La Sfera di Kandra - Морган Райс 4 стр.


Ma poi Oliver notò che Chris stava stringendo le mani a pugno. Sapeva benissimo cosa significasse quel gesto: stava per scattare all’attacco.

Oliver aveva solo una frazione di secondo per reagire. Usò i suoi poteri per legare rapidamente i lacci delle scarpe di Chris tra loro.

Chris si lanciò in avanti, ma inciampò subito sui lacci annodati e cadde a terra sbuffando.

La mamma lanciò un gridolino. “I suoi lacci! Hai visto i suoi lacci?”

Il papà impallidì. “Si… si sono annodati tra loro.”

Dalla sua posizione accasciata al suolo, Chris lanciò a Oliver un’occhiata furente. “Sei stato tu, vero? Sei uno strambo.”

Oliver scrollò le spalle con fare innocente. “Non ho idea di cosa tu stia dicendo.”

Poi girò sui tacchi, valigia alla mano, e uscì a grandi passi dalla casa, sbattendo la porta alle sue spalle.

Mentre percorreva il vialetto, un ampio sorriso gli illuminò il volto.

Non avrebbe dovuto rivedere i Blue mai più.

CAPITOLO CINQUE

Oliver si trovava fuori dalla Scuola media Campbell. Il cortile era più rumoroso che mai, pieno di ragazzi che correvano, gridavano e lanciavano palloni come fossero granate.

Oliver provò un nodo d’angoscia nello stomaco. Non che avesse paura dei ragazzi – o di attraversare il cortile pieno di palloni da basket in volo – ma presto avrebbe rivisto la signorina Belfry.

Per quanto riguardava la sua insegnante preferita, era stato a lezione da lei solo il giorno prima. Ma per Oliver era come se fosse passata una vita. Aveva vissuto un’intera e tumultuosa avventura nel passato. E questo lo aveva cambiato, lo aveva fatto maturare. Si chiese se la professoressa avrebbe notato i cambiamenti in lui quando si sarebbero visti faccia a faccia.

Attraversò il cortile, abbassandosi sotto ai palloni volanti, poi andò dritto lungo il corridoio che portava alla classe di scienze della signorina Belfry. Era vuota, dentro non c’era nessuno. Oliver sperava che la signorina Belfry arrivasse un po’ in anticipo, in modo da poterle parlare. Ma subito i suoi compagni di classe iniziarono ad entrare nell’aula. Non c’era ancora nessun segno della signorina Belfry, quindi Oliver non ebbe altra scelta che prendere posto. Ne occupò uno vicino alla finestra.

Guardò verso il cortile, dove tutti i ragazzi praticavano diversi sport. Si meravigliò di quanto gli sembrasse strano fingere di essere uno studente normale, di stare con gente normale invece che con indovini dai poteri straordinari.

Altri ragazzi entrarono in classe. Tra loro c’era Samantha, la ragazza che lo prendeva in giro ogni volta che rispondeva alle domande della signorina Belfry. Si sedette in fondo alla stanza. Poi entrò Paul. Era quello che gli aveva tirato addosso una palla di carta.

Rivedere i ragazzi che lo importunavano fece sentire Oliver a disagio. Ma i ricordi delle loro cattiverie stavano già svanendo e l’effetto delle loro parole su di lui aveva molto meno effetto. Grazie alla Scuola degli indovini e agli amici che si era fatto lì, Oliver aveva come l’impressione che quelle vecchie ferite fossero guarite. Era andato oltre. I suoi bulli non potevano più fargli del male.

L’aula si era riempita e tutti ridevano e chiacchieravano a voce alta. Poi la signorina Belfry arrivò di corsa, con aspetto agitato.

“Scusate il ritardo.” Lasciò cadere il suo materiale sul tavolo. In mezzo alle varie cose c’era una mela rossa. “Oggi parleremo delle forze.” Prese la mela e la fece cadere sul pavimento. “Chi riesce a indovinare di cosa parleremo oggi?”

Oliver sollevò immediatamente la mano e la signorina Belfry gli fece cenno con la testa.

“La forza di gravità,” disse.

Subito sentì la voce di Samantha che gli faceva il verso dal fondo della classe, immediatamente seguita da qualche risatina dei suoi amici.

Oliver decise che era giunto il momento di vendicarsi un poco. Niente di troppo meschino, ma giusto un piccolo compenso per le loro azioni.

Si diede un’occhiata alle spalle, guardandola dritto negli occhi, poi usò i suoi poteri per lanciarle una folata di polvere dritto nel naso.

Subito Samantha starnutì e un’enorme caccola di muco le esplose dal naso. Tutti i ragazzi attorno a lei si misero a ridere in maniera incontrollata indicandola.

La signorina Belfry le passò un fazzoletto. Samantha si pulì velocemente, le guance che avvampavano di un rosso intenso.

Oliver sorrise e poi si rigirò per guardare davanti a sé.

La signorina Belfry batté le mani per richiamare l’attenzione di tutti. “La gravità. La forza che ci tiene i piedi attaccati al terreno. La forza che fa cadere tutte le cose verso il basso. Dimmi, Oliver, come hai fatto a sapere che oggi avremmo parlato della gravità?”

Oliver parlò con voce forte e sicura. “Perché Isaac Newton ha scoperto la legge di gravità quando ha visto cadere una mela. Non gli è caduta in testa però, attenzione, quello è un errore comune.”

Proprio in quel momento Oliver sentì qualcosa che gli colpiva la testa. Una matita cadde poi sul pavimento vicino a lui. Non aveva bisogno di guardarsi alle spalle per sapere che quel missile era stato lanciato da Paul.

Prova a lanciare matite senza usare le mani, pensò Oliver.

Si girò e guardò Paul negli occhi. Poi usò i suoi poteri per incollare le mani di Paul al banco.

Paul abbassò immediatamente lo sguardo e cercò di muoverle. Erano completamente attaccate.

“Cosa sta succedendo?” gridò.

Tutti si girarono e videro che aveva le mani appiccicate al banco. I compagni si misero a ridere, chiaramente convinti che lui stesse scherzando. Ma Oliver sapeva che lo sguardo terrorizzato di Paul era reale.

La signorina Belfry non sembrava per niente impressionata. “Paul. Incollare le mani al banco non è certo stata l’idea più intelligente che potessi avere.”

Tutti si misero a ridere fragorosamente.

“Non sono stato io, signorina Belfry!” gridò Paul. “Mi sta succedendo qualcosa di strano!”

Nello stesso momento Samantha fece un altro grosso starnuto.

Sorridendo tra sé e sé, Oliver si rigirò in avanti.

La signorina Belfry batté le mani. “Fate tutti attenzione. Isaac Newton era un matematico e fisico inglese. Qualcuno sa quando scoprì la legge di gravità?”

Oliver alzò ancora una volta la mano. Era l’unico. La signorina Belfry lo guardò e annuì. Sembrava contenta di non vederlo più tanto restio ad alzare la mano. Prima aveva sempre dovuto tirargli fuori le risposte con le pinze.

“Sì, Oliver?”

“Nel 1687.”

La professoressa si illuminò. “Corretto.”

A quel punto Oliver sentì Paul che lo prendeva ancora in giro. Chiaramente avere le mani incollate al banco non era sufficiente a fermarlo. Oliver doveva chiudergli anche la bocca.

Si girò e lo guardò con gli occhi socchiusi. Nella sua mente visualizzò una cerniera che chiudeva le labbra di Paul. Poi spinse in fuori l’immagine. E subito la bocca di Paul si serrò.

Paul iniziò ad emettere dei sommessi versi di terrore. Gli studenti si girarono a guardarlo, ridacchiando di fronte a quella strana scena. La signorina Belfry parve allarmata.

Oliver capì subito di essersi spinto troppo oltre. Eliminò subito ciò che aveva fatto a Paul, liberandogli mani e bocca. Ma era troppo tardi. Paul lo fissò torvo e sollevò un dito.

“Tu! Tu sei uno strambo! Sei stato tu a fare questo!”

Mentre i ragazzi iniziavano a lanciare insulti contro Oliver, lui guardò la signorina Belfry. Aveva una strana espressione di confusione negli occhi, come se stesse facendo una tacita domanda.

Mentre un coro di “Strambo!” si levava alle sue spalle, la signorina Belfry batté le mani.

“Tutti in silenzio! Fate silenzio!”

Ma i compagni di Oliver erano scatenati si stavano tutti radunando attorno a lui, puntandogli il dito contro e gridando, chiamandolo con strani nomignoli. Lui si sentiva braccato e denigrato. Era orribile.

Voleva che stessero alla larga da lui. Chiuse gli occhi e spinse con i suoi poteri. Improvvisamente calò il silenzio.

Oliver aprì gli occhi e vide i ragazzi che si portavano le mani alla gola e alla bocca. Gli stavano ancora gridando contro, ma nessun rumore veniva fuori. Era come se Oliver avesse spento le casse di risonanza delle loro voci.

I ragazzi iniziarono ad arretrare, dirigendosi verso la porta. Presto stavano tutti scappando dalla stanza. Ma Oliver non aveva finito. Dovevano imparare a non fare i bulli, a non dare nomignoli alla gente, a non puntare il dito contro gli altri. Dovevano imparare la lezione.

Quindi, mentre correvano lungo il corridoio, Oliver evocò una nube temporalesca. Fece cadere pioggia sopra ai ragazzi, inzuppandoli come un impianto di irrigazione.

L’ultimo ragazzo uscì dall’aula. A quel punto restavano solo lui e la signorina Belfry.

Oliver la guardò e deglutì. Non c’erano dubbi ora. Oliver le aveva rivelato i suoi poteri.

La signorina Belfry corse alla porta e la chiuse, poi si girò a guardarlo. Aveva la fronte aggrottata. “Chi sei?”

Oliver sentì una tensione al petto. Cosa avrebbe pensato di lui la signorina Belfry? Se fosse stata spaventata o se lo avesse creduto un tipo strambo come il resto dei suoi compagni di classe, Oliver si sarebbe sentito annichilito.

La professoressa gli si avvicinò. “Come hai fatto?”

Ma quando gli fu accanto, Oliver si rese conto che la sua espressione non era né di shock, né di paura. Il suo era uno sguardo di meraviglia. Uno sguardo di rispetto.

Prese una sedia e si sedette vicino a lui, guardandolo intensamente. Aveva gli occhi che brillavano per la curiosità. “Chi sei, Oliver Blue?”

Oliver ricordò la bussola. Lo aveva portato lì, dalla signorina Belfry. Era un segno dell’universo che gli diceva che poteva fidarsi di lei. Lei era una persona che avrebbe potuto aiutarlo nella sua impresa.

Deglutì per calmare i nervi e parlò.

“Ho dei poteri. Poteri sugli elementi e le forze della natura. Posso viaggiare nel tempo e cambiare la storia.”

La signorina Belfry rimase in totale silenzio. Lo fissò e sbatté le palpebre diverse volte. Alla fine parlò.

“Ho sempre avuto il sospetto che ci fosse qualcosa di diverso in te.” Il tono della sua voce era di meraviglia.

Oliver era scioccato. La signorina Belfry non pensava che lui fosse un tipo strambo. Il cuore gli si gonfiò di gioia.

“Lei mi crede?” le chiese.

Lei annuì. “Certo che ti credo.” Poi si spostò un po’ più vicino a lui sulla sedia e lo guardò con intensità. “Ora raccontami tutto.”

E Oliver lo fece. Partì dall’inizio, dal giorno del temporale. Per la signorina Belfry era solo la sera precedente, ma per Oliver erano passati giorni e giorni.

Le raccontò di Armando Illstrom e di Lucas. Le disse del suo incontro con Ralph Black e del loro viaggio fino alla Scuola degli Indovini. Di come la scuola stessa si trovasse in mezzo alle dimensioni e vi si potesse accedere solo attraverso uno speciale portale nel 1944. Le disse delle lezioni, della dottoressa Ziblatt e dei portali inter-dimensionali. Le disse della mensa e dei tavoli che si sollevavano in aria, di Hazel Kerr, Simon Cavendish e Walter Stroud, il fenomenale giocatore di Switchit. Le spiegò della Sfera di Kandra e dell’ufficio del professor Ametisto dove non c’era la forza di gravità, le capsule per il sonno e il test che determinava la sua tipologia di indovino. Poi le raccontò del suo appuntamento con Esther Valentini e dell’attacco alla scuola. Le parlò poi degli eventi nella Germania nazista con la bomba di Lucas. Le mostrò l’amuleto che il professor Ametisto gli aveva regalato, quello che si sarebbe scaldato se lui si fosse trovato vicino a un portale capace di riportarlo alla Scuola degli Indovini. E alla fine le spiegò dei suoi genitori, di come i Blue non fossero la sua vera famiglia e di quanto lui avrebbe desiderato trovare i suoi veri mamma e papà, quelli delle sue visioni.

Alla fine, a storia completata, Oliver smise di parlare.

La signorina Belfry aveva un’espressione stupefatta. Annuì lentamente mentre i suoi occhi si spostavano da una parte e dall’altra. Era come se stesse tentando di elaborare tutto quello che lui le aveva appena raccontato. Era un sacco di roba da assimilare in un colpo solo, Oliver ne era consapevole. Sperava che il cervello della professoressa non esplodesse per lo sforzo.

“Affascinante,” disse alla fine.

Si appoggiò allo schienale della sua sedia, gli occhi fissi su di lui. Aveva lo sguardo pieno di curiosità e meraviglia.

Oliver aspettò, lo stomaco che gli si contorceva nell’attesa.

Alla fine la signorina Belfry si picchiettò il mento con un dito e disse: “Posso vedere questa tua bussola?”

Oliver la prese dalla sua borsa e gliela porse. La donna la esaminò molto lentamente. Poi si animò all’improvviso.

“Ne ho vista una simile, una volta…”

“Davvero?”

“Sì, apparteneva al professor Nightingale di Harvard. Un mio vecchio insegnante. L’uomo più brillante che abbia mai conosciuto.”

La sua eccitazione era palpabile. Oliver la guardò saltare in piedi dalla sedia e correre allo scaffale. Ne tirò fuori un libro di testo e glielo porse.

Oliver guardò il libro con curiosità. Lesse sulla copertina: “La teoria del viaggio nel tempo” Sussultò e il suo sguardo si sollevò di scatto portandosi a fissare la signorina Belfry. “Io non… non capisco.”

La professoressa si rimise a sedere. “La materia del professor Nightingale era la fisica, con una certa enfasi sui viaggi nel tempo.”

Oliver si sentiva girare la testa. “Pensa che possa essere un indovino? Come me?”

Aveva pensato che non ci fossero altri indovini nella sua linea temporale. Ma forse il professor Nightingale lo era. Forse era questo il motivo per cui la bussola lo aveva portato prima di tutto dalla signorina Belfry.

“Ogni volta che mi insegnava di un nuovo inventore, parlava come se lo conoscesse personalmente.” Si portò una mano alla bocca e scosse la testa incredula. “Ma ora mi rendo conto che era proprio così. Deve aver viaggiato nel tempo per incontrarli!”

Oliver si sentiva travolto. Il cuore iniziò a battergli selvaggiamente in petto. Ma la signorina Belfry gli mise una mano sulla spalla, dandogli conforto.

“Oliver,” gli disse con gentilezza, “penso che dovresti incontrarlo. Penso che la strada per arrivare ai tuoi genitori – e al tuo destino – sia collegata a lui.”

Non appena lo disse, la signorina Belfry sussultò.

“Oliver, guarda.”

Oliver vide che le lancette sulla sua bussola si stavano spostando. Una indicava il simbolo di una foglia di olmo. La seconda era invece puntata su un disegno che assomigliava a un uccello e la terza restava puntata su un cappello da laureato.

Oliver sgranò gli occhi sorpreso.

Indicò la foglia di olmo. “Boston.” Poi l’uccello. “Nightingale. Usignolo.” E infine il cappello. “Professore.” Sentì una forte ondata di eccitazione crescergli dentro. “Ha ragione. Devo andare a Boston. Conoscere il professor Nightingale. È lui ad avere l’indizio successivo.”

La signorina Belfry scribacchiò rapidamente qualcosa sul suo quaderno per gli appunti e poi strappò la pagina. “Ecco. Questo è il suo indirizzo.”

Oliver prese il pezzo di carta e osservò l’indirizzo di Boston. Quello era quindi il tassello successivo nel puzzle della sua impresa? Il professor Nightingale era un altro indovino?

Piegò con attenzione il foglietto e se lo mise in tasca, improvvisamente desideroso di iniziare il suo viaggio. Saltò in piedi.

“Aspetta,” disse la signorina Belfry. “Oliver, il libro.” Il libro del professor Nightingale sui viaggi nel tempo si trovava sulla scrivania. “Prendilo,” gli disse. “Voglio che lo abbia tu.”

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