada, ma rimasero a cavallo, continuando a battersi e disarcionando i loro avversari. Ma poi vennero colpiti da dei mazzafrusti roteanti e caddero a terra. O’Connor, che cavalcava accanto a Merek, scoccò diverse frecce con il suo arco, colpendo diversi soldati attorno a sé, prima di essere a sua volta colpito da uno scudo e disarcionato. Elden, completamente circondato, perse alla fine l’elemento sorpresa e ricevette un fortissimo colpo alle costole da un martello, oltre a un colpo di spada al braccio. Si voltò e fece cadere i due avversari da cavallo, ma subito apparvero altri quattro uomini. Conven, a terra, combatteva disperatamente roteando selvaggiamente la sua ascia contro cavalli e uomini, ma alla fine venne colpito alle spalle da un martello e cadde a terra con la faccia nel fango.
Arrivarono altri rinforzi per i McCloud, soldati che abbandonarono il cancello per far fronte all’attacco inaspettato. Elden vide pochi dei suoi uomini e capì che presto sarebbero stati tutti spazzati via. Ma non gli interessava. La Corte del Re era sotto assedio e lui avrebbe volentieri rinunciato alla sua vita pur di difenderla, pur di difendere quei ragazzini della Legione che lo rendevano così fiero combattendo. Che fossero ragazzi o uomini non contava più: stavano dando il loro sangue accanto a lui. In quella giornata epica, vivi o morti, erano tutti fratelli.
*
Kendrick scendeva al galoppo il monte del pellegrinaggio, conducendo un migliaio di soldati dell’Argento, tutti lanciati più veloci che mai, diretti verso il fumo nero che si levava all’orizzonte. Kendrick si rimproverò, pensando che non avrebbe dovuto lasciare i cancelli privi di sorveglianza. Non si sarebbe mai aspettato un attacco in un giorno come quello, meno che meno da parte dei McCloud che pensava ormai in condizione di pace sotto il governo di Gwen. Gliel’avrebbe fatta pagare per aver invaso la città e per averlo fatto in un giorno sacro come quello.
Tutt’attorno a lui anche i suoi fratelli erano lanciati al galoppo, forti, ad assecondare l’ira di tutto l’Argento rinunciando al loro sacro pellegrinaggio, determinati a mostrare ai McCloud cosa l’Argento era in grado di fare, facendola loro pagare una volta per tutte. Kendrick giurò che per quando tutto fosse finito nessun McCloud sarebbe rimasto in vita. La loro parte di Altopiano non sarebbe risorta mai più.
Mentre si avvicinavano, Kendrick guardò davanti a sé e vide le reclute della Legione che combattevano valorosamente, vide Elden, O’Connor e Conven, tutti in tremenda minoranza, ma nessuno intenzionato a cedere ai McCloud. Il suo cuore si gonfiò di orgoglio. Però tutti, lo vedeva bene, stavano per essere sconfitti.
Kendrick gridò e spronò il cavallo a galoppare ancora più forte, conducendo i suoi uomini in quell’ultimo devastante attacco. Prese una lancia lunga e quando fu sufficientemente vicino la tirò. Uno dei generali McCloud si voltò giusto in tempo per vedere la lancia in aria che finiva conficcata nel suo petto: un lancio tanto forte da perforargli l’armatura.
I mille cavalieri alle spalle di Kendrick lanciarono un forte grido: l’Argento era arrivato.
In McCloud si voltarono, li videro e per la prima volta si lesse vera paura nei loro occhi. Un migliaio di splendenti cavalieri dell’Argento, tutti compatti e uniti, come una tempesta discesa dalla montagna, tutti con le armi sguainate, tutti forti combattenti, neanche un briciolo di esitazione nei loro occhi. I McCloud si voltarono per affrontarli, ma con apprensione.
L’Argento piombò su di loro, sulla propria città natale, Kendrick a capo della spedizione. Prese la sua ascia e la fece roteare espertamente, colpendo numerosi soldati e facendoli cadere da cavallo. Poi sguainò la spada con l’altra mano e, buttandosi nel fitto della folla, colpì altri uomini andando sempre a segno nei punti vulnerabili delle loro armature.
L’Argento portò la giustizia tra le masse di soldati come un’ondata di distruzione. Erano esperti e si sentivano a casa propria mai come in quel momento, nel bel mezzo della battaglia, circondati dall’esercito nemico. Per un membro dell’Argento questo significava essere a casa. Colpirono e pugnalarono tutti i soldati McCloud che stavano loro attorno, tutt’altro che professionisti se paragonati a loro. Le grida si levavano da ogni parte mentre i nemici cadevano sempre più numerosi.
Nessuno poteva fermare l’Argento: erano troppo veloci e agili, forti ed esperti nella loro tecnica; combattevano come un corpo unico, come era stato loro insegnato fin da quando avevano imparato a camminare. Il loro slancio e la loro abilità terrorizzò i McCloud che si trovavano ad essere soldati comuni di fronte a cavalieri perfettamente addestrati. Elden, Conven, O’Connor e il resto della Legione, salvati dai rinforzi, si rimisero in piedi, sebbene feriti, e si unirono alla battaglia dando il loro apporto allo slancio dell’Argento.
Nel giro di pochi istanti centinaia di McCloud giacevano morti a terra e quelli che restavano furono sopraffatti dal panico. Uno a uno iniziarono a voltarsi e a fuggire, riversandosi fuori dai cancelli della città, cercando di scappare dalla Corte del Re.
Kendrick era determinato a non permetterglielo. Si portò ai cancelli, seguito dai suoi uomini, e si assicurò di bloccare la strada a coloro che si stavano ritirando. Il gesto ebbe un effetto ad imbuto e i McCloud venero massacrati man mano che raggiungevano i limiti della città: erano gli stessi cancelli che avevano divelto loro stessi solo poche ore prima.
Mentre Kendrick brandiva due spade, uccidendo uomini a destra e a manca, capì che presto ogni McCloud sarebbe morto e che la Corte del Re sarebbe stata loro di nuovo. Mentre rischiava la sua vita per il bene della sua terra, sapeva che era questo ciò che si diceva essere vivi.
CAPITOLO TRE
Le mani di Luanda tremavano mentre camminava, un passo alla volta, sull’ampio ponte che attraversava il Canyon. A ogni passo sentiva che la sua vita veniva meno, sentiva che stava lasciando un mondo per entrare in un altro. Ma quando mancavano pochi passi per raggiungere l’altra parte, le sembrò che quelli fossero i suoi ultimi passi sulla terra.
Pochi metri più in là c’era Romolo e dietro di lui il suo milione di soldati. A volare in cerchio sopra di loro, emanando versi ultraterreni, si trovavano decine di draghi, le più tremende creature che Luanda avesse mai visto: sbattevano le ali contro la barriera invisibile costituita dallo Scudo. Luanda sapeva che con pochi altri passi, non appena avesse lasciato del tutto l’Anello, lo Scudo sarebbe stato disattivato una volta per tutte.
Sollevò lo sguardo per guardare il destino che la attendeva, la morte certa che la aspettava per mano di Romolo e dei suoi uomini brutali. Ma questa volta non le interessava per niente. Ogni cosa che lei amava le era già stata portata via. Suo marito Bronson, l’uomo che amava di più al mondo, era stato ucciso. Ed era tutta colpa di Gwendolyn. Era sua la colpa di ogni cosa. Ora, finalmente, era giunto il momento della vendetta.
Luanda si fermò a un passo da Romolo, i due si guardarono negli occhi, fissandosi attraverso la linea invisibile dello Scudo. Era un uomo grottesco, grande il doppio di un uomo comune, puro muscolo, le spalle talmente grosse che il collo quasi vi scompariva. Il volto era tutto mascella, con occhi grandi e neri, bramosi e sempre in movimento come biglie. La testa poi era troppo grande in proporzione al corpo. La guardava come un drago che fissa la sua preda e lei non aveva dubbio che l’avrebbe fatta a pezzi.
Si fissarono nel teso silenzio e un sorriso crudele increspò la bocca di Romolo, completamente sorpreso.
“Non avrei mai pensato di rivederti,” le disse. La voce era profonda e gutturale e riecheggiò in quel luogo orrendo.
Luanda chiuse gli occhi e cercò di far scomparire l’immagine di quel mostro davanti a lei. Cercò di far svanire la propria vita stessa.
Ma quando riaprì gli occhi lui era ancora lì.
“Mia sorella mi ha tradita,” gli rispose in un soffio. “Ed è giunto ora il momento che sia io a tradire lei.”
Luanda chiuse gli occhi e fece l’ultimo passo, uscendo dal ponte e mettendo piede dall’altra parte del Canyon.
In quello stesso istante si sentì un tremendo sibilo dietro di lei e la nebbia vorticante salì in aria dal fondo del Canyon, come un’ondata che con la stessa rapidità poi ricadde verso terra. Si sentì il rumore come di terra che si sgretola e Luanda capì con certezza che lo Scudo era stato disattivato. Ora non restava nulla tra l’esercito di Romolo e l’Anello. Lo Scudo era stato distrutto per sempre.
Romolo la guardò mentre lei stava temerariamente di fronte a lui, senza tremare, con espressione di sfida sul volto. Aveva paura, ma non lo diede a vedere. Non voleva dare a Romolo quella soddisfazione. Voleva che la uccidesse mentre lei lo guardava in faccia. Almeno avrebbe guadagnato questo. Voleva che lui la facesse finita e basta.
Invece Romolo sorrise con ancora maggiore convinzione e continuò a fissare lei piuttosto che il ponte come si sarebbe aspettata che avrebbe fatto.
“Hai quello che vuoi,” disse confusa. “Lo Scudo è disattivato. L’Anello è tuo. Non hai intenzione di uccidermi ora?”
Romolo scosse la testa.
“Non sei quella che pensavo,” disse alla fine, scrutandola. “Può darsi che ti lasci vivere. Potrei addirittura prenderti in sposa.”
Luanda si sentì soffocare al solo pensiero: non era proprio la reazione che aveva anticipato.
Si chinò versi di lui e gli sputò in faccia, sperando che questo l’avrebbe convinto a ucciderla.
Romolo si asciugò il volto con il dorso di una mano e Luanda si preparò al colpo, aspettandosi che le avrebbe dato perlomeno un pugno, che le avrebbe sfracellato la mandibola, le avrebbe fatto qualsiasi cosa, escluso essere gentile con lei. Invece fece un passo avanti, la prese per i capelli, la tirò verso di sé e la baciò con violenza.
Sentì le sue labbra grottesche, appiccicose, muscolose, come la bocca di un serpente, spinte sempre più forte contro le sue, quasi impedendole di respirare.
Alla fine si staccò da lei e le diede un manrovescio, colpendola con tale violenza che la pelle le bruciò per il dolore.
Luanda lo guardò disgustata non riuscendo a capirlo.
“Incatenatela e tenetemela vicino,” ordinò Romolo. Aveva appena finito di pronunciare quelle parole che i suoi uomini già erano sopraggiunti e le avevano legato le braccia dietro la schiena.
Romolo sgranò gli occhi per il piacere portandosi di fronte ai suoi uomini e facendo il primo passo sul ponte.
Non c’era più nessuno Scudo a fermarlo. Era sano e salvo.
Sorrise, poi scoppiò a ridere tenendo le braccia muscolose aperte in fuori e portando la testa piegata indietro. Rise a crepapelle, trionfante, facendo rimbombare quel suono in tutto il Canyon.
“È mio!” tuonò. “Tutto mio!”
La sua voce continuò a riverberare.
“Uomini!” aggiunse. “Invadete!”
Le sue truppe improvvisamente lo superarono e lanciarono un forte grido che ebbe risposta, dall’alto, dall’esercito di draghi che sbattevano le ali e volavano attraversando a tutta velocità il Canyon. Entrarono nel mezzo della nebbia, gracchiando e riempiendo il cielo del loro verso, per far sapere al mondo che l’Anello non sarebbe mai più stato lo stesso.
CAPITOLO QUATTRO
Alistair giaceva tra le braccia di Erec sulla prua della grossa nave che dondolava dolcemente spinta dalle grosse onde. Guardava come ipnotizzata il milione di stelle rosse che luccicavano nel cielo notturno, ammiccando da lontano. Una tiepida brezza invernale la accarezzava accompagnandola verso il sonno. Si sentiva felice. Semplicemente trovarsi lì insieme ad Erec le donava una sensazione di pace. Lì, in quella parte di mondo, in quella parte di oceano, era come se tutti i problemi del mondo fossero scomparsi. Ostacoli infiniti li avevano tenuti lontani, ma ora finalmente i suoi ogni si erano avverati. Erano insieme e non c’era più nulla che potesse intromettersi tra loro. Avevano già dispiegato le vele e si stavano dirigendo verso le isole di Erec, la sua patria, e quando fossero arrivati si sarebbero sposati. Non c’era nulla che desiderasse di più al mondo.
Erec la stringeva con forza e lei si fece più vicina a lui. Entrambi guardavano l’universo, avvolti dalla tenue nebbia dell’oceano. Gli occhi di Alistair si fecero pesanti nel silenzio della notte.
Mentre osservava la vastità del cielo, pensava a quanto grande fosse il mondo, pensava a suo fratello – Thorgrin – che sì trovava là fuori da qualche parte, e si chiedeva dove fosse precisamente in quel momento. Sapeva che stava facendo un viaggio per trovare sua madre. L’avrebbe trovata? Com’era? Esisteva veramente?
Una parte di Alistair avrebbe volute unirsi a lui in quel viaggio, incontrare anche lei sua madre; un’altra parte sentiva già la mancanza dell’Anello e avrebbe voluto tornare a casa, in una terra familiare. Ma la parte più consistente era assolutamente eccitata: eccitata di iniziare una nuova vita insieme ad Erec, in un luogo nuovo, in una nuova parte del mondo. Era emozionata all’idea di incontrare la sua famiglia, di vedere come fosse la sua patria. Chi viveva nelle Isole del Sud? Come era la sua gente? La sua famiglia l’avrebbe accolta? Sarebbero stati felici di averla lì con loro o si sarebbero sentiti minacciati da lei? Avrebbero ben accettato l’idea del loro matrimonio? O si erano immaginati qualcun altro, uno del loro popolo, per Erec?