Batté le mani e un paio di marinai si avvicinarono, afferrando Mark e Royce e trascinandoli verso la poppa della nave.
“Perché fai questo?” chiese Royce, le parole che parevano uscire dalla gola attraverso una nebbia fitta come quella che avvolgeva le Sette Isole.
“Per quale motivo mai si fanno le cose?” chiese il capitano scrollando le spalle. “Soldi! Potrei portarvi alle Sette Isole rischiando di andare a sbattere con la mia nave contro quegli scogli, o potrei prendervi i soldi e poi accaparrarmi la ricompensa consegnandovi a re Carris.”
“Aiutami, e troverò un modo di ricompensarti ancora meglio,” riuscì a dire Royce. Era una richiesta che suonava disperata anche alle sue stesse orecchie.
Il capitano rise. “Con cosa? Non hai denaro. O stai programmando di diventare re? Non c’è nessun profitto nel cominciare una guerra, ragazzo. Io sto già abbastanza bene così, portando qualche persona dove deve andare, vendendone delle altre dove ci posso ricavare del denaro, derubando la nave che trovo sola e indifesa. Sto veramente benone così, come stanno le cose.”
Royce avrebbe voluto colpire l’uomo, ma i marinai lo stavano tenendo per i polsi adesso, e il torpore che gli si stava diffondendo nel corpo gli impediva ogni movimento di ribellione contro di loro.
“Oh, vuoi combattere?” chiese il capitano. “Fidati di me, dopo lo sforzo che mi hai fatto fare, non oserei. Tutta questa strada… ti ho portato fino a qui solo perché pensavo ci fosse una possibilità di consegnare il vecchio re oltre a te. Però non intendo far schiantare la mia nave contro quegli scogli.”
Royce ebbe un pensiero, un pensiero pericoloso e disperato.
“Non troverai mai mio padre, a meno che tu non intenda andare lì,” disse.
“Quindi ci dirai dove si trova?” chiese il capitano.
“Io…” Royce finse di essere esausto. “Posso fartelo vedere.”
Il capitano si strofinò le mani, annuendo ai marinai che stavano con lui. Fece strada fino al ponte della nave, dove Matilde, Neave e Bolis erano tutti legati mentre un marinaio stava al timone. Gli altri marinai gettarono Mark accanto a loro, mentre Gwylim li seguiva camminando lentamente.
Il capitano tirò fuori un coltello, si diresse verso Mark e gli disse: “Allora, il tuo amico ci dirà dove trovare il vecchio re, e se ci darà problemi, io ti taglierò man mano qualche pezzetto dal corpo.”
“Non serve che tu lo faccia,” disse Royce. Il coltello così vicino a Mark rendeva la cosa molto più pericolosa, ma non c’erano altre opzioni. “Vi guiderò io.”
Scrutò tramite gli occhi di Bragia, guardando verso gli scogli e i resti delle navi nei pressi della prima delle isole. Usando la vista del falco, Royce iniziò a dare istruzioni.
“Un po’ a sinistra,” disse.
“Pensi di venirci a dire dove andare?” chiese il capitano.
“Vuoi che ti guidi da mio padre o no?” chiese Royce. Si sentiva ancora così debole. Se avesse avuto ancora la sua forza, gli sarebbe bastato colpire a destra e a manca sulla nave e salvare i suoi amici. Ma data la situazione… data la situazione le cose erano davvero disperate. “Se non mi credi, tieni d’occhio il falco. Bragia ci sta guidando.”
Il capitano sollevò lo sguardo e Royce guardò verso Gwylim, chiedendosi quanto la creatura simile a un lupo potesse capire. Guardò poi con espressione decisa verso il capitano, sperando che fosse sufficiente. Continuò a guardare attraverso gli occhi di Bragia, lasciando che la nave arrivasse vicina alla costa e aspettando l’occasione giusta…
“Ora!” gridò, e il bhargir saltò, colpendo il capitano al petto mentre Royce afferrava il timone e lo ruotava facendo virare la barca verso gli scogli.
La nave sbandò, ma Royce era già dai suoi amici. Con la droga che aveva in corpo gli sembrava di muoversi al rallentatore, con udito e vista distorti. Sentì i rumori di una lotta feroce poco distante da lui. Non poteva sperare di unirsi a quella battaglia instabile come si sentiva, ma poteva cercare di liberare i suoi amici. Sguainò la spada di cristallo tagliando subito le corde che tenevano legate le mani di Matilde.
“Grazie,” disse lei strofinandosi i polsi. “Io… dietro di te!”
Royce si girò di scatto e piantò la spada nel petto di un marinaio che lo stava per aggredire. Anche se barcollante e quasi incapace di stare in piedi, Royce ebbe la forza di conficcare la spada di cristallo nel corpo dell’uomo. Il marinaio reagì con la propria lama, e Royce sentì una specie di impatto contro la sua armatura mentre quello restava per un momento in piedi, immobile, prima di crollare a terra.
Royce continuò a liberare gli altri, e un altro marinaio saltò loro addosso. Questa volta Bragia planò su di lui con gli artigli protesi contro il suo volto, tenendolo fermo per il tempo che bastò a Bolis per spingerlo in mare con un calcio.
Poi la nave colpì gli scogli con uno schianto di legno che sembrava il rumore di una foresta che veniva sradicata, e l’intero ponte si capovolse.
Gli uomini gridavano mentre scivolavano in mare. Royce vide qualcosa salire dall’acqua, una bestia lunga e simile a un serpente, con le pinne a ventaglio e i denti aguzzi. La creatura uscì dall’acqua, sollevandosi come una torre, un uomo urlante stretto nelle sue fauci mentre i suoi denti affilati lo masticavano. Un altro era stretto nelle sue spire, e Royce udì lo spezzarsi delle ossa mentre il movimento del mostro lo schiacciava.
Royce ebbe un momento per starsene a fissare la crudeltà della morte, poi scivolò lungo il ponte, verso il bordo, verso la bocca del serpente marino che lo aspettava.
Si aggrappò al parapetto, tenendosi a malapena. Accanto a lui Mark, Matilde, Bolis e Neave si tenevano con tutte le loro forze, mentre la nave continuava ad andare a pezzi.
“Qual era esattamente il tuo piano?” chiese Mark.
“Direi proprio questo,” ammise Royce. Mandare la nave a sbattere e poi tentare di capire cosa fare a quel punto. Era stata una mossa basata solo sulla speranza, e ora si trovavano su una nave che stava lentamente andando a pezzi, le sue due parti pronte a scaraventarli contro le rocce, o peggio a trascinarli con sé nel mare profondo.
“Adesso cosa facciamo?” chiese Neave. Teneva un braccio agganciato al parapetto e con l’altro sorreggeva Matilde.
“Penso…” disse Royce, tentando di fare chiarezza nella nebbia che gli offuscava i pensieri. “Penso che dobbiamo saltare!”
“Saltare là dentro?” chiese Bolis. “Sei matto?”
“Se restiamo, rimarremo incastrati nel relitto e verremo trascinati giù,” disse Royce. “Dobbiamo liberarci, e l’unico modo per farlo è saltare!”
C’era anche un altro motivo per saltare. Gli altri uomini stavano avanzando lungo il ponte, e ce n’erano troppi per poterli sconfiggere in quella condizione indebolita. In qualsiasi condizione. Gwylim era lì, il sangue attorno alla bocca mentre ringhiava, ma cosa poteva fare una creatura come lui in una situazione del genere?
Restava solo una scelta, e Royce decise per i suoi amici. Senza esitare, spinse Bolis e Mark oltre il parapetto. Matilde parve voler resistere, ma Neave la portò giù con sé. Anche Gwylim mise le zampe sul parapetto e poi, con un ringhiò, si gettò in mare.
Ora restava solo una cosa da fare. Royce si mise in piedi sul parapetto e guardò l’acqua che mulinava e vorticava sotto di lui. Rimise la spada di cristallo nel fodero, sperò che l’armatura che aveva trovato nella torre fosse leggera come sembrava…
… e saltò.
CAPITOLO QUATTRO
Raymond stava insieme ai sui fratelli nei pressi di un incrocio ai confini del territorio del vecchio duca, sapendo che doveva andare avanti, ma allo stesso tempo non volendo ancora separarsi dagli altri. Presto lui, Lofen e Garet sarebbero dovuti andare a impossessarsi di ciò che serviva a Royce, che serviva a tutti loro.
“Nervosi?” chiese agli altri.
“Certo che no,” disse Lofen con ovvia baldanza. Lofen era sempre pronto a combattere, e magari questo gli sarebbe stato utile nell’andare alla ricerca di Picti, ma ad ogni modo Raymond si trovò a pensare che sarebbe stato meglio che avesse una mappa e un’idea di massima.
“Farò ciò che serve,” disse Garet, ovviamente tentando di apparire coraggioso come il fratello. Raymond avrebbe voluto dirgli che sapeva che lui era coraggioso: aveva visto quanto i suoi fratelli fossero stati forti quanto erano stati intrappolati nelle prigioni di Altfor. “Troverò soldati per la nostra causa.”
“Vi troverò quelli che potranno essere di aiuto,” disse Moira, il suo cavallo vicino a quello di Garet. Raymond non era sicuro di cosa pensare della sua presenza lì. Il fatto che fosse una nobile sarebbe stato utile nel portare i nobili dalla loro parte, e poi si era offerta lei di aiutare, ma Raymond poteva già vedere il modo in cui Garet la guardava, e sapeva che le cose sarebbero state complicate.
“Vedi di fare attenzione e non metterti nei guai,” disse Raymond al fratello più giovane. Portò poi la sua attenzione su Moria. Non si poteva negare che fosse bellissima, e certo non l’avrebbe biasimata per essere stata presa dai nobili, ma c’era comunque qualcosa nel modo in cui aveva offerto il suo aiuto che lo metteva a disagio. “E tu vedi di tenerlo al sicuro.”
“Non sono un bambino,” disse Garet. “Sono un uomo, e farò un lavoro da uomo.”
“Solo fintanto che ci porti la gente che ci serve,” disse Raymond.
“Ho la parte facile,” insistette Garet. “Sei tu quello che deve persuadere la gente a insorgere.”
Raymond annuì. “Insorgeranno. Lo faranno per Royce.”
Aveva visto il modo in cui suo fratello era riuscito a convincere la gente a combattere più aspramente, e come era stato capace di sconfiggere i peggiori nemici. Aveva ucciso un grande guerriero come Sir Alistair e aveva guidato l’esercito del conte di Undine. La gente sarebbe insorta in nome di Royce.
“Immagino allora che questo sia un arrivederci,” disse Lofen. Non c’era molta emozione nella sua voce, ma Raymond sapeva che la stava tenendo lì, sotto la superficie. Sperava solo che suo fratello potesse elaborare una richiesta più sentita quando fosse arrivato dai Picti. Sperava anche che stesse al sicuro, perché aveva visto di cosa erano capaci quei selvaggi della terra quando si erano trovati dalla roccia guaritrice.
“Non è un arrivederci per lungo tempo, spero,” disse Raymond. “Ricorda solo…”
“Di portarli al castello del conte di Undine, non a quello del vecchio duca,” disse Lofen. “Sì, lo so. Lo hai detto già tante volte.”
“Volevo dire che voglio bene a tutti e due, fratelli,” disse Raymond. “Anche se tu sei un idiota, Lofen, e Garet è alle prime armi per avere un po’ di sale in zucca.”
“Almeno noi non facciamo la mamma chioccia oppressiva,” ribatté Garet con veemenza. Fece girare il suo cavallo e lo spronò ad avanzare. “Ci vediamo presto, fratello, con un esercito!”
“Gli starò attenta,” disse Moira, seguendo Garet con il proprio cavallo.
“Me lo auguro,” le rispose Raymond.
“Ti stai comportando in modo duro con lei,” disse Lofen mentre i due si allontanavano.
“È più la dolcezza di Garet nei suoi confronti che mi preoccupa,” disse Raymond
Vide suo fratello scrollare le spalle. “Almeno ha con sé una donna bellissima che conosce la gente che vedrà. Perché non ho potuto portare con me quella Neave…”
Raymond rise. “Pensi che sarebbe stata interessata a te? L’hai vista con Matilde. E poi i Picti saranno facili da trovare. Vai nei posti più selvaggi e aspetta che uno di loro ti tiri addosso qualcosa.”
Lofen deglutì. “Tu scherzi, ma non penso ti piacerebbe se tornassi infilzato da un sacco di frecce. Ma lo farò, e riporterò con me il mio esercito.”
Detto questo, partì in direzione delle terre dei Picti, cosicché Raymond rimase da solo all’incrocio. Confronto ai suoi fratelli, gli pareva di avere il compito più facile: convincere la gente scontenta del regno a unirsi alla loro causa. Dopo così tanti anni di abusi da parte dei nobili che servivano re Carris, erano di certo pronti ad accendersi alla minima scintilla sollevata dalle sue parole.
Lo stesso, mentre Raymond partiva al piccolo galoppo in direzione di uno dei villaggi, si trovò a desiderare che i suoi fratelli fossero andati con lui.
***
Il primo villaggio era un posto talmente piccolo da non essere probabilmente neanche indicato sulla maggior parte delle mappe. Aveva un nome, Byesby, e poche case: tutto qua. Era poco più che una onorata tenuta agricola, a dire il vero, senza neanche una locanda dove la gente del posto potesse riunirsi. Il meglio che si poteva dire era che almeno non si vedevano guardie nei paraggi, al servizio di possibili governatori locali e che potessero tentare di fermare Raymond, impedendogli di indurre la gente a insorgere.
Raymond si portò al centro dell’abitato, che sembrava essere contrassegnato da una piccola bacheca in legno per messaggi, posta accanto a un pozzo che ovviamente non veniva usato da un po’. C’erano alcune persone per strada che lavoravano, e altre uscirono quando Raymond arrivò con il suo cavallo. Probabilmente non erano soliti vedere molti uomini in armatura da quelle parti. Poteva anche darsi che pensassero che fosse stato un nobile a mandarlo, per reclamare quel posto.
“Ascoltatemi,” disse Raymond a voce alta restando a cavallo. “Venite qua attorno, tutti quanti!”
Lentamente la gente iniziò ad avvicinarsi. Raymond aveva visto più gente nelle battaglie, ma gli venne in mente, mentre piano piano lo circondavano, che non aveva mai parlato a così tanti tutti insieme prima d’ora. In quel momento si sentì seccare la bocca e le mani iniziarono a sudare.
“Chi sei?” chiese un uomo che aveva l’aspetto robusto di un fabbro. “Non abbiamo tempo per razziatori o banditi qui.”
Sollevò un martello come a sottolineare il fatto che non erano indifesi.
“Allora sappi che non sono nessuno dei due!” gridò Raymond all’uomo. “Sono qui per aiutarvi!”
“A meno che tu non abbia in mente di dare una mano con il raccolto, non vedo come tu possa aiutarci,” commentò un altro uomo.
Una delle donne più anziane lo squadrò dalla testa ai piedi. “A me vengono in mente dei modi.”
Bastò il modo in cui lo disse a far provare a Raymond un immenso imbarazzo. Cercò di non farci caso, e lo trovò difficile come battersi con la spada contro un valente avversario.
“Non avete sentito che il vecchio duca e suo figlio Altfor sono stati spodestati?” chiese Raymond.
“E noi cosa centriamo?” rispose il fabbro. Dal modo in cui la gente annuiva quando parlava, Raymond ebbe la sensazione che fosse l’uomo che veniva più ascoltato lì. “Siamo nelle terre di Lord Harris qui.”
“Lord Harris, che prende le vostre cose come fanno gli altri nobili,” disse Raymond. Sapeva che c’erano signori migliori e più gentili, come il conte di Undine, ma da quello che poteva ricordare il governatore di quelle terre non era di quel genere. “Quanto spesso dovranno venire nei vostri villaggi a rubare prima che gli diciate che quel che è troppo è troppo?”
“Saremmo piuttosto stupidi a farlo,” disse il fabbro. “Ha soldati al suo servizio.”
“E noi abbiamo un esercito!” gridò Raymond. “Avete sentito che il vecchio duca è stato spodestato? Beh, siamo stati noi, e nel nome del legittimo re, Royce!”
Nella sua immaginazione la sua voce risuonava potente come un tuono. Nella realtà però Raymond vide alcune persone in fondo alla folla che si allungavano per poter sentire.
“Sei Royce?” chiese il fabbro. “Sei tu che affermi di essere il figlio del vecchio re?”
“No, no,” spiegò rapidamente Raymond. “Sono suo fratello.”