Blaine, che era uno chef e proprietario di un ristorante, elogiò il pasto e fece a Gabriela una marea di domande sulle ricette. Poi, la conversazione toccò quello che era accaduto a Phoenix. Jilly volle raccontare tutto lei stessa. Blaine, Crystal, April e Gabriela restarono tutti seduti con la bocca spalancata, mentre ascoltavano della folle scena nell’aula, e poi l’avventura ancora più assurda all’aeroporto.
E, naturalmente, tutti furono felici di sentire della nuova cagnolina che era entrata nelle loro vite.
Siamo una famiglia adesso, Riley pensò. Ed è fantastico essere a casa.
Era anche fantastico poter tornare al lavoro l’indomani.
Dopo il dessert, Blaine e Crystal tornarono a casa, ed April e Jilly andarono in cucina a dar da mangiare a Darby. Riley si servì da bere e si sedette in soggiorno.
Si sentiva sempre più rilassata. Era stata davvero una giornata folle, ma ora era giunta al termine.
Il suo telefono squillò, e vide che era una chiamata da Atlanta.
Riley ne rimase scioccata. Poteva essere di nuovo Morgan? Chi altri poteva chiamare da Atlanta?
Prese il telefono e sentì una voce maschile. “Agente Paige? Mi chiamo Jared Ruhl, e sono un ufficiale di polizia di Atlanta. Ho avuto il suo numero dal centralino di Quantico.”
“Come posso aiutarla, Agente Ruhl?” Riley chiese.
Con voce incerta, Ruhl disse: “Beh, non ne sono sicuro, ma … immagino che lei sappia che abbiamo arrestato una donna per l’omicidio di Andrew Farrell ieri sera. Si tratta della moglie, Morgan. Infatti, non è lei che ci ha chiamati?”
Riley si sentì nervosa.
“Sono stata io” rispose.
“Ho anche saputo che Morgan Farrell le ha telefonato dopo l’omicidio, prima di chiamare chiunque altro.”
“Esatto.”
Cadde il silenzio. Riley sentiva che Ruhl si stava sforzando di raccogliere le idee, prima di proseguire.
Infine, disse: “Agente Paige, che cosa sa di Morgan Farrell?”
Riley strabuzzò gli occhi, preoccupata, poi rispose: “Agente Ruhl, non so se spetta a me commentare. Non so proprio nulla di quanto sia successo, e non è un caso dell’FBI.”
“Lo capisco. Mi dispiace, immagino che non avrei dovuto telefonare …”
La sua voce si bloccò.
Poi, aggiunse: “Ma, Agente Paige, non penso che Morgan Farrell sia colpevole. Non ha ucciso il marito, voglio dire. Sono nuovo in questo lavoro, e so di avere molto da imparare … ma non penso proprio che sia il tipo da farlo.”
Riley rimase stupita da quelle parole.
Certamente non ricordava Morgan Farrell come il “tipo” di persona che potesse commettere un omicidio. Ma doveva prestare attenzione a quello che diceva a Ruhl. Non era affatto certa di avere il diritto di parlare.
Chiese a Ruhl: “Ha confessato?”
“Dicono di sì. E tutti credono alla sua confessione. Il mio partner, il capo della polizia ed il procuratore distrettuale, assolutamente tutti. Tranne me. E non posso fare a meno di chiedermi, lei …?”
Non terminò la domanda, ma Riley comprese.
Voleva sapere se credeva che Morgan fosse capace di commettere un omicidio.
Lentamente ed attentamente, disse: “Agente Ruhl, apprezzo il suo interesse. Ma non devo prendere una posizione. Immagino che sia un caso locale e, a meno che l’FBI non venga chiamata ad aiutare nelle indagini, beh … francamente, non sono affari miei.”
“Naturalmente, le porgo le mie scuse” disse educatamente Ruhl. “Avrei dovuto saperlo. In ogni caso, grazie per aver risposto alla mia chiamata. Non la disturberò più.”
L’uomo pose fine alla telefonata e Riley restò seduta a fissare il telefono, sorseggiando il suo drink.
Le ragazze le passarono dinnanzi, seguite dalla cagnolina. Erano tutte dirette in soggiorno per giocare, e Darby sembrava molto felice adesso.
Riley le guardò passare, con un profondo senso di soddisfazione. Poi, i ricordi di Morgan Farrell cominciarono a farsi strada nella sua mente.
Lei ed il suo partner, Bill Jeffreys, erano andate alla villa dei Farrell ad interrogare il marito di Morgan, per la morte di suo figlio.
Ricordò come Morgan era sembrata troppo debole anche solo per stare in piedi: si era retta al corrimano dell’enorme scalinata, per sostenersi, mentre il marito troneggiava sopra di lei, come se la donna fosse stata una sorta di trofeo.
Ricordò lo sguardo di vuoto terrore negli occhi della donna.
Ricordò anche ciò che Andrew Farrell aveva detto di lei quando era stata troppo distante per poter sentire …
“Una modella piuttosto famosa quando l’ho sposata, forse l’ha vista sulle copertine delle riviste.”
E riguardo a quanto più giovane Morgan fosse stata di lui, l’uomo aveva aggiunto …
“Una matrigna non dovrebbe mai essere più vecchia del figlio maggiore del marito. Me ne sono assicurato con tutte le mie mogli.”
Ora Riley sentì lo stesso brivido che aveva avvertito allora.
Ovviamente Morgan non era stata più di un ninnolo costoso che Andrew Farrell poteva mostrare in pubblico, non un essere umano.
Infine, Riley ricordò ciò che era accaduto alla moglie di Andrew Farrell prima di Morgan.
La donna si era suicidata.
Quando Riley aveva dato il suo bigliettino da visita dell’FBI a Morgan, aveva temuto che lei incontrasse lo stesso destino, o morisse in altre sinistre circostanze. L’ultima cosa che aveva immaginato era che Morgan uccidesse il marito, o chiunque altro.
Riley cominciò a sentire un formicolio familiare, del tipo che aveva ogni volta che l’istinto le diceva che le cose non erano affatto ciò che sembravano.
Normalmente, quel formicolio indicava che lei doveva approfondire di più la questione.
Ma ora?
No, non è affatto un mio problema, si disse.
Oppure sì?
Mentre si stava scervellando sulla questione, il suo telefono squillò di nuovo. Stavolta, vide che era una chiamata di Bill. Gli aveva scritto che tutto andava bene e che sarebbe stata a casa quella sera.
“Ciao, Riley” esordì l’uomo. “Ho chiamato soltanto per sapere come va. Quindi tutto è andato bene a Phoenix?”
“Grazie di aver chiamato, Bill” rispose. “Sì, l’adozione è definitiva adesso.”
“Spero che tutto sia andato liscio, senza intoppi” Bill replicò.
Riley non poté fare a meno di ridere.
“Non esattamente” rispose. “Infatti, non proprio. C’è stata, ecco, della violenza. E una cagnolina.”
Sentì anche Bill ridacchiare.
“Violenza e una cagnolina? Sono incuriosito! Dimmi di più!”
“Lo farò quando ci vedremo” Riley replicò. “La storia sarà senza dubbio migliore se raccontata faccia a faccia.”
“Non vedo l’ora di sentirla. Immagino che ci vedremo domani a Quantico, allora.”
Riley rimase silenziosa per un momento, sentendosi sull’orlo di una strana decisione.
Poi rispose a Bill: “Credo di no. Penso che forse prenderò un altro paio di giorni di pausa.”
“Certamente lo meriti. Congratulazioni di nuovo.”
Chiusero la telefonata, e Riley si diresse di sopra in camera sua. Accese il suo computer.
Poi, prenotò un volo per Atlanta per l’indomani mattina.
CAPITOLO OTTO
Nelle prime ore del pomeriggio del giorno seguente, Riley era seduta nell’ufficio del capo della polizia di Atlanta, Elmo Stiles. L’uomo, robusto e burbero, non sembrava affatto felice di quello che gli stava dicendo Riley.
Dopo un po’ di silenzio, ringhiò infine: “Sarò chiaro, Agente Paige. E’ venuta fin qui da Quantico per interrogare privatamente Morgan Farrell, che stiamo tenendo in custodia per l’omicidio di suo marito. Ma non abbiamo chiesto aiuto all’FBI. In effetti, il caso ora è facile da risolvere. Abbiamo una confessione e tutto il resto. Morgan è colpevole, ed è tutto. Perciò, come mai si trova qui?”
Riley provò a mostrarsi sicura.
“Gliel’ho detto prima” rispose. “Ho bisogno di parlarle di una questione completamente separata, un caso diverso.”
Stiles strabuzzò scettico gli occhi e replicò: “ Un caso diverso di cui non può dirmi nulla.”
“Esatto” fu la laconica risposta di Riley.
Era una bugia, naturalmente. Per la millesima volta sin da quando era partita da Washington DC quella mattina, si chiedeva che cosa diavolo pensasse di fare. Era abituata a trasgredire alle regole, ma stava andando ben oltre il lecito, fingendo di essere lì in veste ufficiale per conto dell’FBI.
Allora perché aveva pensato che quella fosse una buona idea?
“E se dicessi di no?” Stiles sbottò.
Riley sapeva benissimo che questa era una prerogativa del capo, e, se avesse detto di no, avrebbe dovuto assecondarlo. Ma non voleva dirlo. Doveva prepararsi a fingere seriamente.
Lei rispose: “Capo Stiles, mi creda, non sarei qui se non fosse una questione dell’estrema importanza ed urgenza. Non ho affatto la libertà di dire di che cosa si tratta.”
Il Capo Stiles tamburellò con le dita sulla scrivania per alcuni istanti.
Poi disse: “La sua reputazione la precede, Agente Paige.”
Riley si sentì piccola dentro.
Questo potrebbe essere un bene o un male, pensò.
Era ben nota e rispettata tra le forze dell’ordine, per il suo grande istinto, la sua capacità di entrare nella mente dei killer, e per il suo metodo nel risolvere casi apparentemente irrisolvibili.
Era anche nota per essere talvolta una seccatura e una persona imprevedibile, e spesso finiva per non essere apprezzata dalle autorità locali che dovevano lavorare con lei.
Non sapeva a quale di quelle reputazioni il Capo Stiles si riferisse.
Avrebbe voluto poter leggere meglio la sua espressione, ma l’uomo aveva uno di quei volti che probabilmente non sembravano mai apprezzare nulla.
Ciò che Riley temeva davvero al momento era la possibilità che Stiles facesse la cosa più logica, prendere il telefono e chiamare Quantico, per avere conferma del fatto che lei si trovasse lì per conto dell’FBI. In quel caso, nessuno avrebbe potuto coprirla e sarebbe finita proprio in un bel guaio.
Beh, non sarebbe la prima volta, pensò.
Infine, il Capo Stiles smise di tamburellare con le dita e si alzò dalla scrivania.
L’uomo brontolò: “Beh, chi sono io per intromettermi negli affari dell’FBI. Andiamo, la accompagno alla cella di Morgan Farrell.”
Soffocando un sospiro di sollievo, Riley si alzò e seguì Stiles fuori dal suo ufficio, lungo i corridoi dell’affollata stazione di polizia,
Si trovò a chiedersi se qualcuno dei poliziotti intorno a lei potesse essere Jared Ruhl, l’agente che l’aveva contattata la sera prima. Ovviamente, non l’avrebbe riconosciuto se lo avesse visto. Ma lui poteva sapere chi era lei?
Riley sperava di no, per il bene di entrambi. Ricordò di avergli detto al telefono della morte di Morgan Farrell …
“Francamente, non sono affari miei.”
Era stata la cosa giusta da dire, e sarebbe stato meglio per Ruhl rimanere convinto che Riley fosse fedele alla sua decisione. Avrebbe potuto passare un brutto quarto d’ora, se il Capo Stiles avesse scoperto che era andato a fare domande fuori dal dipartimento.
Quando Stiles l’accompagnò nell’area di detenzione, Riley rimase quasi assordata dal rumore. Le detenute stavano colpendo le sbarre e litigando ad alta voce tra loro; quando videro Riley passare davanti alle loro celle, cominciarono a inveire anche contro di lei.
Finalmente, Stiles ordinò ad una guardia di aprire la cella occupata da Morgan Farrell, e Riley entrò. La donna era seduta sul letto e fissava il pavimento, apparentemente inconsapevole del fatto che qualcuno fosse arrivato.
Riley rimase scioccata dal suo aspetto. Nei suoi ricordi Morgan era estremamente magra e fragile. Lo sembrava ancora di più in quel momento, con indosso una tuta arancione, che sembrava un po’ troppo grande.
Appariva anche esausta.
L’ultima volta che Riley l’aveva vista, Morgan si era presentata ben truccata, elegante come la modella che era stata prima di sposare Andrew Farrell. Senza un filo di trucco, sembrava incredibilmente esile. Riley pensò che qualcuno che non sapesse nulla di lei avrebbe potuto scambiarla per una senzatetto.
In tono piuttosto gentile, il Capo Stile si rivolse a Morgan: “Signora, c’è una visita per lei. L’Agente Speciale Riley Paige dell’FBI.”
Morgan sollevò lo sguardo verso Riley e la fissò, quasi a chiedersi se stesse sognando.
Il Capo Stiles non attese oltre e si rivolse a Riley: “Mi chiami quando ha finito.”
Stiles lasciò la cella e ordinò alla guardia di chiudere la porta dietro di lui. Riley si guardò intorno, per vedere quale tipo di sorveglianza potesse avere la cella. Non rimase sorpresa nel vedere una telecamera. Sperava che non ci fossero anche degli strumenti audio. L’ultima cosa che voleva al momento era che Stiles o chiunque altro ascoltasse la sua conversazione con Morgan Farrell. Ma, ora che era lì, doveva sfruttare quell’occasione.
Appena Riley sedette sul letto accanto a lei, Morgan continuò a strizzare gli occhi verso Riley, quasi incredula.
Con voce stanca, lei disse: “Agente Paige. Non mi aspettavo di vederla. E’ gentile da parte sua venire a trovarmi, ma, davvero, non era affatto necessario.”
Riley iniziò: “Volevo soltanto …”
La sua voce si bloccò, quando si ritrovò a chiedersi …
Che cosa voglio esattamente?
Aveva davvero idea di che cosa ci facesse lì?
Poi, Riley chiese: “Potrebbe dirmi che cosa è successo?”
Morgan sospirò profondamente.
“Non c’è molto da dire, vero? Ho ucciso mio marito. Mi spiace di averlo fatto, mi creda. Ma ora che è fatta … beh, vorrei davvero tornare a casa adesso.”
Riley restò scioccata dalle sue parole. La donna non comprendeva in quale terribile situazione si trovava?
Non sapeva che in Georgia c'era la pena di morte?
Morgan sembrava non riuscire a tenere la testa alzata. Tremò al suono dell’urlo acuto di una donna, proveniente da una cella vicina.
Riprese: “Pensavo che sarei stata in grado di dormire in carcere. Ma ascolti tutto questo chiasso! Non smette mai, ventiquattr’ore al giorno.”
Riley studiò il volto esausto della donna.
Le chiese: “Non ha dormito molto, non è vero? E da molto tempo, suppongo?”
Morgan scosse il capo, confermando.
“Da ormai due o tre settimane, anche prima di finire qui. Andrew era entrato in uno dei suoi momenti sadici e aveva deciso di non lasciarmi sola e di non farmi dormire, giorno o notte. E’ facile per lui farlo …”
Fece una pausa, apparentemente consapevole del proprio errore, poi aggiunse: “Era facile per lui farlo. Aveva quel genere di metabolismo che posseggono gli uomini potenti. Riusciva a dormire tre o quattro ore ogni giorno. E, ultimamente, trascorreva molto tempo a casa. Perciò, mi perseguitava ovunque, senza lasciarmi alcuna privacy, entrando nella mia camera ad ogni ora, facendomi fare … ogni genere di cose …”
Riley si sentì un po’ nauseata al pensiero di quali “cose” non dette si trattasse. Era sicura che Andrew avesse sessualmente tormentato Morgan.
Morgan scrollò le spalle.
“Alla fine, sono esplosa, direi” concluse. “E l’ho ucciso. Da quello che so, gli ho dato dodici o tredici coltellate.”
“Da quello che sa?” chiese Riley. “Non lo ricorda?”
Morgan emise un lieve lamento di disperazione.
“Dobbiamo parlare di quello che ricordo e di quello che non ricordo? Ho bevuto e preso pillole prima che accadesse, ed è tutto annebbiato. La polizia ha continuato a interrogarmi, finché non ho compreso bene che cos’era accaduto. Se vuole conoscere i dettagli, sono sicura che le lasceranno leggere la mia confessione.”
Riley ebbe uno strano formicolio a quelle parole. Non era ancora certa del motivo.
“Vorrei davvero che me lo dicesse” Riley replicò.
Morgan corrugò il sopracciglio, riflettendo per un momento.
Poi disse: “Penso di aver preso una decisione … dovevo fare qualcosa. Ho atteso che andasse in camera sua quella notte. Anche in quel momento, non potevo sapere se si fosse addormentato. Ho bussato leggermente alla porta, e lui non ha risposto. Ho aperto la porta e ho guardato dentro, e lui era a letto, profondamente addormentato.”