“Ho visto lo schianto aereo al notiziario stamattina,” disse Gunner senza preamboli. “È rimasto ucciso un deputato americano.”
Luke annuì. “Sì. Brutta cosa.”
“Vai lì?”
“In Egitto?” disse Luke.
Gunner scrollò le spalle. “Boh. Ovunque sia stato lo schianto.”
“È stato in Egitto,” disse Luke. “Non so se andrò lì. Non me l’ha chiesto nessuno. E non c’è necessariamente una ragione per cui ci vada.” Luke riusciva a sentire l’evasività della sua risposta. “Stanno ancora indagando sulle ragioni.”
Gunner scuoteva la testa. “Il programma che ho visto diceva che probabilmente è stato un attentato terroristico. Il conduttore diceva di esserne sicuro al novantanove per cento.”
Luke sorrise di nuovo. Il sorriso era un po’ più mesto di quello precedente. “Be’, se un conduttore televisivo dice di essere sicuro al novantanove per cento di una cosa, allora deve essere vera.”
“Prenderesti in considerazione l’idea di non andare, se te lo chiedessi io?”
Luke annuì. “Lo prenderei in considerazione. Ma ti chiederei anche di capire che ho un lavoro da fare.”
“Papà, e se ti dicessi che voglio entrare nell’esercito?”
Ecco com’era quel ragazzo. Aveva una mente sveglia, che prendeva deviazioni brusche. A volte era difficile sapere che cosa ci fosse dietro il prossimo angolo.
“Be’, ti direi che, se fra cinque anni la pensi ancora così, allora ti aiuterei a scandagliare le opzioni a tua disposizione. Ma vorrei anche scandagliare le tue motivazioni. Ci sono modi più semplici di mettersi in forma. E se pensi di volerlo fare perché sembra uno spasso, posso dirti subito che non lo è. L’idea di spasso salterà dritta fuori dalla finestra la prima volta che un sergente istruttore ti urlerà addosso standoti col fiato sul collo durante una corsa di dieci miglia prima di colazione, o la prima volta che ti ritroverai a faccia in giù nel freddo fango mentre ti sfilano proiettili veri sopra la testa. E la prima volta che i cattivi veri cercheranno di ucciderti usando metodi innovativi e sorprendenti di cui mai si era parlato durante l’addestramento? Non sarà uno spasso.”
Gunner scosse di nuovo la testa. In volto aveva il fantasma di un sorriso. “Lo farei perché così tu puoi preoccuparti per me tanto quanto io mi preoccupo per te.”
Fine. Dei. Giochi.
Luke rimase temporaneamente senza una risposta. Quel ragazzino era capace di questo e altro.
“Comunque, ecco una buona notizia,” disse Gunner cambiando istantaneamente argomento. Era capace di fare anche questo – metterti in posizione disperata e poi improvvisamente lasciarti andare. Era un po’ un gioco del gatto col topo.
“Racconta,” disse Luke.
“Lo sai che la nonna e il nonno adorano sciare. Be’, andiamo nell’appartamento che hanno in Colorado per qualche giorno. Quindi sarà bello. Sciare mi piace.”
Luke annuì. Non riusciva a immaginare quanto riuscissero a sciare a questo punto i genitori di Rebecca, ma vabbè. “Quando partite?”
“Stasera,” disse Gunner. “Quindi perdo un altro giorno di scuola. Lo sai come sono. Pensano che la scuola sia per i poveri.”
Luke sorrise. Gunner aveva intuizioni affilate come rasoi. Era come se potesse farsi strada nella mente della gente per darci un’occhiatina. Luke ripensò a Boudiaf, che cercava disperatamente di far lasciare la città alla famiglia. La famiglia di Luke – una sola persona – se ne andava, guarda caso. Era proprio un bene. Qualsiasi cosa dovesse accadere, almeno Gunner non sarebbe stato nelle vicinanze.
Oltre, sullo schermo televisivo apparve il viso di Susan. La telecamera si allontanò per fare una panoramica, prendendola a figura intera, lì sul palco. Indossava ancora il tailleur azzurro della mattina. Con la mente, Luke se la immaginò scendere dal letto nuda, nell’oscurità che precede l’alba, per affrontare un’altra giornata provante. Sospirò.
Sullo schermo, Susan era più bella che mai, forse meno formale che in passato. Meno presidenziale? Si poteva dire così. La telecamera si allontanò ulteriormente, mostrando la sala stampa gremita della Casa Bianca.
Luke fissò la stanza. Venne inondato da sensazioni, ed era importante non distogliere lo sguardo. Quella era la stanza in cui si era preso un proiettile per Susan e in cui era stata assassinata Marybeth Horning. Per un istante, Luke vide la testa della Horning saltare per aria, e gli venne il prurito al fianco nel punto in cui era penetrato il proiettile.
Susan stava per parlare.
Gli occhi di Gunner saettavano avanti e indietro tra la tv e la faccia di Luke.
“Ami Susan?” disse.
“Questa è una domanda difficile a cui rispondere,” disse Luke. “Siamo entrambi adulti. Abbiamo avuto entrambi alti e bassi. Abbiamo entrambi lavori impegnativi – lei probabilmente ha il lavoro più impegnativo del mondo intero.”
“La ami come amavi la mamma?”
Luke allora guardò Gunner. Scosse lentamente la testa. “Non amerò mai nessuno come amavo tua madre. Tranne te. A te voglio bene alla stessa maniera.”
Annuì alla verità di quello che aveva appena detto. Qualsiasi cosa avessero insieme lui e Susan, ed era una cosa fantastica, ed era importante – non era uguale a quello che avevano avuto lui e Becca un tempo. Immaginava che Susan potesse dire una cosa simile su lei e Pierre. Tanto di cappello a un tredicenne per averglielo chiarito.
Sullo schermo televisivo, Susan avanzò verso i microfoni.
“Buongiorno,” disse.
CAPITOLO OTTO
12:15 ora della costa orientale
Sala stampa
Casa Bianca, Washington DC
“Buongiorno,” disse Susan. “Non ho molte informazioni per voi, quindi sarò breve.”
Era sul palco. Guardava una cinquantina di giornalisti e più o meno altrettanti fra telecamere e microfoni, cosa che sapeva avrebbe portato il suo volto e le sue parole quasi in ogni angolo del globo. Da molto tempo aveva smesso di preoccuparsene.
Per un breve momento, lasciò vagare lo sguardo per la stanza. Era una tetra mattinata invernale. Pareva che la gente non avesse voglia di starsene lì. Nemmeno lei. Le notizie erano brutte, e non voleva essere lei a darle. Ma la situazione richiedeva leadership, e così…
“Come tutti sapete, circa alle quattro del mattino, alle undici secondo l’ora locale, un aereo charter si è schiantato avvicinandosi all’aeroporto di Sharm el-Sheikh sulla penisola del Sinai, in Egitto. A bordo c’erano il deputato degli Stati Uniti per il Texas Jack Butterfield così come altri nostri stretti amici, incluso Sir Marshall Dennis del Regno Unito e il console generale egiziano a Londra, Ahmet Anwar. A bordo di quell’aereo è morto un totale di ottantatré persone, inclusi ventisette americani e persone provenienti da altri dieci paesi. Non ci sono stati sopravvissuti.”
Susan fece una pausa. Le telecamere ronzavano e ticchettavano nel silenzio.
“I filmati di videosorveglianza dell’aeroporto e i nostri dati satellitari hanno ora confermato quello che molti di noi sospettano fin dall’inizio – l’aereo è stato abbattuto da un missile terra-aria sparato dalle montagne circostanti. Condanniamo senza mezzi termini questo attentato codardo perpetrato ai danni di persone innocenti, e ci uniamo alla comunità internazionale nella determinazione di sconfiggere gli agenti del terrore.”
I reporter stavano già parlottando e borbottando, preparandosi a gridarle dietro domande. Anche se erano stati informati in anticipo che lei non avrebbe risposto.
“Facciamo le nostre sincere condoglianze alle famiglie delle vittime. I nostri pensieri e le nostre preghiere sono con voi.”
A Susan si fermò il fiato in gola. Per un attimo si sorprese a trattenere le lacrime. Pensava di aver superato quel genere di cose, di essere stata tanto indurita dalle tragedie che le emozioni non l’avrebbero più riguardata. Ma si sbagliava. Lo schianto di quell’aereo, la perdita subita dalle famiglie dei passeggeri, aveva innescato in lei qualcosa – la perdita di tantissime persone negli ultimi anni, le sue perdite, e la paura di altro in arrivo.
Le venne in mente un’immagine improvvisa – quella di sua figlia Michaela, sotto tiro, legata e assicurata a una passerella di quasi cinquanta piani su Los Angeles. La scacciò. Venne sostituita dalla brevissima, fuggevolissima immagine di un’esplosione sottoterra, una grossa porta d’acciaio che scoppiava e le fiamme che inglobavano l’uomo dei servizi segreti che camminava appena davanti a lei – il disastro di Mount Weather.
Adesso nella stanza la fissavano tutti.
Smise di seguire il discorso preparato e proseguì improvvisando. “In senso molto reale, non siamo solo con voi, ma noi siamo voi. Non per minimizzare il dolore personale di qualcuno, ma di recente tutti noi abbiamo passato le pene dell’inferno. Abbiamo perso famiglie, abbiamo perso amici – io ho perso alcuni dei miei migliori amici sulla Terra – e abbiamo perso la sensazione del sicuro e sensato mondo che un tempo avevamo. Ma riotterremo quella sensazione, e la passeremo ai nostri figli e ai nostri nipoti. Queste atrocità terroristiche si fermeranno!”
Quasi involontariamente, alcuni giornalisti e operatori televisivi si misero ad applaudire.
“Ancora non sappiamo chi siano stati i perpetratori di questo attentato. Ma prometto a tutti i qui presenti e a tutti nel mondo che lo scopriremo, e che a quel punto agiremo repentinamente per consegnarli alla giustizia. Vi ripeto anche che stiamo lavorando sodo, insieme a molti alleati e amici, per creare un mondo in cui incidenti del genere non accadano.”
Adesso ci fu quasi silenzio. Stava cominciando a ripetersi. Era questo che succedeva a virare rispetto agli appunti preparati.
Un robusto uomo con la barba della prima fila sollevò una mano grassoccia. Susan non se n’era accorta, ma lui parlò lo stesso. “Quando dice ‘consegnarli alla giustizia’,” disse, “intende un tribunale?”
Susan conosceva bene quel giornalista, ma al momento le sfuggiva il nome. Era quel tipo di giornata. “Quando ne sapremo di più, ne saprete di più anche voi,” disse.
Giunse un’ondata di domande. Parlavano tutti insieme, e Susan riusciva a malapena a distinguere una parola dalla successiva. Il suo contingente dei servizi segreti cercò di farla scendere dal palco. Lei si avvicinò al microfono un’ultima volta.
“Grazie,” disse.
Attraversò la pesante porta verde a destra del palco, con dei grossi corpi che la fiancheggiavano su ogni lato. Kat Lopez era in corridoio, con in mano un portablocco. Incrociarono lo sguardo.
Susan scosse la testa. “Penso che sia andata piuttosto bene,” disse.
CAPITOLO NOVE
19:31 ora dell’Africa occidentale (13:31 ora della costa orientale)
Club per gentiluomini Millennium Koko
Lagos, Nigeria
“Giusto in tempo, proprio come ho detto.”
Eddie il Pazzo si trovava a un tavolino rotondo con tre dei suoi uomini in una lussuosa sezione VIP del club esclusivo a due piani. Attraverso la partizione in vetro, poteva osservare l’azione al piano di sotto. Non si fermava mai. Anche se la serata era appena cominciata, c’erano tre ragazze sul palco, completamente nude eccetto le scarpe dai tacchi alti, tutte a ballare sul palo.
Brave ragazze forti, sapeva lui. Acrobate. Atlete. Eddie per mesi aveva vissuto al club nelle suite per la notte, e credeva di aver provato ogni ragazza che lavorava nel locale. Nere di lì, della Nigeria e dei paesi vicini, bianche della Russia e dell’Europa orientale, asiatiche della Cambogia e della Thailandia – Eddie le adorava tutte.
Le luci brillavano di viola, azzurro e arancione. Suonavano dei bassi pesanti, ma Eddie li percepiva più che udirli – la parete in vetro era ottima per cancellare il rumore. Di sotto era appena entrato nel club un altro gruppo – una mezza dozzina di uomini con caffettani azzurri e bianchi e pantaloni coordinati, kufi in testa. Avevano tutti folte barbe, quasi in maniera comica, come se fossero barbe finte incollate alla faccia.
Parlavano con i due grossi buttafuori alla porta, ma sembrava tutto in ordine. Eddie aveva già pagato loro l’entrata – non c’era bisogno che un ingresso di tremila naira facesse da elemento di rottura o avesse come conseguenza un improvviso massacro.
“Pronti, ragazzi?” disse Eddie. “Prepariamoci a dare il benvenuto ai nostri ospiti. Attenzione ai vestiti. Cercate armi.”
Eddie sollevò una mano e fece schioccare le dita, indicando ai due camerieri alla porta di portare fuori lo champagne. Era il modo di Eddie di fare il simpatico. I suoi ospiti erano musulmani salafiti che mai si sarebbero sognati di bere alcol. Però probabilmente si sarebbero divertiti molto a uccidere la gente che lo beveva.
E le ragazze nude? Che ballavano? Ciò portava la cosa a tutt’altro livello. Anche solo tenere la riunione al club era un altro modo di fare i simpatici. Eddie faceva Eddie, così dicevano alcuni.
I visitatori adesso stavano salendo la scalinata dal tappetto rosso e Eddie riuscì a vedere che due di loro erano i maggiori ricercati della Nigeria – vivi o morti. Preferibilmente morti. Gli altri erano uomini grossi, guardie del corpo.
Una delle guardie aprì la porta di vetro e il gruppo entrò. Eddie si sollevò dal suo posto al tavolino, così come i suoi. Con la coda dell’occhio, vide una coppia dei suoi ragazzi tutti prurito alle dita – erano ansiosi, pronti a ficcarsi le mani nelle giacche ed estrarre le pistole.
“Fermi,” disse. “È una visita in amicizia.”
Il leader andò dritto da Eddie. Era basso e magro, con una lunga e folta barba che mostrava striature di grigio. Aveva la pelle nero scuro e il viso era segnato da grinze e solchi. Quell’uomo aveva trascorso molto tempo nel grande Sahel, col sole a battergli addosso.
“Yisrael Abdul Salaam,” disse Eddie allungando le braccia. “Benvenuto a casa mia.”
“As-Salaam-Alaikum,” disse l’uomo.
Eddie scosse la testa e sorrise. “Come vuoi.”
“Edward,” disse il più piccolo, “ti conosco da quand’eri ragazzo, e sei sempre stato una fonte di guai. Ma questo…” Fece un cenno all’ambiente. Aveva gli occhi svegli e non sorrideva. “Questo è il lavoro del diavolo. Dovrei ucciderti per avermi costretto ad attraversare un tale covo di immoralità.”
Adesso Eddie smise di sorridere. L’ultima cosa che voleva era una ramanzina da un fanatico religioso. “Il mondo sta cambiando,” disse. “Questa è la nuova Nigeria. Soldi veloci, vita veloce, posti bellissimi, donne bellissime. Tu e il tuo dio siete relitti del passato. E l’orologio ticchetta.”
Gli occhi di Yisrael non vacillarono mai. “Prima della tua morte, che Allah ti faccia recidere quella sporca lingua dalla bocca.”
Tolte di mezzo le amenità, Eddie indicò il tavolino. “Ci accomodiamo per parlare un attimo?”
Yisrael annuì. Sedette al tavolo e Eddie si accomodò di fronte a lui. Il resto degli uomini restò in piedi. Eddie non si curò nemmeno di offrire a Yisrael una flûte di champagne. Non era più di buonumore. Si guardò intorno. Gli uomini erano tesi. Una riunione di cinque minuti poteva aver luogo senza sparatorie? Questa era la massima preoccupazione. Yisrael, ovviamente, non era un attentatore suicida. Era troppo importante per una cosa del genere.
“So che oggi hai rubato una cosa,” disse.
Eddie scosse la testa. “Ho trovato una cosa.”
“E non sai neanche che cos’è.”
Era vero. Negarlo non aveva senso. “Tu sì?”
Yisrael annuì. “Ma certo. Appartiene ad amici nostri.”
Adesso Eddie invece sorrise, un fantasma di un sorriso. “Ah sì? Io sapevo che voi di amici non ne avevate più.”
Yisrael mandò a sbattere il piccolo pugno sul tavolino. Tutt’intorno a loro, i tiratori, stupefatti, saltarono. E fremettero. Ma non estrassero le armi.
“Perché mi hai invitato qui?” disse Yisrael.
“Per offrirti personalmente la cosa che ho trovato. Perché sono un sentimentale, e tu sei un mio compatriota e fratello di tribù, dopotutto. Ma se non la vuoi, sono sicuro di riuscire a fare un accordo con questi tuoi amici.”