In conseguenza a quanto accaduto, i quattro stavano tornando a casa in ritardo mostruoso, e non avevano detto a nessuno dove sarebbero stati. I bambini erano sporchi, affamati, assetati ed esausti. Cassie temeva che Antoinette avesse fatto più di quanto fosse necessario per farla licenziare immediatamente.
La camminata per rientrare al castello fu lunga, fredda, e sgradevole. Ella insistette per poter stare in braccio tutto il tragitto, e le braccia di Cassie cedettero proprio quando raggiunsero la casa. Marc si trascinava dietro di lei, borbottando. Era talmente stanco che l’unica cosa che riusciva a fare era tirare un sasso ogni tanto contro gli uccelli nelle siepi. Anche Antoinette sembrava non godersi la sua vittoria e arrancava con fare imbronciato.
Quando Cassie bussò alla porta imponente, quella fu aperta all’istante. Margot le stava di fronte, rossa di rabbia.
“Pierre!” urlò. “Sono finalmente a casa”.
Cassie iniziò a tremare quando sentì un rumore di passi arrabbiati.
“Dove diavolo siete stati?” gridò Pierre. “Hai idea di quanto tu sia stata irresponsabile?”
Cassie deglutì duramente.
“Antoinette voleva andare nel bosco. Quindi siamo usciti per fare una passeggiata”.
“Antoinette — cosa? Tutto il giorno? Perché mai le hai permesso di fare una cosa simile e perché non hai seguito le tue istruzioni?”
“Quali istruzioni?” Tremando di fronte alla rabbia dell’uomo, Cassie voleva solo correre e nascondersi, come aveva fatto a dieci anni quando suo padre aveva avuto uno dei suoi scoppi d'ira. Guardandosi alle spalle, vide che i bambini provavano esattamente la stessa cosa. I loro volti terrorizzati e affranti le diedero il coraggio di cui aveva bisogno per affrontare Pierre, anche se le tremavano le gambe.
“Ho lasciato un appunto sulla porta della tua camera”, disse lui. Facendo uno sforzo, parlò con voce più calma. Forse anche lui si era accorto della reazione dei bambini.
“Non ho trovato alcun appunto”, Cassie diede un'occhiata ad Antoinette, ma gli occhi della ragazzina erano pieni di sconforto e aveva le spalle curve.
“Antoinette aveva un'esibizione di pianoforte a Parigi. È arrivato un autobus per prenderla alle otto e mezza, ma non l'hanno trovata da nessuna parte. E Marc aveva gli allenamenti di calcio in paese, a mezzogiorno”.
Cassie sentì un nodo allo stomaco, nel rendersi conto delle serie conseguenze alle sue azioni. Aveva deluso Pierre, e altre persone, nel peggior modo possibile. Quel giorno doveva essere un test delle sue abilità nel gestire gli impegni dei bambini. Invece lei era uscita per una scampagnata non programmata in mezzo al nulla e aveva mancato impegni importanti. Se fosse stata in Pierre, sarebbe stata furibonda anche lei.
“Mi dispiace moltissimo”, borbottò.
Cassie non osava dire apertamente a Pierre come i bambini l'avessero ingannata, anche se era certa che lui lo sospettasse. Se avesse detto come erano andate veramente le cose, i tre avrebbero probabilmente subito le conseguenze dell’ira del padre.
Si sentì il suono di un gong provenire dalla sala da pranzo e Pierre diede un'occhiata al suo orologio.
“Ne parleremo più tardi. Falli preparare per la cena ora. In fretta, prima che diventi fredda”.
Fu più semplice dirlo che farlo. Ci volle oltre mezz'ora, e molte lacrime, prima che Marc e Ella fossero lavati, e col pigiama addosso. Per fortuna, Antoinette si comportò al meglio, e Cassie si domandò se magari la ragazzina si sentisse sopraffatta dalle conseguenze delle sue azioni. Per quanto la riguardava, Cassie era paralizzata per quanto catastrofica si fosse rivelata quella giornata. Fare il bagno ai bambini l’aveva resa completamente fradicia, ma non aveva tempo per fare una doccia. Si mise addosso una maglietta asciutta e le piaghe sulle braccia le si infiammarono nuovamente.
Scese insieme ai bambini al piano di sotto, con fare sconsolato.
Pierre e Margot stavano aspettando nel piccolo salotto accanto alla sala da pranzo. Margot stava sorseggiando un calice di vino mentre Pierre si riempiva di nuovo il bicchiere di brandy e soda.
“Finalmente possiamo mangiare”, osservò la donna.
Per cena c'era stufato di pesce, e Pierre insistette che i due fratelli maggiori si servissero da soli, anche se permise a Cassie di aiutare Ella.
“Devono imparare le buone maniere da piccoli”, disse, e spiegò loro il corretto protocollo da seguire nel corso di tutta la cena.
“Metti il tovagliolo sulle gambe, Marc. Non accartocciato sul pavimento. E tieni in dentro i gomiti; Ella non vuole che le tiri gomitate nei fianchi mentre mangia”.
Lo stufato era ricco e delizioso, e Cassie stava morendo di fame, ma le prediche di Pierre erano sufficienti a far passare la fame a tutti. La ragazza si limitò perciò a bocconi piccoli e delicati, osservando Margot, per capire se stesse facendo le cose nel modo giusto, seguendo la tradizione francese. I bambini erano esausti, incapaci di capire cosa stesse dicendo il padre, e Cassie sperava che la fidanzata gli facesse notare che non era il momento adatto per essere pignoli.
La ragazza si chiese se le cene fossero diverse quando Diane era viva, e come tutto fosse cambiato dopo l'arrivo di Margot. La sua stessa madre aveva cercato sempre di evitare il conflitto in silenzio, ma quello era scoppiato incontrollabile quando se n'era andata. Forse Diane aveva giocato un ruolo simile in questa famiglia.
“Vuoi un po' di vino?” Con sua sorpresa, Pierre le riempì il bicchiere prima che lei potesse rifiutare. Forse anche quello faceva parte del protocollo.
Il vino era profumato e fruttato, e dopo solo qualche sorso, Cassie sentì l'alcool entrarle nel sangue, donandole una sensazione di benessere e un rilassamento pericoloso. Posò il bicchiere di fretta, coscia del fatto che non poteva permettersi alcun errore.
“Ella, cosa stai facendo?” Chiese Pierre, esasperato.
“Mi sto grattando il ginocchio”, spiegò la bambina.
“Perché stai usando un cucchiaio?”
“Le mie unghie non sono abbastanza lunghe per raggiungere il prurito. Abbiamo camminato tra le ortiche”, disse Ella con orgoglio. “Antoinette ha fatto vedere una scorciatoia a Cassie. Mi hanno punto sul ginocchio. Cassie è stata punta su tutta la faccia e le braccia. Stava piangendo”.
Margot sbatté il suo bicchiere di vino sul tavolo.
“Antoinette! Lo hai fatto di nuovo?”
Cassie sbatté le palpebre, sorpresa di scoprire che quanto accaduto non fosse una novità.
“Io…” Antoinette iniziò in modo provocatorio, ma Margot era inarrestabile.
“Sei un piccolo mostro crudele. Vuoi solo creare problemi. Pensi di essere furba, ma sei solo una ragazzina stupida, perfida ed infantile”.
Antoinette si morse le labbra. Le parole di Margot avevano scalfito la sua fredda corazza di autocontrollo.
“Non è colpa sua”, si ritrovò a dire ad alta voce Cassie, chiedendosi troppo tardi se bere il vino fosse stata una buona idea.
“Dev'essere davvero difficile per lei gestire —” si fermò di botto, perché stava per parlare della morte della madre, ma Ella credeva ad una versione differente e Cassie stessa non aveva idea di quale fosse la verità. Non era il momento di fare domande.
“Gestire tutti questi cambiamenti”, disse. “In ogni caso, Antoinette non mi ha detto di fare quella strada. L'ho scelta io. Ella e io eravamo stanche e sembrava una buona scorciatoia”.
Non osò guardare Antoinette mentre parlava, in caso che Margot sospettasse una combutta, ma riuscì a cogliere lo sguardo di Ella. Le diede un'occhiata di intesa, sperando che capisse perché Cassie stava dalla parte di sua sorella, e fu ricompensata con un piccolo cenno del capo.
Cassie temeva che difendere la ragazzina l’avrebbe messa in una situazione ancora più pericolosa, ma si sentiva in obbligo di dire qualcosa. Dopo tutto, lei sapeva bene come fosse crescere in una famiglia distrutta, dove poteva scoppiare un casino in ogni momento. Capiva l'importanza della presenza di un modello più grande da seguire, che potesse offrire riparo dalla tempesta. Come avrebbe fatto lei stessa a superare i momenti difficili senza la forza di Jacqui? Antoinette non aveva nessuno che la difendesse.
“Quindi hai deciso di stare dalla sua parte?” sibilò Margot. “Fidati, te ne pentirai, proprio come ho fatto io. Non la conosci come la conosco io”. Puntò il dito con una perfetta manicure scarlatta verso Antoinette, che iniziò a piangere. “È proprio come sua —”
“Smettila!” ruggì Pierre. “Non accetto discussioni a tavola — Margot, ora stai zitta, hai detto abbastanza.
La donna si alzò in piedi così rapidamente, che la sua sedia cadde con uno schianto.
“Mi stai dicendo di tacere? Bene, allora me ne vado. Ma non pensare che non abbia provato ad avvisarti. Avrai ciò che ti meriti, Pierre”. Si diresse verso la porta, ma poi si voltò nuovamente, fissando Cassie con un odio malcelato.
“Avrete tutti quello che vi meritate”.
CAPITOLO OTTO
Cassie trattenne il respiro mentre Margot si allontanava rabbiosamente lungo il corridoio. Guardandosi intorno, la ragazza si rese conto di non essere l'unica ad essere rimasta scioccata per lo sfogo feroce della donna. Marc aveva gli occhi spalancati e la bocca sigillata. Ella si stava succhiando il pollice. Antoinette aveva una silenziosa espressione furibonda.
Bisbigliando un'imprecazione, Pierre spinse indietro la sua sedia.
“Me ne occupo io”, disse, dirigendosi verso la porta. “Tu metti i bambini a letto”.
Contenta di aver qualcosa da fare, Cassie si alzò, dando un'occhiata alle stoviglie in disordine sulla tavola. Doveva riordinare o chiedere ai bambini di dare una mano? La tensione si poteva tagliare con un coltello. La ragazza desiderava poter fare una qualunque semplice faccenda domestica, come lavare i piatti, per provare un po’ di calma e tranquillità.
Antoinette notò la direzione del suo sguardo.
“Lascia tutto dove si trova", scattò. “Qualcuno pulirà più tardi”.
Cercando di usare un tono allegro, Cassie disse “Bene allora, è ora di andare a dormire”.
“Non voglio andare a letto”, protestò Marc, dondolandosi sulla sedia. Quando perse l'equilibrio, urlò con finto terrore e si aggrappò alla tovaglia. Cassie corse in suo soccorso. Fece in tempo ad impedire che la sedia cadesse, ma non fu veloce abbastanza per evitare che Marc facesse ribaltare due bicchieri e facesse cadere un piatto sul pavimento.
“Di sopra", ordinò la ragazza, cercando di usare un tono deciso, ma la voce era acuta e tremolante per la stanchezza.
“Voglio uscire”, disse Marc, correndo verso la porta finestra. Al ricordo di come l'aveva seminata nei boschi, Cassie gli corse subito dietro. Quando lo raggiunse, il bambino aveva già girato la chiave nella porta, ma lei riuscì ad afferrarlo e fermarlo prima che potesse aprirla ed uscire. La ragazza vide il loro riflesso nel vetro scuro. Il bambino con i capelli ribelli e un'espressione impenitente — e se stessa. Con le dita gli afferrava le spalle, aveva gli occhi spalancati e ansiosi, e il viso bianco come un lenzuolo.
Vedere il proprio riflesso in quel momento inaspettato le fece comprendere quanto, fino a quel momento, avesse fallito nel compiere il suo dovere. Erano passate 24 ore dal suo arrivo, e non aveva avuto il controllo per un solo minuto. Pensare il contrario voleva solo dire prendersi in giro. Le sue aspettative di entrare a far parte della famiglia, ed essere amata, o almeno apprezzata, dai bambini, non potevano essere più lontane dalla realtà. I ragazzi non avevano un minimo di rispetto nei suoi confronti, e lei stessa non aveva idea di come avrebbe potuto cambiare le cose.
“È ora di andare a dormire”, ripetè stancamente, e tenendo la mano sinistra saldamente sulla spalla di Marc, tolse le chiavi dalla serratura. Notò un gancio posto in alto sul muro, e ve le appese. Poi, condusse il bambino al piano di sopra senza mollare la presa. Ella camminò accanto a loro, e Antoinette li seguì scoraggiata, sbattendosi la porta alle spalle una volta entrata in camera, senza neanche dire buonanotte.
“Vuoi che ti legga una storia?” chiese a Marc, ma lui scosse la testa.
“Va bene. A letto, allora. Se vai a dormire ora, domani puoi alzarti e giocare coi tuoi soldatini”.
Era l'unico incentivo che le venne in mente, ma sembrò funzionare; o forse il bambino aveva finalmente ceduto alla stanchezza. In ogni caso, con suo grande sollievo, Marc fece come richiesto. Cassie tirò su il piumone per coprirlo, notando che le mani le tremavano per l'enorme stanchezza. Se Marc avesse provato a liberarsi un'altra volta, era certa di scoppiare in lacrime. Non era sicura che il bambino sarebbe rimasto a letto, ma almeno per ora il suo compito era stato svolto.
“Io voglio una storia”. Ella le tirò il braccio. “Me ne leggi una?”
“Certo”. Cassie andò nella camera della bambina e scelse un libro dalla piccola selezione sullo scaffale. Ella corse a letto, saltando sul materasso per l'eccitazione, e la giovane si chiese quante volte le avessero letto una storia in passato, perché non sembrava fosse una cosa abitudinaria. Sebbene, pensò, fino a quel momento non aveva notato molti dettagli della vita di Ella che si potessero considerare normali.
Le lesse la storia più corta che riuscì a trovare, e si ritrovò con Ella che insisteva per leggerne una seconda. Quando giunse alla fine e chiuse il libro, Cassie non riusciva più a distinguere le parole. Alzando lo sguardo, vide con suo grande sollievo che la lettura aveva fatto calmare la bambina, che si era finalmente addormentata.
La ragazza spense la luce e chiuse la porta. Tornando indietro lungo il corridoio, controllò in camera di Marc, cercando di fare il minor rumore possibile. Grazie al cielo, la stanza era ancora buia, e Cassie riusciva a sentire un leggero respiro.
Quando aprì la porta di Antoinette, la luce era accesa. La ragazzina era seduta a letto e stava scrivendo in un libro dalla copertina rosa.
“Si bussa prima di entrare”, rimproverò Cassie. “È una regola”.
“Scusami. Prometto che lo farò d'ora in poi”, si scusò lei. Temeva che Antoinette trasformasse questa infrazione in un litigio, ma invece la ragazzina riportò l'attenzione al suo quaderno, e scrisse qualche altra parola prima di chiuderlo.
“Stai finendo i compiti?” le chiese Cassie, sorpresa, perché non pensava che Antoinette fosse una persona che lasciava le cose all'ultimo minuto. La sua stanza era perfetta. I vestiti che si era tolta di dosso erano piegati del cesto della biancheria, e il suo zaino di scuola, pronto e al suo posto, si trovava sotto una scrivania bianca ed impeccabilmente in ordine.
Si chiese se Antoinette si sentisse come se la sua vita fosse fuori controllo, e stesse cercando di compensare nel suo ambiente privato. O forse, dato che la ragazzina aveva dimostrato chiaramente che era infastidita dalla presenza di una ragazza alla pari, magari stava cercando di dimostrare che non aveva bisogno di nessuno che si prendesse cura di lei.
“I compiti li ho già finiti. Stavo scrivendo sul mio diario”, le disse Antoinette.
“Lo scrivi tutte le sere?”
“Quando sono arrabbiata”, rimise il tappo sulla penna.
“Mi dispiace per quello che è successo stasera”, simpatizzò Cassie, sentendosi come se stesse camminando su uno strato di ghiaccio sottile, che si sarebbe potuto rompere in qualunque momento.