L’ascesa dei Draghi - Морган Райс 6 стр.


Ma mentre ci rimuginava sopra, Merk si rese infine conto che non era pronto a morire. Non ora. Non quel giorno. Non adesso che era pronto a ricominciare daccapo. Non adesso che iniziava a godersi la vita. Voleva una possibilità per cambiare. Voleva una possibilità di servire la Torre. Di diventare un Sorvegliante.

“No, veramente no,” rispose.

Alla fine guardò il suo aguzzino dritto negli occhi, con una certa risoluzione che cresceva in lui.

“E per questo,” continuò, “ti darò una possibilità di lasciarmi andare prima che vi uccida tutti.”

Tutti lo guardarono in uno scioccato silenzio, prima che il capo si facesse torvo in volto e scattasse in azione.

Merk sentì la lama che iniziava a tagliargli la gola e qualcosa in lui prese il sopravvento. Era la parte professionale di lui, quella che aveva allenato per tutta la vita, la parte di lui che non poteva sopportare oltre. Significava spezzare il suo giuramento, ma non gli interessava più.

Il vecchio Merk tornò con tale rapidità, come se non fosse mai svanito, e in un battito di ciglia si ritrovò nuovamente in modalità assassino.

Merk si concentrò e vide tutti i movimenti dei suoi avversari, ogni tic, ogni punto di pressione, ogni elemento vulnerabile. Il desiderio di ucciderli ebbe il sopravvento su di lui, come un vecchio amico, e Merk gli permise di guidarlo.

Con una mossa fulminea afferrò il polso del capo, affondò le dita in un punto di pressione, schiacciò fino a sentirlo scricchiolare, poi afferrò il pugnale mentre cadeva e con un movimento rapido tagliò la gola dell’uomo da orecchio a orecchio.

Il capo lo guardò con espressione sbigottita prima di afflosciarsi al suolo, morto.

Merk si voltò verso gli altri e tutti lo guardarono impressionati, a bocca aperta.

Ora toccava a lui sorridere, mentre li guardava tutti godendo di ciò che stava per accadere.

“A volte, ragazzi,” disse, “semplicemente si fa casino con la persona sbagliata.”

CAPITOLO CINQUE

Kyra si trovava al centro del ponte affollato sentendosi tutti gli occhi puntati addosso, tutti in attesa della sua decisione sul destino del cinghiale. Le sue guance erano rosse: non le piaceva trovarsi al centro dell’attenzione. Amava però suo padre per averla riconosciuta e provava un forte senso di orgoglio, soprattutto perché aveva rimesso la decisione a lei.

Ma allo stesso tempo sentiva anche il peso di una forte responsabilità. Sapeva che qualsiasi scelta avesse preso avrebbe deciso il destino del suo popolo. Per quanto detestasse i Pandesiani, non voleva la responsabilità di gettare la sua gente in una guerra che non potevano vincere. Però non voleva neanche tirarsi indietro e rinvigorire così gli uomini del Lord, mandando in disgrazia il suo popolo e facendolo apparire debole, soprattutto dopo che Anvin e gli altri avevano così coraggiosamente resistito.

Si rendeva conto che suo padre era saggio: mettendo la decisione nelle sue mani aveva fatto in modo che sembrasse che la decisione fosse loro, non degli uomini del Lord, e che solo quel gesto avesse salvato la faccio al suo popolo. Si rese anche conto che aveva lasciato a lei la decisione per un altro motivo: doveva sapere che quella situazione richiedeva una voce estranea perché entrambe le parti si salvassero la faccia, e aveva scelto lei perché era conveniente, perché sapeva che non era una tipa avventata, che era la voce della moderazione. Più ci pensava e più capiva che questo era il motivo per cui l’aveva scelta: non per incitare alla guerra – altrimenti avrebbe scelto Anvin – ma per trarre il suo popolo d’impaccio.

Kyra giunse a una decisione.

“La bestia è maledetta,” disse con tono sprezzante. “Il cinghiale ha quasi ucciso i miei fratelli. Viene dal Bosco di Spine ed è stato ucciso alla vigilia della Luna d’Inverno, un giorno in cui ci è vietato cacciare. È stato un errore portarlo attraverso i cancelli: avremmo dovuto lasciarlo a marcire nel bosco, il luogo cui appartiene.”

Si voltò con tono derisorio verso gli uomini del Lord.

“Portatelo al vostro Lord governatore,” disse sorridendo. “Ci fate un favore.”

Gli uomini del Lord spostarono lo sguardo da lei alla bestia e la loro espressione mutò: ora apparivano come se fossero stati morsi da qualcosa di marcio, come se non lo volessero più.

Kyra vide che Anvin e gli altri la guardavano con espressione di approvazione, di gratitudine, suo padre più di tutti.  Ce l’aveva fatta: aveva permesso alla sua gente di salvare la faccia, aveva risparmiato loro una guerra ed era riuscita a beffare nello stesso tempo Pandesia.

I suoi fratelli lasciarono cadere il cinghiale a terra. Esso atterrò sulla neve con un tonfo e loro si fecero indietro, umiliati, le spalle chiuse.

Tutti gli occhi erano ora puntati sugli uomini del Lord che stavano lì non sapendo cosa fare. Chiaramente le parole di Kyra aveva colpito nel segno: ora guardavano la bestia come se fosse qualcosa di orrendo trascinato fuori dalle viscere dell’inferno. Era evidente che non lo volevano più. E ora che apparteneva loro, sembravano aver perso ogni desiderio di possederlo.

Il loro comandante, dopo un lungo e teso silenzio, alla fine fece cenno ai suoi uomini di raccogliere la bestia. Poi si voltarono e se ne andarono, chiaramente seccati, come se avessero capito che erano stati beffati.

La folla si disperse, la tensione svanì e si percepì subito un senso di sollievo. Molti degli uomini di suo padre le si avvicinarono guardandola con approvazione e posandole una mano sulla spalla.

“Ben fatto,” disse Anvin. “Un giorno sarai un’ottima sovrana.”

Il popolo del villaggio si disperse e ognuno tornò per la sua strada; la frenesia riprese, la tensione si dissolse e Kyra si voltò cercando gli occhi di suo padre. Lo trovò intento a guardarla a pochi passi da lei. Di fronte ai suoi uomini era sempre riservato quando si trattava di lei e questa volta non fu diverso: aveva un’espressione differente, ma le fece un cenno quasi impercettibile, un cenno che lei sapeva essere di approvazione.

Kyra guardò oltre e vide Anvin e Vidar che stringevano le loro lance e il suo cuore accelerò.

“Posso venire con voi?” chiese ad Anvin, sapendo che era diretto verso il campo da allenamento come il resto degli uomini di suo padre.

Anvin lanciò un’occhiata nervosa a suo padre, sapendo che non avrebbe approvato.

“La neve si stava facendo più fitta,” rispose esitante. “E si sta anche facendo buio.”

“Ma questo certo non vi ferma,” ribatté Kyra.

Lui sorrise.

“No, è vero,” ammise.

Anvin guardò ancora il padre di Kyra e voltandosi lei lo vide scuotere la testa prima di girarsi e tornare all’interno.

Anvin sospirò.

“Stanno preparando grandiosi festeggiamenti,” le disse. “È meglio che tu vada dentro.”

Kyra poteva sentirne il profumo, l’aria era pregna dell’odore di carne arrosta e lei vide i suoi fratelli girarsi e dirigersi verso l’interno insieme a decine di paesani, tutti che si affrettavano a preparare la festa.

Ma Kyra si voltò e guardò bramosamente verso i campi, verso i terreni da esercitazione.

“Un pasto può aspettare,” disse. “L’allenamento no. Lasciatemi venire con voi.”

Vidar sorrise e scosse la testa.

“Sei sicura di essere una ragazza e non un guerriero?” le chiese.

“Non posso essere entrambe le cose?” rispose.

Anvin fece un profondo sospiro e alla fine scosse la testa.

“Tuo padre mi farebbe scorticare,” disse.

Ma alla fine annuì.

“Non accetterai mai un no come risposta,” concluse, “e hai più cuore tu della metà dei miei uomini. Immagino che potremo accettare un altro membro.”

*

Kyra correva nel mezzo del paesaggio ammantato di neve, seguendo Anvin, Vidar e numerosi uomini di suo padre, con Leo sempre al suo fianco. La nevicata di stava facendo più intensa, ma lei non se ne curava. Provava un senso di libertà, di esaltazione, come sempre quando oltrepassava il Cancello del Combattente, un basso arco intagliato nelle pareti di pietra che contornavano il campo da allenamento. Respirò profondamente quando il cielo si aprì e lei entrò di corsa in quel luogo che amava più di qualsiasi altro al mondo, con le sue dolci colline ora ricoperte di neve, incasellato tra le mura di pietra che si allungavano forse per quattrocento metri su ogni lato. Sentiva che tutto era come avrebbe dovuto, vedendo gli uomini che si allenavano, che si incrociavano in sella ai loro cavalli, brandendo le lance e mirando a bersagli distanti o scontrandosi tra loro. Questa era vita per lei.

Quel terreno da allenamento era riservato agli uomini di suo padre: alle donne non era permesso entrarvi, né ai ragazzi che non avessero ancora raggiunto l’età di diciotto anni e che non vi fossero stati invitati. Brandon e Braxton attendevano impazientemente ogni giorno di essere convocati, ma Kyra sospettava che non sarebbe mai accaduto. Il Cancello del Combattente era per persone d’onore, guerrieri rafforzati dalla battaglia, non per palloni gonfiati come i suoi fratelli.

Kyra correva in mezzo al prato sentendosi più felice e viva qui che in qualsiasi altro posto sulla faccia della terra. L’energia era intensa, il luogo era gremito da decine dei migliori guerrieri di suo padre, tutti con armature leggermente diverse, guerrieri provenienti da ogni regione di Escalon, tutti gravitati lì nel corso del tempo, all’interno del forte di suo padre. C’erano uomini che venivano dal sud, da Thebus e Leptis; dalle terre di mezzo, soprattutto dalla capitale Andros, ma anche dalle montagne di Kos; c’erano occidentali di Ur, uomini di fiume da Thusis e anche i loro vicini da Esephus. C’erano uomini che vivevano vicino al Lago di Ire e uomini che provenivano da lontano, addirittura dalle cascate di Everfall. Indossavano tutti diversi colori, diverse armature e armi, tutti uomini di Escalon ma ciascuno rappresentante di una specifica roccaforte. Era una stupefacente esibizione di potere.

Suo padre, il campione del precedente re, un uomo che incuteva grande rispetto, era l’unico uomo di quei tempi, in quel regno fratturato, attorno al quale gli uomini potessero raccogliersi. In effetti quando il vecchio re aveva ceduto il suo regno senza combattere, era stato a suo padre colui a cui il popolo si era rivolto perché prendesse il trono e conducesse la battaglia. Nel tempo i migliori guerrieri del re precedente lo avevano cercato e ora, con l’esercito che diveniva ogni giorno più grande, Volis stava raggiungendo una forza che poteva quasi rivaleggiare con la capitale. Kyra si rendeva conto che forse era per questo che gli uomini del Lord sentivano la necessità di umiliarli.

In qualsiasi altro luogo di Escalon i Lord governatori di Pandesia non permettevano ai cavalieri di unirsi, non concedevano tali libertà, per paura di una rivolta. Ma qui a Volis era diverso. Qui non avevano scelta: dovevano per forza permetterlo perché avevano bisogno dei migliori uomini per mantenere Le Fiamme.

Kyra si voltò a guardare, oltre le mura, oltre le ondeggianti colline bianche, in lontananza, all’orizzonte, anche attraverso la nevicata, dove – anche se a malapena – si poteva scorgere il lieve bagliore di Le Fiamme. Il muro di fuoco che proteggeva i confini orientali di Escalon – Le Fiamme – un muro di fuoco spesso quindici metri e altro diverse decine, ardeva con brio come sempre, illuminando la notte. Il loro contorno era visibile all’orizzonte e si faceva più evidente quando calava il buio. Allungandosi di quasi ottanta chilometri, Le Fiamme erano l’unica barriera frapposta tra Escalon e la nazione dei selvaggi troll dell’est.

Anche con queste condizioni parecchi troll irrompevano all’interno ogni anno scatenando il caos, ma se non fosse stato per i Guardiani – i coraggiosi uomini di suo padre che sorvegliavano Le Fiamme, Escalon sarebbe stata una nazione schiava dei troll. I troll, che avevano paura dell’acqua, potevano attaccare Escalon solo via terra e Le Fiamme erano l’unico mezzo per tenerli a bada. I Guardiani sorvegliavano la barriera a turni, pattugliavano a rotazione e Pandesia aveva bisogno di loro. Altri girovagavano nei pressi di Le Fiamme – reclute, schiavi e criminali – ma gli uomini di suo padre, i Guardiani, erano gli unici veri soldati del gruppo e gli unici che sapevano come mantenere Le Fiamme.

In cambio Pandesia concedeva a Volis e ai suoi uomini molte piccole libertà, come quei campi per gli allenamenti e armi vere. Era un piccolo assaggio di libertà che li faceva sentire ancora veri guerrieri, anche se era solo un’illusione. Non erano uomini liberi e tutti lo sapevano. Vivevano in un precario equilibrio tra libertà e schiavitù che non andava giù a nessuno.

Ma qui almeno, al Cancello del Combattente, questi uomini erano liberi come un tempo, guerrieri che potevano competere, allenarsi e affinare le loro abilità. Rappresentavano il meglio di Escalon, erano i guerrieri migliori che Pandesia avesse da offrire, tutti veterani de Le Fiamme, e tutti impegnati nei turni lì, ad appena un giorno di viaggio di distanza. Ciò che Kyra voleva più di ogni cosa era entrare a far parte dei loro ranghi, mettersi alla prova, essere collocata di servizio a Le Fiamme, combattere contro veri troll che attraversavano e aiutare a proteggere il regno dall’invasione.

Ovviamente sapeva che non le sarebbe mai stato permesso. Era troppo giovane per essere reclutata ed era una ragazza. Non c’erano altre ragazze nei ranghi e anche se ce ne fossero state, suo padre non gliel’avrebbe mai permesso. Anche i suoi uomini l’avevano guardata come una bambina quando aveva iniziato a fare loro visita anni fa. Erano divertiti dalla sua presenza, come una spettatrice che stava a guardare. Ma dopo che gli uomini se n’erano andati lei era rimasta, da sola, allenandosi ogni giorno e ogni notte nei campi vuoti, usando le loro armi e i loro bersagli. Inizialmente si erano sorpresi arrivando il giorno seguente e trovando segni di frecce nei loro bersagli, ancora più stupiti quando quei segni erano al centro. Ma nel tempo vi si erano abituati.

Kyra aveva iniziato a guadagnarsi il loro rispetto, soprattutto nelle rare occasioni in cui le era stato permesso di unirsi a loro. A tutt’oggi, dopo due anni, tutti sapevano che lei era capace di colpire i bersagli che la maggior parte di essi non era in grado di raggiungere, e la loro tolleranza nei suoi confronti si era trasformata in qualcos’altro: rispetto. Ovviamente lei non aveva combattuto in battaglia, come quegli uomini; non aveva mai ucciso un uomo né era stata di guardia a Le Fiamme, neppure aveva incontrato un troll in battaglia. Non era in grado di far roteare una spada, un’ascia da guerra o un’alabarda, né combattere corpo a corpo come facevano quegli uomini. Non aveva per niente la loro forza fisica e la cosa le dispiaceva immensamente.

Ma Kyra aveva capito di avere un’abilità naturale con due armi, ciascuna delle quali la rendeva, nonostante la sua corporatura e il suo sesso, un avversario formidabile: il suo arco e il suo bastone. Il primo lo aveva acquisito naturalmente, mentre nel secondo era incappata accidentalmente, lune prima, quando si era trovata a non poter sollevare una spada neanche con due mani. In quel momento gli uomini avevano riso della sua incapacità di brandire una spada e come insulto uno di essi le aveva lanciato un bastone.

“Vediamo se magari sei capace di sollevare questo bastoncino!” le aveva gridato, e tutti gli altri avevano riso. Kyra non aveva mai dimenticato la vergogna di quel momento.

All’inizio gli uomini di suo padre avevano visto il suo bastone come uno scherzo; del resto loro lo usavano solo come arma da allenamento. Loro erano uomini coraggiosi che brandivano spade a doppia mano, asce ed alabarde, uomini che potevano tagliare un albero con un solo colpo. Guardavano il suo bastone come un giocattolo e questo le aveva guadagnato ancora meno rispetto di quanto già non avesse.

Ma lei aveva trasformato uno scherzo in un’inaspettata arma di vendetta, un’arma da temere. Un’arma contro la quale ora neppure gli uomini di suo padre sapevano difendersi. Kyra era rimasta sorpresa dalla sua leggerezza, e ancora più sorpresa di scoprire che era naturalmente piuttosto brava nel maneggiarlo, tanto veloce da colpire mentre i soldati ancora stavano sollevando le spade. Più di un uomo contro cui aveva combattuto era rimasto ricoperto di lividi: un colpo alla volta si era costruita la strada verso il rispetto.

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