Maya girò la maniglia ed entrò in bagno per prima. Istintivamente arricciò il naso per il disgusto; il posto puzzava di urina e muffa, e il pavimento era bagnato per via di un tubo del lavello che perdeva. Attirò comunque Sara dentro la toilette.
Nella stanza c’era una sola finestra, un vetro smerigliato in alto sul muro che sembrava si sarebbe spalancato con una sola spintarella. Se fosse riuscita a sollevare la sorella fino a lì e a farla uscire, avrebbe potuto distrarre Rais fino a che Sara…
“Datevi una mossa.” Sussultò quando l’assassino entrò nel bagno dietro di loro. Il cuore le sprofondò sotto i piedi. Non le avrebbe lasciate da sole neanche per un minuto. “Tu vai là.” Indicò il secondo dei tre camerini a Maya. “Tu, là.” Indicò il terzo a Sara.
Lei lasciò la mano della sorella ed entrò nel cubicolo. Era lurido; non lo avrebbe voluto usare nemmeno se avesse dovuto urinare per davvero, ma almeno doveva fingere. Fece per chiudere la porta ma Rais glielo impedì con il palmo della mano.
“No,” le disse. “Lasciala aperta.” E poi le diede la schiena, voltandosi verso l’uscita.
Non vuole correre nessun rischio. Si sedette lentamente sul coperchio chiuso del gabinetto e si soffiò sulle mani. Non poteva fare niente. Non aveva armi contro di lui. L’assassino aveva un coltello e due pistole, una delle quali era attualmente stretta nella sua mano, nascosta in una tasca della giacca. Avrebbe potuto tentare di aggredirlo per far scappare Sara, ma stava bloccando la porta. Oltretutto aveva già ucciso il signor Thompson, un ex Marine grande e grosso contro cui la maggior parte delle persone non avrebbe osato alzare un dito. Quante chance avrebbe avuto lei?
Sara singhiozzò nel cubicolo accanto al suo. Non è il momento giusto per agire, lo capiva. Ci aveva sperato, ma avrebbe dovuto aspettare.
All’improvviso sentì un cigolio rumoroso. Qualcuno aveva aperto la porta del bagno e una voce femminile sorpresa esclamò: “Oh! Chiedo scusa… Sono nel bagno sbagliato?”
Rais si fece da parte, allontanandosi dal suo cubicolo e dal capo visivo di Maya. “Chiedo scusa, signora. No, è nel posto giusto.” La sua voce assunse subito un affettato tono di cortesia. “Le mie due figlie sono qui dentro e… beh, forse sono un po’ troppo protettivo, ma non si è mai troppo cauti di questi tempi.”
A quella menzogna il petto di Maya si gonfiò di rabbia. L’idea che l’uomo che le aveva strappate dal padre osasse fingersi lui le colorò il volto per l’ira.
“Oh, capisco. Tanto devo solo usare il lavello,” disse la donna.
“Ma certo.”
La ragazza sentì le scarpe ticchettare sulle piastrelle, e poi la sconosciuta apparve davanti alla sua porta. Le dava le spalle mentre girava la manopola difettosa. Sembrava una donna di mezza età, con capelli biondi lunghi fino alle spalle e abiti eleganti.
“Non posso dire di biasimarla,” stava dicendo a Rais. “Normalmente non mi fermerei mai in un posto del genere, ma mi sono versata addosso il caffè lungo la strada e, uhm…” Si interruppe quando guardò allo specchio.
Nel riflesso aveva visto la porta del cubicolo aperta e Maya seduta sopra il gabinetto chiuso. La ragazza non aveva idea di che aspetto avesse—con i capelli spettinati, le guance gonfie di pianto e gli occhi arrossati—ma poteva immaginare di essere motivo d’allarme.
Lo sguardo della sconosciuta si spostò da Rais all’immagine nel vetro. “Uhm… non potevo viaggiare per un’altra ora e mezza con le mani appiccicose…” Si lanciò uno sguardo alle spalle, senza spegnere l’acqua, e mimò silenziosamente due parole a Maya.
Stai bene?
A lei tremarono le labbra. La prego non mi parli. Non mi guardi nemmeno. Scosse piano la testa. No.
Rais doveva essersi girato di nuovo verso la porta, perché la donna rispose con un movimento del capo. No! pensò disperatamente Maya. Non aveva cercato il suo aiuto.
Voleva solo evitare che facesse la stessa fine di Thompson.
Fece un cenno verso di lei e le disse in silenzio una parola. Vada. Vada.
La sconosciuta si accigliò, con le mani gocciolanti d’acqua. Lanciò di nuovo un’occhiata a Rais. “Immagino che sarebbe troppo chiederle qualche asciugamano di carta, eh?”
Lo disse con un po’ troppa veemenza.
Poi alzò il pollice e il mignolo verso Maya, come a mimare un telefono. Sembrava le volesse dire che avrebbe chiamato qualcuno.
La prego, vada via.
Mentre la donna si voltava verso la porta, Rais fece un movimento tanto rapido da risultare impercettibile. Successe così in fretta che all’inizio Maya pensò di aver avuto le traveggole. La bionda si paralizzò, sgranando gli occhi per lo shock.
Un sottile getto di sangue fuoriuscì dalla sua gola squarciata, spruzzando lo specchio e il lavandino.
La ragazza si strinse entrambe le mani sulla bocca per soffocare il grido che le si alzò dalle labbra. La donna cercò di chiudersi la gola ma non c’era modo per riparare il danno che aveva subito. Il sangue le scorse in rivoli tra le dita e lei cadde sulle ginocchia, emettendo un gorgoglio.
Maya strinse forte gli occhi, continuando a pigiarsi la bocca. Non voleva guardare. Non voleva vedere quella donna che moriva a causa sua. Respirò in lunghi singulti tremanti. Dal cubicolo accanto sentì Sara piangere piano.
Quando osò riaprirli, la donna sembrava fissarla. Aveva una guancia appoggiata sul pavimento sporco e bagnato.
La pozza del sangue che le era colato dalla ferita le raggiungeva quasi i piedi.
Rais si chinò per pulire il coltello sulla camicetta della morta. Quando alzò lo sguardo su Maya, non c’era né rabbia né turbamento nelle sue iridi verdi. C’era solo delusione.
“Ti avevo detto che cosa sarebbe successo,” disse a bassa voce. “Hai cercato di farle un segno.”
Le lacrime le annebbiarono la vista. “No,” riuscì a rispondere tra i singhiozzi. Non riusciva a controllare il tremito delle labbra, né quello delle dita. “Non ho…”
“Sì,” la interruppe lui calmo. “L’hai fatto. Il suo sangue è sulle tue mani.”
Maya cominciò a iperventilare. Respirava in ansimi strozzati. Si sporse in avanti per mettere la testa tra le ginocchia, con gli occhi stretti e le dita tra i capelli.
Prima il signor Thompson e poi quella sconosciuta innocente. Erano morti entrambi perché le si erano avvicinati troppo, perché avevano cercati di opporsi a quel maniaco. E lui aveva già dimostrato due volte di essere disposto a uccidere per raggiungere il suo obiettivo.
Quando finalmente riprese il controllo di sé e alzò lo sguardo, Rais aveva preso la borsa nera della donna e stava controllando il contenuto. Lo guardò estrarre un telefono e togliergli la batteria e la carta SIM.
“Alzati,” le ordinò poi entrando nel suo cubicolo. Lei obbedì in fretta, spingendosi contro la parete metallica e trattenendo il fiato.
Rais scaricò la batteria e la carta nel gabinetto. Si voltò verso di lei, ad appena pochi centimetri di distanza nello spazio stretto. Maya non riusciva a incontrare il suo sguardo, e invece gli fissò il mento.
L’uomo le fece dondolare qualcosa davanti al volto: le chiavi di un’auto.
“Andiamo,” disse piano. Uscì dallo spazio ristretto, camminando senza alcuna esitazione in mezzo alla pozza di sangue per terra.
Maya batté le palpebre. Non si erano fermati perché lei potesse andare in bagno. Non era stata una dimostrazione di umanità da parte dell’assassino. Era stato solo un modo per liberarsi del pick-up di Thompson. Perché la polizia lo sta cercando.
Almeno sperava che fosse così. Se suo padre non era ancora tornato, era improbabile che qualcuno si fosse accorto della loro scomparsa.
Avanzò con cautela per evitare il sangue, e per non guardare troppo a lungo il cadavere sul pavimento. Si sentiva le membra di gelatina. Era debole e impotente contro quell’uomo. Tutta la determinazione che aveva radunato solo qualche minuto prima in auto si dissolse come zucchero nell’acqua bollente.
Prese Sara per mano. “Non guardare,” le sussurrò, e guidò la sorellina attorno al corpo. Sara fissò il soffitto, prendendo profondi respiri con la bocca. Aveva le guance macchiate di lacrime fresche. Il suo volto era bianco come un foglio di carta e le sue dita erano fredde e bagnate di sudore.
Rais aprì la porta del bagno di qualche centimetro per controllare l’esterno. Poi alzò una mano. “Aspettate.”
Maya sbirciò oltre di lui e notò un uomo in carne con un cappellino da camionista uscire dalla toilette dei maschi, asciugandosi le mani sui jeans. Strinse Sara a sé, cercando istintivamente di riordinarsi i capelli scompigliati.
Non poteva lottare contro quell’assassino, non senza un’arma. Non poteva cercare l’aiuto di uno sconosciuto, o gli avrebbe fatto fare la stessa fine della donna morta alle loro spalle. Aveva solo una possibilità: doveva aspettare e sperare che il padre le trovasse… e lui avrebbe potuto riuscirci solo avendo un’idea di dove fossero, ma non c’era modo per lasciargli un messaggio. Non c’era niente che poteva usare come traccia o indizio.
Pettinandosi i capelli trovò un nodo e si strappò qualche filo scompigliato. Scosse la mano e li lasciò cadere lentamente a terra.
I capelli.
Aveva i capelli. E sarebbero stati testati in laboratorio, era una normale procedura della scientifica. Sangue, saliva e capelli. Erano tre cose che dimostravano la sua presenza, e che al momento in cui le aveva lasciate lì era ancora viva. Quando le autorità avessero trovato il pick-up di Thompson, avrebbero anche scoperto il cadavere della donna e avrebbero prelevato campioni. Avrebbero trovato i suoi capelli. Suo padre avrebbe capito che erano state lì.
“Muovetevi,” ordinò loro Rais. “Fuori.” Tenne la porta perché le due ragazze, tenendosi per mano, potesse uscire. Le seguì, guardandosi attorno un’ultima volta per accertarsi che non ci fosse nessuno. Poi estrasse la pesante Smith & Wesson del signor Thompson e la roteò tre le dita. Con un unico gesto fluido, sferrò un colpo con il calcio per spezzare la maniglia del bagno.
“La macchina blu.” Indicò il mezzo con il mento mettendo via la pistola. Le ragazze si diressero piano verso la berlina parcheggiata a poca distanza dal pick-up di Thompson. La mano di Sara tremò nella sua, ma forse era quella di Maya a scuoterle entrambe, non ne era certa.
Rais manovrò l’auto per uscire dalla piazzola e rimettersi in viaggio sulla strada, ma non più verso sud, la direzione che avevano seguito prima. Tornò indietro muovendosi verso nord. Maya capì che cosa stava facendo. Quando le autorità avessero trovato il pick-up di Thompson, avrebbero pensato che avesse continuato per la stessa strada. Avrebbero cercato l’assassino, e loro due con lui, nel posto sbagliato.
Si strappò qualche capello e lo lasciò cadere a terra nella macchina. Lo psicopatico che le aveva rapite aveva ragione su una cosa: il loro fato sarebbe stato determinato da un altro potere, rappresentato da Rais. Ed era qualcosa che lei non capiva appieno.
Avevano solo un modo per evitare qualsiasi cosa quell’uomo avesse in serbo per loro.
“Papà verrà a salvarci,” sussurrò all’orecchio della sorella. “Ci troverà.”
Cercò di sembrare più sicura di quanto non si sentisse.
CAPITOLO DUE
Reid Lawson salì in fretta le scale della sua casa ad Alexandria, in Virginia. Si sentiva rigido, con le gambe ancora insensibili per lo shock di qualche minuto prima, ma il suo volto era una maschera di cupa determinazione. Fece i gradini due alla volta fino al primo piano, anche se temeva quello che vi avrebbe trovato, o più precisamente, quello che non vi avrebbe trovato.
Al piano di sotto e nel cortile c’era una grande attività. Nella strada di fronte alla casa c’erano non meno di quattro auto della polizia, due ambulanze e un camion dei pompieri, come da protocollo nelle situazioni come quella. Agenti in uniforme stavano tendendo il nastro giallo a X davanti alla porta. La scientifica stava raccogliendo campioni del sangue di Thompson nell’ingresso e i follicoli dei capelli delle sue figlie dai cuscini.
Reid quasi non si ricordava di aver chiamato le autorità. A malapena era riuscito a rilasciare una dichiarazione alla polizia, una serie di frasi balbettate e confuse inframezzate da singhiozzi e respiri mozzati, con la mente affollata di orrende possibilità.
Era andato via per il weekend con un’amica. Il vicino avrebbe dovuto tenere d’occhio le sue figlie.
Il vicino ora era morto. Le ragazze erano sparite.
Non appena fu in cima alle scale e lontano da occhi indiscreti fece una telefonata.
“Avresti dovuto chiamare noi per primi,” disse Cartwright a mo’ di saluto. Il vice direttore Shawn Cartwright era il capo della Divisione Attività Speciali e, in via ufficiosa, il capo di Reid alla CIA.
L’hanno già saputo. “Come fai a saperlo?”
“Sei controllato,” rispose l’altro uomo. “Lo siamo tutti. Ogni volta che appaiono i nostri dati nel sistema, che sia il nome, l’indirizzo, il codice fiscale, qualsiasi cosa, la chiamata viene subito mandata all’NSA. Diavolo, se prendi una multa per eccesso di velocità l’agenzia lo sa prima ancora che l’agente ti lasci andare via.”
“Devo trovarle.” Ogni secondo che passava non faceva che pensare che non avrebbe mai più rivisto le sue figlie se non avesse iniziato a cercarle subito, in quell’istante. “Ho visto il corpo di Thompson. È morto da almeno ventiquattro ore, che gli dà un vantaggio enorme su di noi. Mi serve dell’equipaggiamento, e devo muovermi adesso.”
Due anni prima, quando sua moglie, Kate, era morta all’improvviso per un ictus ischemico, si era sentito completamente stordito. Un senso di intorpidimento era sceso su di lui. Niente gli era più sembrato reale, come se da un momento all’altro si sarebbe potuto svegliare da quell’incubo per scoprire che era successo solo nella sua testa.
Non le era stato vicino. Era andato a una conferenza di storia antica dell’Europa… no, non era vero. Quella era la sua storia di copertura. In realtà era stato impegnato in una missione della CIA in Bangladesh, per dare la caccia a una fazione terrorista.
Non era stato vicino a Kate allora e adesso non c’era stato per le sue figlie.
Ma era sicuro come l’inferno che le avrebbe ritrovate.
“Ti aiuteremo, Zero,” gli garantì Cartwright. “Sei uno di noi e ci prendiamo cura dei nostri. Stiamo mandando dei tecnici a casa tua per aiutare la polizia nelle indagini. Si fingeranno personale della Homeland Security. La nostra scientifica è più veloce; dovremmo avere una pista sul colpevole entro…”
“So già chi è stato,” lo interruppe Reid. “È stato lui.” Non aveva alcun dubbio su chi fosse stato, chi avesse rapito le sue figlie. “Rais.” Anche solo pronunciare quel nome ad alta voce rinnovò la sua rabbia, che gli si accese nel petto per irradiarsi in tutte le membra. Serrò i pugni per evitare che gli tremassero le mani. “L’assassino di Amun che è scappato dalla Svizzera. È stato lui.”
Cartwright sospirò. “Zero, fino a quando non avremo prove non possiamo esserne sicuri.”
“Io lo sono già. Lo so. Mi ha mandato una loro foto.” Aveva ricevuto l’immagine, spedita dal telefono di Sara verso quello di Maya. C’erano le sue due figlie, ancora in pigiama, strette insieme sui sedili posteriori del pick-up rubato di Thompson.
“Kent,” disse con attenzione il vice direttore, “ti sei fatto diversi nemici. Questo non conferma…”
“È stato lui. So che è stato lui. Quella foto è la prova che sono vive. Mi sta provocando. Chiunque altro avrebbe…” Non riuscì a costringersi a dirlo ad alta voce, ma tutti gli altri nemici che Kent Steele si era fatto nel corso della sua carriera avrebbero solo ammazzato le due ragazze per vendetta. Rais lo stava facendo perché era un fanatico convinto di essere destinato a ucciderlo. Significava che voleva farsi trovare, con un po’ di fortuna insieme alle sue figlie.