Quella pessima e frettolosa organizzazione lo irritava. Il fatto che Stone avesse deciso di partecipare lo irritava ancora di più. Che Newsam facesse lo stesso portava la sua rabbia a livelli stratosferici.
Infine si sentiva umiliato dalla sua stessa incapacità di infilarsi la claustrofobica muta per immersioni e scendere in quella tomba di ghiaccio. E il modo in cui quel burattino senza cervello aveva guardato la sedia…
Murphy serrò e aprì le mani. Aveva accettato da tempo che uno dei motivi per cui era entrato nell’esercito, e poi nella Delta Force, era fare qualcosa di costruttivo con la sua ira.
Conosceva il passato. Aveva studiato i più prolifici e abili assassini delle passate guerre, Audie Murphy nella seconda guerra mondiale e Bloody Bill Anderson nella Guerra Civile americana. Era stata l’ira a sospingere quegli uomini.
Riusciva quasi a immaginarsi Audie Murphy a Colmar, ritto su un carro armato in fiamme, mentre falciava decine di tedeschi con una mitragliatrice calibro .50, preso di mira senza tregua dal fuoco nemico.
Lui, Newsam e Stone avevano preso una dexie poco prima. Murphy si era sentito stanco e ne aveva prese due. Ora gli stavano facendo effetto. Sentiva il cuore battere all’impazzata e il suo respiro era sempre più rapido. I dettagli degli oggetti all’interno della cupola presero a bombardarlo con la loro nitidezza. Soffocò la tentazione di alzarsi e cominciare a saltellare sul posto.
In quell’istante avrebbe potuto uccidere una persona, o magari diverse. E le isole Cayman erano lontane, ben fuori dalla sua portata. Stone e Newsam si erano appena gettati nella versione acquatica della Spedizione Donner, una missione suicida che poteva solo finire in tragedia. E là fuori c’erano un mucchio di terroristi che avevano già ammazzato civili innocenti. Gli uomini che avevano preso in ostaggio l’intera piattaforma petrolifera erano dei cattivi e a nessuno sarebbe importato molto se fossero morti.
Cominciò a riflettere rapidamente. Swann e Trudy erano stati banditi in un ufficio ma quello non era per forza un risvolto negativo. Entrambi erano maghi della tecnologia. Se non gli avevano tagliato le comunicazioni… un grosso se, ma…
“Murph? Che cosa vuoi fare?”
I suoi occhi erano raggi laser. Poteva lanciare sfere di fuoco dalle mani. Era inarrestabile, e lo era sempre stato. Tutti quegli anni in combattimento, senza essere mai ferito. Succedevano cose incredibili al mondo.
“Mi serve una barca,” annunciò, senza pensare a cosa stava dicendo. “Mi servono delle armi, il supporto di droni e le indicazioni per attraversare la tempesta fino all’impianto.”
Si interruppe. La sua mente ormai galoppava, ragionava in pure immagini e lui riusciva a malapena ad articolare le parole.
“Voglio scendere in campo.”
* * *
Luke si gettò nell’apertura buia.
Attraversò un sottilissimo strato di ghiaccio per ritrovarsi in un surreale mondo subacqueo. In un istante l’ambiente spartano della cupola, simile a uno spogliatoio, svanì, sostituito da…
Un mare blu scuro, che si apriva in un vuoto nero sotto di lui. Sopra la sua testa, il ghiaccio era una fredda lastra bianco-bluastro. Luccicanti rettangoli luminosi segnalavano la presenza delle cupole dove erano state tagliati gli altri fori d’ingresso.
Era un luogo alieno.
Avrebbe potuto essere un astronauta che galleggiava senza peso nello spazio profondo.
La prima cosa che notò fu il freddo, ma non era il gelo dell’oceano quando ci si buttava in acqua nell’autunno inoltrato. Non gli penetrava nelle ossa. La muta riusciva a tenere a bada le temperature che avrebbero potuto ucciderlo in un istante.
In un certo senso non aveva freddo, ma riusciva a percepirlo tutto intorno a sé, all’esterno del grosso strato di neoprene. Se avesse oltrepassato la muta sarebbe morto. Era semplice.
L’unico suono che udiva era il suo stesso respiro, fragoroso nelle orecchie. Era rapido e poco profondo, e si concentrò per rallentarlo a approfondirlo. Gli ansimi superficiali erano uno dei primi sintomi del panico. Il panico faceva perdere la testa. In un luogo come quello, poteva far perdere la vita.
Rilassati.
Luke attivò il dispositivo cilindrico motorizzato e si lasciò trascinare con delicatezza.
Davanti a lui, il gruppo di sommozzatori avanzava. Il buio era illuminato dalle loro torce, che lanciavano ombre inquietanti. Luke quasi si aspettava che un gigantesco squalo, un megalodonte preistorico emergesse dall’oscurità attorno a loro.
Man mano che si allontanavano dal campo, si accorse che il mare si muoveva turbolento, e il grosso soffitto di ghiaccio sopra le loro teste ondeggiava e si increspava come la terraferma durante un violento terremoto. Lui ed Ed nuotavano fianco a fianco, viaggiando tra le forti correnti grazie ai dispositivi motorizzati tra le loro mani.
Luke si sentiva assediato. L’acqua stava facendo di tutto per ribaltarlo e spedirlo verso Ed, ma lui assecondava i flussi e continuava ad avanzare.
Lanciò uno sguardo al collega. Ed aveva una posizione perfetta, appena reclinato in avanti, la testa sollevata. Luke non riusciva a vedere il suo viso dietro il casco. L’effetto era alienante. Ed avrebbe potuto essere un impostore o una macchina.
Attraverso la radio del casco si udiva un mormorio. Lui riusciva a malapena a percepirlo, e non distingueva le parole. Il suo respiratore era molto più rumoroso della radio. Sarebbe stato difficile comunicare.
Si guardò indietro. Le luci che penetravano l’oscurità dall’alto stavano svanendo in lontananza. Si erano già lasciati il campo base alle spalle.
Entrò in una specie di trance. Controllò l’orologio. Aveva impostato il timer per la missione appena prima di buttarsi in acqua. Erano passati appena dieci minuti dall’inizio.
Oltrepassarono il bordo della lastra di ghiaccio e l’acqua sopra di loro divenne scura, quasi nera, punteggiata da blocchi di ghiaccio in movimento. Ormai c’era solo il buio, illuminato dalle loro torce, e dalle luci davanti a loro.
Stavano per raggiungere l’obiettivo. Stava succedendo molto più in fretta di quanto si fosse aspettato.
Calma… calma.
Superò un piccolo apparecchio, che brillava verde nell’oscurità. Era una scatola metallica, a forse dieci metri alla sua destra. Se avesse dovuto tirare a indovinare, avrebbe detto che era alta un metro per cinquanta centimetri di larghezza. Su un fianco c’erano controlli di vario tipo. Era abbastanza piccolo e lontano che quasi non lo notò.
Era un robot. Luke sapeva che si trattava di un veicolo sottomarino operato da remoto, chiamato anche ROV. Era legato a una grossa fune gialla che svaniva in lontananza verso nord e che doveva essere la sua fonte principale di energia. Probabilmente conteneva anche i cavi che lo controllavano, e attraverso i quali mandava dati… ma a chi?
Era dominata da un grande occhio rotondo, probabilmente la lente della telecamera.
Che nessuno altro l’avesse vista?
Cercò di girare nella sua direzione, ma le onde lo spinsero oltre la scatola prima che potesse raggiungerla. Ed si voltò per guardarlo. Luke tentò di indicargli il ROV, ma ormai era alle loro spalle, e la muta insieme all’equipaggiamento era troppo ingombrante.
Sarebbero dovuti tornare indietro, prendere quella cosa e quanto meno ispezionarla. Nessuno aveva detto niente a proposito di telecamere controllate da remoto in quella missione. Quella cosa stava mandando le loro immagini a qualcuno.
Avrebbero dovuto tagliare la fune.
Il mormorio nel suo casco divenne più rumoroso, ma Luke continuava a non capire le parole. Una alla volta, le torce davanti a lui si spensero, lasciando il gruppo nel buio più totale.
I primi soldati avevano raggiunto le coste.
Luke si guardò alle spalle un’ultima volta. Le luci del campo erano lontane, come stelle in un cielo notturno. Se qualcuno si fosse perso, avrebbe dovuto dirigersi verso quelle.
Il robot verde galleggiava, già lontano, e lo guardava. A quella distanza, si poteva prendere per mera bioluminescenza verde.
Alzò una mano per spegnere la torcia. Alla sua sinistra, anche quella di Ed svanì.
Fu a quel punto che iniziarono le grida.
* * *
Murphy odiava tutti.
Lo capiva, era furibondo e stava lasciando che la rabbia prendesse il sopravvento. Era un mondo freddo e perverso, che non meritava altro che il suo disprezzo. Disprezzo e odio. L’odio lo guidava. Lo nutriva e lo sosteneva. Lo proteggeva dai pericoli.
Non poteva uccidere il militare imbecille che lo aveva cacciato dalla riunione e l’aveva deriso con lo sguardo. Era contro le regole. Sarebbe finito in galera. Ma poteva ammazzare il nemico.
Manovrò il piccolo battello fluviale della marina attraverso la tempesta. Non era un mezzo adatto alle acque artiche, ma gli sarebbe bastato per una missione kamikaze improvvisata.
Montava due grossi motori diesel con una potenza di 440 cavalli. Lo scafo era in alluminio, con un’armatura a piastre. Gli stabilizzatori erano in schiuma solida altamente resistente. Le onde ghiacciate erano enormi, e si abbattevano sulla prua. Lui pilotò l’imbarcazione in mezzo a blocchi di ghiaccio, e ogni volta che ne colpiva uno un rumore inquietante riecheggiava. Il vento gli ululava nelle orecchie.
Murphy era nella cabina di comando, dietro una parete rinforzata. Sulla prua erano state montati un lanciagranate verde militare e una grossa mitragliatrice calibro .50. Quel cannone avrebbe fatto a brandelli anche un veicolo corazzato, ma non aveva idea se avrebbe funzionato là fuori, dato il freddo e l'acqua salata che schizzava ovunque. Oltretutto quella non era una barca adatta a essere guidata da una persona sola. Sarebbe stato costretto ad abbandonare i comandi per usare le armi.
Le luci dell’imbarcazione erano spente. Murphy avanzava nell’oscurità più assoluta. Portava occhialetti per la visione notturna, ma il mondo verdastro che gli mostravano non era confortante. Onde mostruose, acqua nera e schiuma bianca contro un cielo buio. Correva alla cieca nella furia della tempesta.
Scivolò in fondo a un cavallone, atterrando sull’acqua come in una giostra. A volte capitava che una barca arrivasse alla base di un’onda e sprofondasse sotto l’acqua, per poi svanire per sempre. Lo sapeva, ma preferiva non pensarci.
“Swann!” gridò nell’oscurità. “Dove sono?”
Quella cosa era dotata di radar, ecoscandagli, GPS, radio nautica VHF, e una miriade di sensori e sistemi di elaborazione, ma Murphy riusciva a malapena a manovrare la barca, men che meno dare un senso alle informazioni che arrivavano. In teoria Swann lo stava seguendo da remoto, monitorando la sua distanza dalla piattaforma.
Una voce gli gracchiò nelle cuffie.
“Swann!”
“Vai a nord!” lo udì urlare. “Da nord a nordest. Le correnti ti stanno spingendo a sud.”
Murphy controllò la bussola. Faceva fatica a distinguerla. Girò il timone della barca lievemente verso sinistra, cercando di seguire il nord. Non aveva idea di dove stava andando. Avrebbe potuto avere qualcosa direttamente davanti a sé e ci si sarebbe schiantato contro senza nemmeno vederlo.
Non aveva un piano. Nessuno aveva idea del suo arrivo, nemmeno i suoi colleghi. Swann e Trudy erano gli unici a sapere che aveva preso la barca, che si era infilato un giubbotto antiproiettile e che aveva caricato l’imbarcazione di armi e munizioni. Erano gli unici a sapere dov’era. Neanche lui avrebbe saputo dirlo.
E quasi non gli importava.
Era vuoto, insensibile.
Era un mero mezzo di trasporto per la dexedrina e l’adrenalina.
Là fuori c’erano dei terroristi. Loro erano i cattivi e lui era il buono. Lui era il cowboy e loro erano gli indiani. Lui era il poliziotto e loro erano i ladri. Erano l’FBI e lui era John Dillinger. Erano Batman e lui era il Joker. Era Superman e loro erano… chiunque volessero.
Non aveva importanza chi fosse chi o cosa.
Erano gli avversari e lui gli avrebbe fatto ingoiare quell’intera barca. Se fosse sopravvissuto tanto meglio. Non gli importava di morire. Era così che si era sempre gettato negli scontri, uscendone tutto intero. Con la sicurezza più totale.
Non gli importava molto della vita, della sua né di chiunque altro.
Era morto dentro.
Solo nei momenti come quello si sentiva davvero vivo.
“E est!” gridò Swann. “Dritto verso est!”
Murphy voltò leggermente il timone verso destra.
“Quanto manca?”
“Un minuto!”
Uno strano brivido lo attraversò. Stava gelando. Diavolo, era praticamente un cubetto di ghiaccio. Anche in tuta, con un grosso parka, i guanti, un cappello e il viso coperto, stava morendo di freddo. Aveva gli abiti fradici. Stava tremando, forse per la temperatura o forse per la scarica di adrenalina.
Era in gioco. C’era quasi.
Proprio lì. Stava per arrivare.
Aumentò la potenza della barca e scrutò nell’oscurità. La tempesta imperversava intorno. Raddrizzò le gambe e strinse il timone mentre l’imbarcazione ondeggiava.
Ora riusciva a vedere le luci. E sentiva dei rumori.
Pop! Pop! Pop!
Erano spari.
“Rallenta!” gridò Swann. “Stai per raggiungere la piattaforma!”
Davanti a lui, apparvero all’improvviso dei lampioni accesi.
Stava avanzando in fretta. Troppo in fretta. Swann aveva ragione. La riva era PROPRIO LÌ.
Ma tanto la barca era progettata per atterrare sulle spiagge.
Non poteva più fermarsi. Lanciò il mezzo alla massima potenza e si preparò all’impatto.
* * *
Un cadavere galleggiava nell’acqua sopra la testa di Luke.
Lui lo fissò. Era un Navy SEAL completamente equipaggiato. Era stato colpito da un proiettile mentre cercava di uscire dall’acqua. Ondeggiava da una parte all’altra, roteando come un’alga nelle correnti agitate. Le sue braccia e le gambe si agitavano scompostamente, simili a spaghetti scotti.
Poi affondò verso di lui.
Il sangue fuoriusciva da diversi fori nel suo corpo e tingeva di rosso l’acqua intorno. Luke sapeva che non avrebbe continuato a sanguinare a lungo. Ora che la sua muta si era aperta e l’uomo era stato esposto al gelo, si sarebbe congelato in fretta.
Un’accecante luce bianca brillava sopra di loro. Un momento prima aveva visto scendere lampade klieg da terra, che avevano illuminato il mare. I lampioni avevano rivelato i SEAL e a quanto pareva nessuno di loro era riuscito a uscire dall’acqua.
Il loro piano aveva previsto che si sfilassero le mute, liberassero le armi dagli involucri stagni e avanzassero dopo essersi orientati. Ma il loro attacco a sorpresa era andato completamente a monte.
Il nemico non era affatto sorpreso. Erano proprio sopra di loro e stavano sparando nell’acqua.
Sapevano del loro arrivo. Avevano previsto l’attacco sottomarino. Un’immagine lampeggiò di nuovo nella mente di Luke: il robot con la telecamera che brillava verde nelle acque scure.
Era un’imboscata. Gli stavano sparando come pesci in un barile.
Luke, a venti metri dalla superficie, vide i proiettili penetrare nell’acqua gelida sopra la sua testa, e perdere velocità nel liquido.
Nelle sue cuffie qualcuno stava strillando.
Ed era ancora accanto a lui. Gli diede uno spintone. Il collega si voltò a guardarlo e Luke indicò alle loro spalle e verso il basso. Più a fondo. Dovevano ritirarsi e andare più a fondo. Da un momento all’altro i loro nemici si sarebbero accorti che i proiettili non raggiungevano gli obiettivi, e avrebbero iniziato a usare armi più pesanti e potenti.