Spiros era diventato ben più di un semplice costruttore. Aveva un talento naturale per la progettazione, aveva imparato il disegno tecnico ed era diventato un progettista molto competente. Il suo lavoro era di aiutare a progettare le fondamenta dei grossi ganci costruiti per sollevare gli idrovolanti ospitati nella baia di Lepida, davanti alla nuova città italiana che gli italiani avevano chiamato Porto Lago. Anche se era un membro apprezzato e rispettato del gruppo, non era molto portato per le lingue e riusciva a comunicare con i manager italiani solo attraverso un interprete. Questo limitava molto la sua utilità al progetto – in particolare perché i loro interpreti non avevano esperienza nelle costruzioni e spesso avevano difficoltà con i termini tecnici.
Leggendo attentamente i progetti, Spiros aveva notato un errore nella progettazione. Controllò e ricontrollò i suoi calcoli per esserne assolutamente sicuro, ma fu in grado di vedere che c'era un potenziale errore nelle specifiche tecniche. Quella sera andò a casa preoccupato sul fatto se avrebbe dovuto sollevare il problema. Non era strettamente il suo reparto, ma si sarebbe sentito un irresponsabile se non avesse evidenziato l'errore. Decise di togliersi il pensiero il mattino successivo.
Giuseppe stava lavorando in ufficio in cantiere quando Spiros venne per esporre la sua preoccupazione sulla progettazione dell'hangar. Si guardò intorno alla ricerca dell'interprete e, rendendosi conto che non c'era, perse la pazienza e fece per andarsene.
“Buon giorno” disse Giuseppe, in greco, “Posso aiutarla?”
“No, non è nulla.” Fece per andarsene, poi si girò sorpreso,” lei parla greco?”
“Un po', sto cercando di imparare. Cosa desiderava?”
“Sto lavorando alle fondamenta dell’hangar. Non sono affari miei, lo so, ma temo che possa esserci un problema con la dimensione dei supporti per il tetto. Forse però ho torto. Non ha importanza.”
Si girò di nuovo verso la porta, ma Giuseppe lo richiamò. “E lei è?”
“Spiros Raftopoulos. Sto lavorando alle basi che tengono questi supporti. Probabilmente un errore mio,” cominciò a perdere la pazienza, “non importa.”
“Le ho progettate io. Quale è il problema?” chiese Giuseppe, con scetticismo, “mi faccia vedere.”
Spiros venne avanti e srotolò sulla scrivania il progetto che aveva con sé. Indicò le massicce travi che sorreggevano il soffitto. “Vede, queste non sembrano forti a sufficienza per reggere quell'ammontare di peso. Lei ha specificato 75 millimetri, ma con questa larghezza, credo che dovrebbero essere di almeno 150 millimetri.”
Giuseppe guardò a lungo il disegno, prese il suo regolo calcolatore per effettuare dei calcoli. Si appoggiò all’indietro e si schiaffeggiò la fronte. “Oh, vedo. Ha ragione, ho scritto la dimensione sbagliata!” disse, imbarazzato.
“Non è un problema, possiamo ancora cambiarle,” disse Spiros. “Non sono ancora state consegnate – potremmo semplicemente correggere l’ordine.”
“Grazie.” Giuseppe, ora molto sollevato, diede un colpetto sul braccio di Spiros in segno di gratitudine. “Per favore mi faccia sapere se scopre qualche altro problema.”
“Spero che non la disturbi il fatto che io venga da lei”
“Certo che no,” disse Giuseppe, “non è affatto un problema!”
Il greco fece un cenno col capo verso di lui. “Bene – grazie” disse solennemente, arrotolando il foglio e andandosene. Giuseppe srotolò la sua copia del progetto e la corresse. Non sarebbe stato per nulla popolare con i suoi capi se l’errore non fosse stato scoperto e il soffitto fosse crollato.
Quella sera, mentre andava verso casa, Giuseppe vide Spiros che usciva. “Spiros” lo chiamò, “vuoi bere qualcosa con me?”
Spiros annuì e sorrise, andando verso di lui. “Grazie, ci vorrebbe proprio.”
Andarono a uno dei nuovi bar a Porto Lago. Dopo che Giuseppe ebbe fatto un brindisi alla salute di Spiros, cominciarono a parlare del lavoro in cui erano entrambi coinvolti. L'italiano fu impressionato dalle conoscenze tecniche di Spiros e, godendosi il loro Ouzo, si accordarono che sarebbe stato un bene se avessero potuto lavorare assieme al progetto.
“Può impedirmi di fare altri errori” disse Giuseppe.
“Sono sicuro che se ne sarebbe reso conto in tempo da solo,” replicò generosamente il greco.
“Grazie. Forse sì ma se non fosse accaduto sarei finito in guai grossi.” Colpì col bicchiere il tavolo e poi toccò di nuovo il bicchiere di Spiros, con il brindisi greco “Γεια μας” (Yamas – alla nostra salute).
Il mattino seguente, Giuseppe disse al suo capo della conversazione avuta con Spiros – senza fare cenno al suo errore. “É un brav’uomo, molto esperto – e anche un bravo disegnatore. Il suo unico problema è che non parla italiano, ma visto che io parlo greco non è un problema. Ci sarebbe veramente utile. Può fare in modo che lavori con me?”
Il capo fu d'accordo, “ho sentito buone cose su di lui. L'unico rapporto negativo che ho avuto è stato riguardo al suo temperamento, perciò stia in guardia.”
Fu detto a Spiros di fare capo a Giuseppe e nel corso delle settimane successive i due lavorarono a stretto contatto. Dopo il lavoro presero l'abitudine di fermarsi al bar per un bicchiere prima di tornare a casa dalle loro famiglie.
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Quando aveva solo cinque anni, Yiannis trovò un piccolo stampo di metallo su una delle spiagge. Lasciava una forma di conchiglia quando veniva riempito di sabbia e girato. Stava giocando vicino al luogo di uno degli edifici su cui Spiros stava lavorando e trovò un sacco di cemento. Infilò il suo piccolo stampo nel cemento e lo riempì, poi corse tutto eccitato per mostrarlo a suo padre.
Spiros gli urlò contro con rabbia. “Con cosa stai giocando? Potresti gettartelo negli occhi correndo in quel modo. Dammelo!” Gli prese lo stampo e lo gettò in un vicino cumulo di detriti. Poi fece alzare la mano al bimbo, si levò la cintura e gli colpì la mano per tre volte. Il bimbo scappò via singhiozzando.
Quella sera sua moglie, Despina, gli chiese cosa fosse accaduto. “Yiannis è tornato qui in lacrime dicendo che avevi gettato via il suo gioco e lo avevi colpito. Cosa è successo?”
“È stato cattivo. Ha raccolto del cemento e stava correndo in giro. Ho pensato che gli sarebbe finito negli occhi.”
“Sì, capisco, ma perché colpirlo?”
“Deve imparare. É un ragazzo – deve capire la disciplina.”
“Disciplina! Ha solo cinque anni! Sei troppo duro con lui.”
Spiros imprecò e uscì di casa sbattendo la porta. Andò a sedersi al solito bar tenendo il muso. Alcuni dei suoi amici erano lì, ma vedendolo sedersi e guardare in cagnesco dall’angolo, all’inizio furono riluttanti ad avvicinarglisi. Alla fine, uno di loro gli chiese quale fosse il problema.
“Donne” disse. Il suo amico annuì comprensivo. “Vogliono tenere i figli nella bambagia. Despina prende sempre le parti del ragazzo. Ma lui deve imparare.” Raccontò quello che era successo.
Sebbene il suo amico fosse comprensivo, suggerì che forse non avrebbe dovuto essere così duro. “Non è un cattivo bambino e non è realmente disubbidiente. Forse dovresti farti perdonare – e cercare di far calmare la situazione. Se non ti dispiace che te lo dica, dovresti cercare di non arrabbiarti così.”
“Quindi cosa credi che dovrei fare?”
“Non mi hai detto che volevi insegnargli a nuotare? Perché non lo fai? Adesso il tempo è buono,” era ottobre e l'estate si stava prolungando, “passa un po' di tempo con lui. Questo mostrerà a lui – e a sua madre – che ti interessi. Sei un buon nuotatore, potresti insegnargli in poco tempo.”
Il fine settimana successivo, Spiros portò Yiannis sul suo asino sul sentiero che portava dal porto nella parte settentrionale fino a una spiaggia sabbiosa. Poi diede a Yiannis un pezzo di sughero che aveva raccolto sulla spiaggia per usarlo come salvagente. Portò suo figlio nel mare tiepido e lo tenne mentre mostrava al ragazzo come muovere le gambe e muoversi attraverso l'acqua. Poi legò il sughero con un nastro attorno al petto di Yiannis e gli mostrò come usare le braccia e le gambe insieme.
Il ragazzo si dimostrò un nuotatore naturale e, dopo sole poche lezioni, stava nuotando senza aiuti. Suo padre fu orgoglioso di suo figlio e l'incidente con lo stampo e il cemento fu dimenticato.
Anche se ancora molto giovane, Yiannis cominciò a aiutare Spiros in cantiere. Suo padre aveva sviluppato un sistema per creare con uno stampo i blocchi di cemento usati nelle costruzioni, e a Yiannis, all'età di otto anni, fu dato l'incarico di aiutare a distribuire i blocchi a suo padre e agli altri costruttori. Era un lavoro duro, in particolare per un ragazzo. Andava a una delle pile ordinate che erano state portate sul posto da un camion, e lì ne caricava una carriola. La spingeva con fatica verso il luogo dove stava lavorando uno dei muratori, prendeva i mattoni e li impilava pronti per essere usati.
Anche grazie a questo duro lavoro, Yiannis divenne un giovanotto forte e robusto. Era basso, come la maggior parte dei greci, ma muscoloso, con capelli e pelle scura, un bel volto e un atteggiamento serio di uno che è stato costretto a crescere troppo in fretta.
I ragazzi del villaggio che erano capaci di nuotare erano incoraggiati a sfidare le fredde acque del porto il giorno dell'Epifania. In quel giorno di gennaio, i giovani greci gareggiavano per recuperare la Croce gettata dal sacerdote per imitare il battesimo di Cristo. Ogni chiesa – e ce n'erano molte – festeggiava allo stesso modo e i giovani stavano lì in piedi sul molo avvolti in un asciugamano prima di lanciarsi in acqua per vedere chi sarebbe riuscito a recuperare la Croce. Poi sarebbero tornati indietro nuotando, il vincitore che teneva la Croce alta sopra la sua testa, per essere benedetto, tutto tremante, dal prete.
L'anno dopo aver imparato a nuotare, Yiannis chiese se poteva partecipare alla competizione. Sua madre non era molto d'accordo. “É molto piccolo per farlo e non sa nuotare da molto tempo.”
“Stupidaggini” disse Spiros. “É forte per la sua età e ora nuota veramente bene. Starà bene. Puoi portarlo in città e tenerlo al caldo fino a quando dovrà tuffarsi e poi io posso aspettarlo sul caicco e raccoglierlo subito.”
Arrivò il giorno. La chiesa aveva preparato una specie di pergola su una piattaforma in legno che avevano posto sul molo vicino al mare. Era decorata con piante rampicanti e rami di alberi di arance e limoni, con ancora i loro frutti. Il sacerdote, o “Papa”, seguito dalla sua congregazione, arrivò con i suoi paramenti più sacri, indossando una cotta bianco sporco sopra il suo normale abito talare nero, e il tradizionale cappello a cilindro nero ortodosso con un ulteriore pezzo circolare piatto posto al di sopra come un cappello a cilindro rovesciato. Sopra alla cotta c'era una stola ricamata in oro e indossava un grosso crocifisso attorno al collo e un altro lo portava con deferenza tra le sue mani. Era preceduto da un presbitero, che camminava all'indietro portando un grosso libro di preghiere aperto alla pagina di quel giorno particolare. Recitò la liturgia quando salì sulla pergola e la congregazione sul molo rispose quando opportuno, facendosi il segno della croce con devozione mentre parlava.
Il sacerdote alzò la croce e la portò da un lato all'altro, benedicendo le acque a imitazione del battesimo di Gesù da parte di Giovanni il Battista. A questo punto, tutti i ragazzi che stavano tremando vicino all'acqua, gettarono gli asciugamani che li avevano tenuti al caldo e si prepararono a tuffarsi nell'acqua gelida. Yiannis porse il suo asciugamano a sua madre e rimase in attesa, battendo i denti, fino a quando il sacerdote fece un ultimo gesto plateale con la Croce e la gettò nel mare. Tutti i ragazzi si lanciarono verso l'acqua e si precipitarono verso il punto dove era affondata la Croce.
Yiannis si era allenato per la gara e riuscì ad arrivare sul posto nello stesso momento della maggior parte degli altri ragazzi. Lì era poco profondo e lui e gli altri guardarono attraverso l'acqua limpida alla ricerca dell'oggetto di argento scintillante. Stavano tutti schizzando e increspando la superficie perciò era veramente difficile riuscire a vedere. Alcuni ragazzi si tuffarono dove pensavano potesse essere finita. Yiannis, che era stato spinto al limite del gruppo, cercò di guardare dove si stavano concentrando tutti gli altri ma fu spostato a gomitate dai ragazzi più grandi. Quando si girò per cercare di riconquistare il centro del gruppo notò un bagliore sotto di lui e si tuffò. Cercando tra le pietre sul fondo, con le orecchie che schioccavano per la pressione, le sue dita trovarono la forma della Croce. La afferrò e tornò in superficie il più velocemente possibile. La tenne trionfalmente sopra la sua testa mentre la folla sulla battigia festeggiava.
Spiros remò verso di lui e lo aiutò a uscire dall'acqua, avvolgendolo, pieno di orgoglio, con un asciugamano. Yiannis, ora entusiasta e inconsapevole del freddo, tenne la Croce sopra la testa mentre veniva traghettato al molo e aiutato dagli spettatori. Andò dal Papa e gliela consegnò. Il sacerdote disse “sei benedetto in modo speciale oggi” e fece un segno sopra la sua testa.
Quando sua madre lo ebbe asciugato, andarono con il resto della congregazione alla taverna locale e mangiarono capra, cotta su uno spiedo all'esterno, polipo locale e parecchie insalate. Gli uomini bevvero ouzo o il forte Tsipouro mentre le donne bevvero il retsina prodotto localmente. Spiros insistette che Yiannis ora era abbastanza uomo per assaggiare un po' del suo Tsipouro e Yiannis, già un po' stordito per l'eccitazione dopo la sua impresa, si ritrovò del tutto ubriaco.
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Il molo davanti alla base aeronautica era affollato. Aerei erano appena arrivati ed avevano già fatto il pieno di carburante pronti per tornare in Italia. Altri venivano trasportati dalle grandi gru e portati sui ganci per essere ispezionati e riparati. Materiali per la costruzione della nuova base navale più avanti nella baia venivano spostati da una parte all'altra.
Il figlio di Giuseppe, Marco, stava guardando suo padre che sorvegliava lo scarico di una nave da carico che consegnava materiali per la costruzione. Aveva dieci anni, un ragazzo serio e studioso, piuttosto alto per la sua età – specie rispetto ai ragazzi grechi meno ben nutriti – con l’aspetto piuttosto scuro di suo padre e la figura magra sormontata dai capelli chiari ereditati dalla madre.
Uno dei camion di passaggio stava trasportando pile di mattoni di cemento. Quando venne verso Giuseppe e Marco, dovette frenare all'improvviso e sterzare per evitare un gruppo di persone che stavano andando verso uno degli idrovolanti in attesa. Uno dei blocchi in cima alla pila scivolò e si schiantò sul molo sfiorando Giuseppe e Marco. “Ma che…” urlò Giuseppe, mentre Marco, saltando per spostarsi, cadde dal molo direttamente in mare. “Marco”, urlò suo padre. “Non sa nuotare – aiuto!” C'era un salvagente appeso nelle vicinanze e corse per gettarlo in acqua.
Yiannis, che era seduto in cabina, vide quello che stava accadendo. Senza pensarci, aprì lo sportello, saltò sul molo e si gettò in acqua. Nuotò verso il punto dove Marco aveva cominciato ad affondare e si immerse per afferrare la camicia di Marco, proprio come aveva recuperato la Croce. Lottò con il ragazzo che si agitava in preda al panico. Ansimando, tornò in superficie, prese un bel respiro prima che Marco lo tirasse giù di nuovo. Di nuovo si sforzò di tornare in superficie e sentì il pesante salvagente di sughero tirato da Giuseppe colpirlo dolorosamente sulla testa mentre riemergeva. Riuscì ad afferrarlo con la sua mano libera e a tirare Marco in superficie dove emerse facendo un sacco di schizzi alla ricerca di aria. “Calmati – Ti ho” disse, mentre Marco scalciava e muoveva le sue braccia freneticamente.