Per Te, per Sempre - Софи Лав 4 стр.


Entrò nella stanza e sedette sul pavimento accanto a una delle molte scatole che contenevano i vecchi giocattoli e vestiti di sua sorella, che erano stati portati giù dalla soffitta, dove erano stati accuratamente immagazzinati.

Questo compito era sempre venato di malinconia. Anche se Emily sentiva che lo spirito di Charlotte si trovava con lei in quella casa, a guardar giù e sorridere a lei e alla famiglia che si era costruita, sembrava sempre un po’ come se sparisse di più ogni giorno che passava. Il tempo avrebbe dovuto lenire il dolore, ma a Emily pareva che più giorni passassero senza la sorella più le mancasse, perché l’ultima volta che si erano parlate era un po’ più lontano nel passato.

Aprì la scatola di cartone, un odore di polvere ne uscì. Come la maggior parte degli scatoloni, questo era pieno di peluche. Emily fu sorpresa di vedere che Charlotte aveva avuto così tanti giochi di pezza. Aveva a malapena ricordi della sorella che giocava con orsacchiotti o bambole. Trascorrevano la maggior parte del tempo immaginando mondi e recitando storie. A parte le bambole di pezza gemelle e l’orsacchiotto preferito di Charlotte, Andy Pandy, Emily non ricordava che avessero mai giocato con giocattoli del genere.

Ma quando si allungò per estrarre un giocattolo rosa sbiadito, Emily sentì l’improvviso insorgere di un ricordo. Rivoltò il gioco nelle mani e vide che era un unicorno, col corno un tempo brillantemente paillettato ormai opaco.

“Brillantini,” mormorò a voce alta, il nome del giocattolo le apparve sulla lingua ancor prima che la testa si fosse messa in moto.

Poi improvvisamente provò una sensazione familiare di vertigini, che non sentiva da molto tempo. Stava scivolando nel passato, nei suoi vecchi ricordi.

I flashback erano cominciati la prima volta che era tornata alla locanda. All’inizio erano stati terrificanti, spaventosi ricordi come quello della notte in cui era morta Charlotte e quelli dei litigi sempre più violenti tra i suoi genitori. Però poi, a mano a mano che il tempo passava, a mano a mano che processava quei ricordi repressi, Emily aveva cominciato a sperimentarne alcuni di più piacevoli. Volte in cui lei e Charlotte avevano giocato insieme; erano state spensierate. Questo ricordo riempì Emily di una sensazione di calma, e seppe che sarebbe stato un ricordo bello.

Lei e Charlotte erano in soffitta, in una delle stanze che suo padre aveva riempito di antichità. Sul pavimento accanto a loro c’era un mappamondo di bronzo, e Charlotte lo faceva ruotare pigramente con un dito. Seduta vicino a Charlotte c’era Brillantini, il bellissimo unicorno giocattolo. Nuovissimo, di un soffice rosa, con un corno paillettato.

“Brillantini è triste,” disse Charlotte a Emily.

“Perché?” chiese Emily curiosamente, udendosi uscire dalla gola una voce da bambina.

“Perché lei è l’ultimo unicorno,” spiegò Charlotte. “Non ha nessun altro amico unicorno.”

“È una cosa triste,” rispose Emily. “Perché non la porti all’avventura per tirarla su di morale?”

Charlotte parve riprendersi al suggerimento. “Dove vuoi andare, Brillantini?” chiese al giocattolo. Poi fece girare il mappamondo dorato e lo fermò puntando un dito. Era un’isoletta a est del continente americano. “Brillantini vuole andare su un’isola,” informò Emily.

Emily annuì. “In questo caso, faremmo meglio a salire in barca.”

Recuperarono delle vecchie sedie e dei tavoli da caffè, agitando la polvere e sollevando odore di muffa, poi le sistemarono in modo che soddisfacessero la loro fantasia di aver costruito una barca. Poi usarono una logora tenda come vela e si arrampicarono sulla barca con Brillantini.

Emily sentiva quasi il vento nei capelli mentre navigavano per l’oceano verso una spiaggia lontana. Charlotte usava un caleidoscopio come telescopio, scrutando la stanza come alla ricerca di qualcosa.

“Terra!” urlò improvvisamente.

Emily gettò l’ancora – che in realtà era una gruccia di legno per cappotti legata a una corda della tenda. Poi smontarono dalla barca e nuotarono fino alla spiaggia.

Ansimando dalla fatica, le due bambine si misero a esplorare l’isola, facendo capolino tra le cataste di oggetti antichi, fingendo che fossero un vulcano.

“Guarda qui dentro,” urlò Charlotte a Emily. “Dentro al vulcano!”

Emily scrutò dietro all’appendiabiti che Charlotte stava indicando. “Non ci credo!” esclamò, stando al gioco.

Charlotte aveva gli occhi sgranati. “È il resto degli unicorni,” disse. Poi parlò rapidamente a Brillantini. Le crollò la faccia. “Brillantini vuole scendere nel vulcano per stare con loro,” disse a Emily.

“Oh,” disse Emily, un po’ triste. “Anche se così ci lascerà?”

Charlotte guardò la cara amica unicorno e annuì. “Dice che questa è la sua isola casa. Le manca molto, e anche tutti i suoi amici. Vuole vivere qui. Però noi possiamo venire a farle visita.”

“Allora okay,” disse Emily.

Legarono le maniche dei loro cardigan insieme per fare un’imbracatura per Brillantini. Poi fecero scendere l’unicorno lungo il dorso del mobile e la lasciarono lì.

“Ti rattrista salutarla?” chiese Emily a Charlotte mentre rimontavano sulla barca di fortuna.

Charlotte scosse la testa. “No. Perché so che la vedrò ancora.”

Emily tornò improvvisamente al presente. Teneva Brillantini forte contro il petto, e la testa del giocattolo era bagnata delle sue lacrime. Da un lato si sentiva disperatamente triste, perché sapeva che Charlotte non aveva mai più avuto la possibilità di rivedere Brillantini. Ma l’altra parte di lei si sentiva lieve di gioia. Il giocattolo era un segno da parte di Charlotte, Emily ne era certa. Brillantini era stata lasciata su quell’isola, sul fondo del dorso del mobile, completamente dimenticata fino a quel momento, forse persino proprio per quel momento.

Abbracciò forte Brillantini, poi la posò, in modo commovente, sullo scaffale che dava sulla culla della piccola Charlotte. Sentì il cerchio della vita proseguire, e sorrise sapendo che, una volta arrivata, Charlotte avrebbe avuto un angelo custode a controllarla mentre dormiva.


*


Emily si rannicchiò nel letto accanto a Daniel. Era stata una giornata lunga e stancante, e si ritrovò a scivolare subito nel sonno.

“Non ci credo che siamo i proprietari di un’isola,” borbottò nel buio mentre si addormentava. “Il mio futuro non è per niente come una volta pensavo che sarebbe stato.”

Daniel se ne uscì con una risata assonnata. “In che senso?”

“Be’, non avevo mai pensato che sarei stata sposata e incinta. Non avevo mai pensato che avrei avuto Chantelle, o questa locanda.” Accarezzò il petto di Daniel, che saliva e scendeva lentamente.

“Non avevo mai pensato neanch’io che avrei avuto Chantelle o la locanda,” rispose.

“Ma sei felice che sia così?”

“Certo.”

“Sei felice che avremo un’altra bambina?”

Lui le baciò la fronte. “Ne sono molto felice,” la rassicurò.

“E che nostra figlia domani tornerà a scuola dove sta andando meravigliosamente?”

Daniel rise di nuovo. “Sì. Sono contento che Chantelle vada bene a scuola.”

Emily sorrise, soddisfatta. Il sonno sembrava pronto a prenderla.

“Sono triste solo per una cosa,” disse.

“Quale?”

“Che mio padre non ci sarà per godersi tutto quanto con noi.”

Daniel allora rimase zitto. Lei sentì le sue braccia stringersi attorno al suo corpo.

“Lo so,” disse. “Ne sono triste anch’io. Ma cerchiamo di prendere il meglio dal tempo che abbiamo con lui, adesso. Assicuriamoci che ogni giorno sia il migliore possibile. Facciamo che ogni giorno conti.”

Emily annuì in conferma. “Penso che abbiamo fatto che oggi contasse,” disse, sbadigliando. “Abbiamo comprato un’isola, dopotutto. Non accade tutti i giorni.”

Sentì il petto di Daniel fremere per una risata. Si strinse ancor di più contro di lui, felicissima e gonfia d’amore. Avvolti uno nelle braccia dell’altra, i battiti dei loro cuori si sincronizzarono. Si addormentarono all’unisono, in perfetta armonia, due persone unite dall’amore.

CAPITOLO QUATTRO

Emily bevve un ultimo sorso del caffè decaffeinato e posò la tazza sul tavolo della cucina. Aveva dormito profondamente, ma si era svegliata sentendosi intontita – in parte perché la sveglia era stata impostata un’intera ora prima dell’orario a cui si era abituata nel corso dell’estate – e avrebbe proprio beneficiato di un po’ di caffeina vera. Probabilmente era la cosa che più di tutte non vedeva l’ora di riavere, una volta arrivata la piccola Charlotte, la cosa che le mancava e che desiderava di più. Osservò con invidia Daniel bere il suo caffè dall’altra parte del tavolo della cucina.

“Okay, tesoro,” disse alla fine Emily guardando Chantelle. “È ora di andare a scuola.”

Chantelle era seduta con la testa piegata su una pila di ingranaggi di orologio, la lingua che le usciva dall’angolo della bocca, concentrata. La scodella di cereali vuota le stava accanto, abbandonata a casaccio in modo da poter proseguire con la sua missione.

“Non posso avere altri cinque minuti?” chiese, così assorbita dal suo lavoro da non alzare nemmeno lo sguardo. “Devo solo capire dove mettere questo ingranaggio.”

Da quando erano tornati dall’Inghilterra, Chantelle era stata determinata a fare un orologio come nonno Roy. Emily pensava che fosse molto dolce che Chantelle fosse così ispirata dal nonno, ma le spezzava il cuore allo stesso tempo. Lei e Daniel non avevano ancora dato a Chantelle la notizia della malattia di nonno Roy; la ragazzina sarebbe rimasta totalmente devastata dalla sua morte. Tutti quanti ne sarebbero rimasti devastati.

Daniel allora prese il comando. “No, mi dispiace, tesoro. Devi arrivare in tempo per incontrare la nuova insegnante e i nuovi compagni di classe.”

Chantelle mise giù il cacciavite con un sospiro riluttante. “Va bene.”

Emily avrebbe voluto riuscire a convincere Chantelle a fare il suo sporco e unto lavoro in un posto più appropriato – in garage, nel capanno, o in qualunque altro posto che non fosse il tavolo della cucina, a dire il vero. Ma Chantelle non la stava a sentire. Nonno Roy aggiustava gli orologi al tavolo della colazione, perciò doveva fare così anche Chantelle!

Andarono tutti al furgoncino, Daniel prese posto sul sedile del conducente dato che Emily trovava troppo scomodo mettere la pancia che continuava a crescere dietro al volante. Chantelle montò su quello posteriore, sul suo sedile.

“Non vedo l’ora che la piccola Charlotte venga con noi a scuola,” disse guardando il seggiolino che avevano appena installato (su richiesta di Amy, ovviamente, perché non si può mai sapere quando la bambina deciderà di arrivare, e l’ultima cosa che avrai voglia di fare durante la dolorosa morsa delle contrazioni sarà armeggiare con un complicato seggiolino).

“Anch’io,” disse Emily posando le mani sulla pancia tesa. Sembrava farsi sempre più scomoda a mano a mano che i giorni passavano.

“Prima verrà solo per il giro in macchina, ma non ci vorrà molto perché varchi quelle porte con te,” disse Daniel con una risatina. “Andrà all’asilo prima ancora che ce ne accorgiamo.”

Emily si fece assorta al pensiero. Sapeva che cosa voleva dire Daniel, che il tempo scorreva veloce, che avrebbe dovuto apprezzare ogni momento perché sarebbe scomparso come sabbia in una clessidra. Ma il futuro a cui Daniel alludeva era anche un futuro in cui suo padre sarebbe stato morto da tempo. Non ci sarebbe stato quando Charlotte avrebbe cominciato l’asilo. Non avrebbe mai viso le molte foto che Emily avrebbe scattato della due bambine che andavano a scuola insieme, mano nella mano. Quel futuro, anche se da una parte non vedeva l’ora di viverlo, sarebbe anche stato carico di dolore dall’altra. Lei sarebbe stata una persona diversa, cambiata irreparabilmente dalla perdita di Roy.

Percorsero le familiari strade di Sunset Harbor e svoltarono nel parcheggio della scuola. Era già pienissimo di genitori impazienti di depositare i figli dopo la lunga pausa estiva.

“È Bailey!” esclamò Chantelle indicando il punto in cui la sua migliore amica giocava sull’erba. I capelli castano ramato solitamente ribelli di Bailey erano stati acconciati in due lunghe trecce. Emily non aveva mai visto il suo look tanto presentabile. “Ma con chi è?” aggiunse Chantelle.

Bailey stava giocando con una bambina sconosciuta, una pallida ragazzina magrissima dai lunghi capelli biondi lisci.

“Non lo so,” disse Emily. “Non l’avevo mai vista.”

Daniel parcheggiò e smontarono dal pick-up. Emily notò Yvonne appoggiata contro la sua quattro per quattro a chiacchierare con Holly, un’altra delle madri che conoscevano.

“Perché non vai a salutarle,” le disse Daniel. “Io posso supervisionare e occuparmi del passaggio di insegnante.”

Emily ci rifletté su. Voleva conoscere la nuova insegnante, ma era bramosa di riconnettersi con le amiche della cui compagnia aveva sentito la mancanza durante l’estate.

“Sarò velocissima,” gli disse, togliendo con una mano la sicura alla portiera e aprendola.

Daniel fece una risatina e partì in direzione dei gradini dove si erano riuniti tutti gli insegnanti a supervisionare la mattinata di giochi.

Emily andò da Yvonne e abbracciò forte l’amica. Poi abbracciò anche Holly.

“Com’è andata l’estate?” chiese Emily.

Holly allora arrossì. Yvonne sembrava trattenere un sorrisetto.

“È andata benissimo,” disse Holly a Emily. “Io e Logan abbiamo portato i bambini a Vancouver da parenti.”

“E…” la incalzò Yvonne.

Emily si accigliò, facendo passare lo sguardo da una donna all’altra.

“E…” disse Holly diventando sempre più rossa. “Sono incinta.”

Emily sgranò gli occhi. “Scherzi!” esclamò.

Holly scosse la testa. Aveva un’aria timida ma elettrizzata.

“Sono felicissima per te,” esclamò Emily abbracciandola di nuovo. “I nostri bambini potranno giocare insieme.”

“Insieme a Robin,” aggiunse Holly facendo riferimento al nuovo figlio di Suzanna, che aveva due mesi appena.

“Possono fare una piccola gang,” aggiunse Emily con una risata.

Yvonne allora si intromise. “Uffa, sono gelosa. Vorrei averne un altro.”

“Era pianificato?” chiese Emily a Holly. “Arrossisci come se non lo fosse!”

“No,” le disse Holly. “È stata una sorpresa. Bella, ma Minnie non ha ancora un anno, perciò non pensavamo neanche che fosse possibile! Però a Vancouver i bambini sono stati assaliti dai parenti e siamo riusciti a riposare e a concederci degli appuntamenti romantici e, be’, una cosa tira l’altra.”

Risero tutte. Emily era felice di essere tornata nella compagnia di alcune amiche tra i genitori della scuola. Anche se Yvonne era decisamente tra le sue migliori amiche, così come Suzanna, in minore entità, il cerchio più ampio degli amici genitori era molto dipendente dal contesto. Capì allora di aver sentito la mancanza della loro compagnia, di aver sentito la mancanza di avere delle persone con cui condividere le difficoltà e le tribolazioni dell’essere genitore.

“Guardate la mia piccola Bailey,” disse quindi Yvonne gettando uno sguardo al campo da gioco. “Sta prendendo la nuova ragazzina sotto la sua ala.”

Emily allontanò lo sguardo e vide le due schizzare per il cortile. Chantelle, si accorse, non stava giocando con loro. Era invece con i maschi, Toby, Levi e Ryan, impegnata in un ben più grezzo e disordinato tipo di gioco. Si chiese perché non stessero giocando tutti insieme.

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