Thor diresse Micople a volare oltre le mura, ma quando si avvicinarono, improvvisamente lei lo sorprese: gracchiò e tirò indietro, sollevano gli artigli in aria fino a trovarsi quasi verticale. Si fermò di colpo, come se fosse andata a sbattere contro uno scudo invisibile e Thor si tenne stretto non cadendo per un pelo. Le chiese di continuare a volare, ma Micople si rifiutò di procedere.
E lì Thor si rese conto di cosa si trattava: l’isola era circondata da una sorta di scudo di energia, tanto potente che addirittura Micople non poteva attraversarlo. Nessuno poteva volare oltre le mura: bisognava necessariamente passare attraverso le colonne, a piedi.
Thor guidò Micople e i due atterrarono sulla spiaggia rossa. Scesero tra le colonne e Thor cercò di dirigere Micople a volare attraverso esse, oltrepassando quei grandi cancelli per poter accedere alla Terra dei Druidi.
Ma di nuovo Micople tirò indietro sollevano gli artigli.
Non posso entrare.
Thor sentì il pensiero di Micople scorrergli dentro. La guardò e vide che chiudeva i suoi enormi occhi scintillanti, quindi capì.
Gli stava dicendo che avrebbe dovuto entrare nella Terra dei Druidi da solo.
Thor scese a terra sulla sabbia rossa e si fermò tra i pilasti esaminandoli.
“Non posso lasciarti qui, amica mia,” le disse Thor. “È troppo pericoloso per te. Se devo andare da solo, allora devo andare. Tu torna sana e salva a casa. Aspettami lì.”
Micople scosse la testa e la abbassò a terra, rassegnata.
Ti aspetterò sempre.
Thor vide che era determinate a rimanere. Sapeva che era cocciuta e che non si sarebbe mossa da lì.
Si chinò in avanti e le accarezzò le scaglie sul lungo naso, poi le diede un bacio. Lei sollevò la testa soddisfatta e la appoggiò sul suo petto.
“Tornerò da te, amica mia,” disse Thor.
Poi si voltò e si portò di fronte alle colonne, solide e dorate, splendenti al sole tanto da accecarlo quasi. Quindi fece il primo passo. Si sentiva vivo in un modo che non avrebbe mai immaginato mentre passava tra i pilastri, entrando nella Terra dei Druidi.
CAPITOLO SEI
Gwendolyn viaggiava in carrozza percorrendo la strada di campagna, conducendo la spedizione del suo popolo che si faceva strada verso occidente, allontanandosi dalla Corte del Re. Gwendolyn era felice che l’evacuazione fosse riuscita così ordinatamente fino a quel punto, soddisfatta per i progressi fatti dalla sua gente. Odiava il fatto di dover abbandonare la città, ma era fiduciosa che almeno avrebbero guadagnato abbastanza distanza per mettersi in salvo e portare a termine quella nuova missione: passare oltre l’Attraversamento Occidentale del Canyon, imbarcarsi sulla sua flotta di navi sulle sponde del Tartuvio e attraversare l’oceano per raggiungere le Isole Superiori. Sapeva che era l’unico modo per portare in salvo il suo popolo.
Mentre marciavano – migliaia di persone a piedi attorno a lei, altre migliaia sui loro carri – il suono degli zoccoli dei cavalli le riempiva le orecchie insieme al rumore costante delle ruote dei carri e alle voci della gente. Gwen si ritrovò persa in quella monotona camminata, tenendo Guwayne al seno e cullandolo. Accanto a lei c’erano Steffen e Illepra che le tenevano compagnia da quando erano partiti.
Gwendolyn guardò la strada davanti a sé e cercò di immaginarsi in un posto diverso da quello. Aveva lavorato così sodo per ricostruire il regno e ora eccola lì, in fuga. Stava mettendo in atto il suo piano di evacuazione di massa a causa dell’invasione dei McCloud, ma cosa più importante, a causa delle antiche profezie, degli indizi dategli da Argon, dei suoi stessi sogni e sensazioni di imminente sventura. E se si fosse sbagliata? Se si fosse trattato solo di sogni e preoccupazioni notturne? E se tutto nell’Anello fosse rimasto a posto? Se magari quella fosse solo una reazione esagerata, un’evacuazione non necessaria? Dopotutto lei avrebbe potuto portare il suo popolo in una qualsiasi altra città all’interno dell’Anello, come Silesia. Non doveva per forza portarli dall’altra parte dell’oceano.
Eppure prevedeva una completa e totale distruzione dell’Anello. Da tutto quello che aveva letto e udito e da come si sentiva, quella distruzione era imminente. L’evacuazione era l’unico modo, ne era certa.
Guardando l’orizzonte avrebbe volute che Thor potesse essere lì al suo fianco. Sollevò lo sguardo e fissò il cielo, chiedendosi dove si trovasse in quel momento. Aveva trovato la Terra dei Druidi? Aveva trovato sua madre? Sarebbe tornato da lei?
E si sarebbero mai sposati?
Gwen guardò Guwayne negli occhi e vide lo sguardo di Thor che la osservava, i suoi occhi grigi. Strinse il bambino a sé e cercò di non pensare al sacrificio che aveva dovuto decidere nel Mondo Inferiore. Si sarebbe avverato tutto? Il destino sarebbe stato così crudele?
“Mia signora?”
Gwen sobbalzò all’udire quelle voce. Si voltò a guardare Steffen che indicava il cielo. Notò che tutt’attorno a lei la sua gente si stava fermando, quindi improvvisamente anche la sua carrozza si immobilizzò. Rimase confusa, sbalordita che il cocchiere avesse fermato il carro senza un suo comando.
Gwen seguì il dito di Steffen e lì, all’orizzonte, fu scioccata dal vedere tre frecce volare in aria, infuocate, a disegnare un arco andando ad atterrare come stelle cadenti. Era scioccata: tre frecce infuocate potevano significare solo una cosa: era il segno dei MacGil. Gli artigli del falco, usati per dichiarare vittoria. Era un segno utilizzato da suo padre e dal padre di suo padre, un segno inteso solo dai MacGil. Era impossibile sbagliarsi: significava che i MacGil avevano vinto. Avevano ripreso la Corte del Re.
Ma com’era possibile? Quando erano partiti non c’erano speranze di vittoria, meno che meno di sopravvivenza: la sua preziosa città era assediata dai McCloud e non c’era nessuno di guardia.
Gwen scorse all’orizzonte una bandiera che veniva issata sempre più in alto. Strizzò gli occhi e di nuovo vide che non c’erano dubbi: era lo stendardo dei MacGil. Poteva significare solo che la Corte del Re era di nuovo nelle loro mani.
Da una parte Gwen si sentiva felice e avrebbe voluto correre a casa all’istante. Ma dall’altra, guardando tutta la strada che avevano percorso, ripensò alle predizioni di Argon, ai carteggi che aveva letto, alle sue stesse premonizioni. Dentro di sé sentiva che il suo popolo ancora aveva bisogno di essere portato via. Poteva anche darsi che i MacGil avessero riconquistato la Corte del Re, ma questo non significava che l’Anello era salvo. Gwendolyn era ancora certa che stava per verificarsi qualcosa di ancora peggiore e che lei doveva portare la sua gente via da lì, verso la salvezza.
“Pare che abbiamo vinto,” disse Steffen.
“Motivo di festeggiamento!” aggiunse Aberthol avvicinandosi al carro.
“La Corte del Re è nostra di nuovo!” gridò un paesano.
Un forte grido di esultanza si levò tra la gente.
“Dobbiamo tornare subito indietro!” gridò un altro.
Un altro grido di giubilo si levò. Ma Gwen scosse la testa decisa. Si alzò in piedi e guardò il suo popolo, tutti con gli occhi puntati su di lei.
“Non torneremo indietro!” disse alla sua gente. “Abbiamo iniziato lo sfollamento e dobbiamo continuare. So per certo che un grosso pericolo è in agguato sull’Anello. Devo portarvi in salvo fino a che ne abbiamo il tempo, fino a che ne abbiamo la possibilità.”
La gente sbuffò, insoddisfatta, e diversi paesani si fecero avanti indicando l’orizzonte.
“Non so voi,” disse uno, “ma la Corte del Re è casa mia! È tutto ciò che conosco e amo! Non ho intenzione di attraversare l’oceano per andare verso una terra sconosciuta mentre la nostra città è intatta e si trova sicura nelle mani dei MacGil! Io me ne torno alla Corte del Re!”
Un forte grido si levò e quando l’uomo si voltò incamminandosi verso casa, centinaia di persone lo seguirono, girando i loro carri e dirigendosi nuovamente verso la Corte del Re.
“Mia signora, devo fermarli?” chiese Steffen spaventato, leale a lei.
“Senti le voci del popolo, mia signora,” disse Aberthol avvicinandosi a Gwen. “Saresti una folle a negare loro quello che vogliono. Non puoi. È casa loro. È tutto ciò che conoscono. Non combattere contro la tua stessa gente. Non guidarli via senza buone ragioni.”
“Ma io ho buone ragioni,” disse Gwen. “So che la distruzione sta sopraggiungendo.
Aberthol scosse la testa.
“Ma loro no,” rispose. “Non dubito di te. Ma le regine pianificano in anticipo, mentre la gente comune agisce d’istinto. E una regina non potrà mai essere pienamente potente se le masse non glielo permettono.”
Gwen rimase ferma, bruciando di insoddisfazione e guardando il suo popolo che disubbidiva al suo comando, tornando verso la Corte del Re. Era la prima volta che si ribellavano apertamente e quella sensazione non le piaceva. Cosa stava per accadere? I suoi giorni da regina erano contati?
“Mia signora, devo comandare ai soldati di fermarli?” chiese Steffen.
Le sembrava che fosse l’unico suddito leale rimastole. Una parte di lei avrebbe voluto dire di sì. Ma mentre li guardava allontanarsi, capì che sarebbe stato inutile.
“No,” disse in un soffio, con la voce rotta, sentendosi come se un figlio le avesse appena voltato le spalle. La cosa che le faceva più male era la consapevolezza che le loro azioni avrebbero solo nuociuto loro e che non c’era nulla per fermarli. “Non posso prevenire ciò che il destino ha in serbo per loro.”
*
Gwendolyn, abbattuta e sconfortata mentre portava la sua gente di nuovo alla Corte del Re, attraversò i cancelli sul retro della città da dove già si udivano le lontane grida di giubilo e festa che provenivano dalla parte opposta. La sua gente era felice, tutti ballavano ed esultavano, lanciando i cappelli in aria mentre si riversavano attraverso i cancelli, tornando ai cortili della città che conoscevano e amavano, la città che chiamavano casa. Tutti accorsero a congratularsi con la Legione, Kendrick e l’Argento vittorioso.
Ma Gwendolyn procedeva con un groppo allo stomaco, combattuta tra sentimenti differenti. Da una parte era ovviamente anche lei felice di trovarsi lì, contenta di aver sconfitto i McCloud e di vedere che Kendrick e gli altri stavano bene. Era orgogliosa di vedere cadaveri dei McCloud ovunque, emozionata di vedere suo fratello Godfrey sopravvissuto, seduto da parte a farsi curare una ferita.
Eppure allo stesso tempo Gwendolyn non riusciva ad eliminare quel profondo senso di presagio, la sua certezza che stesse per arrivare qualche tremenda calamità e che la cosa migliore per la sua gente sarebbe stata evacuare prima che fosse troppo tardi.
Ma tutti erano trascinati dall’euforia per la vittoria. Non avrebbero ascoltato ragioni e anche lei venne trascinata insieme a migliaia di altre persone, nella grande città che tanto bene conosceva. Quando furono entrati Gwen fu sollevato di vedere che almeno i McCloud erano stati uccisi velocemente, prima che potessero realmente fare dei danni a tutti i suoi attenti lavori di ricostruzione.
“Gwendolyn!”
Gwendolyn si voltò e vide Kendrick smontare da cavallo, correre verso di lei e abbracciarla. Lei lo strinse con forza, sentendo la sua armatura dura e fredda, dopo aver passato Guwayne ad Illepra che le era accanto.
“Fratello mio,” gli disse guardandolo negli occhi scintillanti di vittoria. “Sono fiera di te. Hai fatto ben più che mantenere la nostra città: hai annientato i nostri nemici. Tu e il tuo Argento. Incarni perfettamente il nostro codice d’onore. Nostro padre ne sarebbe fiero.”
Kendrick sorrise e abbassò la testa.
“Ti sono grato per queste parole, sorella. Non avrei mai permesso che la tua città, la nostra città, la città di nostro padre venisse distrutta da quei selvaggi. Non ero solo: devi sapere che nostro fratello Godfrey è stato il primo a organizzare la difesa. Lui e una piccola manciata di altri, addirittura la Legione. Tutti hanno dato il loro apporto nel debellare l’attacco.”
Gwen si voltò e vide Godfrey che camminava verso di loro con un sorriso preoccupato stampato in volto, tenendosi una mano premuta sulla testa, pieno di sangue rappreso.
“Oggi sei diventato uomo, fratello mio,” gli disse con sincerità, mettendogli un braccio attorno alle spalle. “Nostro padre ne sarebbe orgoglioso.”
Godere sorrise con fare impacciato.
“Volevo solo avvisarti,” le disse.
Lei gli sorrise.
“Hai fatto ben di più.”
Di seguito sopraggiunsero Elden, O’Connor, Conven e decine di membri della Legione.
“Mia signora,” disse Elden. “I nostri uomini hanno combattuto valorosamente oggi. Ma sono triste di dover annunciare che comunque ne abbiamo persi molti.”
Gwen guardò oltre Elden e vide i corpi morti disseminati per la Corte del Re. Migliaia di McCloud, ma anche decine di reclute della Legione. Anche una manciata di membri dell’Argento erano morti. Questo le riportò alla memoria ricordi dolorosi della volta che la loro città era stata invasa. Le era doloroso guardare.
Si voltò e vide una decina di McCloud, prigionieri ancora vivi, a testa bassa e con le mani legate dietro alla schiena.
“E quelli chi sono?” chiese.
“I loro generali,” rispose Kendrick. “Li abbiamo tenuti in vita. È tutto ciò che rimane del loro esercito. Cosa ordini di farne?”
Gwen li osservò lentamente, fissandoli negli occhi uno per uno. Tutti ricambiarono lo sguardo, con atteggiamento orgoglioso e disobbediente. Avevano i volti grezzi, da tipici McCloud, neanche un briciolo di rimorso.
Gwen sospirò. C’era stato un tempo in cui aveva pensato che la pace fosse la risposta a ogni cosa, che se fosse stata sufficientemente gentile e carina con i suoi vicini, mostrando loro la necessaria benevolenza, allora anche loro si sarebbero comportati allo stesso modo con lei e con la sua gente.
Ma più governava e più vedeva che gli altri interpretavano le dimostrazioni di pace come segno di debolezza, come qualcosa da cui prendere vantaggio. Tutti i suoi sforzi di pace erano culminati in questo: un attacco a sorpresa. E nientemeno che nel Giorno del Pellegrinaggio, il giorno più sacro dell’anno.
Gwendolyn si sentì indurire. Non aveva più la medesima ingenuità, la medesima fede nell’uomo di un tempo. Sempre di più aveva fiducia solo in una cosa: un regno d’acciaio.
Mentre Kendrick e gli altri la guardavano, Gwendolyn alzò la voce: “Uccideteli tutti,” disse.
Sgranarono gli occhi sorpresi, pieni di rispetto per lei. Era evidente che non se l’aspettavano dalla loro regina, che si era sempre data da fare per la pace.
“Ho sentito bene, mia signora?” le chiese Kendrick con voce scioccata.
Gwendolyn annuì.
“Sì,” rispose. “Quando avete finito, raccogliete i cadaveri e buttateli fuori dai cancelli.”
Gwendolyn si voltò e si allontanò, attraversando il cortile della Corte del Re. Alle sue spalle si levarono le grida dei McCloud che nonostante tutto la fecero trasalire.
Attraversò la città disseminata di cadaveri, ma anche dell’esultanza, della musica e delle danze di migliaia di persone che tornavano alle loro abitazioni, riempiendo nuovamente la città come se non fosse successo niente di male. Mentre li guardava il suo cuore si riempì di timore.
“La città è nostra di nuovo,” disse Kendrick, affiancandola.
Gwendolyn scosse la testa.
“Solo per poco.”
Lui la guardò sorpreso.
“Cosa intendi dire?”
Lei si fermò e lo fissò.