Solo chi è destinato - Морган Райс 3 стр.


Per un momento Genevieve esitò, e parte di lei avrebbe voluto fuggire. Però sapeva di non poterlo fare, quindi continuò a procedere barcollante fino a che raggiunse il cortile, dove si trovavano un uomo e una donna, entrambi con in mano degli attrezzi, come se si aspettassero un attacco da un momento all’altro. L’uomo teneva alto un forcone, mentre la donna aveva una falce. Li abbassarono entrambi rapidamente non appena si resero conto che Genevieve era da sola.

La coppia era più anziana e invecchiata dal lavoro, e sembrava che si occupassero da decenni si quel pezzo di terra, coltivando alcune verdure e tenendo un piccolo numero di animali. Avevano abiti semplici da contadini e mentre la guardavano le loro espressioni passarono da sospettose ad amichevoli.

“Oh, guardala Thom,” disse la donna. “La poverina deve essere congelata.”

“Sì, lo vedo Anne,” rispose l’uomo. Tese una mano verso Genevieve. “Vieni, ragazza. Sarà meglio portarti dentro.”

Fece strada all’interno, in una casupola dal soffitto basso dove nell’angolo ribolliva un calderone di stufato. L’uomo indicò a Genevieve una sedia davanti al fuoco e lei vi si lasciò cadere sopra pesantemente, quasi risucchiata da essa. L’inaspettata comodità le fece capire quanto doveva essere esausta.

“Tu stai seduta qui e riposati,” disse la donna.

“Ecco,” disse l’uomo. “Ha un aspetto familiare, non pensi, Anne?”

“Non sono nessuno,” disse Genevieve rapidamente. Quando la gente l’aveva riconosciuta al villaggio, si erano arrabbiati solo perché era la moglie di Altfor, anche se non aveva avuto alcun controllo su ciò che il figlio del duca aveva fatto.

“No, ti riconosco,” disse Anne. “Sei Genevieve, la ragazza che è stata presa dal figlio del duca.”

“Sono…”

“Non serve che tu nasconda la tua identità con noi,” disse Thom. “Non ti giudicheremo per essere stata presa e portata via. Abbiamo vissuto abbastanza da avere visto tante ragazze che sono state portate via dai nobili qua attorno.”

“Sei al sicuro qui,” disse Anne, mettendole una mano sulla spalla.

Genevieve non aveva parole per esprimere la sua riconoscenza davanti a quelle parole. Quando il contadino le porse un piatto di stufato, mangiò avidamente, senza rendersi conto fino a quel momento di quanta fame avesse. Le misero una coperta sulle spalle e Genevieve dormì quasi all’istante, cadendo nel genere di oscurità senza sogni che prima aveva solo potuto sperare.

Quando si svegliò, la luce del giorno filtrava attraverso le finestre della fattoria, tanto accesa che Genevieve pensò potesse essere quasi mezzogiorno. Anne era lì, ma non c’era traccia di suo marito.

“Ah, sei sveglia,” disse. “Ci sono pane e formaggio e un po’ di birra se vuoi.”

Genevieve andò al tavolo della cucina e mangiò con avidità.

“Mi spiace,” disse.

“Per che cosa?” le chiese Anne.

“Beh, per essere capitata qui così,” disse Genevieve, “entrando in casa vostra, probabilmente mettendovi in pericolo se qualcuno venisse a scoprire che mi trovo qui. E… beh, tutte le cose che sono successe quando Altfor era al comando.”

“Non sei tu che devi scusarti per quelle,” insistette Anne. “Pensi che non sappia come va a finire con le ragazze che vengono portate via dai nobili? Pensi che sia sempre stata vecchia?”

“Tu…” iniziò Genevieve.

Anne annuì. “Le cose andavano meglio con il vecchio re, ma non erano perfette. C’erano sempre quei nobili che pensavano di potersi prendere quello che volevano. È in parte questo che ha conficcato una specie di cuneo tra loro e lui, da quello che ne capisco.”

“Mi spiace,” disse Genevieve, capendo ciò che la donna stava dicendo.

“Smettila di dirlo,” rispose Anne. “Non hai niente di cui scusarti. Te lo sto dicendo solo per farti capire che qui sei al sicuro.”

“Grazie,” disse Genevieve, perché in quel momento la sicurezza le sembrava una comodità talmente preziosa che forse nessuno poteva essere in grado di offrirle. Si guardò attorno. “Dov’è tuo marito?”

“Oh, Thom si sta occupando delle pecore. Non che le pecore abbiano bisogno di molto. Basta dargli un posto dove pascolare e uno dove dormire e sono felici. Le persone sono più difficili: vogliono sempre di più.”

Genevieve capiva perfettamente. Quanti guai si erano generati solo perché c’era sempre qualcuno che pensava di avere il diritto di prendersi tutto, e che poi voleva ancora di più?

“Hai pensato a quello che farai adesso?” le chiese Anne.

“Pensavo… mi sorella è al sicuro a Porto Autunno,” disse Genevieve. “Pensavo che potrei andare da lei.”

“È un bel viaggio,” disse Anne. “Attraversare il mare, e immagino che tu non abbia neanche tanti soldi per pagare la nave.”

Genevieve scosse la testa. Più pensava alla sua idea e meno le pareva avere senso. Andare da Sheila era la reazione più ovvia, ma era anche una mossa sciocca. Significava solo che tutte e due avrebbero tentato di vivere alla giornata, sempre in fuga, sempre chiedendosi se al buio sarebbe mai arrivato un coltello puntato contro di loro.

“Beh, non abbiamo soldi per aiutarti con questo,” disse Anne. “Ma potresti restare qui per un po’ se vuoi. Potremmo organizzarci con dell’aiuto in più nella fattoria, e nessuno verrebbe a sapere che sei qui.”

Quella generosità era fin troppo per Genevieve. Poteva addirittura sentire le lacrime che le salivano agli occhi pizzicandone gli angoli. Come sarebbe stato, restare lì e farla finita con tutto il resto?

A quel punto le tornarono alla mente i pensieri dell’anello di Olivia. Aveva pensato che avrebbe trovato della felicità con Royce, e invece ecco com’era andata a finire male. Non era fatta per trovare una risoluzione pacifica della sua situazione.

E la verità era che lei aveva già un piano. Aveva fatto un piano con Sheila, solo che nella frenesia delle emozioni e della fuga dalla città aveva dimenticato tutto. Ora che aveva avuto la possibilità di riprendersi, e dormire, e addirittura rimettersi a pensare, quel piano le stava tornando in mente. Al tempo era stata l’idea migliore che potesse avere, e lo era ancora adesso.

“Non posso restare,” disse Genevieve.

“Dove andrai allora?” chiese Anne. “Cosa farai? Sei così decisa a trovare questa tua sorella?”

Genevieve scosse la testa, perché sapeva che non avrebbe funzionato. No, non poteva andare a cercare sua sorella. Doveva andare a cercare suo marito. Doveva trovarlo, e se lo stomaco glielo avesse concesso, avrebbe dovuto fare la parte che il fato le aveva assegnato: quella di moglie. Se fosse riuscita a sopportarlo fino alla nascita e al riconoscimento del bambino, allora poi si sarebbe potuta sbarazzare di Altfor e governare in quanto madre dell’erede al trono del ducato, per il bene di chiunque vi fosse coinvolto.

Era un piano disperato, ma in quel momento era l’unico che aveva. Farlo funzionare sarebbe stato difficile. Non sapeva dove si trovasse Altfor. Sapeva dove sarebbe andato, però: aveva perso, quindi sarebbe andato a caccia di aiuto, di sicuro dal re. Quindi Genevieve sapeva dove sarebbe dovuta andare.

“Devo andare alla corte del re,” disse.

CAPITOLO TRE

Royce stava aggrappato al parapetto della nave. Avrebbe voluto che si muovesse più velocemente e teneva l’attenzione fissa sulle onde per mezzo degli occhi di Bragia. Sopra di lui il falco volava e chiamava, gridando al di sopra delle acque e tuffandosi di tanto in tanto contro la superficie per afferrare qualche piccolo uccello marino che era diventato un bersaglio troppo succulento.

Ma l’attenzione di Royce era concentrata su ben più di questo. Si protendeva il più possibile nella coscienza di Bragia alla ricerca di un minimo segnale di Lori, una qualsiasi possibilità di parlare con la strega che li aveva mandati in quella direzione e poter quindi scoprire di più su suo padre. Ma non c’era nulla, solo lo sciabordare del mare e il luccicare del sole.

“Sono ore che te ne stai qui in piedi,” disse Mark avvicinandosi a lui.

“Non sono ore,” lo corresse Royce.

“Dall’alba,” disse Mark, un po’ preoccupato. “Tu e il lupo.”

Gwylim sbuffò accanto a Royce, chiaramente non particolarmente contento di essere chiamato lupo. Royce si trovò a chiedersi quanto capisse la creatura di quello che dicevano. Diverse volte Bragia si era posata accanto a lui, e Royce aveva l’impressione di una silenziosa comunicazione in corso.

“Gwylim non è un lupo,” disse Royce. “E speravo che Lori avesse un altro messaggio per me.”

“Lo so,” disse Mark.

“Ho causato qualche problema?” chiese Royce.

“Ho dovuto occuparmi io di fare da mediatore in tutte le discussioni tra gli altri.”

“Di quelle ce ne sono abbastanza,” disse Royce.

“E anche di più,” confermò Mark. “Neave e Matilde sembrano aver deciso che discutere sia il modo migliore di dichiarare il loro amore. Bolis è così pieno di sé, e la presenza di uno dei Picti qui basta a infastidirlo.”

“E tu, Mark?” chiese Royce. “Cosa ne pensi degli altri?”

“Penso che siano validi come elementi da avere al nostro fianco,” rispose lui. “La ragazza Picti sembra tosta, ed è ovvio che Matilde è una sopravvissuta. Bolis sarà anche un cavaliere, ma almeno questo significa che sa come usare la sua spada. Ma funzionano solo fintanto che sei lì a guidarli, Royce, e invece te ne sei stato quassù tutto il giorno.”

Era vero. Aveva sperato di avere qualche cenno della presenza suo padre, o almeno di trovare un modo per connettersi alla strega che l’aveva mandato da quella parte a cercarlo. Per farlo aveva tenuto la concentrazione davanti alla nave, e non aveva prestato molta attenzione al resto che era successo a bordo. Almeno sembrava che le cose stessero andando bene, perché si stavano dirigendo dalla parte giusta.

“Come pensi che stiano andando le cose a casa?” chiese Royce a Mark.

“Sei preoccupato per i tuoi fratelli?” chiese Mark.

Royce annuì. Lofen, Raymond e Garet erano coraggiosi, e avrebbero fatto qualsiasi cosa fosse loro possibile per aiutare nella battaglia, ma potevano comunque darsi da fare solo fino a un certo punto, ed erano già stati catturati una volta.

“Loro, e Olivia,” disse. Non fece alcun accenno al fatto che i pensieri della sua fidanzata continuavano a mescolarsi a quelli di Genevieve, neanche a Mark, perché quei pensieri gli sembravano il tradimento di una persona buona, e pura, e il cui padre aveva dato loro moltissimo rispetto a chi invece l’aveva già respinto.

“Torneremo presto da lei,” disse Mark dandogli una pacca sulla spalla, e per un momento Royce non riuscì a capire di quale “lei” parlasse.

“Lo spero,” disse. Riportò la sua consapevolezza negli occhi di Bragia, e proprio per questo motivo vide le Sette Isole prima di tutti gli altri.

Stavano nascoste in banchi di nebbia che mutavano insieme alle correnti del mare. Dall’acqua salivano degli scogli appuntiti che assomigliavano ai denti di grosse bestie. Erano grosse bestie, perché Royce vide una balena affiorare tra le onde mentre guardava, la sua stazza che scivolava sull’acqua sollevando una cascata di spruzzi. Gli scogli erano contornati dagli scafi distrutti di navi che avevano tentato di avvicinarsi senza conoscere delle rotte sicure. Bastò perché Royce si sentisse grato di aver trovato un capitano propenso a portarli in quel viaggio.

Le isole stesse sembravano un miscuglio di verde e roccia nera, raccolte attorno a una laguna centrale con una di esse nel mezzo. La maggior parte erano ricoperte di erba e alberi, e sabbia così scura che doveva essere stata generata dallo sgretolamento delle facciate di granito e basalto delle isole stesse. L’isola centrale sembrava essere un vulcano che ribolliva di un rabbioso luccichio rosso, e Royce si rese ora conto che la nebbia che le avvolgeva non era per niente nebbia, ma tutto il fumo che ricadeva formando una sorta di alone attorno alle isole.

Lo Specchio della Saggezza doveva essere là dentro da qualche parte, e se era andato a cercarlo, Royce sperava che anche suo padre si trovasse lì.

“Terra a dritta!” gridò agli altri indicando con il dito.

Il capitano della nave si avvicinò sorridendo. “Dove?”

Attraverso i propri occhi Royce poteva vedere una serie di puntini che stavano man mano crescendo molto lentamente.

“Ce l’abbiamo fatta,” disse il capitano. Prese una bottiglia che portava alla cintura. “Dobbiamo bere per festeggiare un’occasione del genere, e placare gli spirti del mare.”

Porse la bottiglia a Royce, che la prese e bevve per cortesia. Il liquido all’interno gli bruciò la gola. Ne prese anche Mark, ovviamente tentato di trovare un modo per declinare, ma il capitano fu così insistente che non ci riuscì. Sorseggiò anche lui e subito dopo tossì.

“Ora che siamo più vicini,” disse il capitano, “forse vorrete dirci di più del motivo per cui siete qui. Stai cercando tuo padre, sì?”

Royce ci mise un paio di secondi a rendersi conto di ciò che l’uomo aveva appena detto.

“Non ti ho mai detto una cosa del genere,” gli disse.

“Oh, non essere così riservato,” disse il capitano. “Pensavi che non ci fossero voci che circolavano in tutti i villaggi? Tu sei Royce, il ragazzo che ha spodestato il vecchio duca. Stai cercando tuo padre e se hai fatto in modo che ti portassi in questo viaggio fino alle Sette Isole, allora lui deve essere qui da qualche parte.”

“Non so di cosa tu stia parlando,” disse Royce. “Siamo solo…”

“Dei giocolieri viaggiatori, lo so,” disse il capitano. “Solo che non lo siete. Pensi che un po’ di fango sullo scudo del tuo cavaliere basti a mascherare la sua vera identità, o a sbarazzarti del marchio che hai sulla mano? Tu sei Royce, inutile negarlo.”

L’uomo rimase a fissarlo, e Royce si trovò addosso il peso delle sue aspettative. Sospettava che non avesse senso cercare di nascondere quale fosse la sua vera identità, ma lo stesso non si trovava a suo agio ad ammetterla così liberamente.

“Per quale motivo ha importanza per te?” gli chiese Mark.

“Perché vi voglio aiutare,” disse il capitano. “Avete detto che volevate andare alle Sette Isole, ma è un sacco di terreno da perlustrare. Potrei portarvi su una di esse. Dove volete andare?”

“Non lo so,” ammise Royce. Se l’avesse saputo, sarebbe stato molto più semplice.

“Non c’è motivo di essere schivi,” disse il capitano. “Voglio dare una mano. Dimmi solo dove si trova tuo padre e vi porterò dritti da lui. Dimmi dove si trova.”

C’era una nota di durezza nel tono del capitano che indusse Royce a stare più in guardia. Lo guardò, cercando di capire cosa stesse succedendo, e guardò poi la scena nel suo complesso in un modo che non aveva considerato da quando erano partiti. Era stato troppo occupato a cercare di avvistare le isole davanti a loro, o a tentare di perlustrare la mente di Bragia alla ricerca di un contatto con Lori.

Se avesse guardato allora verso la nave, avrebbe visto i suoi amici legati a poppa, le mani strette dietro alla schiena con armatura e armi posate di fianco e un gruppo di marinai a fare loro la guardia.

“Cosa pensi di fare?” chiese Royce. “Libera subito i miei amici!”

Il capitano lo guardò ovviamente scioccato, come se si fosse reso conto solo adesso di cosa Royce era in grado di fare.

“Magia!” disse l’uomo facendo un passo indietro.

Royce fece per prendere la spada di cristallo e barcollò. Troppo tardi: si rendeva conto solo adesso di quanto tremanti e traballanti sentiva i propri piedi. La bottiglia! C’era qualcosa nella bottiglia! Mark era già mezzo accasciato contro il parapetto.

“Ti portiamo dai tuoi amici,” disse il capitano, “e magari troveremo un modo per farti parlare, se facciamo loro troppo del male. Il re pagherà profumatamente per averti, ma allora… possiamo ferirli quanto ci pare e piace.”

Назад Дальше