La Sfera di Kandra - Морган Райс 5 стр.


“Grazie,” rispose Oliver, sentendosi commosso e riconoscente. La signorina Belfry era decisamente la migliore insegnante non indovina che lui avesse mai avuto.

Prese il libro e andò verso la porta. Ma quando la raggiunse sentì la professoressa chiamarlo.

“Tornerai?”

Oliver si fermò e la guardò. “Non lo so.”

Lei annuì con tristezza. “Beh, se questo è un addio, allora quello che mi resta da dirti è buona fortuna. Spero tu possa trovare ciò che stai cercando, Oliver Blue.”

Oliver sentiva un forte senso di gratitudine scaldargli il cuore. Senza la signorina Belfry probabilmente non sarebbe sopravvissuto a quei miseri primi giorni nel New Jersey. “Grazie, signorina Belfry. Grazie per tutto.”

Oliver corse fuori dall’aula, ansioso di prendere il primo treno per Boston per incontrare il professor Nightingale. Ma se stava lasciando il New Jersey per sempre, c’era una cosa che doveva fare prima di tutto.

I bulli.

Era l’ora di pranzo.

E c’era un altro torto che lui doveva rettificare.


*


Scese i gradini di corsa, l’odore di patatine unte che si diffondeva dalla sala da pranzo. Lui e la signorina Belfry avevano parlato così a lungo che ormai era arrivata l’ora di pranzo.

Perfetto, pensò Oliver.

Di diresse verso la mensa. Era piena di studenti ed estremamente rumorosa. Vide Paul e Samantha, i suoi tormentatori della lezione di scienze. Lo videro e iniziarono a indicarlo sussurrando tra loro. Anche altri ragazzi si voltarono, tutti ridendo di Oliver. Vide i ragazzi che gli avevano tirato addosso i palloni in cortile. I ragazzi della lezione del professor Portendorfer che si divertivano quando il vecchio insegnante insisteva nel chiamarlo Oscar.

Oliver osservò con attenzione fino a che non trovò il suo bersaglio: Chris e i suoi amici. Quelli erano i ragazzi che gli avevano dato la caccia durante il temporale. Che lo avevano inseguito costringendolo a nascondersi in un bidone dell’immondizia. Che lo avevano chiamato strambo e matto, oltre a tutta una serie di nomignoli orribili.

Anche loro lo notarono. La ragazza meschina che portava i capelli raccolti in rigide trecce abbozzò un sorriso. Diede un colpetto al ragazzo allampanato con le lentiggini che aveva guardato divertito mentre Chris teneva stretto Oliver. Per quanto ne sapevano, ieri avevano dato la caccia a Oliver in mezzo a un temporale, costringendolo a nascondersi in un bidone dell’immondizia. Vedendoli sorridere maliziosamente, Oliver strinse i denti e provò un’improvvisa ondata di rabbia.

Anche Chris sollevò lo sguardo. Qualsiasi cenno di paura avesse mostrato nel salotto la notte precedente era sparito, ora che era circondato dai suoi amici bulli.

Anche trovandosi dall’altra parte della sala mensa, Oliver poté leggergli il labiale e capire le parole che Chris diceva ai suoi amici. “Oh, guarda, c’è il ratto annegato.”

Oliver fissò tutta la sua concentrazione sul loro tavolo. Poi evocò i suoi poteri da indovino.

I vassoi iniziarono a sollevarsi dalla tavola fluttuando in aria. La ragazza fece un salto indietro con la sua sedia, completamente terrorizzata.

“Cosa sta succedendo?”

Anche il ragazzo con le lentiggini e quello più grassoccio balzarono in piedi, emettendo versi di paura. Chris si alzò di scatto dalla sua sedia. Ma non sembrava avere paura. La sua espressione era più che altro furiosa.

Tutt’attorno al tavolo altri studenti iniziarono a girarsi per vedere cosa fosse quella confusione. Quando videro i vassoi sollevarsi in aria come per magia, tutti andarono nel panico.

Oliver portò i vassoi sempre più in alto. Poi, quando furono più o meno a livello della testa, li fece rovesciare.

Il loro contenuto cadde come pioggia sulle teste dei bulli.

Vedete che bello essere ricoperti di immondizia, pensò Oliver.

Nella mensa scoppiò il pandemonio. I ragazzi iniziarono a strillare e a correre dappertutto, spingendosi a vicenda nella loro fretta di arrivare all’uscita. Uno dei tormentatori di Oliver, ricoperto di purè dalla testa ai piedi, scivolò sui fagioli che erano caduti sul pavimento. Percorse in scivolata il pavimento, spingendo a terra un altro ragazzo che stava scappando.

Nel mezzo del caos, Oliver vide Chris dall’altra parte della sala, gli occhi socchiusi fissi su di lui. Il suo volto era rosso di rabbia. Spinse in fuori il petto per apparire più minaccioso.

Ma Oliver non si sentiva per niente minacciato. Neanche un po’.

“Tu!” gridò Chris. “So che sei stato tu! L’ho sempre saputo! Hai degli strani poteri, vero? Sei uno strambo!”

Andò a grandi passi verso Oliver.

Ma Oliver era già due passi avanti. Spinse in fuori i suoi poteri, ricoprendo il pavimento sotto ai piedi di Chris di olio denso e scivoloso. Chris iniziò a ondeggiare, poi a barcollare, fino a scivolare a terra. Non riuscì a mantenere l’equilibrio e cadde di peso sul sedere. Scivolò poi sul pavimento, andando dritto in direzione di Oliver come se fosse su uno scivolo d’acqua.

Oliver aprì la porta di uscita e Chris vi scivolò attraverso, gridando per tutto il tragitto. Finì nel cortile, traportato dall’invisibile scivolo di olio creato da Oliver, scomparendo poco distante.

“Ciao ciao,” lo salutò Oliver.

Sperava che quella fosse l’ultima volta che vedeva Christopher Blue.

Sbatté la porta e girò sui tacchi.

A testa alta, Oliver attraversò la caotica sala da pranzo e percorse con sicurezza i corridoi della Scuola Media Campbell. Non si era mai sentito meglio. Niente avrebbe potuto fermare quella sensazione.

Quando ebbe raggiunto l’uscita, spinse le doppie porte con entrambe le mani. Una folata di aria fredda e pulita lo colpì. Oliver fece un profondo respiro e si sentì rinvigorito.

E fu lì che la vide.

Era in piedi in fondo ai gradini, sola. Capelli neri. Occhi verde smeraldo.

Oliver non ci poteva credere. Il cuore gli balzò in gola mettendosi improvvisamente a battere a un chilometro al minuto. Il cervello iniziò a vorticare mentre tentava disperatamente di elaborare come… perché…

I palmi divennero sudati. La gola si fece secca. Un brivido di eccitazione gli percorse la spina dorsale.

Perché davanti a lui c’era una visione meravigliosa.

Non era nient’altri che Esther Valentini.

CAPITOLO SEI

“Esther?” esclamò Oliver.

La prese per le spalle, osservandola in ogni dettaglio. Non poteva credere ai suoi occhi.

“Oliver,” disse Esther sorridendo. Gli lanciò le braccia addosso. “Ti ho trovato.”

La sua voce era così dolce, come miele. Era come una melodia nelle orecchie di Oliver. Oliver la tenne stretta a sé. Era una sensazione così meravigliosa poterla tenere abbracciata. Aveva pensato che non l’avrebbe rivista mai più.

Ma poi si staccò dall’abbraccio, improvvisamente allarmato. “Perché sei qui?”

Esther lo guardò con un sorriso malizioso. “C’è una macchina del tempo a scuola. Nascosta all’interno del kapok. Ho notato una piccola X intagliata sul tronco e dato che c’è una X su ogni ingresso consentito solo agli insegnanti, ho immaginato che ci fosse un modo per entrare nell’albero. Allora ho fatto un po’ di spionaggio, ho visto qualche insegnante scomparire là dentro e mi sono resa conto che doveva esserci una macchina del tempo all’interno. Severamente vietata per gli studenti, ovviamente.”

Oliver scosse la testa. Era ovvio che la brillante e talentuosa Esther Valentini avrebbe trovato una macchina del tempo nascosta. Ma nessuno l’avrebbe usata per una valida ragione, soprattutto non in una linea del tempo a cui non apparteneva! Da quello che Oliver aveva imparato alla Scuola degli Indovini, passare una significativa quantità di tempo nella linea temporale sbagliata metteva il corpo sotto sforzo. Effettivamente lui si era sentito piuttosto strano solo nel tornare indietro nella sua epoca.

Per non parlare poi del sacrificio. Non c’era nessuna garanzia di poter tornare. Dover lasciare la Scuola degli Indovini aveva spezzato il cuore a Oliver, e lui lo aveva fatto solo per salvare la vita di Armando. Quindi doveva esserci qualcosa che aveva spinto Esther a venire lì. Una ricerca, forse. Una missione. Forse la scuola era nuovamente in pericolo?

“Non come!” disse Oliver. “Perché?”

Con sua enorme sorpresa Esther fece un sorrisino. “Mi hai promesso un secondo appuntamento.”

Oliver rimase in silenzio, accigliandosi. “Intendi dire che sei venuta qui per me?”

Non riusciva a capire. C’era la possibilità che Esther non potesse tornare indietro mai più. Sarebbe potuta restare intrappolata nella linea temporale sbagliata per tutta la vita. E lo aveva fatto per lui?

Le si imporporarono le guance. Cercò di non darlo a vedere, diventando improvvisamente timida. “Ho pensato che avessi bisogno di aiuto.”

Anche se non riusciva a capire, Oliver era riconoscente per il sacrificio compiuto da Esther. Poteva benissimo restare intrappolata per sempre nella linea temporale sbagliata, e l’aveva fatto per lui. Si chiese se ciò significasse che lo amava. Non gli veniva in mente nessun altro motivo per cui una persona dovesse fare tanto per un’altra.

Quel pensiero gli fece sentire un calore che gli avvolgeva tutto il corpo. Cambiò rapidamente argomento, sentendosi improvvisamente timido e ritroso.

“Com’è andato il viaggio nel tempo?” le chiese. “Sei arrivata senza farti male?”

Esther si diede un colpetto alla pancia. “Un po’ di nausea. E mi è venuto un mal di testa tremendo, ma tutto qui.”

In quel momento Oliver ricordò l’amuleto. Lo tirò fuori da sotto la tuta da lavoro. “Il professor Ametisto mi ha dato questo prima che me ne andassi.”

Esther toccò l’amuleto con le dita. “Un indicatore di portali! Si scalda quando arrivi vicino a un condotto spazio-temporale, vero?” Sorrise con espressione spensierata. “Un giorno potrebbe guidarci dritto alla Scuola degli Indovini.”

“Ma da quando sono arrivato qui è sempre stato freddo come il ghiaccio,” disse Oliver mestamente.

“Non ti preoccupare,” gli disse Esther. “Non abbiamo nessuna fretta. Abbiamo tutto il tempo che vogliamo.” Ridacchiò per la battuta.

Anche Oliver rise.

“Ho una nuova impresa ora,” le spiegò.

Esther sgranò gli occhi entusiasta. “Davvero?”

Oliver annuì e le fece vedere la bussola. Esther la osservò meravigliata.

“È bellissima. Cosa significa?”

Oliver indicò le lancette e gli strani simboli geroglifici. “Mi sta portando dai miei genitori. Questi simboli rappresentano certi luoghi e persone. Vedi, questi sono i miei genitori.” Indicò la lancetta che non si era mai spostata, quella che restava fissa sull’immagine di un uomo e una donna che si tenevano per mano. “Queste altre lancette sembrano muoversi a seconda di dove devo andare.”

“Oh Oliver, che meraviglia! Hai una missione! Dove devi andare adesso?”

Lui indicò la foglia di olmo. “A Boston.”

“Perché a Boston?”

“Non ne sono sicuro,” le rispose mentre si infilava la bussola nella tasca della tuta. “Ma ha a che vedere con il trovare i miei genitori.”

Esther mise la propria mano nella sua e sorrise. “E allora andiamo.”

“Vieni con me?”

“Sì,” rispose lei timidamente. “Se vuoi.”

“Ma certo.”

Oliver sorrise. Anche se non riusciva a spiegarsi come Esther potesse essere così tranquilla davanti al fatto che sarebbe potuta restare intrappolata per sempre nella linea temporale sbagliata, la sua presenza gli teneva alto l’umore. Tutt’a un tratto ogni cosa sembrava più pregna di speranza, come se l’universo lo stesse guidando. La sua impresa per trovare i suoi genitori sarebbe stata molto più gradevole con Esther al suo fianco.

Scesero i gradini, lasciandosi alle spalle la Scuola Media Campbell, e si incamminarono verso la stazione ferroviaria, camminando fianco a fianco. La mano di Esther era liscia in quella di Oliver. Gli dava un tale conforto.

Sebbene fosse una fresca giornata d’ottobre, Oliver non sentiva per niente freddo. Solo il fatto di essere insieme a Esther lo scaldava. Era bello vederla. Aveva pensato di non poterla rivedere mai più. Ma non riusciva a smettere di preoccuparsi che fosse un miraggio e che potesse scomparire da un momento all’altro. Quindi, mentre camminavano, continuava a lanciarle delle occhiate, giusto per assicurarsi che fosse reale. Ogni volta lei gli rivolgeva quel suo sorriso dolce e timido, scatenandogli sempre una nuova ondata di calore nel petto.

Raggiunsero la stazione e andarono al binario. Oliver non aveva mai veramente comprato un biglietto del treno prima d’ora, e la macchina automatica in un certo senso lo intimidiva. Ma poi si ricordò che era stato capace di disinnescare una bomba, quindi poteva di certo capire come far funzionare una biglietteria automatica.

Comprò due biglietti per Cambridge, a Boston, selezionando l’opzione solo andata, dato che non aveva idea se sarebbe mai tornato nel New Jersey. Il pensiero lo preoccupava.

Il viaggio fino a Cambridge sarebbe durato solo poco più di quattro ore. Guardarono il treno fermarsi al binario e salirono a bordo, trovando una carrozza tranquilla dove potersi accomodare per il lungo tragitto.

“Come stanno tutti a scuola?” chiese Oliver. “Ralph? Hazel? Walter? Simon?”

Esther sorrise. “Stanno bene. Sentiamo tutti la tua mancanza, ovviamente. Walter davvero tanto, a dire il vero. Dice che lo Switchit non è lo stesso senza di te.”

Oliver sentì le labbra piegarsi in un mesto sorriso. Anche a lui mancavano i suoi vecchi amici.

“E la scuola?” chiese. “È tutto al sicuro? Basta attacchi?”

Rabbrividì al ricordo di quando Lucas aveva condotto gli indovini malvagi nel loro attacco alla scuola. E anche se nella sua linea temporale aveva fermato Lucas, aveva la sensazione che non era del tutto finita con quel vecchio uomo malvagio.

“Nessun altro attacco da parte di pipistrelli dagli occhi luccicanti,” rispose Esther con un sorriso.

Oliver ripensò a quell’orribile momento durante la loro uscita insieme. Stavano passeggiando nei giardini, ed Esther gli stava raccontando della sua vita e della sua famiglia, di come era cresciuta nel New Jersey negli anni Settanta, quando l’attacco li aveva interrotti.

Oliver si rese ora conto che non avevano mai portato a termine quella conversazione. Non aveva mai avuto altre occasioni per scoprire chi fosse stata Esther Valentini prima di entrare nella Scuola degli Indovini.

“Veniamo dallo stesso quartiere, vero?” le chiese.

Parve sorpresa che se ne ricordasse. “Sì. Solo che con un salto di una trentina d’anni.”

“Non è strano per te? Essere in un posto che conosci bene, ma vederlo nel futuro?”

“Dopo la Scuola degli Indovini, niente mi sembra più tanto strano,” rispose lei. “Sono più preoccupata del fatto che potrei imbattermi in me stessa. Sono certa che quello è il genere di cose che potrebbero far implodere il mondo.”

Oliver valutò le sue parole. Ricordò come il vecchio Lucas avesse avvelenato la mente del giovane per fargli eseguire il suo volere. “Penso che vada tutto bene fintanto che non ti rendi conto di essere tu, se può avere senso.”

Esther si strinse le braccia attorno al corpo. “Preferisco di gran lunga non rischiare.”

Oliver guardò il suo volto farsi serio. Sembrava esserci qualcosa di nascosto dietro al suo sguardo.

“Ma non sei curiosa?” le chiese. “Di vedere la tua famiglia? Di vedere te stessa?”

Lei scosse improvvisamente la testa. “Ho sette fratelli, Oliver. Abbiamo sempre e solo litigato, soprattutto da quando hanno visto che ero stramba. E tutto ciò che mamma e papà hanno veramente fatto è stato litigare per me, discutere su cosa ci fosse di sbagliato in me.” La sua voce era sommessa e colma di malinconia. “Sto molto meglio fuori da tutto questo.”

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