Mariti Nel Mirino - Блейк Пирс 5 стр.


Jilly si guardò allo specchio, mentre sua madre era in una cabina vicina.

Un lieve livido si stava formando sulla guancia, dove il padre l’aveva schiaffeggiata. Ma sarebbe andato tutto BENE adesso.

Il padre non poteva più farle del male. E tutto perché aveva deciso di dire finalmente la verità sul fratello minore morto. Era stato tutto quello che ci era voluto per cambiare ogni cosa.

Sul suo volto le si dipinse un piccolo sorriso, mentre ricordava la mamma che le diceva …

“Sei una ragazza coraggiosa, Jilly.”

Sì, Jilly pensò. Penso di essere abbastanza coraggiosa.

CAPITOLO SEI

Quando Riley uscì dalla toilette, non vide Jilly da nessuna parte.

La prima cosa che provò fu un lampo di rabbia.

Ricordò di averle chiaramente detto …

“Aspetta fuori dalla porta. Non ti allontanare.”

E adesso sembrava sparita.

Quella ragazza, la donna pensò.

Non temeva che perdessero il volo. Avevano molto tempo a disposizione prima di imbarcarsi. Ma aveva sperato di prendere le cose con calma e tranquillità, dopo una giornata così faticosa. Aveva programmato che facessero i controlli di sicurezza, trovassero il loro gate e poi, trovassero un buon posto in cui mangiare.

Riley sospirò scoraggiata.

Persino dopo le coraggiose azioni di Jilly nell’aula, Riley non poté fare a meno di sentirsi delusa da questa nuova dimostrazione d’immaturità.

Sapeva che se si fosse messa a cercare Jilly nel grande terminal, probabilmente avrebbero continuato a mancarsi di continuo. Cercò allora un posto dove sedersi, e attese che la figlia tornasse, il che sarebbe certamente accaduto da un momento all’altro.

Ma, mentre Riley si guardava intorno nel grande edificio aperto del terminal, intravide Jilly attraversare una delle porte di vetro che conducevano all’esterno.

O almeno pensava che fosse lei, era difficile stabilirlo da dove Riley si trovava.

E chi era quella donna con cui la ragazza sembrava essere?

Assomigliava a Barbara Long, la fidanzata di Albert Scarlatti.

Ma le due persone sparirono rapidamente tra i viaggiatori che si radunavano fuori dall’edificio.

Riley si sentì un po’ in apprensione. I suoi occhi le stavano giocando dei brutti scherzi?

No, ora era piuttosto sicura di quello che aveva visto.

Ma che cosa stava succedendo? Perché Jilly sarebbe dovuta andare con quella donna?

Riley entrò in azione. Sapeva che non c’era il tempo per trovare un senso a tutto ciò. Iniziando a correre, mise istintivamente una mano sotto la giacca leggera, e spostò la pistola che indossava all’interno della fondina sulla spalla.

Fu bloccata da una guardia di sicurezza in uniforme, che si fermò dinnanzi a lei.

L’uomo parlò con una voce calma e professionale.

“Ha un’arma, signora?”

Riley emise un gemito di frustrazione.

Disse: “Signore, non ho tempo per questo.”

Intuì dall’espressione della guardia, che aveva soltanto confermato il proprio sospetto.

L’uomo impugnò la sua arma e si spostò verso di lei. Con la coda dell’occhio, Riley vide che un’altra guardia aveva scorto l’attività, e si stava avvicinando.

“Mi lasci andare” Riley scattò, mostrando entrambe le mani. “Sono un’agente dell’FBI.”

La guardia con la pistola non rispose. Riley immaginava che non le credesse. E sapeva che era stato addestrato a non crederle. Stava soltanto facendo il suo lavoro.

Ora sembrava proprio che la seconda guardia fosse intenzionata a perquisirla.

Riley stava perdendo del tempo prezioso. Dato il suo addestramento superiore, calcolò che avrebbe potuto probabilmente disarmare la guardia armata, prima che potesse sparare. Ma l’ultima cosa di cui aveva bisogno al momento era ritrovarsi in una situazione seccante con un paio di guardie di sicurezza.

Imponendosi di restare immobile, disse: “Ascoltate, lasciate che vi mostri la mia identità.”

Le due guardie si guardarono cautamente.

“OK” la guardia armata disse. “Ma lentamente.”

Riley estrasse attentamente il distintivo e lo mostrò loro.

Le loro bocche si spalancarono.

“Ho fretta” Riley disse.

La guardia che stava di fronte a lei annuì e rinfoderò la pistola.

Con riconoscenza, iniziò a correre per il terminal, e passò oltre le porte di vetro, per ritrovarsi all’esterno.

Riley si guardò intorno. Non riusciva a vedere Jilly e neanche la donna.

Ma poi, scorse il viso della figlia nel finestrino posteriore di un SUV. La ragazza sembrava spaventata, e stava premendo le mani contro il vetro.

C’era di peggio: il veicolo stava cominciando ad allontanarsi.

Riley scattò in una corsa disperata.

Fortunatamente, il SUV si fermò. Un veicolo dinnanzi ad esso si era fermato, per consentire il transito ad alcuni pedoni, e il SUV era bloccato dietro.

Riley raggiunse il lato guidatore prima che il SUV proseguisse il suo percorso.

E, alla guida, c’era Albert Scarlatti.

Estrasse la sua pistola e la puntò attraverso il finestrino, direttamente alla testa dell’uomo.

“E’ finita, Scarlatti” gridò con tutte le sue forze.

Ma prima che se ne accorgesse, Scarlatti aprì lo sportello, sbattendoglielo contro. La pistola le cadde dalla mano, e colpì il suolo.

Riley ora era furiosa, non solo con Scarlatti, ma anche con se stessa per aver sottovalutato la distanza tra di lei e lo sportello. Per una volta, lasciò che il panico avesse la meglio su di lei.

Ma si riprese nella frazione di un secondo.

Quest’uomo non se ne sarebbe andato via con Jilly.

Prima che Scarlatti richiudesse di nuovo lo sportello, Riley ci mise dentro il braccio per bloccarlo. Lo sportello la colpì dolorosamente ma non si chiuse.

Riley mantenne lo sportello spalancato e vide che Scarlatti non si era neanche preoccupato d’indossare la cintura di sicurezza.

Lei lo afferrò per il braccio e lo trascinò, imprecando e lottando, fuori dall’auto.

Era un uomo grosso, e più forte di quanto lei si aspettasse. Lui si liberò da lei, e sollevò il pugno per colpirla al viso. Ma Riley fu più veloce. Lo colpì forte al plesso solare, e lo sentì perdere fiato, mentre cadeva in avanti. Poi, lo colpì alla nuca.

L’uomo cadde sul volto a terra.

Riley recuperò la pistola dove le era caduta, e la rimise nella fondina.

In quel momento, diverse guardie di sicurezza la circondarono. Per fortuna, una di loro era l’uomo che aveva affrontato all’interno del terminal.

“Tutto OK” l’uomo gridò alle altre guardie. “E’ dell’FBI.”

Le guardie preoccupate mantennero obbedientemente la distanza.

Ora Riley sentì Jilly gridare dall’interno dell'auto …

“Mamma! Apri il portellone”

Quando Riley si avvicinò al veicolo, vide che la donna, Barbara Long, era seduta davanti, al lato passeggero, con uno sguardo terrorizzato.

Senza dire una parola, Riley toccò il pulsante di chiusura che controllava tutti gli sportelli.

Jilly aprì il portello e uscì fuori dall’auto.

Barbara Long aprì lo sportello al suo fianco; sembrava che sperasse di scappare via. Ma una delle guardie la fermò prima che facesse due passi.

Ormai sconfitto, Scarlatti stava provando a rimettersi in piedi.

Riley si chiese …

Che cosa dovrei farne di quest’uomo? Arrestarlo? E lei?

Sembrava una perdita di tempo ed energia. Inoltre, lei e Jilly avrebbero potuto restare bloccate lì a Phoenix per giorni, insistendo con le accuse contro di lui.

Mentre provava a rimettere insieme le idee, sentì la voce di Jilly dietro di sé …

“Mamma, guarda!”

Riley si voltò e vide Jilly stringere un grosso cane dalle grandi orecchie tra le braccia.

“Avresti potuto semplicemente lasciare andare il mio ex-padre” Jilly disse con un sorriso malizioso. “Dopotutto, mi ha riportato il cane. Non è stato gentile da parte sua?”

“E’ …” Riley balbettò con stupore, provando a ricordare il nome della cucciola di cui Jilly aveva parlato.

“Questa è Darby” Jilly replicò con orgoglio. “Adesso può venire a casa con noi.”

Riley esitò per un lungo istante, poi sentì disegnarsi un sorriso sul suo viso.

Si guardò intorno, in direzione delle guardie e disse: “Fate di quest’uomo quello che volete. E anche della sua donna. Io e mia figlia abbiamo un aereo da prendere.”

Riley si allontanò dalle guardie perplesse insieme a Jilly e alla cagnolina.

“Forza” disse alla figlia. “Dobbiamo trovare un trasportino. E spiegare tutto alla compagnia.”

CAPITOLO SETTE

Mentre il loro aereo scendeva verso Washington DC, Jilly sedeva rannicchiata contro la spalla di Riley, dormicchiando. Persino la cagnolina, nervosa e lamentosa all’inizio del volo, si era accucciata. Darby si era fatta palla e dormiva serena nel trasportino, che avevano frettolosamente acquistato dalla compagnia aerea. Jilly aveva spiegato a Riley che Barbara Long le si era avvicinata fuori dalla toilette, e l’aveva convinta ad andare con lei a prendere Darby, dichiarando che odiava i cani e voleva che Jilly l’avesse con sé. Quando era arrivata all’auto, Barbara l’aveva spinta all’interno e chiuso gli sportelli, e poi si erano allontanate.

Adesso che la disavventura era terminata, Riley si ritrovò a pensare di nuovo alla strana telefonata ricevuta ieri sera da Morgan Farrell …

“Ho ucciso il bastardo” Morgan aveva detto.

Riley aveva chiamato immediatamente la polizia di Atlanta, ma non aveva ricevuto altre notizie da allora, e non aveva avuto il tempo di controllare e scoprire che cosa fosse accaduto.

Si chiese se Morgan avesse detto la verità, o se avesse mandato i poliziotti a vuoto?

Ora Morgan era in custodia?

La sola idea che quella donna fragile avesse ucciso sembrava assurda a Riley.

Ma Morgan era stata alquanto insistente.

Riley ripensò alle sue parole …

“Sto guardando il suo corpo disteso a letto, ha ferite da coltello ovunque, e ha perso molto sangue.”

Riley sapeva fin troppo bene che persino le persone più miti potevano essere portate a compiere gesti estremi. Di solito, il delitto si manifestava a causa di distorsioni nella loro personalità, qualcosa di represso e nascosto che emergeva in circostanze estreme, inducendo imprevedibilmente a commettere atti apparentemente disumani.

Morgan le aveva anche detto: “Sono stata poco lucida ultimamente.”

Forse la donna aveva soltanto fantasticato o era stata vittima di allucinazioni per tutto il tempo.

Riley si disse …

Qualunque cosa sia accaduta, non è una mia preoccupazione.

Era ora che si concentrasse sulla propria famiglia … ora aveva due figlie e, inaspettatamente, una cagnolina.

E non era anche giunto il momento che lei tornasse a lavoro?

Ma Riley non poté fare a meno di pensare che, dopo l’udienza di oggi e i drammi all’aeroporto, forse meritava un buon periodo di riposo. Non avrebbe dovuto prendersi almeno un altro giorno prima di tornare a Quantico?

Riley sospirò, quando se ne rese conto …

Probabilmente no.

Il suo lavoro era importante per lei. E pensava che potesse esserlo anche per il mondo in generale. Ma quell’idea finì per preoccuparla.

Che genere di genitore lavorava, un giorno dopo l’altro, dando la caccia ai mostri più orrendi, e finendo talvolta per trovare qualcosa più di un po’ del mostro in se stessa durante la caccia?

Sapeva che, talvolta, non poteva fare a meno di portare il suo difficile lavoro a casa con lei, a volte nel modo più tragico. I suoi casi avevano messo in pericolo le vite delle persone che amava.

Ma è quello che faccio, pensò.

E, nel profondo, sapeva che era un buon lavoro che doveva essere fatto. In qualche modo, lo doveva persino alle sue figlie: era necessario che continuasse a farlo, non solo per proteggerle dai mostri, ma anche per mostrar loro come potessero essere sconfitti.

Aveva bisogno di continuare a farlo per essere un esempio per loro.

E’ meglio così, pensò.

Appena l’aereo si fermò sulla pista, Riley scosse leggermente Jilly.

“Sveglia, dormigliona” disse. “Siamo arrivate.”

Jilly borbottò e si lamentò leggermente, poi sul volto si disegnò un sorriso, quando vide la cagnolina nel trasportino. Darby si era appena svegliata, guardava Jilly, e scodinzolava felice.

Infine, la ragazza guardò Riley con la gioia negli occhi.

“Ce l’abbiamo fatta, non è vero, mamma?” disse. “Abbiamo vinto.”

Riley strinse forte Jilly e rispose: “Ce l’abbiamo fatta, cara. Sei davvero e definitivamente mia figlia ora e io sono la tua mamma. E nulla potrà mai cambiare questo.”

*

Quando Riley, Jilly e la cagnolina giunsero a casa, trovarono April sulla soglia. Dentro c’erano Blaine, il ragazzo divorziato di Riley, e la sua figlia quindicenne, Crystal, che era anche la migliore amica di April. Anche la governante guatemalteca della famiglia, Gabriela, era in attesa con loro.

Riley e Jilly avevano annunciato la buona notizia da Phoenix e avevano chiamato di nuovo, dopo essere atterrate, in auto dirette a casa, ma non avevano menzionato la cucciola. Erano tutti pronti lì per accogliere Jilly, ma, dopo un momento, April si avvicinò per guardare il trasportino che Riley aveva appoggiato sul pavimento.

“Che cos’è?” chiese.

Jilly si limitò a ridacchiare.

“E’ qualcosa di vivo” Crystal osservò.

Jilly aprì la parte superiore del trasportino e lì c’era Darby, con gli occhioni spalancati e un po’ preoccupata per tutti i volti intorno a sé.

“Oh mio Dio, oh mio Dio, oh mio Dio!” Crystal gridò.

“Abbiamo un cane!” April gridò. “Abbiamo un cane!”

Riley rise, ricordando quanto calma e composta fosse sembrata April, quando avevano parlato soltanto la sera prima. Ora tutta la maturità di ragazza adulta era improvvisamente svanita, ed April si stava comportando di nuovo da ragazzina. Fu meraviglioso da vedere.

Jilly tirò Darby fuori dal trasportino. Non ci volle molto prima che la cagnolina cominciasse a godere di tutta l’attenzione.

Mentre le ragazze continuavano a giocare allegramente con la cagnolina, Blaine chiese a Riley: “Com’è andata? E’ davvero tutto sistemato?”

“Sì” Riley gli rispose, sorridendo. “E’ davvero finita. Jilly è legalmente mia.”

Le altre erano troppo eccitate per la presenza della cagnolina per parlare dell’adozione al momento.

“Come si chiama?” April chiese, prendendo la cagnolina.

“Darby” Jilly rispose ad April.

“Da dove viene?” Crystal domandò.

Riley sorrise e disse: “Beh, è una lunga storia. Dacci qualche minuto per sistemarci, prima di raccontarla.”

“Di che razza è?” April chiese.

“In parte Chihuahua, credo” Jilly rispose.

Gabriela prese la cagnolina, sottraendola alle mani di April e la esaminò attentamente.

“Sì, in parte Chihuahua, ed ha anche altre razze in lei” la donna tarchiata disse. Quale parola in inglese si utilizza per descrivere un cane di razza mista?”

“Meticcio” Blaine disse.

Gabriela annuì saggiamente e disse: “Sì, avete un vero meticcio qui, auténtico, davvero. Un cane meticcio è la razza migliore. Questa deve ancora crescere un po’, ma resterà piuttosto piccola. ¡Bienvenidos! Darby. ¡Nuestra casa es tuya también! Questa è anche la tua casa!”

Poi, diede la cucciola a Jilly e disse: “Vorrà dell’acqua ora, e del cibo dopo che tutto si sarà quietato. Ho degli avanzi di pollo che possiamo darle più tardi, ma dovremo presto comprarle del vero cibo per cani.”

Seguendo le istruzioni di Gabriela su come trovare un posto per Darby, le ragazze si precipitarono di sopra, in camera di Jilly, per preparare un lettino e mettere a terra dei vecchi giornali, in caso la cucciola dovesse sfogare i propri bisogni fisiologici durante la notte.

Nel frattempo, Gabriela mise del cibo in tavola: un delizioso piatto guatemalteca, chiamato pollo encebollado, pollo in salsa di cipolla. Poco dopo tutti si sedettero a mangiare.

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