Minaccia Primaria: Le Origini di Luke Stone—Libro #3 - Джек Марс 8 стр.


“E l’impatto su di noi?” domandò Ulyanov.

Marmilov inalò di nuovo a fondo dalla sigaretta. Per lui era il soffio stesso della vita. Sì, anche in Russia, e persino nelle sue stanze private, era costretto ad affrontare la verità. Le sigarette facevano male alla salute. E lo stesso valeva per la vodka e il whiskey. Ma in quel caso perché Dio li aveva resi tanto piacevoli?

Espirò il fumo.

“Resta da vedere, ovviamente. E dipenderà dagli organi di stampa che se ne occuperanno in ogni paese. Ma certo i primi bollettini saranno in nostro favore. In generale, sospetto che gli eventi si rifletteranno negativamente sugli americani, e in seguito faranno lo stesso sul nostro amato presidente.”

Si interruppe e rifletté sulla questione. “La realtà, e l’evolversi degli eventi lo confermerà, è che peggiore il disastro e migliore sarà la nostra posizione.”

CAPITOLO NOVE

11:05 p.m. Ora legale in Alaska (4 settembre)

Campo sul ghiaccio ReadyGo della Marina degli Stati Uniti

Nove chilometri a nord dell’Arctic National Wildlife Refuge

Tre chilometri a ovest della Martin Frobisher Oil Platform

Mare di Beaufort

Mar Glaciale Artico

“Non esiste, gente. Non posso farlo.”

La notte era nera. Fuori dalla piccola calotta ululava il vento e cadeva una pioggia gelata. La visibilità stava peggiorando. Di lì a poco sarebbe stata pari a zero.

Luke era stanco. Aveva preso una dexie quando l’aereo era atterrato, e un’altra qualche istante prima, ma nessuna delle due aveva ancora fatto effetto.

L’intera faccenda era uno sbaglio. Avevano attraversato in fretta e furia il continente, a velocità supersonica, stavano per iniziare la missione e ora uno dei suoi uomini se ne stava tirando fuori.

“Non mi piace per niente.”

Era stato Murphy a parlare. Ovvio che fosse lui.

Murphy non voleva buttarsi in quell’avventura.

L’accampamento temporaneo, che di base consisteva in una decina di cupole modulari a tenuta stagna montate su una lastra di ghiaccio galleggiante, era spuntato come un mucchio di funghi dopo una pioggia primaverile, a quanto pareva in appena due ore. Era solo uno di tanti che circondavano la piattaforma petrolifera a distanza di sicurezza. La creazione di numerosi campi tanto lontani era dovuta alla possibilità che i terroristi li stessero spiando. In quella maniera gli sarebbe stato difficile prevedere da quale direzione sarebbe arrivato il contrattacco.

All’interno di ogni cupola era stato scavato un foro rettangolare nel pavimento di ghiaccio, all’incirca delle dimensioni e della forma di una bara. Il ghiaccio lì era grosso dai sessanta ai novanta centimetri. Attorno a ogni foro era stato incastrato una specie di pontile di un qualche materiale sintetico simile al legno. Sotto l’acqua erano state affondate torce subacquee, che davano all’apertura un inquietante chiarore blu. Sulla superficie del foro stava già iniziando a riformarsi il ghiaccio.

Luke ed Ed erano nelle loro mute in neoprene, seduti su due sedie accanto all’apertura. Brooks Donaldson era nella stessa posizione e attorno a ogni uomo erano affaccendati due assistenti, militari con indosso giacche in pile della marina degli Stati Uniti. Gli stavano caricando addosso tutto l’equipaggiamento necessario. Luke stava fermo mentre uno dei due gli montava un compensatore di galleggiamento sul torace.

“Come se lo sente?” gli chiese il tizio.

“Ingombrante, a essere sincero.”

“Bene, lo è.”

Ancora non aveva infilato i guanti sulle mani, e continuava a portarle senza pensare alla cerniera impermeabile sul suo petto. Era stretta e difficile da tirare, così come doveva essere. Laggiù l’acqua sarebbe stata gelida e la cerniera doveva tenere ferma. Ma significava anche che sarebbe stato complicato abbassarla una volta che fossero arrivati a destinazione.

“Come dovrei fare per sfilarmi questa cosa?”

“Adrenalina,” rispose uno degli assistenti. “Quando va tutto a puttane, di solito i soldati si strappano di dosso la tuta a mani nude.”

Ed scoppiò a ridere e guardò Luke. Il suo sguardo diceva che non lo stava trovando affatto divertente.

“Oh, accidenti.”

Murphy non rideva per niente. Era arrivato fin lì da Deadhorse, ma non aveva nemmeno iniziato a infilarsi la muta.

“È una trappola mortale, Stone,” stava dicendo. “Come l’ultima volta.”

“Non mi devi dimostrare niente,” gli rispose lui. “Né a me né a nessun altro. Non sei costretto a venire. Non è come l’ultima volta.”

L’ultima volta.

Quando entrambi erano stati ancora nella Delta, in missione nell’est dell’Afghanistan. Luke era stato il capo della squadra, e non aveva scavalcato un tenente colonnello a caccia di gloria che aveva condotto tutti — a esclusione di lui e Murphy — alla morte.

Era vero. Lui avrebbe potuto annullare la missione. I suoi uomini non avevano avuto alcun obbligo nei confronti del tenente colonnello. Se Luke avesse dato l’alt, la missione si sarebbe interrotta, ma lui avrebbe rischiato di finire di fronte alla corte marziale per insubordinazione. Si sarebbe giocato tutta la sua carriera nell’esercito, quella stessa carriera che stranamente era finita ugualmente quella notte.

Murphy guardò Ed. “Perché vuoi andare?”

Il grosso uomo di colore fece spallucce. “Mi piace l’emozione.”

Lui agitò la testa. “Guarda quel buco, bello. È come se ci avessero scavato la tomba. Basta gettarci dentro una bara e siamo a posto.”

Murphy non era un codardo. Luke lo sapeva. Avevano partecipato a decine di scontri a fuoco fianco a fianco nella Delta. Avevano lottato insieme durante la sparatoria a Montreal, nella quale avevano salvato la vita di Lawrence Keller e consegnato alla giustizia gli assassini del presidente David Barrett. Avevano persino fatto a botte sopra la fiamma eterna di John F. Kennedy. Quell’uomo era un duro.

Ma non voleva andare. Era palese quanto fosse spaventato. Forse perché non era stato addestrato per quello che stavano per fare. Ma poteva anche essere perché…

“Va bene, uomini, ascoltate!”

Un uomo corpulento con una felpa della marina era appena entrato nella cupola. Per un istante, mentre attraversava i pesanti teli di plastica che facevano da portellone per l’esterno, gli occupanti dello spazio sentirono fischiare il vento. Il nuovo arrivato era rosso in viso per il freddo.

“Da quello che ho capito, siete stati aggiornati a Deadhorse.”

Poi si interruppe, notando la sedia vuota dove avrebbe dovuto trovarsi Murphy. Spostò lo sguardo sull’ex soldato.

Murphy scosse la testa.

“Io non ci vado.”

Il nuovo arrivato scrollò le spalle. “Come preferisci. Ma questa è un’operazione segreta. Se non partecipi, non puoi ascoltare quello che sto per dire.”

“Faccio parte della squadra di supervisione civile,” ribatté Murphy.

L’uomo fece un cenno di diniego. “Secondo le mie informazioni i due membri della squadra di supervisione civile sono al centro di comando a Deadhorse, mentre il resto del team deve indossare la muta e andare con i SEAL.”

Alzò le mani che per dire: È tutto quello che so.

“Se non sei al centro di comando e non hai la muta, non sei nel team.”

Murphy chinò la testa con un sospiro. “Ah, che diavolo.”

Si infilò un pesante parka verde sulla grossa tuta da lavoro.

“Murph,” gli disse Luke. “Chiama Swann e Trudy. Ti manderanno un elicottero.”

Il nuovo arrivato fece un cenno di diniego. “Tutti i mezzi sono bloccati a terra. Sta arrivando la tempesta e non vogliamo incidenti. La missione è già abbastanza complicata così com’è.”

Murphy imprecò sottovoce e uscì dalla stessa apertura da cui era appena entrato l’uomo corpulento. La plastica svolazzò e il fischio del vento risuonò. Il tizio lo guardò andarsene e poi fissò i tre sommozzatori rimanenti.

“Okay,” disse. “Questa sarà un’immersione in acqua gelata, di notte, verso un ambiente sopraelevato. Non riesco a pensare a un incarico più difficile. Un anno fa abbiamo perso due sub esperti in una missione simile, ma era un’immersione d’addestramento durante il giorno, non c’era maltempo e gli uomini erano collegati con una corda al campo base. È chiaro? Dovete saperlo.”

“Stavano anche nuotando verso uno scontro a fuoco?” domandò Ed.

L’uomo si limitò a guardarlo. Non aveva voglia di fare battute e Luke si sentiva allo stesso modo. Non c’era niente di divertente in quella missione.

“Come probabilmente avrete capito vi immergerete senza fune di sicurezza. Per gran parte del vostro tragitto il ghiaccio sopra le vostre teste sarà congelato e molto duro. È meglio che non ci andiate a sbattere. Muovetevi a cinque metri dalla superficie, mantenete un galleggiamento neutro e un orientamento corretto.”

Ai suoi piedi c’erano quattro dispositivi di trasporto per nuotatori. In pratica erano piccoli siluri elettrici a batteria. Ogni uomo si sarebbe tenuto al manubrio del dispositivo con una mano, e la propulsione lo avrebbe portato a destinazione più velocemente, e con meno sforzo, che se avesse dovuto nuotare da solo.

Il tizio ne sollevò uno tra le braccia. “Chi di voi ha mai usato uno di questi?”

Tre mani si alzarono.

Lui annuì. “Bene. Di norma useremmo dispositivi Mark 8, ognuno dei quali può trasportare dai due ai quattro uomini, ma non siamo riusciti ad averli per tempo, e sono complicati da usare in questo ambiente. Quindi dobbiamo accontentarci di questi portatili. Va bene?”

Si interruppe, ma nessuno disse una parola. Era quel che era. Non aveva importanza se gli andava bene o meno.

“Tenete d’occhio le vostre bussole. Siete diretti a est. Ci saranno altri diciassette…” Diede uno sguardo alla sedia vuota di Murphy. “Sedici altri uomini laggiù. Immettetevi nel gruppo. Voi sarete il team di controllo, quindi mettetevi in coda. Se doveste confondervi, o perdervi, la via di ritorno è a ovest. Questo campo è illuminato come un albero di Natale sotto il ghiaccio, quindi seguite le luci.”

Sollevò un casco impermeabile con visore e maschera.

“Nel casco avrete un sistema radio bidirezionale. Limitate le chiacchiere. Ascoltate i capi davanti. Ci sarà una bassa visibilità. Le vostre orecchie potrebbero salvarvi mentre la lingua vi ammazzerà.”

Li guardò severamente.

“Niente supporto aereo né anfibio. La situazione potrebbe scaldarsi. Tenete d’occhio la superficie e non appena noterete aria aperta, si sarete quasi. Una volta raggiunta l’apertura del ghiaccio spegnete le torce. L’idea, signori, è di prenderli di sorpresa.”

Sollevò una mitragliatrice MP5 con il caricatore già montato. Era coperta da una grossa pellicola plastica trasparente. Poi fu il turno di un gruppo di tre granate, avvolte alla stessa maniera.

“Al momento queste sono assolutamente sigillate. Gli involucri sono impermeabili al cento percento. Quando arrivate a terra, usate il coltello per aprirli.”

Sorrise e poi scosse la testa. “Se sarà necessario, usate il coltello anche per liberarvi dalle mute.”

Luke lanciò un’occhiata a Ed. Il collega fece una smorfia, una strana espressione che non gli aveva mai visto sul volto. Sembrava un bambino delle elementari a cui l’insegnante avesse suggerito di cantare cori di Natale con tutta la classe.

Gli attendenti dietro Ed sollevarono il casco e glielo sistemarono sulla testa. Il suo respiro offuscò il visore.

Quelli dietro Luke stavano per fare lo stesso con lui.

“Ci sono domande?” chiese l’uomo davanti a loro.

Che cosa stiamo facendo? fu l’unica che gli venne in mente.

“Bene. Allora muoviamoci.”

* * *

Murphy era di pessimo umore.

“Sono stufo di questa missione, Swann. Non mi è mai piaciuta la Marina e ora li sto davvero odiando.”

Le comunicazioni funzionavano bene lì, nonostante la tempesta. Swann glielo aveva spiegato, ma Murphy non aveva ascoltato tutto il discorso. Qualcosa a proposito delle antenne integrate in quelle cupole, del modo in cui i segnali satellitari riuscivano a penetrare le nuvole in rapido movimento e le precipitazioni, e della crittografia impenetrabile per cui il loro esperto informatico era noto…

Ma a chi importava.

Aspettò che il segnale rimbalzasse in giro per il mondo, in modo che i terroristi non potessero tracciarlo e ascoltarli.

Murphy era stufo e irritato. Non era un sub. Neanche Stone e Newsam lo erano. I SEAL si addestravano per anni con squadre d’élite di sommozzatori in acque fredde proveniente dalla Norvegia e dalla Svezia. E invece il loro gruppo completamente impreparato era stato spinto in quella missione come un osceno e inutile addobbo.

L’espressione con cui il tizio corpulento aveva guardato la sua sedia vuota… poi Murphy… e poi di nuovo la sedia. La sua fortuna era stata che fossero nella stessa squadra. Altrimenti lui sarebbe stato felice di rimodellargli la faccia con la stessa sedia.

“Sì, non lo capisco,” disse alla fine Swann. “Anche noi siamo solo uno specchietto per le allodole qua al centro di comando. Nessuno vuole dei civili in questa faccenda. Hanno solo bisogno del timbro d’approvazione. Ci hanno messi in un ufficio, lontani da tutti gli altri, con un paio di computer e una macchina del caffè.”

Murphy sorrise. Riusciva a immaginarsi l’espressione dei severi ufficiali SEAL e JSOC di fronte a Swann, un nerd dei computer alto e magrolino dai capelli lunghi e gli occhiali, e alla giovane e adorabile Trudy Wellington. Cosa dovevano aver pensato…

Niente. Gli ingranaggi nei loro cervelli da militari si dovevano essere inceppati. La sola vista di Swann doveva essere stata come zucchero nel serbatoio della benzina.

Metteteli in un’altra stanza, fateli sparire.

“Gli altri si faranno ammazzare là sotto. Ho cercato di dirlo a Stone, ma un babbeo della Marina mi ha cacciato fuori perché la riunione era riservata.”

“Ora dove sei?” gli chiese l’altro.

Murphy si guardò intorno. Era dentro una cupola vuota, seduto su una sedia che fino a poco prima doveva aver accolto un Navy SEAL. Il foro nel ghiaccio brillava di blu. Da qualche parte nei dintorni c’era un centro di comando, e lo staff di supporto doveva essere andato là per seguire i movimenti della squadra sotto il ghiaccio dal radar.

“Sono all’inferno,” rispose. “In un gelido inferno.”

La voce di Trudy subentrò in linea. Era musicale, come dita su un pianoforte.

“Che cosa vuoi fare?” gli domandò.

La risposta era abbastanza facile. Voleva sparire. Voleva andarsene da quella landa desolata nell’Artico, da quell’inutile atrocità terroristica (di qualsiasi cosa si trattasse) per raggiungere la Grand Cayman, recuperare i suoi due milioni e mezzo di dollari ed evaporare.

Purtroppo era più facile a dirsi che a farsi. Gli sarebbe servito un piano e del tempo per organizzare una sparizione del genere. Tempo che non aveva. Don voleva ancora che si facesse sei mesi a Leavenworth in cambio di un congedo con onore. E nel frattempo Wallace Speck era in custodia, lontano dalla sua portata, e da un momento all’altro avrebbe potuto dire cose spiacevoli.

Nel peggiore dei casi Murphy sarebbe arrivato a Leavenworth nel momento esatto in cui Speck faceva il suo nome.

Ovviamente, quella non era una faccenda di cui poteva discutere con Mark Swann e Trudy Wellington. Ma ce n’erano altre che poteva condividere con loro. I due potevano aiutarlo, non ad andarsene via di lì, ma ad addentrarsi ancora di più nei loro ranghi.

Stone si sbagliava. Murphy aveva qualcosa da dimostrare. Lo aveva sempre. Magari non a lui, e forse non a quell’addestratore SEAL dalla testa dura, ma a se stesso. C’era qualcosa in quella missione che non gli tornava. Li avevano spediti dall’altra parte del paese alla velocità della luce, e per cosa? Una missione raffazzonata che era già un casino prima di iniziare. Chi l’aveva progettata, Wile E. Coyote? Era come l’operazione di salvataggio all’ambasciata iraniana, con il ghiaccio invece della sabbia.

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