Alla fine, pensò che non importasse. Indipendentemente dalla versione che avevano scelto, la domanda più importante di tutte non avrebbe avuto risposta.
Sua sorella aveva ucciso il loro padre. E se si fosse arrivati a tanto, anche Chloe l'avrebbe ucciso, se avesse significato salvare Danielle. Questo sollevava una domanda: possedevano entrambe la stessa oscurità che aveva avuto il padre?
E ora che avevano collaborato per nascondere un simile peccato, quell'oscurità avrebbe avuto più presa su di loro?
***
Chloe si addormentò con il temporale, distesa sul divano. Quando la mattina seguente la sveglia suonò dalla camera da letto, si alzò con un dolore alla schiena, dovuto al fatto di aver dormito sul divano in quella posizione scomoda. Andò in camera da letto, distendendo la schiena, e sbatté una mano sulla sveglia per farla tacere.
Si guardò intorno nella sua camera da letto e si rese conto di aver passato gli ultimi cinque giorni in una specie di torpore. Doveva dare una sistemata. Doveva fare il bucato. Doveva mangiare un pasto adeguato, piuttosto che qualcosa riscaldato al microonde.
Si domandò se fosse il caso di telefonare per darsi malata e prendere un giorno di riposo. Era sicura che il direttore Johnson avrebbe capito che non era vero, ma visto quello che lei e sua sorella avevano appena passato, pensava che non avrebbe avuto nulla da ridire. Si fece una doccia calda e veloce per rilassare i muscoli della schiena, sperando che potesse aiutarla a riprendersi e a uscire da quello stato di tensione. La aiutò un po', anche se quando si asciugò e si vestì, non aveva ancora abbandonato l'idea di prendersi un giorno o due di riposo.
Stava per prendere il telefono per fare la chiamata, ma squillò prima che ci riuscisse. Quando vide che la telefonata proveniva dal quartier generale dell'FBI, fece una smorfia. Tanti saluti al giorno libero, mi sa…
Rispose alla chiamata e ascoltò la segretaria di Johnson rivolgerle un rapido "Buongiorno", prima di trasferirla sulla linea dell'ufficio di Johnson.
"Agente Fine, l'ho intercettata prima che uscisse per venire al lavoro?"
"Sì, signore".
"Bene. Ho bisogno di vederla nel mio ufficio il prima possibile. C'è un rapporto che dobbiamo esaminare, se se la sente".
Sinceramente, non ne era sicura. Quello che sapeva era che, se non avesse fatto altro che stare seduta nel suo appartamento per qualche giorno a rimuginare su tutto quello che lei e Danielle avevano fatto, forse sarebbe impazzita. Accarezzò l'idea di rifiutare il colloquio e di fingersi malata, ma soltanto per un attimo. C'era un potenziale nuovo caso. Certo che l'avrebbe accettato.
"Per me va bene", disse, non avendo ancora deciso se fosse vero o no. "Ci vediamo tra mezz'ora".
Si affrettò a finire di prepararsi, poi fece una colazione veloce con cereali e pane tostato prima di andarsene. Anche quello era un cambiamento gradito. La routine era un ottimo modo per riprendere il ritmo. Anche se si era sentita giù di morale solo per cinque giorni, erano stati cinque giorni che l'avevano rallentata, sia mentalmente che emotivamente. Certo, aveva fatto rapporto al lavoro, ma una volta arrivata lì, si era sentita come un automa senza cervello, con la mente occupata da un milione di altre cose.
Ma ora che stava per presentarsi al lavoro per ottenere i dettagli di un potenziale caso, la situazione sembrava diversa. Per la prima volta da quando aveva lasciato il Texas, aveva la sensazione di poter iniziare a lasciarsi tutto alle spalle.
Quando arrivò al lavoro, non perse tempo. Andò dritta all'ufficio di Johnson, domandandosi che genere di caso le avrebbe affidato. Per qualche ragione, si era in qualche modo fatta la reputazione di essere l'agente che risolveva i casi squallidi nei sobborghi, quelli che coinvolgevano persone ricche e viziate che passavano gran parte della loro vita a nascondere segreti.
A quanto pare, mi troverei benissimo in alcuni di quei quartieri, pensò. Perché per quanto voglia negarlo, ora anche io ho dei segreti che non riuscirò mai a superare.
Quando giunse nell'ufficio di Johnson, fece per prendere il suo solito posto alla scrivania del direttore. Poi però si accorse che lui non era alla sua scrivania. Invece, era seduto al piccolo tavolo della sala riunioni, in fondo al suo ufficio. E non era solo. Con lui erano seduti un altro uomo e una donna. Chloe aveva già visto l'uomo, prima; si chiamava Beau Craddock ed occupava un posto abbastanza in alto nella gerarchia del Bureau, sicuramente sopra il direttore Johnson. Non aveva mai visto la donna prima d'ora, ma se era in compagnia di Craddock, Chloe supponeva che anche lei venisse dai piani alti.
"Agente Fine" disse Johnson. "Prego, si sieda".
"Ok…"
C'era solo un'altra sedia al tavolo, in fondo. Chloe vi si sedette, facendo un lieve cenno di saluto ai presenti.
"Agente Fine, mi permetta di presentarle il vicedirettore Craddock e Sarah Kirsch, membro del Consiglio Speciale".
Craddock e Kirsch non dissero nulla. La Kirsch, però, esibì un sorriso piuttosto falso.
"Vorremmo sentire la sequenza degli eventi che si sono verificati quando era in Texas per trovare sua sorella", disse Craddock.
Un gelido nodo di paura attanagliò lo stomaco di Chloe. Guardò direttamente Johnson, confusa. "Signore, ho raccontato tutto già due volte, una con lei e una con la polizia. È davvero necessario?"
"Onestamente, probabilmente no", disse la Kirsch prima che Johnson potesse rispondere. "Ma allo stato dei fatti, lei si è presentata sulla scena dove un uomo attualmente ricercato per rapimento e abusi teneva la sua vittima. Perciò sì, vale la pena ascoltare la sua testimonianza."
Johnson le rivolse una scrollata di spalle e un'occhiata come a dire che ci vuole fare. "Mi dispiace, Fine, ma il fatto che lei sia strettamente imparentata sia con il rapitore che con la persona rapita non le lascia scelta. È naturale che abbia attirato l'attenzione dei superiori. Ma, come ho detto loro, tutto quadra. Non c'è niente di sospetto. Vorrebbero solo sentirlo di persona."
Niente di sospetto un cavolo, pensò Chloe. Se non ci fosse stato niente di strano, me l'avresti detto quando hai chiamato stamattina. Invece, mi hai colto alla sprovvista. Stai cercando di mettermi in difficoltà, bastardo.
Ma cosa poteva fare?
Si appoggiò allo schienale della sedia, con la sensazione di aver messo volontariamente il piede in una trappola per orsi.
CAPITOLO DUE
Craddock iniziò l'interrogatorio. Aveva l'ombra di un sorriso sulle labbra. Chloe era certa che cercasse di farla sentire più a suo agio, tuttavia dava l'impressione di godersi il fatto di sottoporla a quella tortura.
"Agente Fine, come ha fatto a sapere dove si trovava sua sorella?"
La verità, naturalmente, era che Danielle l'aveva chiamata da un telefono pubblico. Ma la verità le avrebbe rovinate entrambe. Tirò fuori la storia che avevano inventato mentre seppellivano il padre e la recitò.
"Sinceramente, è stato quasi un colpo di fortuna. Quando ho capito che c'era qualcosa che non andava, ho iniziato a pensare ai posti in cui mio padre avrebbe potuto portarla. Danielle ha vissuto a Millseed, in un periodo della sua vita in cui era apertamente in conflitto con nostro padre. Mi diceva sempre che l'unica volta che aveva parlato con lui – quando era andata a trovarlo in prigione – le aveva detto che un posto come Millseed faceva proprio per lei. Una misera cittadina, lasciata a morire. Diceva che sarebbe stato un posto terribile dove morire, ma forse era quello che Danielle si meritava."
"Suo padre è sempre stato così teatrale?" chiese Kirsch.
"Perdonatemi se non voglio discutere con voi della personalità di mio padre. Volete parlare di lui o interrogarmi ancora una volta su tutto quello che è successo?"
Craddock e Kirsch si scambiarono uno sguardo perplesso, prima di continuare. Johnson la fissò, con un'espressione che trasmetteva un semplice messaggio: Attenta a come parla.
"Può dirci esattamente cosa è successo quando è arrivata?" Chiese Kirsch.
"È stato facile trovare il posto. Danielle mi aveva raccontato delle storie su alcune cose non esattamente legali che lei e alcuni amici erano soliti combinare in quel vecchio capannone. Mi sono dovuta fermare in un negozio e chiedere come arrivarci. Quando sono arrivata, ho visto che l'aveva legata a una sedia e la stava schiaffeggiando. L'ho affrontato, c'è stata una breve lotta e lui è riuscito a scappare."
"Definisca lotta." disse Craddock.
"Uso dei pugni per colpirsi l'un l'altro. E anche dei calci. Tentativo di sopraffare l'avversario con la forza fisica."
"Agente Fine" disse Kirsch, "Le suggerisco di prendere questa indagine seriamente".
"Oh, lo sto facendo. E l'ho presa sul serio anche le altre due volte che sono stata interrogata a riguardo." Si fermò un attimo, facendo una serie di respiri per cercare di mantenere il controllo. "Sentite. Capisco il bisogno di comprendere tutto e accetto pienamente le mie colpe nell'aver cercato di prendere in mano la situazione da sola. Ma dovete capire… questo non è solo un caso. Si tratta di mia sorella e di mio padre e di tutta la deplorevole storia che c'è stata tra noi. Non mi piace affatto essere sottoposta continuamente a questo tormento".
Il suo piccolo discorso parve funzionare, almeno in parte. Craddock e Kirsch si scambiarono uno sguardo dispiaciuto. Poi guardarono Johnson, che alzò le spalle.
"Naturalmente stiamo cercando di tenerlo in considerazione", disse Craddock. Poi, come scegliendo ogni parola con attenzione, chiese: "Pensa di averlo ferito, durante la lotta?"
Forse il discorso non era stato così efficace come pensava. Adirata, rispose alla domanda. Mentì, dicendo che forse poteva avergli incrinato o spezzato una costola. Era un dettaglio aggiuntivo e inutile, ma in quel tipo di interrogatori, sapeva che erano dettagli del genere a suscitare interesse.
Mentre continuavano a interrogarla, Chloe si rese conto di cosa stavano facendo esattamente. Le stavano facendo ripercorrere il suo racconto, da punti di vista diversi, per vedere se avrebbe cambiato qualcosa. Cercavano di coglierla in fallo… solo che non era esattamente sicura del perché.
Forse hanno scoperto qualcosa che ha fatto crollare la nostra versione, pensò. Ma era improbabile. Se così fosse, le domande sarebbero state più dirette e avrebbero potuto anche formulare un'accusa.
Invece no… cercavano delle crepe nella sua storia. E Chloe non aveva intenzione di dargliene.
Ma si chiese come sarebbe stato se Danielle fosse stata seduta al suo posto. Se avessero portato lì Danielle e le avessero fatto ripercorrere la storia per la terza volta in un contesto più ufficiale, circondata da federali impettiti, avrebbe ceduto?
Il pensiero la spaventava. Così fece del suo meglio, ingoiando la rabbia e continuando a rispondere alle loro domande come una brava bambina.
***
Fu più veloce di quanto si era aspettata sedendosi. Craddock e Kirsch si congedarono quindici minuti dopo. Quando se ne furono andati, Johnson la guardò dall'altra parte del tavolo. Chloe era curiosa di vedere se avrebbe cercato di recitare la parte del capo solidale o se si sarebbe schierato dalla parte della coppia che aveva appena lasciato il suo ufficio.
"Mi dispiace averle fatto rivivere tutto di nuovo."
"Davvero? Mi è sembrato che abbia fatto un buon lavoro a non darlo a vedere".
"Fine… capisco che è sotto un'immensa pressione emotiva, ma ho comunque bisogno che faccia attenzione al suo tono e al suo atteggiamento. Sto cercando di essere il più ragionevole possibile, ma presenterò sicuramente una segnalazione per insubordinazione, se continuerà a rivolgersi a me e agli altri suoi superiori in questo modo impertinente".
Ingoiando di nuovo la rabbia e l'orgoglio come una pillola amara, annuì. "Capisco. Ora, posso andare?"
"Sì, dovrebbe trovare i suoi incarichi sulla scrivania. Un'intercettazione telefonica e una richiesta di ricerca da parte di un agente sul campo a Philadelphia, credo".
"Mi prende in giro?"
Uscì dal suo ufficio prima che lui avesse il tempo di dare una risposta o una spiegazione. Anche se di certo non pensava di essere al di sopra dei banali incarichi da scrivania che molti agenti svolgevano settimanalmente, sembrava comunque un passo indietro. Non poteva fare a meno di chiedersi se fosse una sorta di punizione – e se lo era, si chiese per quanto tempo sarebbe durata.
Di solito era brava a trattenere le sue emozioni, ma Chloe si trovò a lottare per tenere a freno la propria rabbia. Camminò con calma verso il suo cubicolo, sapendo che si sarebbe infuriata ancora di più quando avrebbe visto gli incarichi di merda che Johnson aveva preparato per lei. Era così presa dal suo caos emotivo che quasi non si accorse del volto familiare che spuntava da un ufficio in fondo al corridoio. Era Rhodes, con la faccia rivolta verso il basso mentre guardava qualcosa sul suo cellulare. Quando alzò lo sguardo e vide Chloe lì in piedi, parve prima allarmata, poi sollevata.
"Stai bene?" Chiese Rhodes.
"Sì. Ma ci siamo viste già ieri. Perché me lo chiedi adesso?"
"Le voci corrono. Ho sentito che oggi sei stata convocata per un colloquio con Johnson. Ho anche sentito che era presente il direttore Craddock. Immagino che ti abbiano accusato di qualcosa".
"No, non proprio. È solo che… continuano a voler tirare fuori la vicenda di mia sorella e di mio padre, e io ho chiuso con questa storia".
Rhodes guardò su e giù per il corridoio, come se volesse assicurarsi che non ci fosse nessuno nelle vicinanze. "Mi chiedo se stiano cercando di capire se ti abbia colpito emotivamente… magari per vedere se sei in grado di lavorare, dopo un evento così personale e traumatico".
"Ne dubito."
"Non lo so. Potrebbe spiegare il motivo per cui mi è stato appena assegnato un incarico senza di te come partner. So che non siamo ancora diventate partner ufficiali, ma sembra essere proprio un caso adatto a te".
"Cosa? Quando hai ricevuto l'incarico?"
"Mezz'ora fa. Sto per organizzare il trasporto proprio adesso. La spiegazione che mi è stata data è che Johnson non era sicuro che tu te la sentissi. Pensava che avessi bisogno di un po' di tempo per riprenderti".
Chloe sorrise, ma solo perché era più facile che trattenere un urlo di rabbia. "Sto perfettamente bene. A quanto pare, la sua idea di farmi riprendere è mettermi ad ascoltare intercettazioni e dare una mano al dipartimento di ricerca".
"Poverina. Se vuoi, potrei insistere per farti assegnare alle indagini".
"Lo apprezzo, ma penso che farò io stessa la richiesta".
Rhodes annuì, ma era chiaro che non le piaceva la piega che stava prendendo la situazione. "Non insistere, però. Non vorrei che ti mettessi nei guai".
"Non lo farò".
Stava per voltarsi e tornare nell'ufficio di Johnson, poi però le balenò in mente un pensiero. Non era da Rhodes mostrare quel genere di preoccupazione. La parte del "non vorrei che ti mettessi nei guai" non era affatto da lei.
"Rhodes… hai sentito qualcosa? Su di me o su mia sorella?"
"Niente che gli altri non abbiano già sentito. Diciamo che si è sparsa la voce che sei andata in Texas e hai avuto una specie di scontro con tuo padre. La maggior parte delle persone qui pensa che sia stato eroico da parte tua. Credo che probabilmente lo pensi anche Johnson… è solo che i suoi superiori gli stanno col fiato sul collo".