“Vuoi dire la scala per il belvedere?” chiese Emily. “Quella l’ho trovata. Ma è al secondo piano.”
Roy allora applaudì rumorosamente, come se deliziato dalla cosa. “Non l’hai trovata! La scala dei domestici.”
Emily scosse la testa per dire di no. “Ma ho visto i progetti di tutta la casa. Il bar era l’ultimo luogo nascosto che c’era.”
“Una cosa non può essere nascosta se si trova nei progetti!” esclamò Roy.
“Mostracela,” disse Daniel. Pareva elettrizzato, come quando avevano scoperto il bar.
Roy li condusse nel suo studio. “Non vi siete chiesti perché ci fosse lo stipite di un camino su questo muro?” Ci bussò contro, e ne uscì un suono vuoto. “Tutti gli altri stipiti dei camini sono su muri esterni. Questo è su un muro interno.”
“Non mi è neanche passato per la testa,” disse Emily.
“Be’, è qui dietro,” disse Roy. “Ti spiace darmi una mano, Daniel?”
Daniel obbedì subito. Rimossero quella che agli occhi di Emily adesso era una parete finta tappezzata in modo da essere uguale al resto della stanza. Ed eccola lì. Una scala. Semplice, niente di particolarmente bello da vedere, ma era la sua stessa esistenza a entusiasmarli.
“Non ci credo,” disse Emily avanzando. “È per questo che hai scelto di fare lo studio qui?”
“Ovviamente,” rispose Roy. “Le scale erano la scorciatoia della servitù per raggiungere il dormitorio senza essere visti da chi si trovava in casa. Va da qui giù fino al seminterrato, che è il luogo in cui un tempo dormivano i domestici.”
“E questo è l’unico accesso,” affermò Emily, capendo adesso perché non l’avesse trovata prima. Il seminterrato conteneva ancora delle stanze che non aveva esplorato, e lo studio di suo padre era la stanza sulla quale aveva lavorato meno.
Roy annuì. “Sorpresa.”
Emily rise e scosse la testa. “Così tanti segreti.”
Uscirono dallo studio e Roy andò in camera sua. Emily andò a chiudergli la porta, ma lui le si avvicinò per darle il bacio della buonanotte.
Emily si bloccò, sconvolta. Suo padre non le dava un bacio da così tanto tempo, da ben prima che scomparisse dalla sua vita.
“Buonanotte, papà,” disse frettolosamente.
Chiuse la porta e si precipitò in camera sua. Una volta che fu dentro, al sicuro, Daniel la strinse immediatamente in un abbraccio di cui aveva davvero bisogno.
“Come va?” le chiese dolcemente, cullandola delicatamente tra le braccia.
“Non riesco a credere che sia davvero qui,” balbettò lei. “Continuo a pensare che sia un sogno.”
“Di cosa avete parlato?”
“Di tutto. Cioè, so che sto ancora elaborando la cosa, ma è stato catartico. Ho la sensazione che ora possiamo lasciarci tutto il dolore alle spalle e ricominciare da capo.”
“Quindi sono lacrime di felicità quelle che mi bagnano la spalla?” scherzò Daniel.
Emily si fece indietro e rise della macchia scura che Daniel aveva sulla camicia. “Ops, scusa,” disse. Non si era neanche accorta di piangere.
Daniel la baciò con leggerezza. “Non c’è nulla di cui scusarsi. Lo capisco che sarà dura. Se devi piangere o ridere o urlare o altro, io sono qui. Okay?”
Emily annuì, molto grata di avere un uomo tanto meraviglioso nella sua vita. E adesso, con suo padre lì con lei, le pareva che tutto stesse andando davvero a posto. Almeno, dopo così tanti anni trascorsi a vivere una vita insoddisfacente, sentiva che finalmente avrebbe vissuto la vita che meritava.
Al suo matrimonio mancava solo una settimana. E adesso, per la prima volta, con tutte le persone che amava accanto a sé, si sentiva davvero pronta a compiere quel passo.
Adesso era il momento di sposarsi.
CAPITOLO DUE
La mattina seguente Emily si svegliò prima del solito, esultante. Corse di sotto a preparare la colazione – un banchetto composto da uova, toast, bacon e pancake – canticchiando felicemente tra sé e sé per tutto il tempo. Daniel scese con Chantelle poco dopo. Emily guardava l’orologio mentre il tempo passava, preoccupandosi perché suo padre non si era ancora fatto vedere.
“Perché non vai a bussare alla sua porta?” suggerì Daniel, avendo evidentemente capito il motivo delle sue occhiate furtive.
“Non voglio disturbarlo,” rispose Emily.
“Vado io,” disse Chantelle saltando giù dallo sgabello.
Emily scosse la testa. “No, tu mangia. Vado io.”
Non era sicura di cosa nell’idea di disturbare il padre la preoccupasse così tanto. Forse era l’assillante sensazione che aveva nei recessi della mente che le diceva che quando avrebbe bussato lui non sarebbe stato lì, che tutto alla fin fine si sarebbe rivelato essere un sogno.
Si avvicinò cauta alla sua stanza, poi si schiarì la voce, sentendosi una sciocca. Bussò forte.
“Papà, ho preparato la colazione. Sei pronto a venire di sotto?”
Quando non ci fu risposta, Emily provò la prima fitta di panico. Ma si riscosse. Roy poteva anche essere sotto la doccia, dove non poteva sentirla.
Girò la maniglia della porta e vide che non era chiusa a chiave. La aprì e sbirciò nella stanza. Il letto era vuoto, ma non si sentiva scrosciare l’acqua dal bagno – non c’era segno di Roy.
Emily cessò immediatamente di cercare di contenere la paura. Tutto in una volta ne venne investita. Aveva insistito troppo la sera prima? L’aveva messo a disagio all’idea di rimanere?
Si precipitò nel corridoio, poi scese la scala per la cucina. Fu solo la vista di Chantelle che sbatteva le palpebre perplessa al bancone della colazione a impedirle di urlare a Daniel. Invece si bloccò e riuscì a ricomporsi.
“Daniel, mi daresti un attimo una mano?” disse Emily cercando di evitare di fare smorfie.
Daniel alzò lo sguardo e si accigliò. Evidentemente era riuscito a vedere oltre il sorriso che si era stampata in faccia. “Con cosa?”
“Uhm…” annaspò Emily. “C’è una cosa pesante da spostare.”
“Che cosa?” insistette Daniel.
Emily pronunciò la prima parola che le venne in mente. “Carta igienica.”
Chantelle fece una risatina. “Carta igienica pesante?”
“Daniel,” sbottò Emily. “Per piacere. Vieni un attimo ad aiutarmi.”
Daniel sospirò e si alzò da tavola. Emily gli afferrò il braccio e lo spinse in corridoio.
“È papà,” sussurrò. “Non è nella sua stanza.”
Dal cambiamento di espressione, Emily capì che finalmente aveva compreso perché si stava comportando in modo così strano.
“Non se n’è sicuramente andato via,” la rassicurò Daniel massaggiandole le braccia. “Probabilmente sta facendo un giro fuori.”
“Non lo puoi sapere,” rispose Emily. Adesso stava lasciando libero sfogo al panico, e stava per mettersi a piangere.
“Controllo il giardino sul retro,” disse Daniel. “Tu controlla la casa.”
Emily annuì, contenta che le fosse stato dato qualcosa da fare. La testa le si era svuotata dalla paura.
Daniel si precipitò fuori ed Emily prese le scale, facendo due gradini alla volta. Controllò ogni camera degli ospiti aperta, ma invano. Attraverso le finestre del pianerottolo vedeva Daniel girare per il giardino. Quindi neanche lui aveva avuto fortuna.
Poi ebbe un’illuminazione. Corse alla fine del corridoio e spalancò la porta dello studio di Roy.
La stanza era al buio, con le tende tirate, ma la lampada della scrivania era accesa, creando così un effetto da riflettore sulla superficie del legno. Curvo dietro alla luce c’era l’inconfondibile figura di Roy Mitchell, piegato su qualcosa, lì ad armeggiare.
Emily lasciò uscire un grosso sospiro e posò le spalle contro la cornice della porta, lasciando che questa sostenesse il suo peso mentre la tensione la abbandonava.
“Oh, buongiorno,” disse Roy con fare innocente, alzando lo sguardo nel sentire l’esalazione. “Stavo dando una sistematina a questo.” Sollevò un orologio a cucù con la cassa aperta. Ne chiuse con delicatezza le porticine e il cucù uscì. Sorridendo, lo riposò. “Come nuovo.”
Il panico di Emily scomparve e fu sostituito repentinamente dalla felicità. Veder suo padre armeggiare era strano, nella sua familiarità. Era come se fosse sempre stato lì. Quella vista la riempì di gioia.
“Sei pronto per la colazione?” chiese.
Roy annuì e si alzò in piedi. Mentre scendevano insieme, Emily bussò alla finestra del pianerottolo da dove poteva vedere Daniel andare avanti e indietro per il giardino. Lui alzò lo sguardo ed Emily gli fece vedere il pollice sollevato. Lo vide rilassarsi dal sollievo.
Andarono in cucina, dove Chantelle stava ancora mangiando, ignara di ciò che era accaduto.
“Pare che tu abbia messo su un banchetto coi fiocchi,” disse Roy ridacchiando mentre si sedeva accanto a Chantelle.
“Come hai dormito, nonno Roy?” chiese Chantelle. Lei la sera prima si era addormentata mentre riordinava la stanza, e solo adesso lo rivedeva.
Roy si versò un bicchiere di succo di frutta. “Meravigliosamente, grazie, cara. Il letto era comodo come quello dove dormivo quando questa era casa mia.”
Al sentire quelle parole, Emily ebbe un’improvvisa preoccupazione. La casa era ancora sua. Era subentrata lei presumendo che fosse scomparso, forse morto, ma adesso che le cose non stavano più così lui aveva legalmente tutti i diritti di riprendersela.
Daniel venne a unirsi alla colazione in famiglia.
“Passeggiata di primo mattino?” gli chiese Roy mentre Daniel si accomodava.
Daniel colse lo sguardo significativo di Emily. “Non c’è niente come un po’ d’aria fresca di primo mattino,” disse con una punta di sarcasmo che Emily sapeva rivolto a lei.
“Nonno Roy mi ha appena detto di quando questa casa era sua,” lo informò Chantelle.
“Be’, in realtà è ancora sua,” spiegò Emily. Alzò lo sguardo sul padre, preoccupata. “La rivuoi?”
Roy allora si mise a ridere. “Oddio, no! Sono felicissimo che la abbia tu, tesoro. Non sto mica pensando di ritrasferirmi a Sunset Harbor.”
Emily avrebbe dovuto sentirsi felice di avere conferma che il padre non le avrebbe portato via la casa, ma invece fu tristezza che sentì alla conferma che si trovava lì solo temporaneamente. Non sapeva cosa avesse pensato, non sapeva se ci avesse anche solo pensato, ma adesso il pensiero che l’avrebbe lasciata di nuovo era bruttissimo.
Prese del pompelmo cupa, e ne mangiò una forchettata amara.
“Per quanto rimarrai con noi?” chiese Chantelle con i suoi innocenti modi di bambina.
“Solo fino a dopo il matrimonio,” spiegò Roy con una voce dolce che sembrava riservare solo a Chantelle, che Emily si ricordava di avergli sentito usare con lei quando aveva la stessa età della bimba. “È per questo che sono qui. Per aiutare con l’organizzazione.” Alzò lo sguardo su Emily. “C’è qualcosa con cui ti servirebbe aiuto?”
Emily stava ancora cercando di accettare il fatto che l’apparizione di Roy nella sua vita sarebbe stata breve e fuggevole, che appena tornato già sarebbe ripartito. L’ultima cosa a cui poteva pensare in quel momento erano le cose che doveva organizzare! E comunque era un po’ in ritardo. Mancava solo una settimana al matrimonio, quindi era già stato fatto quasi tutto.
“Puoi tenere d’occhio Chantelle mentre io mi occupo di varie cose,” disse Emily. “Se a lei non spiace.”
Chantelle sorrise. “Possiamo sistemare la serra di Trevor!”
Roy pareva interessato. “La serra di Trevor?”
“Trevor Mann, il vicino,” cominciò Emily. Poi chiuse la bocca. Il dolore per la morte di Trevor era ancora forte. Non sapeva come spiegare la situazione. “Alla fine siamo diventati amici e, be’, è morto. Col testamento mi ha lasciato casa sua.”
Roy sollevò le sopracciglia. Emily capì dalla sua espressione che i suoi rapporti con Trevor erano stati brutti.
“Trevor Mann ti ha lasciato casa sua?” chiese Roy sorpreso.
Emily annuì. “Lo so. Era un’amicizia improbabile. Alla fine io per lui ci sono stata.”
“Com’è morto?” chiese Roy con dolcezza.
“Forse non dovremmo parlarne a tavola,” li interruppe Daniel guardando Chantelle, che si era fatta piuttosto pallida.
Roy rivolse tutta la sua attenzione a Chantelle. Riportò la voce ai toni rassicuranti e paterni.
“Mi piacerebbe molto sistemare la serra con te,” disse. “Tu puoi fare il capo e dirmi cosa c’è da fare.”
Chantelle si illuminò istantaneamente. Dalla morte di Trevor era voluta disperatamente andare a controllare gli alberi, ma Emily l’aveva fermata, non ancora pronta ad aprire quella ferita.
“Posso mostrarla a nonno Roy subito?” chiese Chantelle guardando prima Daniel poi Emily.
Daniel fece un cenno in direzione di Emily, lasciando decidere a lei. Gli aveva detto così tante volte di non essere pronta a mettere piede in quella casa, che chiaramente pensava che fosse meglio che adesso decidesse lei invece di fare a Chantelle una promessa che non sarebbero stati in grado di mantenere.
“Certo, va bene,” disse Emily.
Era un po’ riluttante a mettere piede nella casa di Trevor, ma con suo padre e le persone a cui voleva bene lì a supportarla, forse non avrebbe fatto tanto male quanto si aspettava.
*
Emily fece un respiro profondo e girò la chiave del portone di Trevor. Si aprì, lasciando uscire l’aria rafferma che era stata chiusa lì per mesi. Il corridoio era buio ed Emily tremò, nervosa.
Entrò per prima, facendo strada. Dietro di lei Daniel teneva stretta la mano di Chantelle, rassicurando la piccola.
Mentre percorrevano il corridoio, Emily non poté fare a meno di richiamare alla memoria frammenti delle conversazioni fatte con Trevor. I ricordi la inondarono quando vide il tavolo dove si erano seduti per bere insieme il tè, il soffitto intonacato da dove era entrata la tempesta. Quel luogo era pieno di ricordi di Trevor. Era soverchiante pensare al giorno in cui avrebbe dovuto sistemarlo.
“La serra è per di là,” disse Chantelle.
Emily si fece da parte e permise alla bambina di prendere il comando. La seguirono tutti nel retro della casa, oltre la porta a vetri della serra.
Anche se a Trevor era piaciuto starsene seduto lì nelle sue ultime settimane, la serra era in uno stato terribile. Tutti si guardarono intorno, osservando l’enormità del lavoro che avrebbero dovuto fare per riportare quel posto alla gloria passata.
Chantelle estrasse il taccuino e si mise a prendere appunti. “Credo che ci serva una fontana,” disse. “Delle panchine, così possiamo sederci qui a leggere in estate. Anche un dondolo. Un posto dove papà può fare l’orto. E un giardino di fiori.”
“Io so tutto su quali piante crescono in quali climi,” disse Roy a Chantelle. “Posso aiutarti a scegliere i tipi giusti.”
Stava prendendo Chantelle molto seriamente, il che era una delizia per Emily. Aveva pure un taccuino e una penna rosa con le piume che stava usando per segnarsi ciò di cui avevano bisogno.
“A quali colori pensavi?” chiese Roy con fare professionale.
“Al giallo e al rosa,” disse Chantelle. “Oppure color arcobaleno.”
“Tutte scelte eccellenti.” Scrisse delle note sul taccuino. “Ci serviranno delle vetrate nuove,” aggiunse. “Per essere sicuri che il posto sia a prova d’acqua e che mantenga il calore. Ti va di fare un salto dal ferramenta?”
Chantelle annuì entusiasta. “Poi possiamo andare da Raj a prendere i semi per i fiori.”
“Dimmi un po’, hai degli attrezzi da giardino tuoi? Guanti? Un grembiule?”
Chantelle fece di no con la testa.
“Allora dovremo prendere anche quelli,” spiegò Roy. “Ogni giardiniere ha bisogno della sua tuta. Starai benissimo a quadretti verdi.”
Chantelle sorrise ed Emily si accorse che stava sorridendo anche lei. Vedere suo padre legare con la bambina grazie alla serra era un momento di cui avrebbe fatto tesoro per sempre. Ringraziò tra sé e sé Trevor per averle fatto un dono tanto generoso da permetterle di vivere un momento così bello.
Daniel scompigliò i capelli a Chantelle. “Andiamo. Vi porto io in città.”
Uscirono nel giardino di Trevor, poi attraversarono il prato in direzione del vialetto, dove era parcheggiato il pick-up di Daniel.