Peggio di tutto, ciò che temeva sopra ogni cosa: cosa avrebbero pensato di lei quando avessero scoperto dei suoi poteri? Quando avessero scoperto che era una druida? L’avrebbero considerata una persona stravagante? Un’esclusa?
“Raccontami ancora della tua gente,” disse Alistair ad Erec.
Lui la guardò, poi riportò gli occhi al cielo.
“Cosa ti piacerebbe sapere?”
“Dimmi della tua famiglia,” gli disse.
Erec pensò a lungo in silenzio. Alla fine parlò: “Mio padre è un grande uomo. È re della nostra gente da quando aveva la mia età. La sua morte incombente cambierà la nostra isola per sempre.”
“E ci sono altri parenti?”
Erec esitò a lungo, ma poi annuì.
“Sì. Ho una sorella… e un fratello.” Esitò di nuovo. “Io e mia sorella siamo sempre stati affezionati da bambini. Ma devo metterti in guardia: è una persona molto territoriale e si ingelosisce facilmente. È diffidente nei confronti degli estranei e non le piace che persone nuove entrino nella nostra famiglia. E mio fratello…” Erec si interruppe.
Alistair lo incalzò.
“Di che si tratta?”
“Non incontrerai mai un guerriero più bravo. Ma è il mio fratello minore e si è sempre messo in competizione con me. Io l’ho sempre visto come un fratello, ma lui mi ha sempre considerato un rivale, qualcuno che gli mette i bastoni tra le ruote. Non so perché. È così e basta. Mi piacerebbe che fossimo più legati.”
Alistair lo guardò sorpresa. Non riusciva a capire come qualcuno potesse guardare Erec con sentimenti diversi dall’affetto.
“Ed è ancora così?” gli chiese.
Erec scrollò le spalle.
“Non vedo nessuno di loro da quando ero bambino. Questa è la prima volta che torno nella mia terra: sono passati quasi trenta cicli solari. Non so cosa aspettarmi. Sono più un prodotto dell’Anello ora. Eppure se mio padre ora morisse… sono il primogenito. Il popolo si aspetterebbe che prendessi io il comando.”
Alistair fece una pausa, riflettendo e non volendo curiosare troppo.
“E lo farai?”
Erec scrollò le spalle.
“Non è una cosa che io desideri ardentemente. Ma se questo è il volere di mio padre… non posso dire di no.”
Alistair lo osservò.
“Lo ami molto.”
Erec annuì e lei vide che i suoi occhi brillavano alla luce delle stelle.
“Prego solo che la nostra nave arrivi prima che lui muoia.”
Alistair rifletté sulle sue parole.
“E tua madre?” gli chiese. “Le piacerò?”
Erec sorrise.
“Come se fossi una sua figlia,” le rispose. “Perché vedrà quanto ti amo.”
Si baciarono e Alistair poi riportò gli occhi verso l’alto per guardare il cielo, stringendo la mano di Erec.
“Ricordati sempre questo, mia signora. Ti amo. Più di ogni altra cosa. Questo è tutto ciò che conta. Il mio popolo ci dovrà concedere il più grandioso matrimonio che mai si sia visto sulle Isole del Sud, ci circonderanno di festeggiamenti. E tu sarai amata e accolta da tutti.”
Alistair scrutò le stelle, tenendo stretta la mano di Erec, pensierosa. Non aveva alcun dubbio sul suo amore per lei, ma si chiedeva cosa avrebbero pensato i suoi familiari, persone che lei non conosceva per niente. L’avrebbero accolta come lui pensava? Non ne era così certa.
Improvvisamente Alistair udì dei passi pesanti. Sollevò lo sguardo e vide un membro della ciurma camminare lungo il corrimano, sollevare un grosso pesce sopra la testa e lanciarlo in mare. Si udì un leggero tonfo in acqua, seguito poi da un rumore più deciso, provocato da un altro pesce più grosso che immediatamente balzò in superficie per mangiarlo.
Poi dall’acqua di sotto provenne un rumore orrendo, come di pianto e lamento, poi un altro tonfo.
Alistair guardò il marinaio, un brutto ceffo, con la barba incolta, vestito di stracci, senza denti, chino in avanti con un sorriso da babbeo. Si voltò e la guardò, il volto malvagio, grottesco sotto la luce delle stelle. Alistair provò una bruttissima sensazione incrociando quello sguardo.
“Cos’hai lanciato fuori bordo?” gli chiese Erec.
“Le interiora di un pesce simka,” rispose.
“Ma perché?”
“È veleno,” rispose ghignando. “Qualsiasi pesce le mangi muore all’istante.”
Alistair lo guardò disgustata.
“Ma perché mai vorresti uccidere dei pesci?”
Il sorriso dell’uomo si allargò.
“Mi piace guardarli mentre muoiono. Mi piace sentire i loro lamenti e mi piace vederli galleggiare con la pancia per aria. È divertente.”
L’uomo si voltò e tornò lentamente verso il resto della ciurma. Alistair lo guardò sentendosi accapponare la pelle.
“Cosa c’è?” le chiese Erec.
Alistair distolse lo sguardo e scosse la testa, cercando di eliminare quella sensazione. Ma non ne era capace: era un’orrenda premonizione, ma non sapeva esattamente cosa fosse.
“Niente, mio signore,” gli disse.
Si riaccoccolò tra le sue braccia, cercando di convincersi che stava andando tutto bene. Ma dentro di sé sapeva che non era per niente vero.
*
Erec si svegliò nel bel mezzo della notte sentendo la nave che lentamente saliva e scendeva tra le onde, capendo immediatamente che c’era qualcosa che non andava. Era il guerriero dentro di lui, la parte di se stesso che sempre l’aveva avvisato un istante prima che qualcosa di brutto accadesse. Aveva sempre avuto questo sesto senso, fin da ragazzo.
Si mise velocemente a sedere, allerta, guardandosi attorno. Si voltò e vide Alistair profondamente addormentata accanto a lui. Era ancora buio e la nave veniva cullata dalle onde, eppure c’era qualcosa che non andava. Guardò da ogni parte, ma non vide alcun segno che qualcosa fosse storto.
Si chiese quale pericolo potesse esserci in agguato, lì nel mezzo del nulla. Era stato solo un sogno?
Erec, fidandosi del suo istinto, portò la mano alla spada, ma prima di riuscire ad afferrare l’elsa, si sentì avvolgere completamente da una pesante rete. Era la rete più pesante che avesse mai sentito addosso, tanto pesante da poter schiacciare un uomo, e gli cadde addosso all’improvviso bloccandolo a terra.
Prima che potesse reagire si sentì sollevare in aria, come un animale catturato e intrappolato, le maglie della rete così strette da non permettergli neppure di muoversi. Spalle, braccia, polsi e piedi erano immobilizzati. Venne issato sempre più in alto fino a che si ritrovò a quasi dieci metri dal ponte della nave, penzolando, come una bestia presa in trappola.
Il cuore gli batteva in petto mentre cercava di capire ciò che stava accadendo. Abbassò lo sguardo e vide Alistair sotto di lui che si stava svegliando.
“Alistair!” la chiamò.
In basso lei si stava guardando attorno cercandolo ovunque e quando finalmente sollevò lo sguardo vedendolo, la sua espressione si fece sgomenta.
“EREC!” gridò confusa.
Erec vide diverse decine di membri della ciurma avvicinarsi a lei con delle torce in mano. Sorridevano tutti in modo grottesco, con la malvagità negli occhi, accerchiandola.
“È ora che la condivida con noi,” disse uno di essi.
“Ho intenzione di insegnare a questa principessa cosa vuol dire vivere con un marinaio,” disse un altro.
Tutti scoppiarono a ridere.
“Dopo di me,” disse un altro.
“Non prima che io me la sia spassata per primo,” ribatté un altro.
Erec lottava per liberarsi con tutte le sue forze mentre quegli uomini si facevano sempre più vicini. Ma non valse a nulla. Le sue spalle e le braccia erano intrappolate così saldamente da non riuscire neppure a muoverle.
“ALISTAIR!” gridò disperato.
Non poteva fare altro che restare a guardare continuando a penzolare lassù.
Tre marinai improvvisamente balzarono addosso ad Alistair alle sue spalle. Lei gridò mentre la tiravano in piedi, le strappavano la camicia e le stringevano le braccia dietro al schiena. La tennero stretta mentre numerosi altri marinai si avvicinavano.
Erec osservò attentamente la nave cercando dove fosse il capitano: lo vide sulla parte più alta del ponte, intento a osservare la scena.
“Capitano!” gridò Erec. “Questa è la tua nave. Fai qualcosa!”
Il capitano lo guardò, poi lentamente si voltò dando le spalle a ciò che stava accadendo, come se non volesse esserne testimone.
Erec guardò, disperato, mentre un marinaio prendeva un pugnale e lo puntava alla gola di Alistair, che strillò.
“NO!” gridò Erec.
Era come guardare un incubo che si dispiegava davanti ai suoi occhi, e la cosa peggiore era che lui non poteva fare nulla.
CAPITOLO CINQUE
Thorgrin affrontava Andronico: i due erano soli sul campo di battaglia e attorno a loro giacevano i corpi di soldati morti. Sollevò la spada in aria e la calò contro il petto di Andronico. Nello stesso istante Andronico lasciò cadere le proprie armi, sorrise e allungò le braccia per stringerlo a sé.
Figlio mio.
Thor cercò di bloccare il colpo, ma era troppo tardi. La spada trapassò suo padre e lui subito si sentì assalito dal dolore.
Thor sbatté le palpebre e si ritrovò a camminare verso un lontanissimo altare, tenendo Gwen per mano. Si rese conto che era la loro processione di nozze. Camminavano verso un sole rosso sangue e guardando da entrambi i lati Thor vide che i posti a sedere erano tutti vuoti. Si voltò a guardare Gwen e quando lei si girò verso di lui la sua pelle si fece secca e raggrinzita e lei divenne uno scheletro che si sbriciolò poi lasciando solo un cumulo di cenere ai suoi piedi.
Thor si ritrovò quindi davanti al castello di sua madre. In qualche modo aveva attraversato il ponte sopraelevato ed era ora di fronte a un’immensa porta doppia, alta tre volte lui, dorata e splendente. Non c’era maniglia e lui vi picchiò contro le mani fino a farle sanguinare. Il rumore dei colpi risuonava ovunque, ma nessuno venne ad aprire.
Thor lanciò la testa indietro e gridò: “Madre!”
Cadde in ginocchio e nello stesso istante il terreno divenne fango. Thor scivolò in un dirupo, cadendo sempre più in basso, dimenandosi mentre scendeva di decine di metri verso un oceano che infuriava di sotto. Sollevò le mani al cielo e guardò il castello di sua madre che scompariva. Gridò.
Thor aprì gli occhi, senza fiato, il vento che gli sferzava il volto. Si guardò attorno cercando di capire dove si trovava. Abbassò lo sguardo e vide un oceano che scorreva sotto di lui a velocità vertiginosa. Guardò in alto e vide che si stava tenendo stretto a qualcosa di ruvido: quando udì il suono delle ali che sbattevano capì che era aggrappato alle scaglie di Micople, le mani ghiacciate per il freddo della notte, il volto intorpidito dalle folate di vento provenienti dal mare. Micople volava rapida, le ali che sbattevano senza tregua, e guardando davanti a sé Thor si rese conto di essersi addormentato in groppa a lei. Stavano ancora volando, come facevano ormai da giorni, sfrecciando nel cielo della notte, sotto un milione di luccicanti stelle rosse.
Thor sospirò e si asciugò il collo sotto la nuca, dove era madido di sudore. Aveva giurato di rimanere sempre allerta, ma erano passati talmente tanti giorni, camminando e volando, cercando la Terra dei Druidi. Fortunatamente Micople, conoscendolo bene, aveva capito che si era addormentato e aveva volato stabilmente, assicurandosi che non cadesse. I due avevano viaggiato così tanto insieme che erano diventati un tutt’uno. Se da una parte Thor sentiva la mancanza dell’Anello, dall’altra era elettrizzato di essere di nuovo insieme alla cara amica: solo loro due nel mezzo di quel lungo viaggio. Da come faceva le fusa poteva dire con certezza che anche lei era felice di essere insieme a lui. Thor sapeva che Micople non avrebbe mai permesso che gli accadesse qualcosa di brutto e lui provava per lei gli stessi sentimenti.
Thor guardò in basso e osservò le acque verdi, luminescenti e schiumanti del mare: era uno strano ed esotico oceano, mai visto prima, uno dei tanti che avevano oltrepassato durante la loro ricerca. Continuavano a volare verso nord, seguendo la direzione indicata dalla freccia sul cimelio che aveva trovato nel suo villaggio. Thor sentiva che si stavano avvicinando a sua madre, alla sua terra, alla Terra dei Druidi. Lo poteva percepire.
Thor sperava che la freccia fosse precisa, ma dentro di sé era convinto che era così. Sentiva in ogni fibra del proprio essere che quell’oggetto lo stava portando vicino a sua madre, verso il suo destino.
Thor si strofinò gli occhi, determinato a rimanere sveglio. Aveva creduto che a quell’ora avrebbero già trovato la Terra dei Druidi; gli pareva di aver già attraversato mezzo mondo. Per un momento si preoccupò: e se era tutta una fantasia? E se sua madre non esisteva? E se neppure la Terra dei Druidi esisteva? Magari era condannato a non trovarla mai.
Cercò di scrollarsi di dosso tali pensieri e spinse Micople a proseguire.
Più veloce, pensò.
Micople mugolò e sbatté le ali con maggiore impeto, abbassando la testa e tuffandosi nella nebbia, dirigendosi verso un qualche punto all’orizzonte che – Thor lo sapeva bene – poteva anche non esistere.
*
Si fece giorno in un modo che Thor non aveva mai visto: il cielo era inondato da ben tre soli che sorgevano in punti diversi dell’orizzonte, uno rosso, uno verde e uno viola. Erano sospesi appena sopra le nuvole che erano disseminate sotto di lui, così vicine da poterle toccare. Erano come una coperta colorata. Thor volava con Micople nella più bella alba che mai avesse visto: i diversi colori dei soli filtravano tra le nuvole, i raggi lo colpivano da ogni direzione. Si sentiva come se stesse volando all’origine del mondo.
Thor diresse Micople verso il basso e sentì l’umidità man mano che si immergevano nella coltre di nubi: momentaneamente il suo mondo fu pervaso da diversi colori, poi si trovò accecato. Quando uscirono dalle nuvole Thor si aspettava di vedere un altro oceano, un’altra distesa di nulla.
Ma questa volta si trovò dinnanzi qualcosa di diverso.
Il cuore iniziò a battergli forsennatamente in petto quando vide sotto di sé il panorama che aveva sempre desiderato trovarsi davanti, la veduta che aveva occupato i suoi sogni. Lì, sotto di lui, si vedeva una terra. Era un’isola avvolta dalla nebbia, nel mezzo di un incredibile oceano, ampio e profondo. Il suo amuleto vibrava e vide che la freccia lampeggiava indicando verso il basso. Ma non aveva bisogno di guardare il cimelio per capire. Lo sentiva, lo percepiva in ogni fibra del suo corpo. Lei era lì. Sua madre. La magica Terra dei Druidi esisteva e lui era arrivato.
Giù, amica mia, pensò Thor.
Micople puntò verso il basso e man mano che si avvicinavano l’isola appariva sempre più nitida. Thor vide infinite file di fiori molto simili ai prati che aveva visto alla Corte del Re. Non riusciva a capire. L’isola gli sembrava così familiare, come se fosse appena tornato a casa. Si era aspettato una terra più esotica. Era strano quanto gli fosse invece misteriosamente familiare. Come poteva essere?
L’isola era contornata da una vasta spiaggia di sabbia rossa luccicante, con le onde che vi si infrangevano contro. Quando furono più vicini, Thor vide qualcosa che lo sorprese: sembrava esserci un ingresso all’isola: due enormi pilastri si levavano verso il cielo, erano le colonne più alte che avesse mai visto: scomparivano nelle nuvole. Un muro, alto quasi una decina di metri, racchiudeva l’intera isola e pareva che l’unico accesso fosse possibile passando a piedi attraverso quei pilastri.
Dato che si trovava in groppa a Micople, Thor decise che non c’era bisogno per loro di passare per l’ingresso. Sarebbero semplicemente volati al di sopra delle mura per atterrare all’interno dell’isola, dove avrebbero voluto. Dopotutto lui non era a piedi.