Oliver si sentiva male per lei. Per quanto orribili fossero stati la sua vita e la sua maturazione, aveva profonda compassione per chiunque avesse passato dei momenti difficili.
Pensò a quanto fossero stati soli tutti i ragazzi alla scuola, tolti alle loro famiglie per andare a imparare. Al tempo si era chiesto perché nessuno di loro sembrasse solo o pieno di nostalgia di casa. Forse perché nessuno di loro tutto sommato veniva da una famiglia felice. Forse nell’essere un indovino c’era qualcosa che li separava dal resto, che rendeva sospettosi i loro genitori, infelici le loro famiglie.
Esther allora lo guardò in viso. “I tuoi veri genitori. Sei sicuro che ti accetterebbero per come sei?”
Oliver si rese conto di non averci neanche mai pensato. Lo avevano da subito abbandonato, no? E se fossero stati tanto terrorizzati dal loro particolare bambino da decidere di scaricarlo e scappare?
Ma poi ricordò le visioni in cui i suoi genitori erano venuti da lui. Erano affettuosi. Gentili. Accoglienti. Gli avevano detto che gli volevano bene e che erano sempre con lui, che lo guardavano, che lo guidavano. Era certo che sarebbero stati felici di tornare tutti insieme.
O forse era solo una sua sensazione?
“Ne sono sicuro,” disse. Ma per la prima volta, non si sentiva così certo. E se tutta questa impresa non avesse senso?
“E cosa farai quando li troverai?” aggiunse Esther.
Oliver rifletté sulle sue parole. Doveva esserci un qualche buon motivo per cui avessero dovuto rinunciare a loro figlio. Qualche motivo per cui non fossero mai venuti a cercarlo. Qualche motivo per cui ancora non erano nella sua vita.
Guardò verso Esther. “È una buona domanda. Onestamente, non lo so.”
Fecero silenzio, il treno che li faceva delicatamente dondolare avanti e indietro mentre attraversava velocemente il paesaggio.
Oliver guardò fuori dal finestrino mentre la storica città di Boston appariva all’orizzonte. Sembrava bellissima, come qualcosa uscito da un film. Un’ondata di eccitazione lo travolse. Anche se non sapeva cosa avrebbe fatto una volta trovati i suoi veri mamma e papà, non vedeva l’ora di incontrarli.
Proprio in quel momento una voce parlò dagli altoparlanti.
“Prossima fermata: Boston.”
CAPITOLO SETTE
Mentre il treno entrava in stazione, Oliver sentì il cuore che gli balzava in gola per l’eccitazione. Non aveva mai viaggiato prima d’ora – i Blue non andavano mai in vacanza – quindi trovarsi a Boston era qualcosa di entusiasmante.
Lui ed Esther scesero dal treno e si addentrarono nella trafficata stazione. Aveva un aspetto grandioso, con pilastri di marmo e sculture disseminate qua e là. Uomini e donne con eleganti completi da ufficio camminavano in ogni direzione parlando a voce alta al telefono. Per Oliver era tutto piuttosto travolgente.
“Bene, sono due miglia da qui all’Università di Harvard,” spiegò. “Dobbiamo andare verso nord e attraversare il fiume.”
“Come fai a saperlo?” gli chiese Esther. “La tua bussola dà anche le direzioni?”
Oliver ridacchiò e scosse la testa. Le indicò la grande mappa dai colori accesi che si trovava appesa alla parete della stazione. Mostrava tutti i siti turistici, inclusa l’Università di Harvard.
“Oh,” disse Esther arrossendo.
Mentre uscivano dalla stazione, una delicata brezza autunnale stava facendo svolazzare sul marciapiede le foglie cadute dagli alberi e il cielo aveva una sfumatura dorata.
Si incamminarono in direzione di Cambridge.
“Sembra tutto molto diverso rispetto alla mia epoca,” commentò Esther.
“Davvero?” chiese Oliver, ricordando che Esther veniva dagli anni Settanta.
“Sì. C’è più traffico. Più gente. Ma gli studenti sembrano uguali.” Sorrise. “Il velluto a coste marrone deve essere tornato di moda.”
C’erano effettivamente molti studenti del college che camminavano lungo le strade, molto concentrati con i loro libri sottobraccio. A Oliver vennero in mente i ragazzi della Scuola degli Indovini, che erano sempre indaffarati e con espressioni serie e concentrate in viso.
“Come pensi che stiano tutti alla scuola?” le chiese. “Mi mancano.”
Pensò ad Hazel, Walter e Simon, gli amici che si era fatto alla Scuola degli Indovini. Ma più di tutti gli mancava Ralph. Ralph era la persona più vicina a un migliore amico che Oliver avesse mai avuto in vita sua.
“Sono certa che stanno benone,” rispose Esther. “Saranno impegnati a lezione. La dottoressa Ziblatt stava proprio iniziando le sue lezioni di proiezione astrale quando sono partita.”
Oliver sgranò gli occhi. “Proiezione astrale? Mi spiace perdermi quella roba.”
“Anche a me.”
Oliver percepì un accenno di malinconia nella voce di Esther. Si chiese ancora cosa avesse spinto Esther a seguirlo fino a lì. Aveva come la sensazione che ci dovesse essere di più nella sua storia, qualcosa che non gli stava dicendo.
Raggiunsero il ponte che attraversava il fiume Charles. Era gremito di studenti del college. Nell’acqua di sotto si potevano vedere barche a remi, canoe e kayak. Sembrava un posto molto animato e vibrante.
Iniziarono a percorrere il ponte.
“La tua bussola è cambiata?” chiese Esther.
Oliver controllò. “No, mostra sempre quei quattro simboli.”
Esther gli porse la mano con il palmo rivolto verso l’alto e Oliver gliela passò. Lei la osservò con ammirazione. “Mi chiedo cosa sia. Da dove venga. Sono sorpresa che Armando non lo sapesse, dato che è un inventore.”
“Penso sia tecnologia indovina,” disse Oliver. “Cioè, solo l’universo conosce le linee temporali e può guidare qualcuno a percorrerle, quindi deve essere così.”
Esther la ripassò a Oliver, che la rimise attentamente nella tasca della tuta da lavoro.
“Chissà se il professor Nightingale lo saprà,” disse Esther. “Hai detto che dovrebbe essere un indovino, no?”
Oliver annuì. Era curioso riguardo alla bussola, e ancora più curioso di conoscere il professor Nightingale.
“Pensi che sappia qualcosa dei tuoi genitori?” gli chiese Esther.
Oliver sentì un piccolo nodo formarsi in gola. Deglutì. “Non voglio essere troppo speranzoso. Ma tutti i segni mi stanno portando lì. Quindi sono ottimista.”
Esther sorrise. “È lo spirito giusto.”
Raggiunsero la fine del ponte e imboccarono la strada principale. Il traffico era molto pesante qui, quindi presero una delle tante stradine laterali che scorrevano parallelamente.
Erano solo a metà della via quando Oliver notò un gruppo di ragazzi un po’ più grandi di lui ed Esther che stavano fermi nell’ombra. Provò un improvviso senso di pericolo.
Mentre lui ed Esther si avvicinavano al gruppo, i ragazzi improvvisamente sollevarono lo sguardo e fissarono gli occhi su di loro. Iniziarono a darsi colpetti col gomito e a sussurrare, chiaramente parlando di Oliver ed Esther. I loro sguardi maligni rendevano piuttosto ovvio il fatto che non avessero intenzioni amichevoli.
“Oh-oh, pare che ci siano dei guai,” disse Esther, avendoli chiaramente visti a sua volta.
Oliver ricordò i bulli con cui aveva avuto a che fare alla Scuola Media Campbell. Non si sentiva per niente spaventato come un tempo mentre gli si avvicinava, ma sentì Esther che gli si stringeva contro. Pareva intimidita.
“Bella tuta da lavoro!” esclamò uno dei ragazzi.
Gli altri si misero a ridere.
“Cosa sei?” gli chiese un altro. “Uno spazzacamino o roba del genere?”
Oliver tenne gli occhi fissi davanti a sé. Affrettò il passo. Accanto a lui, Esther fece lo stesso.
“Ehi!” gridò il primo ragazzo. “Sto parlando con te!”
Improvvisamente il gruppo li circondò. C’erano in tutto cinque ragazzi, e formavano un cerchio attorno a Oliver ed Esther. Esther pareva decisamente stressata dalla situazione.
“Per favore,” sussurrò sottovoce a Oliver. “Niente combattimenti. Non penso che il mio scudo possa bastare contro cinque.”
Ma Oliver era calmo. Aveva visto la forza di Esther. E aveva anche lui i suoi poteri. Messe insieme le cose, nessuno poteva fare loro del male. Nessun mortale, a ogni modo.
Oliver tenne il mento alto. “Scusate,” disse educatamente. “Dovremmo passare.”
Il primo ragazzo, il più alto del gruppo, incrociò le braccia. “Non fino a che non vi sarete svuotati le tasche. Andiamo.” Porse la mano con il palmo rivolto verso l’alto. “Cellulare. Portafoglio. Dammi qua.”
Oliver non si scompose. Parlò con voce fredda e determinata. “Non ho un cellulare né un portafoglio. E anche se li avessi, non te li darei.”
Da accanto a lui, Oliver sentì la voce di Esther, poco più che un sussurro. “Oliver. Non provocarli.”
Il ragazzo che aveva parlato si mise a ridere fragorosamente. “Oh, davvero? Allora dovrò prendermeli da solo.”
Fece per lanciarsi contro Oliver.
“Io non lo farei,” gli disse Oliver.
Subito Esther scagliò uno dei suoi scudi, innalzando così una barriera attorno a loro. Il ragazzo vi andò a sbattere contro. Rimase confuso. Provò ancora, ma la barriera impenetrabile lo fermò un’altra volta, come un vetro antiproiettile.
“Cosa stai aspettando, Larry?” chiese un altro ragazzo. “Prendilo!”
“Non riesco,” balbettò Larry, sempre più confuso. “C’è qualcosa in mezzo.”
“Ma di che parli?” chiese un altro della banda.
Anche questo si lanciò in avanti, ma andò a sbattere contro la barriera di Esther, emettendo uno sbuffo di dolore.
Oliver guardò verso Esther. Stava facendo un ottimo lavoro, ma lo sforzo era visibile sul suo volto mentre tentava di tenere la barriera al suo posto. Doveva fare qualcosa per aiutarla.
Oliver si ritirò nella sua mente, visualizzando il vento che sferzava in mezzo alle foglie autunnali, trasformandole in un tornado. Poi spinse fuori quell’immagine.
Subito le foglie iniziarono a vorticare. Colonne di vento salirono in aria, roteando e formando dei turbini. Oliver ne creò cinque, uno per ogni ragazzo.
“Cosa sta succedendo?” gridò Larry, il vento che gli faceva volare selvaggiamente i capelli.
Oliver si concentrò. Rinforzò i venti con la sua mente, poi li spinse fuori.
In un istante, i ragazzi si trovarono picchiati dalle folate di aria e foglie. Tentavano di scansarle, dimenando le braccia come se fossero attaccati da uno sciame di api, ma non servì a nulla. I tornado di Oliver erano troppo forti per loro.
Si girarono e scapparono di corsa. Il vento era così violento che inciamparono più di una volta nella loro fuga.
Oliver prese la mano di Esther, che stava ridendo.
“Andiamo, prendiamo un’altra strada.”
CAPITOLO OTTO
L’Università di Harvard era un posto dall’aspetto impressionante. L’architettura era bellissima, con miriadi di edifici e torrette in mattoni rossi. C’era un ampio cortile erboso circondato da caffetterie, bar e biblioteche.
“Come facciamo a trovare il professor Nightingale?” chiese Esther. “Questo posto è enorme!”
Oliver prese il libro che la signorina Belfry gli aveva dato. Andò alle pagine con la biografia del professor Nightingale e lesse a voce alta.
“Il Professor Nightingale opera presso il Dipartimento di Fisica dell’Università di Harvard, dove conduce esperimenti nello storico Laboratorio di Farnworth nel Centro Scientifico, insieme al suo piccolo team di brillanti studenti dottorandi.”
Esther indicò verso un edificio dall’altra parte del cortile. “Lì. Quello è il Centro Scientifico.”
Oliver ripose il libro. Attraversarono il prato e salirono i gradini che portavano all’ingresso dell’edificio. In cima si trovava una guardia della sicurezza.
“Documento d’identità visitatori?” disse bruscamente l’uomo, porgendo la mano con il palmo verso l’alto.
“Documento d’identità visitatori?” ripeté Oliver. Iniziò a tastarsi le tasche della tuta da lavoro. “Oh… mmm. Dove diamine l’ho messo?”
“Qui!” disse improvvisamente Esther.
Oliver la guardò tirare fuori qualcosa dalla propria tasca, porgendolo alla guardia. Si rese conto che aveva dovuto usare i suoi poteri per alterare qualcosa che assomigliava a un pass. Sperava che avesse fatto un lavoro abbastanza convincente.
Ma la guardia lo osservò senza la minima espressione in volto, prima di restituirglielo.
“Uno vero, signorina,” disse. Sembrava molto annoiato, come se un paio di ragazzini che tentavano di sgattaiolare in una biblioteca fossero poco più che un inconveniente per lui. “Non questo cartellino fasullo.”
Oliver si scervellò. Il tentativo di Esther di creare un documento dall’aspetto credibile era fallito. Doveva escogitare un altro piano.
Si guardò in giro alla ricerca di ispirazione e vide un bidone dell’immondizia dall’altro lato dei gradini. Velocemente usò i suoi poteri per far salire del fumo dal contenitore.
“Oh no! Penso che il bidone stia prendendo fuoco!” gridò.
La guardia corse subito a occuparsene. Oliver ed Esther colsero la loro occasione e si intrufolarono nell’edificio.
“Ben fatto,” gli disse Esther mentre percorrevano velocemente il corridoio.