Minaccia Primaria: Le Origini di Luke Stone—Libro #3 - Джек Марс 7 стр.


La donna scrollò le spalle. “Non posso dirlo per certo. Magari sono indigeni armati e ben addestrati. Oppure suprematisti bianchi del vecchio mondo vichingo, che cercano di dare nuovo lustro ai paesi scandinavi. Per quel che ne sappiamo potrebbero persino essere separatisti del Quebec. Non ne ho idea.”

Alla sinistra di Luke, la porta di vetro dell’altra cabina passeggeri si aprì e i due uomini uscirono. “Tutte idee interessanti, signorina Wellington,” disse il più anziano dei due. “Probabilmente sbagliate, ma per essere delle ipotesi non sono niente male.”

* * *

L’uomo più giovane indossava jeans e una T-shirt. I pantaloni gli aderivano alle gambe muscolose e la maglia sembrava dipinta sul petto possente. Sul davanti campeggiavano due parole, molto piccole, in bianco sullo sfondo nero.

GET HARD.

“Signori, sono il capitano Brooks Donaldson, dello United States Naval Special Warfare Development Group, anche noto come DEVGRU, o SEAL Team Six.”

Portava con sé una grossa muta subacquea arancione, con tanto di cappuccio, guanti e stivali. In un gesto insolito per un Navy SEAL, aveva appena appoggiato una lattina di una bevanda analcolica sul tavolino. Luke la fissò. Era ginger beer di marca Dr Peck.

“Vi voglio parlare dell’ipotermia. È una questione importante da tenere a mente. Anche se sappiamo tutto del congelamento e del suo funzionamento, nessuno può prevedere esattamente con quanta velocità e chi potrebbe essere colpito dall’ipotermia, né se sia letale. Sappiamo che è più probabile che abbia effetti mortali sugli uomini che sulle donne, e che è più rischiosa per le persone magre e muscolose — cosa che include praticamente tutti in questa cabina — rispetto a chi ha più grasso corporeo. Non perdona chi ignora i suoi effetti. In altre parole, se non siete preparati e non sapete come reagire, vi ammazzerà con facilità.”

A Luke non piacque affatto quel discorso. Nessuno gli aveva detto di prepararsi a indossare mute subacquee, a studiare gli effetti dell’ipotermia o che avrebbero lavorato con un Navy SEAL che beveva bevande gassate. L’uomo, Donaldson, indicò la muta che aveva tra le mani.

“Questa sarà la vostra prima linea di difesa contro l’ipotermia. La muta per la dimostrazione è arancione, mentre quelle che userete in missione saranno nere, ma non lasciate che ciò vi distragga. Immaginatevela scura. Che siano arancioni o nere, viola o rosa, o di qualsiasi altro colore, queste sono di ultimissima generazione, forse le migliori tute da immersione esistenti al momento. Garantiscono sia galleggiamento che protezione dall’ipotermia. Tra i loro vantaggi sono incluse un’imbracatura per il sollevamento e una sagola, guanti coibentati a cinque dita per mantenere sia temperatura che destrezza, un cuscino gonfiabile, un elmetto a perfetta tenuta stagna, chiusure ai polsi e alle caviglie regolabili, uno strato di neoprene ignifugo di 5 millimetri, un fischietto per le emergenze, tasche e stivali antiscivolo dalla suola grossa. Ma è un po' complicata da mettere e togliere in condizioni meteorologiche avverse. E io vi mostrerò come si fa.”

Tutti nella cabina lo stavano fissando.

“Ci sono domande prima che inizi?”

Murphy alzò una mano.

“Sì, agente…”

“Murphy.”

“Sì, agente Murphy. Spari.”

Murphy lanciò uno sguardo alla ginger beer sul tavolo. Si accigliò, appena un po’. Era un irlandese del Bronx. Luke non sapeva dire con certezza cosa pensasse della bevanda analcolica, ma di certo non pareva approvarla.

“Di che cosa stiamo parlando qui?”

Donaldson sembrò confuso. “Di che cosa stiamo parlando?”

Murphy annuì. Indicò la muta subacquea arancione. “Sì. Quella. Perché ci sta spiegando come si usa? Non siamo SEAL. In effetti nessuno di noi è abituato a lavorare in acqua. Newsam, Stone e io siamo tutti ex Delta Force. Specializzati in assalti aerei. Io ero nel 75esimo Rangers prima della Delta, Stone anche e Newsam era…”

Si fermò per guardare Ed. L’altro uomo era ancora stravaccato sulla poltroncina, quasi sdraiato.

“82nd Airborne,” disse lui.

“Airborne, vale a dire aviotrasportati,” ripeté Murphy. “E questa è la parola chiave. Può mostrarci quella muta fino a quando non atterreremo, continuare per tutta la prossima settimana, ma questo non farà di noi dei sommozzatori.”

“Io ho fatto qualche immersione,” intervenne Ed.

Murphy lo fissò. Luke non era sicuro, ma non credeva di aver mai visto qualcuno fissare il grosso collega in quella maniera. Ma d’altra parte Murphy era un carro armato.

“Grazie,” gli disse. “Le tue immersioni durante le vacanze ad Aruba sono davvero d’aiuto per la mia argomentazione.”

Ed sorrise e fece spallucce.

Il SEAL annuì. “Capisco cosa vuole dire. Ma questa è un’operazione subacquea. Ci lanceremo in acqua per raggiungere un campo temporaneo che stanno costruendo proprio ora su una lastra di ghiaccio galleggiante a circa due chilometri e mezzo dalla piattaforma petrolifera. Credevo che lo sapeste.”

Luke scosse la testa. “È la prima volta che ne sentiamo parlare.”

“È impossibile raggiungere il sito in nave,” disse Donaldson. “Dobbiamo presumere che i nostri avversari stiano proteggendo tutti i possibili punti d’attracco. Sembra che abbiano a disposizione armamenti pesanti. Qualsiasi nave tentasse di avanzare in mezzo al ghiaccio fino all’impianto verrebbe colpito, e duramente.”

“Possiamo arrivare dal cielo?” chiese Luke.

Donaldson fece un segno di diniego con il capo. “Anche peggio. Nelle prossime ore è prevista una tempesta in quell’area. Non volete gettarvi in paracadute durante una bufera artica, ve lo garantisco. E anche se fosse sereno, avrebbero un’ottima visuale su di voi durante la discesa. Sareste dei bersagli facili. C’è un solo modo per arrivare, e cioè passando sotto il ghiaccio e cogliendoli di sorpresa.”

Si fermò. “E abbiamo bisogno di tutta la sorpresa possibile. Nonostante la violenza della nostra risposta, ci serve almeno un aggressore vivo.”

“E perché?” domandò Ed.

Il capitano dei SEAL fece spallucce. “È necessario scoprire che cosa volevano, qual era il loro piano e se abbiano agito da soli. Dobbiamo sapere tutto. Non possiamo contare su un loro ipotetico documento programmatico, e dato che finora nessuno ha rivendicato la responsabilità dell’attacco, dobbiamo presumere che l’unico modo per ottenere queste informazione sia catturare almeno uno di loro, preferibilmente più di uno.”

Luke non era felice. Avrebbero raggiunto il sito nuotando sotto il ghiaccio, e quando fossero emersi avrebbero dovuto fare prigionieri. E se fossero stati jihadisti che non avevano intenzione di arrendersi? E se avessero combattuto fino alla morte?

L’intera missione sembrava organizzata in fretta e progettata peggio. Ovvio che fosse così. Non poteva essere altrimenti, dato che stavano cercando di riprendersi la piattaforma la stessa notte in cui era stata attaccata, anzi, appena qualche ora più tardi?

Non avevano alcun dato sugli aggressori. Non c’erano ancora state comunicazioni. Non sapevano da dove venivano, cosa volevano, che armi avevano né che altre capacità possedevano. Non avevano idea di cosa avrebbero fatto se fossero stati attaccati a loro volta. Avrebbero ucciso tutti gli ostaggi? Si sarebbero suicidati facendo saltare la piattaforma? Impossibile dirlo.

Quindi l’intera squadra sarebbe entrata alla cieca. Peggio. Luke e il suo team sarebbero dovuti essere la supervisione civile, e invece avrebbero partecipato a una missione subacquea — in un mare gelato — per cui non avevano alcuna preparazione. Ben pochi soldati americani erano addestrati per le immersioni in acque gelide.

“Tutta la faccenda,” commentò Murphy, “mi sembra folle.”

Luke non concordava al cento percento. Ma non poteva non pensare al fatto che Murphy lo ritenesse ancora responsabile della morte del loro intero team d’assalto in Afghanistan.

Se Murphy, Ed, o persino Swann e Trudy avessero deciso di non partecipare alla missione, a lui sarebbe andato bene. Dovevano fare le loro scelte, non stava a Luke decidere per loro.

All’improvviso, desiderò di aver parlato con Becca prima di partire per quel viaggio. Ormai era troppo tardi.

“Mancano meno di due ore all’arrivo,” dichiarò l’uomo più anziano, lanciando un’occhiata all’orologio. Guardò Donaldson, che aveva ancora tra le mani la grossa tuta arancione. Poi gli fece un cenno con la mano, simile alle lancette di un orologio che roteassero rapidamente.

“Le suggerisco di cominciare con la dimostrazione.”

CAPITOLO OTTO

9:15 a.m. Orario di Mosca (12:30 a.m. Ora legale orientale, 4 settembre)

L’“Aquarium”

Quartier Generale del Main Intelligence Directorate (GRU)

Aeroporto di Khodynka

Mosca, Russia

Il fumo blu si alzava verso il soffitto.

“C’è molto movimento,” disse il suo ultimo visitatore, un uomo pingue con l’uniforme del Ministero degli Interni. La sua voce tradiva una certa ansia, ma dal tono non si sarebbe capito. Non trema né aveva esitazioni. Bisognava avere le orecchie allenate per percepirlo. L’uomo aveva paura.

“Sì,” replicò Marmilov. “Si sarebbe aspettato qualcosa di diverso da parte loro?”

Anche se l’ufficio non aveva finestre, la luce cambiava man mano che la mattina progrediva. I capelli rigidi e in piega di Marmilov avevano assunto l’aspetto di un elmetto di plastica scura. La lampadina appesa al soffitto era tanto luminosa che ai due uomini pareva di essere seduti nel deserto a mezzogiorno. La luce lanciava ombre scure tra le crepe scavate nel viso di Marmilov.

La gente si chiedeva perché un personaggio influente come lui avesse scelto di gestire il suo impero da quella tomba, sotto un edificio tetro, fatiscente e in rovina fuori dal centro di Mosca. Marmilov lo sapeva perché diversi uomini, in particolare i potenti o quelli che aspiravano a diventarlo, spesso gli facevano esattamente quella domanda.

“Perché non un bell’ufficio d’angolo ai piani alti? Perché un uomo come lei, con un mandato superiore al GRU, non si fa trasferire al Cremlino, con una bella vista sulla Piazza Rossa e l’opportunità di contemplare le opere della storia e dei grandi protagonisti degli eventi passati? O anche solo per guardare le belle ragazze che passano di lì? O almeno per vedere il sole?”

Marmilov sorrideva sempre e rispondeva: “Non mi piace il sole.”

“E le belle ragazze?” insistevano i suoi amichevoli vessatori.

Lui scuoteva la testa. “Ho una certa età. Mi basta mia moglie.”

Non era vero niente, ovviamente. Sua moglie viveva cinquanta chilometri fuori dalla città, in una residenza di campagna che risaliva a prima della Rivoluzione. La vedeva appena e né lui né la donna avevano problemi con quella sistemazione. Invece di passare del tempo con la moglie, Marmilov alloggiava in una moderna suite d’albergo al Ritz Carlton di Mosca, e si godeva una costante fornitura di giovani donne che gli venivano portate direttamente alla porta della stanza. Le ordinava come si faceva con il servizio in camera.

Aveva sentito che le ragazze, e probabilmente anche i loro papponi, lo definivano il Conte Dracula. Quel soprannome lo faceva sorridere. Lui non avrebbe potuto sceglierne uno più adatto.

Il motivo per cui rimaneva nello scantinato di quell’edificio e non si trasferiva al Cremlino, era che preferiva non vedere la Piazza Rossa. Anche se amava la cultura russa più di qualsiasi altra cosa al mondo, durante le sue giornate lavorative non voleva che le sue azioni fossero turbate dai sogni del passato. E in particolar modo non voleva che fossero ostacolate dalle sventurate realtà e dalle mezze misure del presente.

Marmilov era concentrato solo sul futuro. Era determinato a plasmarlo con tutte le sue forze.

C’era la grandezza nel futuro. C’era la gloria. Il futuro della Russia avrebbe sorpassato, e persino fatto impallidire, i patetici disastri del presente e forse anche le vittorie del passato.

Il futuro era in arrivo, e lui era il suo creatore. Era suo padre e la sua levatrice. Per immaginarlo appieno non si poteva lasciar distrarre da messaggi e ideali contrastanti. Aveva bisogno di una visione pura e per ottenerla era meglio fissare una parete vuota che fuori da una finestra.

“No, in effetti no,” rispose l’uomo grasso, Viktor Ulyanov. “Ma credo che alcuni nella nostra cerchia siamo un po’ preoccupati da tutto quel movimento.”

Lui scrollò le spalle. “Certo.”

C’erano sempre uomini più concentrati sulla propria misera sopravvivenza che sui loro doveri verso il popolo. Non sarebbero mai riusciti a guidarlo verso un futuro migliore.

“E certi sono convinti che quando il presidente…”

Il presidente!

Marmilov trattenne una risata. Il presidente era solo un piccolo ostacolo sulla strada verso la grandezza del loro paese. Era un intoppo, e pure minuscolo. Sin da quando aveva preso le redini da quell’alcolizzato del suo mentore, Yelstin, la commedia degli errori che era la Russia era solo peggiorata, non migliorata.

Presidente di cosa? Della spazzatura!

Quell’uomo avrebbe fatto meglio a guardarsi le spalle, come diceva il proverbio. O ci avrebbe trovato un coltello infilzato in mezzo.

“Sì?” incoraggiò l’altro uomo. “Sono convinti che quando il presidente… cosa?”

“Ci scoprirà,” riprese Ulyanov.

Marmilov annuì e sorrise. “Sì? Quando ci scoprirà… cosa succederà allora?”

“Ci sarà un’epurazione,” concluse l’altro.

Marmilov lo fissò strizzando gli occhi in mezzo a una nuvola di fumo. Era uno scherzo? Non l’epurazione a cui Putin avrebbe dato il via se li avesse scoperti. Se avessero fatto un passo sbagliato, non avrebbero potuto aspettarsi altro. Lo scherzo doveva essere la preoccupazione di Ulyanov e dei suoi soci senza nome di fronte a quell’eventualità, così avanti nei lavori.

“Il presidente lo scoprirà quando sarà troppo tardi,” dichiarò con semplicità. “Sarà lui stesso a essere epurato.” Ulyanov e gli altri per cui parlava dovevano saperlo. Era sempre stato quello il piano.

“Temono tutti bagno di sangue,” insistette l’uomo grasso.

Marmilov soffiò il fumo per aria. “Mio caro amico, non c’è niente da temere. Il bagno di sangue è sempre stato previsto. È stato pianificato anni fa.”

Nella sua tana un computer portatile gli era spuntato come un fungo accanto al piccolo schermo televisivo sulla scrivania. La televisione continuava a mostrare le riprese delle telecamere di sicurezza sulla piattaforma petrolifera, mentre sul computer scorrevano le trascrizioni delle comunicazioni americane intercettate tradotte in russo.

Gli americani stavano stringendo un cappio attorno alla piattaforma sotto assedio. Un cerchio di basi temporanee era apparso sul ghiaccio a pochi chilometri dall’impianto. Le loro squadre segrete erano state allertate ed erano pronte ad attaccare. Un jet supersonico aveva ricevuto l’autorizzazione ad alzarsi in volo ed era atterrato a Deadhorse da trenta minuti.

Stavano per colpire.

“Non abbiamo mai avuto intenzione di tenere l’impianto a lungo,” disse Marmilov. “È per questo che abbiamo usato delle pedine sacrificabili. Sapevamo che gli americani si sarebbero ripresi la loro proprietà.”

“Sì,” replicò Ulyanov. “Ma la notte stessa?”

Lui fece spallucce. “Prima di quanto ci aspettassimo, ma il risultato sarà lo stesso. Le loro prime squadre d’assalto finiranno nel bel mezzo di un disastro. Un bagno di sangue, come ha detto lei. Per i nostri scopi dovrebbe essere un autentico massacro. Mostreremo al mondo la loro ipocrisia riguardo l’ambiente. Così il pubblico avrà modo di ricordare i loro recenti crimini di guerra.”

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