Era piccola confronto alle Sette Isole che si erano lasciati alle spalle, ma lussureggiante di erba e alberi, tanto che sembrava un gioiello verde che sbucava dal mare. Era piuttosto pianeggiante e l’interno dell’isola scompariva tra gli alberi, cosicché era impossibile vedere molto dalla barca. Quando si furono avvicinati, Royce distinse delle spiagge di sabbia dorata che si fondevano con i boschi come il bianco di un occhio attorno all’iride verde.
“Speriamo solo che non ci siano donne magiche o lucertoloni anche qui,” disse Matilde.
Neave scrollò le spalle. “Se ricordo bene, Lethe ti piaceva abbastanza.”
“Non è il momento di mettersi a litigare,” disse Royce. “Ma avete ragione, potrebbero esserci dei pericoli.”
Fece volare Bragia sopra alla spiaggia, usando il falco come guida, volendosi assicurare di non portare i suoi amici in un altro posto colmo di pericoli. Avrebbe potuto guardare nello specchio, ma quella era un’opzione ancora più pericolosa: doveva vedere ciò che era, non ciò che poteva essere. Attraverso gli occhi del falco, Royce vide che gli alberi formavano un cerchio esterno attorno al centro dell’isola, mentre dentro si trovava un vasto terreno aperto ricoperto di erba.
Su di esso vide un branco di cervi bianchi che brucavano e gli parve che un cervo maschio sollevasse la testa al passaggio di Bragia, le corna maestose stagliate al vento mentre controllava il volo del falco. Ora Royce sapeva senza ombra di dubbio che questo era il posto che lo specchio gli aveva promesso. Significava anche che sapeva cosa fare adesso.
“Siamo nel posto giusto,” disse. “Devo scendere a riva da solo.”
“Da solo?” chiese Mark con voce ovviamente incredula. “Dopo che abbiamo fatto tutta questa strada con te, vuoi andare da solo?”
“Devo,” disse Royce. “Io…” Di nuovo provò la tensione dei futuri che minacciava di mutare. Se avesse spiegato, sapeva che le cose che aveva visto sarebbero cambiate del tutto. “Non posso spiegarne i motivi, ma devo andare su quest’isola senza nessun altro.”
“Sai come sembra?” chiese Matilde.
“Sembra una sciocchezza senza senso, lo so,” confermò Royce.
“No Royce,” rispose lei. “Sembra che non ti fidi di noi.”
“Metterei la mano sul fuoco per voi,” disse Royce. “E quando potrò, spiegherò tutto. Ma adesso non posso.”
“E quindi devi andare sull’isola da solo, soltanto con la spada di ossidiana come protezione?” chiese Neave. La sua disapprovazione era evidente come quella degli altri.
“Penso… penso di poter portare Gwylim e Bragia con me,” disse Royce. La forma del potenziale futuro non sembrava essere intaccata dall’idea della loro presenza. “Vi prego, siete arrivati fino a questo punto fidandovi di me. Vi chiedo solo un altro sforzo.”
“Va bene,” disse Mark sospirando. Ma non mi piace.
Portarono la barca il più vicino possibile alla riva, senza toccare la spiaggia, poi buttarono in mare una piccola ancora per tenerla ferma. Royce controllò di avere la sua spada e tutto il resto di cui aveva bisogno, mentre Gwylim si portava al suo fianco. La presenza del bhargir gli dava un senso di potere e sicurezza di cui Royce era grato. Bragia volava sopra di loro, disegnando dei cerchi attorno all’isola alla ricerca di pericoli. Royce mise lo specchio nella borsa di velluto che aveva alla cintura.
“Tornerò appena posso,” promise ai suoi amici.
Royce scese dalla barca, mettendo i piedi in acqua. Era bassa lì e gli arrivava solo alla vita, ma lo stesso avanzò con cautela mentre si dirigeva verso la costa. C’era sempre il rischio di qualche creatura pericolosa nell’acqua. Il bhargir nuotò fino a che non poté posare le zampe sulla sabbia e camminare come Royce.
Arrivarono alla spiaggia, con le onde che lambivano delicatamente la sabbia. Guardandosi alle spalle, Royce vide che i suoi amici erano ancora sulla barca, in attesa ma preoccupati. Sapeva che avrebbe dovuto fare in fretta: se ci avesse messo troppo, sarebbero di certo venuti a cercarlo, semplicemente per assicurarsi che stesse bene.
Si portò in mezzo agli alberi, con Bragia che volava in alto, guardando attraverso i suoi occhi il più spesso possibile per assicurarsi che la direzione fosse quella giusta. La vegetazione era piuttosto rada e Royce poteva scorgersi in mezzo agli alberi, guardando se stesso dall’alto attraverso gli occhi del falco. Si addentrò di più verso l’interno dell’isola, diretto verso il punto dove il paesaggio si apriva in una distesa pianeggiante e scoperta.
Tra gli alberi vide molte piante che conosceva: frutti e radici commestibili che suggerivano che qualcuno potesse vivere sull’isola per tutto il tempo che voleva, senza doversi preoccupare di morire di fame. Royce poteva sentire poco lontano il rumore di un corso d’acqua, e avvicinandosi a quel suono, trovò l’acqua che sgorgava da dei massi ricoperti di muschio. Meglio ancora, vide il piccolo secchio di fortuna che vi era stato posto accanto, ovviamente progettato e costruito per prendere l’acqua. L’aveva fatto suo padre?
Royce osava sperarlo, mentre arrivava al limitare degli alberi e metteva piede sulla piana ampia ed erbosa. L’erba era corta, ovviamente mantenuta a quell’altezza dagli sforzi dei cervi, mentre c’erano dei punti dove non ce n’era proprio, perché vi si trovavano delle grandi piastre di roccia, contrassegnate da simboli e segni intagliati sulla superficie. La maggior parte dei cervi corsero via sparpagliandosi, diretti verso il bosco alla ricerca di un nascondiglio. Solo uno rimase lì: un cervo maschio più grande degli altri, le corna magnifiche, la pelliccia bianca che luccicava al sole. Si impennò, lanciando un bramito scocciato, poi andò verso gli alberi insieme agli altri. Se Royce non avesse già saputo di essere nel posto giusto, lo avrebbe scoperto adesso.
Ora che si trovava in quell’ampia radura nel cuore dell’isola, poteva vedere la capanna che vi era stata costruita, riparata sotto agli alberi di lato. Era di semplice fattura, ma sembrava robusta, costruita con alberi caduti e tagliati da mani che chiaramente sapevano quello che facevano.
Royce si diresse verso la capanna, ragionando sul fatto che ciò che era venuto a cercare qui poteva solo trovarsi là dentro. Attraversò la radura, passò oltre le lastre di pietra e si trovò a fermarvisi accanto per leggere. Vi trovò le parole delle persone che erano state lì prima, e qualcosa in quelle parole parve risuonare nel profondo della sua anima. Alcuni rimasugli della chiarezza che aveva trovato nello specchio gli dicevano che quelle erano parole in una lingua antica riguardo ai suoi antenati, re e regine di cui le pietre avevano cantato e i cui regni erano stati pieni di magia.
Royce andò fino alla capanna. Era semplice, ma poté vedere che qualcuno aveva iniziato a intagliare delle scritte nel legno, lavorando con un coltello lungo, o forse con un’accetta tenuta con mani attente. Royce fissò gli intagli, che sembravano raccontare la storia di un uomo che aveva attraversato il mare, che aveva fissato nello specchio e…
Royce sentì Gwylim ringhiare accanto a sé e si girò giusto in tempo per vedere un’ascia che calava verso il suo volto. Royce si gettò di lato e l’arma si piantò nel legno, liberandosi subito dopo mentre un uomo grande e grosso con i capelli scompigliati e la barba incolta la tirava su di nuovo.
“Carris finalmente mi ha trovato e ha mandato un assassino?” chiese l’uomo, pronto a colpire ancora con la sua accetta.
Royce fece un salto indietro, schivando con fatica il fendente. Sguainò la spada di ossidiana e parò il colpo successivo, trovando solo a malapena la forza per tenere la lama alla larga dalla sua testa. Al suo fianco, Gwylim ringhiava, pronto a saltare da un momento all’altro.
“No, Gwylim, non farlo,” disse Royce. La distrazione quasi gli costò la vita mentre il suo avversario lo colpiva allo stomaco con il manico dell’ascia, pronto poi a calarla contro di lui in un fendente mortale. Royce rotolò via e l’accetta colpì la terra dove si era trovato un istante prima.
“Padre, ti prego,” gridò Royce. Gettò via la spada di ossidiana, intenzionato a fargli capire che non era lì per combattere.
“Pensi che possa cascare in un trucchetto del genere?” chiese suo padre. “Pensi che gli assassini non abbiano finto di essere tutti coloro a cui voglio bene, ormai? Intendi indurmi ad abbracciarti così da potermi pugnalare? Ho dato a mio figlio un ciondolo con il mio sigillo in modo da poterlo riconoscere. Ce l’hai? No? Penso di no!”
Fece un passo avanti, l’ascia sollevata sulla propria testa, e per un momento Royce temette che la magia dello specchio lo avesse reso pazzo come aveva fatto con Barihash, capace solo di vedere nemici ovunque. Royce alzò le mani per arrendersi, nella speranza che suo padre fosse un uomo ancora abbastanza buono almeno da riconoscere quel gesto.
L’uomo rimase fermo fissando le mani di Royce, che presto si rese conto di cosa stava guardando: il simbolo impresso lì, le cicatrici di quando era stato bambino, quando aveva allungato la mano per afferrare il ciondolo che era finito in mezzo alle fiamme.
Suo padre si fermò e lasciò cadere l’accetta. “Tu… quello è il mio simbolo. Quello è il ciondolo che ti ho dato. Tu sei mio figlio.”
Royce sorrise. “Ciao, padre.”
CAPITOLO CINQUE
Royce stava fermo, i palmi tesi in avanti. L’uomo fece un passo indietro.
“Royce, sei proprio tu?”
“Sì, padre,” gli rispose, e anche lui stentava a crederlo. Dopo tutto quello che aveva passato per trovarlo, suo padre ora era lì davanti a lui. Quest’uomo dall’aspetto selvaggio, con la barba così lunga da sfiorargli l’ombelico, era suo padre. Il re.
Era difficile da credere, ma Royce sapeva che era vero. Royce poteva vederlo ora, nella somiglianza con i suoi lineamenti, ma c’era di più. Suo padre portava un anello con il sigillo reale, e anche se i suoi abiti erano consumati e sbiancati dal sole, se ne riconosceva ancora la loro ricca origine.
“Sei tu. Sei…”
Suo padre corse in avanti e lo abbracciò con forza. “Ho aspettato… così tanto questo giorno.” La sua voce risuonava secca e un po’ rotta, come se non avesse parlato per molto tempo. Sembrava ricordare le parole con un po’ di difficoltà. “Sei sicuro… sei sicuro che sei tu? Che non sei un sogno?”
Era il genere di domanda che poteva venire solo dall’essere rimasto solo così a lungo.
“No, non importa. Sei tu. L’ho visto! Ho visto tutto! Dal momento in cui ho trovato tua madre tanto tempo fa, ho sperato così tanto di poterti rivedere quando fossi cresciuto.”
Royce rispose all’abbraccio di suo padre. C’erano così tante domande che voleva fargli, così tante cose che voleva dirgli.
“Vedi le pietre?” chiese suo padre, con l’orgoglio di un uomo che vuole fare mostra del poco che possiede. “Le storie dei tuoi antenati, Royce.”
Fece strada accanto alla capanna, fino a un punto in cui si trovava un’altra lastra di roccia, screpolata e composta di diversi pezzi. Sopra c’era l’inizio di un’altra storia.
“Ho cercato di aggiungere la mia vita alle loro,” disse re Filippo. “Su un’isola come questa, è facile trovare il tempo per farlo. Ho parlato con loro, anche se non mi hanno risposto. Non volevo dimenticare come si parla.”
“Perché venire qui, però?” chiese Royce.
Suo padre scrollò le spalle. “Ho guardato nello specchio.”
Era una risposta, e allo stesso tempo non lo era. Per chiunque altro, non avrebbe avuto senso, ma anche Royce aveva guardato. Poteva capire cosa significava dover fare cose che non si potevano spiegare.
“Ci sono cose che non si possono dire,” disse.
Suo padre annuì. Allontanandosi da lui, si avvicinò a Gwylim e gli si piegò accanto, non nel modo in cui uomo avrebbe fatto con un cane, ma piuttosto come con un uomo seduto a terra. Tese il braccio e Bragia vi atterrò sopra.
“Questi che hai trovato sono strani compagni, figlio mio,” disse. “Lo strumento di una strega e una cosa che non è sempre stata un lupo.”
“Non sono gli unici,” disse Royce. “I miei amici sono ancora sulla barca.”
“E se fossero venuti sull’isola, non mi sarei fatto vedere,” disse suo padre. “Sarei stato alla larga e avrei rubato la vostra barca per fuggire.”
Royce annuì, perché quella parte la conosceva. L’aveva vista nello specchio.
“Perché te ne sei andato?” gli chiese. “Perché sei venuto qui?”
“Dovevo andarmene, altrimenti mi avrebbero ucciso,” disse suo padre. “E avrebbero ucciso anche te. Sono venuto qui perché questo posto un tempo era nostro, della nostra famiglia.”
“E hai lasciato una pista da seguire per me, perché sapevi che sarei venuto a cercarti,” disse Royce.
“Non ne sono sicuro,” spiegò suo padre. “Stare aggrappati alle cose dello specchio è difficile. Ricordo di averlo fatto, ma tutti i motivi, e tutte le cose che potrebbero portare a… tu hai guardato nello specchio, anche se ti ho avvisato di non farlo.”
“Sì,” disse Royce. “Devi aver visto che l’avrei fatto.”
Suo padre sorrise, come se Royce non avesse colto il punto. “Non funziona così.”
“Io ho visto delle cose,” continuò Royce. “Ho visto come deve andare questa cosa. Devi tornare. Il re deve tornare perché tutto abbia fine.”
Ora il sorriso di suo padre divenne una risata che riecheggiò nello spazio aperto della radura, facendo scappare i pochi cervi che avevano ricominciato a pascolare.
“Non funziona neanche così,” gli spiegò.
“E allora come funziona?” chiese Royce.
“Lo specchio non ti dona saggezza, ma ti mostra delle possibilità,” disse suo padre. “Così tante che è impossibile conservarle tutte. La tua mente ne sceglie alcune, ma quello che ottieni è ciò che ci porti. Barihash, la cosa là sotto, deve aver provato sospetto prima di guardarci, quindi si è aggrappato a tutte le possibilità che gli mostravano i modi in cui veniva tradito.”
Aveva un sacco di senso per Royce. Lui stesso aveva visto quelle possibilità ed era stato in grado di mettersi a scegliere tra esse. Aveva scelto il filo scintillante delle cose che potevano funzionare, e anche adesso lo vedeva nella sua mente, mentre il resto era impossibile da conservare.
“C’era un… uomo,” disse Royce. “Gli ho mostrato lo specchio nel momento prima che mi uccidesse e lui… si è fermato. Mi ha implorato di ucciderlo.”
“L’uomo grigio,” disse suo padre. “L’Angarthim.”
Non disse altro per qualche secondo, avendo ovviamente difficoltà a trovare le parole.
“Qual è la cosa più orribile che puoi mostrare a un uomo che ha subito un lavaggio del cervello per tutta la vita? Puoi mostrargli la verità. E quali possibilità gli avrà mostrato la sua mente, essendo lui un uomo che prima aveva visto solo dei frammenti?”
Royce non poteva neanche immaginarlo. E poi, non voleva davvero immaginarlo, perché c’erano troppe possibilità già nella sua testa, senza doversi mettere a pensare ad altro. Aveva visto qualcosa di ciò che sarebbe successo se lui avesse fatto la cosa sbagliata, tutti i modi in cui il mondo poteva trasformarsi in sangue, morte e orrore. Doveva tenersi stretto al sentiero che andava in mezzo a tutto ciò che aveva visto, e questo era l’unico modo in cui le cose sarebbero andate bene.
“Perché non mi ha fatto impazzire?” chiese.
“Perché sei abbastanza forte da vederlo per quello che è,” disse suo padre. “O perché sei stato abbastanza forte da tirarti indietro quando ne hai avuto bisogno. Ho visto uno scorcio. Avrei potuto lottare contro Barihash per più di questo, ma sapevo che non avrei mai potuto contenere tutto.”
“Io ho ucciso Barihash,” disse Royce. Provò un certo senso di colpa nell’ammetterlo a suo padre.