Il Volto della Paura - Блейк Пирс 2 стр.


Non era sicura di poter dire che avrebbe sempre messo John prima di ogni altra cosa. Dopotutto, era un agente dell’FBI. Avrebbe dovuto anteporre i casi alla sua vita privata, e non il contrario. Allungò consapevolmente una mano per portare un ciuffo dei suoi corti capelli castani dietro l’orecchio, constatando nel mentre che erano un centimetro più lunghi rispetto a quanto desiderava fossero tagliati. Le giornate erano state piuttosto movimentate, ultimamente. Non c’era stato il tempo per tutti quegli impegni quotidiani che facevano parte della vita.

“Voglio dire, certo, capisco che a volte sia necessario rimandare,” continuò John, sorseggiando il suo vino con nonchalance come se non fosse appena riuscito a leggerle nel pensiero. “Insomma, devi fermare la furia omicida dei serial killer. Il tuo lavoro è importante. Per quanto mi riguarda, nessuno si arrabbierà se non rimango tutta la notte in ufficio cercando di capire se esiste una linea di proprietà comune fra tre diversi rilievi del 1800, e se questi possono applicarsi al caso del mio cliente. Tranne forse il mio cliente, e lui usufruirà del fantastico umore con il quale mi sveglierò domattina sapendo di aver trascorso la mia serata insieme a te.”

“Sei troppo gentile con me,” gli disse Zoe. “Sempre. Non capisco perché.”

Era vero: lei non lo capiva. Aveva completamente mandato a monte il loro primo appuntamento, e al secondo lo aveva trascinato in un ospedale per cercare di risalire alle cartelle cliniche di un potenziale assassino. E lui era rimasto ad aspettarla fuori al freddo, perché lei non si era preoccupata di dirgli che avrebbe potuto tornare a casa da sola. Non molti uomini avrebbero avuto voglia di fissare un terzo appuntamento, e questo era il quinto.

“Non devi capirlo,” rispose John, lisciandosi la cravatta per l’undicesima volta quella sera, un gesto che lei stava iniziando a riconoscere. “Devi soltanto accettare il fatto che secondo me lo meriti. Non sono troppo gentile. Sono abbastanza gentile. In effetti, potrei esserlo di più.”

“Invece no. Andrebbe contro le leggi fisiche e naturali.”

“Beh, e chi ha bisogno di quelle?” John le rivolse nuovamente uno dei suoi luminosi sorrisi e si appoggiò allo schienale della sedia mentre il cameriere raccoglieva i loro piatti vuoti.

“Allora, di cosa ti stai occupando al momento?” domandò lei, pensando che avrebbe dovuto cercare di mostrare più interesse per la vita di John. Lui era sempre così premuroso a chiederle della sua. Stava rovinando tutto? Sì, stava rovinando tutto … no?

“Come ti ho detto, si tratta di una controversia sul confine di una proprietà ancestrale,” disse John, rivolgendole uno sguardo perplesso. “Sicura che sia tutto ok?”

Zoe lo guardò, incontrando i suoi occhi che avevano pupille leggermente dilatate alla luce soffusa del ristorante, sentendo le quattro battute della delicata melodia di pianoforte in sottofondo e percependo il movimento di ogni nota: una su, una giù, una su, mezza nota su, una giù. Se soltanto riuscisse a “spegnere” i numeri, o quantomeno ad abbassarne il volume. Doveva concentrarsi su John e su ciò che le stava dicendo, ma il suo cervello non si fermava. Aveva soltanto bisogno che si fermasse. Stava girando tutto vorticosamente, e non era più sicura che sarebbe riuscita a riprendere il controllo..

“Credo di essere un po’ stanca,” rispose. Come scusa, sembrava quasi accettabile. Almeno nel caso ci fosse una scusa per non riuscire a concedergli l’onore della sua attenzione.

Lui non conosceva la sua capacità di vedere i numeri ovunque, in qualsiasi cosa, e lei non aveva alcuna intenzione di dirglielo. Neanche per i quattrocentocinquantatre dollari e diciannove centesimi di piatti e bevande che aveva visto passare accanto al loro tavolo nelle mani del personale di sala da quando si erano seduti, un’ora e tredici minuti fa.

“È stata una serata meravigliosa,” disse lei. La parte peggiore era che diceva sul serio. Visto che John aveva trascorso tutto il tempo a essere premuroso e farla sentire bene, perché non era riuscita neanche ad ascoltarlo?

“Beh, la mia è stata orribile. Ti va di rifarlo la prossima settimana?” rispose lui, pulendosi la bocca sorridente con un fazzolettino. Nonostante nei suoi occhi ci fosse una certa malizia, che si abbinava perfettamente ai lineamenti irregolari della sua bocca, le ci volle un po’ per capire che stava scherzando. Le sue parole la gelarono e le fecero pensare di aver rovinato tutto.

“Mi piacerebbe,” disse Zoe, annuendo e tenendo per sé le sue emozioni. “La prossima settimana andrà benissimo.”

Si alzò per uscire, sapendo già che lui si sarebbe rifiutato di farle pagare i novantotto dollari e trentadue centesimi della sua parte di conto, oltre alla mancia.

Sebbene ci avesse pensato, evitò di dire ad alta voce che sarebbe stata fortunata se fosse riuscita a tener fede al loro appuntamento. Era un agente attivo dell’FBI, e ciò significava che era impossibile prevedere quando sarebbe spuntato fuori un nuovo caso, o dove sarebbe stato necessario recarsi.

La prossima settimana, a quest’ora, chissà dove avrebbe potuto essere.

Persino in questo preciso momento, un nuovo assassino probabilmente stava portando a termine il proprio delitto, creando uno schema per loro; e c’era sempre la possibilità che, stavolta, lei non sarebbe riuscita a capirlo. Zoe lottò contro la sensazione di disagio che si faceva strada nelle sue viscere, convincendosi in un certo senso di esserne certa: da qui a una settimana, sarebbe stata immersa in un caso che avrebbe fatto apparire tutti gli altri come un gioco da ragazzi.

CAPITOLO TRE

Zoe cambiò posizione, cercando di sistemarsi meglio sulla vecchia e comoda poltrona. Si stava abituando alla terapia, per quanto apparisse strano persino a lei.

Parlare con qualcuno dei suoi problemi personali, settimana dopo settimana, in passato sarebbe stata la sua personale idea dell’inferno, ma avere accanto la dottoressa Lauren Monk non era poi così male. Dopotutto, era stata proprio la dottoressa Monk a spingerla a uscire di più con John e quella, almeno finora, si era rivelata un’ottima decisione.

Da parte sua, quantomeno. Stava iniziando a chiedersi se John potesse dire la stessa cosa.

“Allora, parlami dell’appuntamento. Cos’è successo?” domandò la dottoressa Monk, sistemando il blocchetto d’appunti sulle ginocchia.

Zoe sospirò. “Non riuscivo a concentrarmi,” rispose. “I numeri prendevano il sopravvento. Riuscivo a pensare solo a quelli. Mi sono sfuggite frasi intere del suo discorso. Volevo dedicargli tutta la mia attenzione, ma non riuscivo a spegnere i numeri.”

La dottoressa Monk annuì con aria seria, portando la mano al mento. Da quando Zoe aveva vuotato il sacco a proposito della sua sinestesia – l’abilità di vedere numeri ovunque e in qualsiasi cosa, come ad esempio notare che la penna della dottoressa Monk avesse un peso superiore alla media per via della leggera inclinazione di quindici gradi che aveva mentre era posata sul bordo delle sue dita, rispetto a quello di una BIC – aveva trovato la terapia ancora più utile. Riuscire ad ammettere ciò che le capitava e le sue difficoltà era decisamente liberatorio.

C’erano poche persone al mondo che conoscevano la sua condizione. C’era la dottoressa Monk, e la dottoressa Francesca Applewhite, che era stata la mentore di Zoe sin dai suoi giorni al college. E poi c’era la sua partner all’FBI, l’Agente Speciale Shelley Rose.

E nessun altro. Non aveva neanche bisogno di tutte le sue dita per contarle. Quelle erano le uniche persone di cui si fosse mai fidata abbastanza da rivelare il proprio segreto, dalla prima volta in cui la sua condizione era stata diagnosticata da un dottore che non aveva mai più rivisto. Intenzionalmente. Per molto tempo, aveva pensato che fosse possibile, in qualche modo, fuggire o ignorare quella capacità che sua madre aveva definito “il dono del diavolo”.

Ma fino a quando la aiutava a risolvere crimini, Zoe non voleva che sparisse. Non più. Sarebbe soltanto utile riuscire a metterla in pausa mentre cercava di instaurare una relazione romantica, che non richiedeva misure specifiche del liquido contenuto in ogni bicchiere o della distanza tra gli occhi di John.

“Potrebbe essere utile riuscire a escogitare insieme dei modi per aiutarti ad “abbassare il volume”, a placare il tuo cervello, per così dire,” disse la dottoressa Monk. “È qualcosa che prenderesti in considerazione?”

Zoe annuì, sorpresa dal nodo che si era creato nella sua gola al pensiero di essere in grado di fare quanto detto dalla terapista. “Sì,” disse. “Sarebbe fantastico.”

“Perfetto.” La dottoressa Monk ci pensò su per un attimo, battendo distrattamente la penna sulla clavicola. Zoe aveva notato questa abitudine, un numero sempre pari di colpetti.

“Perché fa così?” sbottò, sentendosi in imbarazzo un secondo dopo aver posto quella domanda.

La dottoressa Monk la guardò sorpresa. “Ti riferisci al gesto di picchiettare la penna sulla spalla?”

“Mi scusi. Sono affari suoi. Non deve dirmi il motivo.”

La dottoressa Monk sorrise. “Non importa. In realtà, è una cosa che ho iniziato a fare quando ero una studentessa. È un esercizio di rilassamento.”

Zoe aggrottò la fronte. “Non si sente calma?”

“Certo. Ormai è diventata una sorta di abitudine, anche quando sto pensando. Mi permette di immergermi in uno stato più Zen. Di solito soffrivo di attacchi di panico quando ero più giovane. Hai mai sperimentato un attacco di panico, Zoe?”

Zoe ci pensò su, cercando di capire cosa si intendesse con attacchi di panico. “Non credo.”

“Che si tratti di un vero e proprio attacco di panico o di qualcosa di meno grave, abbiamo bisogno di trovare qualcosa che ti calmi, che faccia sparire i numeri. Vogliamo che la tua mente smetta di correre, permettendoti di concentrarti su una cosa alla volta.”

Zoe annuì, muovendo la dita sulle crepe del bracciolo in pelle della sua poltrona. “Sarebbe perfetto.”

“Iniziamo con un esercizio di meditazione. Ritengo che dovresti iniziare a praticare la meditazione ogni sera, magari appena prima di metterti a letto. Meditare sarà un aiuto costante che, nel tempo, migliorerà la tua capacità di controllare la mente. Non risolverà immediatamente la situazione, ma impegnandoti vedrai senza dubbio dei risultati. Mi segui?”

Zoe annuì silenziosamente.

“Bene. Ora ascolta attentamente le mie istruzioni. Voglio che ci provi subito, dopodiché potrai praticarla per conto tuo stasera. Inizia chiudendo gli occhi e contando i tuoi respiri. Prova a rimuovere qualsiasi altra cosa dalla tua mente.”

Zoe obbedì e chiuse gli occhi, iniziando a respirare profondamente. Uno, ripeté nella sua mente. Due.

“Benissimo. Non appena arriverai a dieci, ricomincia da uno. Non continuare a contare. Concentrati soltanto su quei respiri, fino a quando non inizierai a sentirti rilassata.”

Zoe cercò di farlo, sforzandosi di allontanare gli altri pensieri dalla mente. Era difficile. Il suo cervello voleva comunicarle la presenza di un prurito sulla gamba destra, o il vago odore del caffè della dottoressa Monk, o voleva ricordarle quanto fosse strano essere seduta a occhi chiusi nell’ufficio di un’altra persona. E poi voleva dirle che stava sbagliando l’esercizio, e voleva permetterle di distrarsi.

Ad ogni modo, stava respirando al ritmo giusto? Quanto rapidamente avrebbe dovuto farlo? Lo stava facendo bene? E se avesse respirato male per tutto questo tempo? Per tutta la sua vita? Come avrebbe fatto a saperlo?

Nonostante i suoi dubbi, continuò a provarci in silenzio, e alla fine iniziò a sentirsi rilassata.

“Stai andando benissimo,” disse la dottoressa Monk, la sua voce era più bassa e tranquilla adesso. “Ora voglio che immagini un cielo. Sei seduta, alzi lo sguardo verso il cielo. Un blu stupendo; c’è soltanto una nuvola che fluttua, nient’altro all’orizzonte. Si allunga su un calmo mare blu. Riesci a vederla?”

Zoe non era brava con l’immaginazione, ma ricordò una foto che aveva visto di recente, un annuncio pubblicitario di un’agenzia di viaggi. Una famiglia che giocava felicemente in spiaggia, un incredibile paradiso blu alle loro spalle. La sua mente si diresse lì, concentrandosi su quell’immagine. Rivolse un piccolo cenno alla dottoressa Monk per farle capire di essere pronta a continuare.

“Bene. Senti il calore del sole sul tuo viso e sulle spalle. È una giornata meravigliosa. Soltanto una leggera brezza, esattamente il tipo di clima che ti piacerebbe trovare. Sei seduta su un piccolo gommone, appena al largo. Lo senti oscillare dolcemente al ritmo delle onde. È così calmo e sereno. Non è stupendo il sole?”

Zoe di norma sarebbe scoppiata a ridere per una cosa del genere, ma fece come le era stato detto, e poté quasi giurare di riuscire a provare quelle sensazioni. Un sole reale, che accarezzava la sua fronte. Non troppo forte: il sole adatto per un’abbronzatura, non per un melanoma.

Melanoma. Non avrebbe dovuto pensare a quel tumore. Concentrati, Zoe. Dondola al ritmo delle onde.

“Guarda di lato. Vedrai l’isola alle tue spalle. La spiaggia da dove sei appena venuta e, più indietro, il resto di questo paradiso. Cosa vedi?”

Zoe sapeva esattamente ciò che vedeva: un’altra immagine di una pubblicità di viaggi. Un posto dove tempo fa avrebbe voluto andare. Ma si trattava di una destinazione da luna di miele e lei era single all’epoca. In quell’occasione si era sentita ancora più sola.

“Sabbia dorata,” rispose, il suono della sua stessa voce stranamente distante ed estraneo. “Poi una macchia rigogliosa. Dietro, alberi tropicali che si allungano verso il cielo, tre metri e oltre. Il sole sta scendendo a un angolo acuto, le ombre sono lunghe soltanto quindici centimetri. Non riesco a vedere oltre. C’è un albero che pende a quarantacinque gradi sull’acqua, con un’amaca di due metri legata sotto. È vuota.”

“Cerca di concentrarti più sulla scena che sui numeri. Adesso ascolta. Riesci a sentire le onde che si infrangono dolcemente sulla spiaggia? Il canto degli uccelli?”

Zoe respirò profondamente, lasciandosi travolgere da queste nuove sensazioni. “Sì,” disse. “Pappagalli. Credo. Le onde arrivano a intervalli di tre secondi. Gli uccelli cantano ogni cinque secondi.”

“Senti il calore del sole sul tuo viso. Puoi chiudere gli occhi, smettere di contare. Sei al sicuro lì.”

Zoe respirò, continuando a guardare l’isola nella propria mente. Il suo sguardo deviava sull’amaca. Per chi era? Per se stessa, o un giorno ci sarebbe stato qualcuno accanto a lei? John? Lo voleva lì, su quest’isola tutta sua? L’amaca era concepita per un uomo. Lei era alta soltanto un metro e sessantotto centimetri. L’amaca era sospesa a sessanta centimetri sul pelo dell’acqua.

“Perfetto, Zoe. Ora, voglio che ti concentri nuovamente sul tuo respiro. Conta a ritroso a partire da dieci, proprio come abbiamo fatto prima, ma al contrario. Mentre lo fai, voglio che torni lentamente dalla tua isola. Lascia che svanisca, e svegliati, un po’ alla volta. Delicatamente, adesso. Abbiamo finito.”

Zoe aprì gli occhi, un po’ imbarazzata da quella sensazione di maggior relax, e consapevole di quanto sembrasse strano il fatto che fosse stata lontano, su una piccola isola creata dalla sua mente, nonostante fosse rimasta seduta a schiena dritta su una poltrona, sotto lo sguardo attento della terapista.

“Sei stata molto brava.” La dottoressa Monk sorrise. “Come ti senti adesso?”

Zoe annuì. “Più calma.” Eppure, si sentiva dubbiosa. I numeri erano stati insieme a lei. L’avevano seguita, anche in quel luogo. E se non fosse mai riuscita a sbarazzarsi di loro?

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