Un Bacio per le Regine - Морган Райс 5 стр.


“Stai attenta,” la avvisò Rupert. Il suo dolore lo stava strozzando come un pugno, e l’unico modo che conosceva per reagire era la rabbia.

Angelica si spostò in avanti per baciarlo. “Sto attenta, amore io, mio re. Ci prenderemo il tempo per questo, ma presto dovrai dare loro direzioni, in modo da avere un regno da governare.”

“Che bruci,” disse Rupert di riflesso. “Che bruci tutto.”

“Potrai anche intenderlo sul serio adesso,” disse Angelica, “ma presto lo vorrai. E poi, beh, c’è il pericolo che non ti permettano di averlo.”

“Permettermi di avere la mia corona?” disse Rupert. “Sono re!”

“Tu sei l’erede,” disse Angelica, “e abbiamo costruito il tuo supporto nell’Assemblea dei Nobili, ma quel supporto potrebbe dissolversi se non stai attento. I generali che stai ignorando si chiederanno se uno di loro debba governare. I nobili faranno domande riguardo a un re che mette il proprio dolore davanti alla loro sicurezza.”

“E tu, Angelica?” chiese Rupert. “Cosa pensi? Tu sei leale?”

Le sue dita andarono quasi automaticamente all’elsa di un pugnale, sentendone la confortante presenza. Angelica mise la propria mano sulla sua.

“Penso di aver scelto il mio posto in questo,” disse, “ed è accanto a te. Ho inviato qualcuno a gestire parte della minaccia della flotta. Se una morte può rallentarci, può rallentare facilmente anche loro. Dopodiché potremo fare insieme tutto ciò che va fatto.”

“Insieme” disse Rupert prendendo la mano di Angelica.

“Sei pronto?” gli chiese lei.

Rupert annuì, anche se in quel momento il dolore dentro di lui era troppo forte per poter essere annullato. Non sarebbe mai stato pronto per il momento in cui avrebbe dovuto dire addio a sua madre.

Entrarono insieme nel tempio. Era stato allestito per un funerale di stato, con una fretta quasi inverosimile, con ricchi drappi di colori scuri che riempivano lo spazio all’interno, intervallati qua e là dallo stemma regale. I banchi del tempio erano pieni di partecipanti al lutto, tutti i nobili di Ashton e dei dintorni, fino a miglia di distanza, insieme a mercanti e soldati, chierici e altri. Rupert se ne era premurato.

“Sono tutti qui,” disse guardandosi attorno.

“Tutti quelli che avrebbero dovuto venire,” rispose Angelica.

“Quelli che non ci sono, si possono considerare traditori,” disse seccamente Rupert. “Li farò trovare e uccidere.”

“Certo,” rispose Angelica, “dopo l’invasione però.”

Gli pareva strano aver trovato qualcuno che fosse così prontamente d’accordo con tutte le cose che si dovevano fare. A suo modo era spietata quanto lui, bella e intelligente. Anche lei era lì per questo, in piedi accanto a lui con l’abilità di far apparire squisito il suo abito nero, pronta a sostenere Rupert mentre avanzava nel tempio, verso il punto in cui si trovava la bara di sua madre, in attesa di essere sotterrata, la corona posta al di sopra.

Un coro iniziò a cantare un requiem mentre loro avanzavano, e l’alta sacerdotessa innalzò le sue preghiere alla dea. Niente di tutto ciò era originale. Non ce n’era stato il tempo. Lo stesso Rupert voleva assoldare un compositore non appena tutto questo fosse finito. Avrebbe fatto costruire statue per sua madre. Avrebbe…

“Ci siamo,” disse Angelica, guidandolo verso il suo posto a sedere, in prima fila. C’era posto a sufficienza lì, nonostante la folla presente nell’edificio. Forse i guardiani che si trovavano lì centravano qualcosa.

“Siamo qui riuniti per fare da testimoni alla morte di una grande figura tra noi,” disse l’alta sacerdotessa quando Rupert ebbe preso posto. “La vedova regina Mary della Casata di Flamberg è andata dietro alla maschera della morte, tra le braccia della dea. Piangiamo la sua morte.”

Rupert la piangeva, il dolore saliva in lui mentre la sacerdotessa parlava di come sua madre fosse stata una grande sovrana, di quanto fosse stato importante il suo ruolo nell’unire il regno. L’anziana sacerdotessa fece un lungo sermone sulle virtù che si trovavano nei testi sacri e che sua madre aveva incarnato, poi uomini e donne iniziarono a farsi avanti per parlare della sua grandezza, della sua cortesia, della sua umiltà.

“È come se stessero parlando di qualcun altro,” sussurrò Rupert ad Angelica.

“È il genere di cose che ci si aspetta dicano a un funerale,” rispose lei.

Rupert scosse la testa. “No, non è giusto. Non è giusto.”

Si alzò e andò davanti a tutti, senza curarsi di qualche signore già impegnato nel parlare di quella volta che aveva conosciuto la vedova e intessendo il racconto con grandi elogi. L’uomo si fece indietro e rimase in silenzio quando Rupert si avvicinò.

“State tutti dicendo delle sciocchezze,” disse Rupert, la voce che usciva facilmente. “State parlando di mia madre e ignorate chi fosse veramente! Dite che era buona, e gentile, e generosa? Non era niente di queste cose! Era dura. Era spietata. Sapeva essere crudele.” Fece un gesto con la mano indicando i presenti. “C’è qui qualcuno a cui non abbia fatto del male? A me ne ha fatto abbastanza. Mi trattava come se non fossi minimamente degno di essere neanche suo figlio.”

Poté sentire i sussurri tra la gente presente. Che sussurrassero. Lui era il loro re ora. Quello che pensavano non contava.

“Però era forte,” disse. “È grazie a lei se avete un paese. Grazie a lei se i traditori di questa terra sono stati cacciati, e la loro magia soppressa.”

Gli venne in mente un pensiero.

“Io sarò ugualmente forte. Farò quello che serve fare.”

Andò alla bara e prese la corona. Pensò a quello che Angelica aveva detto dell’Assemblea dei Nobili, come se lui avesse bisogno del loro permesso. La prese e se la mise in testa, ignorando i sussulti dei presenti.

“Seppelliremo mia madre come la persona che era,” disse Rupert, “non secondo le vostre bugie! Lo ordino, in quanto vostro re!”

Angelica corse da lui e gli prese la mano. “Rupert, stai bene?”

“Sto bene,” rispose di scatto. Un altro impulso lo travolse mentre guardava la folla. “Conoscete tutti Milady d’Angelica,” disse. “Bene, ho un annuncio per voi. Questa sera la prenderò in moglie. Siete tutti tenuti a partecipare. Chiunque non lo faccia, verrà impiccato.”

Questa volta non ci fu nessun sussulto. Forse perché non potevano essere più scioccati di così. Forse avevano già capito tutto. Rupert si avvicinò alla bara.

“Ecco, madre,” disse. “Ho la tua corona. Mi sto per sposare e domani salverò il tuo regno. Ti basta? Sì?”

Parte di Rupert si aspettava una risposta, un segno. Non ci fu nulla. Nient’altro che il silenzio della folla che guardava, e il profondo senso di colpa che in qualche modo ancora si insinuava sempre più a fondo in lui.

CAPITOLO SEI

Dal balcone di una casa a Carrick, il Maestro dei Corvi guardava i suoi eserciti che si riunivano, osservandoli attraverso gli occhi delle sue creature. Sorrideva tra sé e sé nel frattempo, pervaso da un senso di soddisfazione.

“I pezzi sono al loro posto,” disse mentre i suoi corvi gli mostravano le navi in raccolta, i difensori che accorrevano a costruire barricate. “Ora è giunto il momento di guardarli cadere.”

Il tramonto color sangue andava a braccetto con il suo umore oggi, come anche le grida che provenivano dal cortile sotto al suo balcone. Le esecuzioni del giorno stavano procedendo a ritmo serrato: due uomini continuavano a tentare di fuggire, un potenziale ladro e una moglie che aveva pugnalato suo marito. Stavano legati a dei pali mentre gli aguzzini lavoravano con spade e funi per strangolare.

I corvi discesero su di loro. C’era probabilmente chi credeva che lui godesse della violenza di quei momenti. La verità era che non gli importava proprio. La cosa che contava era solo il potere che tali morti gli portavano attraverso i suoi animali.

Il Maestro dei Corvi si guardò attorno osservando i comandanti che aspettavano istruzioni da lui, vedendo se qualcuno tremasse o distogliesse lo sguardo dalle scene sottostanti. La maggior parte non lo fece, perché avevano imparato ciò che li aspettava. Un giovane ufficiale però deglutì mentre guardava. Probabilmente avrebbe dovuto tenerlo d’occhio.

Per un momento o due il Maestro dei Corvi riportò la sua attenzione alle creature che sorvolavano Ashton. Mentre ruotavano e sfrecciavano, gli mostravano la distesa della flotta in avanzata, la forza distaccata che cercava di approdare più lontano lungo la costa. Un corvo su un muro gli mostrò un gruppo di uomini di Ishjemme con abiti da mercanti che aprivano un baule nascosto pieno di armi vicino al fiume. Una cornacchia vicino al cimitero della città udì degli uomini che parlavano di ritirarsi quando fosse sopraggiunto l’attacco, lasciando che i nobili si arrangiassero.

Sembrava una combinazione che avrebbe lasciato le sue bestiole a becco asciutto. Non poteva permetterlo.

“Abbiamo un compito da eseguire,” disse agli uomini che aspettavano quando ebbe riportato la sua attenzione a se stesso. “Seguitemi.”

Li condusse giù attraverso la casa, dando per scontato che gli altri lo stessero seguendo. I servitori si facevano da parte, felici di non essere in mezzo ai piedi mentre così tante persone potenti scendevano. Il Maestro dei Corvi poteva percepire il loro risentimento e la loro paura, ma non aveva importanza. Era solo l’inevitabile conseguenza del governare.

Nel cortile, le grida erano svanite tramutandosi in quel silenzio che solo la morte poteva portare. Anche la più silenziosa delle creature viventi portava con sé il minimo suono della respirazione, o la vibrazione di un cuore che batteva. Ora solo il gracchiare dei corvi spezzava il silenzio mentre i corpi pendevano inermi dai pali.

“Bisogna mantenere l’ordine,” disse il Maestro dei Corvi guardando verso l’ufficiale che aveva mostrato un accenno di disgusto. “Siamo una macchina composta di molti pezzi, e ciascuna parte deve giocare il suo ruolo. Ora che sono usciti dai loro confini, il ruolo di questi tre è di nutrire gli uccelli spazzini.”

Quelli stavano volando in grossi numeri ora, posizionandosi sui cadaveri ancora caldi e iniziando a banchettare. Il Maestro dei Corvi poteva già sentire il potere che iniziava a scorrere nel suo stormo grazie alle morti, insieme alle centinaia di altri che si trovavano in tutto l’impero del Nuovo Esercito nello stesso istante. C’erano addirittura alcuni dei suoi uccelli che stavano mangiando nel regno della vedova.

È ora di prendere il controllo,” disse, risucchiando quel potere e tracciando delle linee argentate di conseguenza all’interno della sua mente. Ciascuna di esse rappresentava una possibilità, una scelta. Il Maestro dei Corvi non aveva modo di sapere quale si sarebbe realizzata: lui non era la donna della fontana, né un vero veggente. Però poteva vedere abbastanza da sapere dove andare a esercitare la sua influenza. Dove andare a spingere per gli effetti che desiderava.

Protese i suoi poteri verso gli uccelli svolazzanti attorno ad Ashton. La sua mente cercò i punti in cui alcune parole ben piazzate avrebbero potuto sortire un buon effetto, e corvidi di ogni genere vennero dal cielo per gracchiarle.

Un corvo atterrò vicino al comandante della guardia della città di Ashton, i suoi occhi neri fissi su di lui.

“Settentrionali sul fiume,” gracchiò mentre il Maestro dei Corvi pronunciava le parole. “Settentrionali sul fiume, mascherati da mercanti.”

Decise di non aspettare per guardare lo shock dell’uomo mentre tentava di comprendere il senso di ciò che stava accadendo. Invece il Maestro dei Corvi spostò la propria attenzione verso un corvo nel cimitero, facendolo atterrare su una lapide vicino a dove si trovavano i cospiratori che progettavano di fuggire.

“Siate coraggiosi,” gracchiò l’uccello. “Vi stanno sorvegliando.”

Per equilibrare la cosa, inviò un altro uccello vicino a uno dei muri principali, e gli fece pronunciare una premonizione di morte. Riuscì a intessere coraggio e codardia, diede degli slanci e raccontò bugie, intrecciando il tutto in un incantesimo di cose note del tutto o per metà.

Non tutti gli uccelli ebbero successo. Inviò un uccello nero verso la finestra del principe Rupert, ma la trovò sbarrata. Mandò un corvo verso le navi che aspettavano nel porto, lo fece ruotare basso attorno all’ammiraglia di Ishjemme, ma colse l’attenzione di un giovane che sollevò lo sguardo. Il Maestro dei Corvi conosceva quel giovane. Era quello che l’aveva ferito con una lama a Ishjemme. Ora fissava l’uccello e la sua mano andò alla cintura, da dove estrasse una pistola con velocità inumana…

“Dannazione!” ringhiò il Maestro dei Corvi mentre ritraeva di scatto l’attenzione dall’uccello appena in tempo.

Lasciò stare la flotta degli invasori. Concentrò invece la propria attenzione sulla città, trovando piccole cose che potessero dare o prendere il coraggio alle persone, che potessero alimentare la loro rabbia o renderli negligenti. Fece rubare da una gazza l’anello nuziale di una donna che lavava dei bicchieri, poi lo fece cadere ai piedi del soldato con cui era sposata. Non c’era dubbio che l’uomo avrebbe trascorso la battaglia chiedendosi perché non ce l’avesse al dito, e se lui dovesse piuttosto stare a casa. Fece sollevare una candela accesa a un corvo, che la lasciò cadere in mezzo a un gruppo di edifici abbandonati dove le fiamme fecero subito presa.

“Lasciamo che decidano se vogliono salvare le loro case dagli invasori o dal fuoco,” disse.

C’erano cento altri uccelli intenti in cento altre commissioni, ciascuno che impiegava un briciolo di potere, ma tutti un investimento nel caos che ne sarebbe scaturito. Alcuni parlavano con i soldati, altri a uomini e donne che aveva inviato per quel momento, quelli che stavano a raccontare storie degli orrori di Ishjemme a coloro che le ascoltavano, o che suggerivano una ribellione sanguinaria contro la linea della vedova, o entrambe le cose.

Il Maestro dei Corvi prese una battaglia che sarebbe stata una facile vittoria per gli invasori e la trasformò in qualcosa di più complesso, più pericoloso e più letale.

Quando tornò a se stesso, stava sorridendo per quello che aveva ottenuto. Gli uomini pensavano ai grandi lavori di magia e pensavano ai simboli sui tomi antichi, eppure lui aveva appena eseguito qualcosa di molto più grandioso, e con molto meno. Si guardò attorno osservando i suoi ufficiali, sempre guardando con espressione diligente i corvi che beccavano i morti.

“Il nemico avrà la sua battaglia ad Ashton domani,” disse. “Sarà una cosa sanguinaria, con molti morti da entrambe le parti.”

Non poté trattenere una nota di soddisfazione a quel pensiero. Dopotutto lui era il motivo principale per cui così tanti sarebbero morti.

“Quando colpiremo, mio signore?” chiese uno dei comandanti della sua flotta. “Ha degli ordini per noi?”

“Sei desideroso di attaccare?” gli chiese il Maestro dei Corvi.

“Sì, mio signore,” disse l’uomo. Si batté un pugno sul petto. “Li voglio schiacciare per l’umiliazione che ci hanno inflitto l’ultima volta.”

“Anche io,” disse un generale. “Voglio che sappiano che il Nuovo Esercito è più forte.”

Seguì un coro di assenso, ogni uomo sembrava mirare con sempre maggior forza verso la battaglia, per mostrare quanto fosse impegnato nel riparare per il fallimento dell’attacco al regno della vedova. Forse era quello il punto. Forse tutti volevano mostrare di poter fare di meglio. Forse pensavano che ci fossero in ballo le loro pelli se avessero fallito di nuovo.

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