Chloe non era del tutto sicura del perché, ma non le credeva. Sentiva ormai di conoscere Rhodes piuttosto bene, e c'era qualcosa nel modo in cui aveva risposto alla domanda che non quadrava. Tuttavia, se voleva occuparsi di quel caso e cercare di andare avanti con la sua vita come al solito, avrebbe dovuto lasciar perdere, per il momento.
Tornò a piedi lungo il corridoio fino all'ufficio di Johnson e lo incontrò per caso nel corridoio mentre stava andando da qualche altra parte.
"Allora, ho parlato con Rhodes. Perché non mi è stata data la possibilità di lavorare a questo nuovo caso con lei?"
"Non che debba risponderle, ma non sapevo se sarebbe stata pronta a tornare sul campo, visto tutto quello che ha passato".
"Lo apprezzo, signore. Ma, se non altro, penso che potrebbe addirittura aiutarmi".
Lui fece una smorfia, che Chloe non riuscì a capire se fosse di disgusto o un vero sorriso. "La aiuterebbe anche a superare questo suo atteggiamento di insubordinazione?"
"Non posso prometterlo." Lo aveva detto per scherzo, sperando di convincerlo.
"Rhodes deve andarsene entro poche ore. Può mollare tutto così in fretta e andare con lei?"
"Sì, signore."
Johnson ci pensò un attimo e poi sospirò. "Il caso sembra proprio fare per lei". Poi si strinse nelle spalle e disse: "Va bene. Parli con Rhodes e si faccia mandare da lei tutti i dettagli del caso. È ufficialmente assegnata alle indagini, ma ho bisogno che sia responsabile. Se va là fuori e scopre di non essere ancora pronta per questo, ho bisogno che sia sincera".
"Certo. E grazie, signore."
Si voltò e si diresse verso l'ufficio di Rhodes prima che lui potesse cambiare idea.
CAPITOLO TRE
Danielle aveva affrontato le conseguenze di Millseed, in Texas, più o meno come si aspettava. Poiché aveva sempre preferito rimuginare in solitudine, piuttosto che cercare di essere propositiva, Danielle aveva trascorso i cinque giorni successivi al suo ritorno chiusa nel suo appartamento. L'unica cosa che aveva fatto per cercare di prendersi cura di sé era stato andare dal medico per le sue ferite. Aveva subito una lieve commozione cerebrale e una leggera distorsione alla caviglia, a causa dello scontro con il padre, ma niente di più.
Eppure, le faceva male dappertutto. Aveva letto da qualche parte di come il corpo abbia un'ottima memoria, di come anche quando non c'è un trauma psicologico, i muscoli e le terminazioni nervose ricordino la tensione di un determinato momento o luogo e possano farla riemergere.
A quanto pareva, era esattamente quello che stava facendo il suo corpo adesso.
Inoltre, stava affrontando anche il fatto di non avere rimpianti. Era contenta che il bastardo fosse morto, contenta persino del fatto di aver contribuito lei stessa a quella fine. Quando ripensava alla fatica di scavare la tomba e poi buttarcelo dentro, si sentiva piena di sollievo e di orgoglio, piuttosto che di tristezza.
Queste erano tutte cose che non avrebbe mai rivelato a Chloe. Sapeva bene che Chloe aveva sempre pensato che fosse un po' squilibrata. Era difficile capire cosa pensasse Chloe al riguardo, però. A volte lo affrontava come una sorta di comico sollievo quasi passivo, mentre altre volte sentiva che Chloe la guardava quasi dall'alto in basso a causa di questo.
Onestamente, Danielle voleva solo tornare alla sua vita, tornare al lavoro, tornare a fingere che suo padre non esistesse. Sentiva ancora che era stato ingiusto da parte sua riemergere dopo che lei aveva passato gran parte della sua vita a fingere che non esistesse.
Ora, il quinto giorno dopo tutto quello che era successo a Millseed, Danielle era seduta sul suo divano, cercando di decidere cosa guardare su Netflix. Sapeva di aver bisogno di una doccia, sapeva di dover chiamare al lavoro per vedere quando le avrebbero permesso di ricominciare a fare i turni. Ma sapeva che, una volta fatto questo, la sua vita sarebbe ricominciata. E per quanto sembrasse banale, sapeva che adesso che suo padre era morto, il nuovo capitolo della sua vita sarebbe iniziato appena avesse deciso di alzare il culo dal divano.
Come se le avesse letto nel pensiero sulla necessità di passare all'azione, il suo cellulare squillò sul tavolino da caffè. Lo prese e si stupì di vedere che si trattava di Chloe. Avevano parlato solo una volta, da quando erano tornate dal Texas. Non era da Chloe prendere le distanze dopo un evento così straordinario, ma Danielle pensava che avesse le sue ragioni. Le bugie che avevano architettato erano così intricate e numerose che probabilmente aveva pensato che fosse meglio non parlare per un po'.
Allora perché chiama adesso?
Curiosa, rispose alla chiamata. "Ciao, sorellina."
"Ehi, Danielle. Come ti senti?"
"Riposata e per lo più in forma, direi. Tu?"
"Lo stesso. Però non dormo molto bene. Sento il bisogno di ricominciare la mia vita, capisci?"
"In realtà, sì, ti capisco. Non dormi bene… hai degli incubi?"
"No, è solo ansia, credo. Senti, D… al lavoro sta succedendo qualcosa di strano e volevo avvertirti. Stamattina sono stata interrogata di nuovo su quello che è successo. Questa volta, però, non c'era solo il mio direttore. Ha chiamato altre persone dei piani alti, il tipo di persone che vengono coinvolte solo quando potrebbero esserci dei potenziali problemi".
"Com'è andata?" Chiese Danielle. Sapeva quanto sua sorella fosse prudente. Non pensava che Chloe fosse crollata sotto la pressione, ma non ne era sicura al cento per cento. Se una delle due fosse crollata o avesse fatto un passo falso e le loro storie all'improvviso non avessero più combaciato, sarebbero state entrambe nella merda fino al collo.
"Sono stata brava, ma sono preoccupata che possano convocare anche te".
"Non devo essere arrestata perché possano interrogarmi?"
"No, a questo punto è quasi considerato un atto di cortesia. Ti hanno già interrogata, quindi si aspettano che tu li assecondi di nuovo".
"Al diavolo. Perché dovrei voler rivivere tutto?"
"Se ti contattano, non puoi avere un atteggiamento del genere".
Danielle alzò gli occhi al cielo. "Allora devo solo inchinarmi e continuare a portare avanti la cosa fino a quando gli pare?
"Per un po', sì. Ti prego… Danielle, per favore, attieniti alla storia. Non lasciare che le tue emozioni o la tua irritazione prendano il sopravvento".
"E' davvero questo il motivo per cui hai chiamato?"
"Sì. Cioè, questo e perché so che tendi a crogiolarti nelle tue emozioni quando le cose si mettono male. Come te la stai cavando?"
"Puzzo. E ho finito le serie da guardarmi su Netflix. Sto pensando di tornare al lavoro domani".
"Mi sembra una buona idea. Per favore non parlare di quello che abbiamo fatto ai tuoi colleghi, ok?"
"Oddio, Chloe. Non sono un idiota".
"Lo so, è solo che…"
"Chloe, lasciamo perdere. Che ne dici se tu riprendi la tua vita e io la mia? Concediamoci qualche settimana e vediamo come andrà. So come funzionano queste cose. Abbiamo vissuto una situazione decisamente incasinata. E non importa quello che ti piace immaginare, tu ed io non siamo mai state particolarmente unite. Non abbiamo un legame così stretto tra sorelle, no? Quindi forse non abbiamo bisogno l'una dell'altra per superare tutto questo".
Aveva intuito di aver detto troppo già a metà discorso, ma era troppo tardi per fermarsi a quel punto.
"Sì, forse hai ragione", disse Chloe. La sua voce era abbattuta e debole. Danielle aveva chiaramente ferito i suoi sentimenti – cosa di cui non era mai stata pienamente consapevole né da bambina né da donna adulta.
"Chloe…"
"Penso che dovresti tornare al lavoro", la interruppe Chloe. "Riprendi la tua vita com'era prima di tutto questo. E se il Bureau o la polizia ti chiamano, tutto quello che ti chiedo è che tu stia al gioco. Non prenderla sul personale. Dopotutto, stanno solo facendo il loro lavoro".
"Sì, lo so."
"Ti voglio bene, sorellina. Per ora, ciao."
Prima che Danielle potesse rispondere, Chloe terminò la chiamata. Danielle posò il cellulare lentamente, non sapendo bene perché fosse così infastidita dalla quella conversazione. Lei era sempre stata la sorella che non era mai turbata da discussioni ostili. Ma adesso, sentendo che Chloe era così irritata con lei, le sembrava di averla delusa.
È perché ti ha salvato il culo da uno stupido errore, pensò.
Già, le era venuto in mente più volte, negli ultimi giorni, che Chloe le aveva probabilmente salvato la vita. E questo avrebbe cambiato il corso del loro rapporto, d'ora in poi. Non essendo mai stata a suo agio nel sentire di essere in debito con gli altri, Danielle semplicemente non era sicura di come gestire la situazione.
Ricominciò distrattamente a scorrere la schermata iniziale di Netflix. Guardò di nuovo il cellulare e valutò se chiamare al lavoro. Magari poteva persino inserirsi nel turno di lavoro di quella sera.
Chloe aveva ragione, dopo tutto; a un certo punto avrebbe dovuto prendere in mano la situazione. Non aveva più l'ombra di suo padre che la guardava per incolparla di tutto. No, ora l'errore più grande era uno che doveva riconoscere – la consapevolezza di aver giocato un ruolo molto importante nella morte di suo padre.
Sì, avrebbe cambiato tutta la sua vita d'ora in poi, ma non era un motivo per gettare la spugna e rinunciare a tutto. Ma ciò che la spaventava di più era l'idea di scoprire – anche dopo che suo padre non c'era più – che forse non era lui l'unico problema, in fondo.
CAPITOLO QUATTRO
Chloe aveva esaminato le informazioni contenute nei fascicoli del caso nell'istante in cui le aveva ricevute. Non se ne rese conto in quel momento, ma si stava buttando nell'indagine allo stesso modo in cui un alcolista si buttava sulla bottiglia. Stava cercando di cancellare la realtà di ciò che lei e Danielle avevano fatto. Sentiva che, se fosse riuscita a seppellire tutto sotto la passione per il suo lavoro, dopo un po' sarebbe stata in grado di dimenticare tutto.
Erano dirette verso la cittadina di Pine Point, in Virginia. Situata a circa quindici chilometri da Winchester, aveva una popolazione di poco meno di diecimila abitanti, composta prevalentemente da famiglie benestanti, il che rendeva il caso simile a tutti gli altri a cui Chloe e Rhodes avevano lavorato. La differenza qui, però, era che le vittime erano entrambe di sesso maschile. Da quello che Chloe aveva potuto capire dai verbali, non c'era nulla di speciale o unico negli omicidi. Sembrava che in entrambi i casi gli uomini fossero stati picchiati a morte in modo piuttosto brutale, senza alcun legame apparente tra i due.
"Non ti sei ancora stancata di questi quartieri di lusso?" Chiese Rhodes da dietro il volante. Chloe, che stava guardando i dossier del caso sul suo tablet, alzò lo sguardo sul parabrezza. Erano già arrivate. La distanza tra Washington e Pine Point era solo di un'ora e mezza circa, ed era passata in fretta.
"Ci sono vicina" ammise Chloe. "Devi ammettere, però… che questa familiarità è piuttosto piacevole, no?"
"Sì, immagino di sì. Il dossier di questo caso, però… mi fa pensare che non si tratterà di altro che di un coglione super muscoloso che si sfoga su quelli che considera inferiori a lui, o una minaccia per lui".
Quel pensiero aveva sfiorato anche la mente di Chloe, ma non ne era troppo sicura. Una persona che uccideva per motivi del genere probabilmente non avrebbe avuto problemi a piazzare un proiettile in mezzo agli occhi o a tagliare la gola a qualcuno. Un pestaggio brutale in due occasioni distinte sembrava indicare qualcosa di un po' più oscuro.
C'era molto altro da analizzare, ma il suo cervello era come avvolto dalla nebbia. C'erano alcune domande che voleva fare a Rhodes – domande per aiutarla a capire cosa Johnson e altri nel Bureau credessero che avesse fatto con sua sorella. Non poteva fare a meno di chiedersi se sapessero più di quanto dicevano, ma non avessero prove sufficienti per affrontarla. Dopo tutto, era il fatto che Johnson era stato completamente disposto a mandare Rhodes a occuparsi di quel caso da sola a rendere Chloe paranoica, più di ogni altra cosa.
"Posso chiederti una cosa, Rhodes?"
"Certo".
"Sai niente di un'indagine interna sulle mie azioni riguardanti mia sorella?"
Tentò di interpretare la reazione di Rhodes, ma la sua partner aveva un'espressione imperscrutabile. Dopo qualche istante, scosse la testa. "Non credo proprio. So che ci sono state domande su tuo padre e sul rapimento di tua sorella, ma non ho sentito nulla su un'indagine interna ". Esitò per un attimo e poi si strinse nelle spalle. "Se sei preoccupata per il fatto che Johnson non ti abbia affiancata subito a me per questo caso, non ci darei troppo peso. Immagino che stesse solo valutando il tuo benessere psicologico".
"Può darsi."
"Ora… permettimi di chiederti una cosa", disse Rhodes. "E per favore, non prenderla nel modo sbagliato. Questo è solo tra noi due, ma devo saperlo. C'è qualcosa che devo sapere? C'è qualcosa su cui temi possano indagare?".
"No", disse Chloe. Temeva di aver risposto troppo in fretta, con un tono un po' troppo brusco.
"Dovevo chiedertelo. Visto che lavoriamo insieme. Non posso sostenere di capire quello che stai passando, quindi non ti tratterò con condiscendenza. Ma ho solo bisogno di sapere se sei davvero pronta. A pensarci bene, forse avrei dovuto chiedertelo prima che accettassi di aiutarmi con questo caso, ma sai come vanno queste cose".
"Sto bene".
Era per lo più vero, ma ora Chloe non poteva fare a meno di chiedersi se la curiosità di Rhodes avesse dei secondi fini. Johnson aveva parlato con Rhodes prima che lasciassero Washington, chiedendole di cercare di estorcerle informazioni? Non era da Rhodes fare domande profonde e personali. Di solito rimaneva sul superficiale, senza andare troppo in profondità. Il fatto che avesse cercato di impicciarsi così platealmente non sembrava da lei.
"Bene", disse Rhodes. "E spero che tu sappia che, se mai avrai bisogno di parlarne, o di elaborare la cosa o altro, io sono brava ad ascoltare".
"Grazie", disse Chloe, anche se il suo commento la rese ancora più sospettosa.
Le due rimasero in silenzio, mentre il navigatore del cellulare di Rhodes diceva loro di svoltare dopo ottocento metri. Oltre quella svolta c'era la loro destinazione, la scena del crimine della seconda vittima.
***
C'erano due poliziotti del posto ad aspettarle, come avevano concordato per telefono prima di lasciare la sede del Bureau. La loro auto era parcheggiata sul ciglio della strada, a pochi metri da un marciapiede dove si incrociavano due strade. Uno dei poliziotti, una donna dai capelli rossi molto alta, sorrise e indicò il posto proprio dietro la volante. Rhodes accostò e disse: "Questa qui mi sembra già una abituata a dare ordini."
Chloe e Rhodes scesero dall'auto e raggiunsero i due poliziotti sul marciapiede. La donna alta le salutò per prima, con un sorriso ampio e di una bellezza impressionante. Il secondo poliziotto era un uomo afroamericano che pareva sulla quarantina. Aveva l'aria di essere perfettamente consapevole di lavorare all'ombra della sua partner. Quando strinse le mani a Chloe e Rhodes, presentandosi come agente Benson, lo fece con un sorriso fiacco.
La spilungona rossa si chiamava Anderson, e parlava con un leggero accento del sud. "Piacere di conoscervi", disse strascicando le vocali come era tipico della parlata del sud.
"Allora", disse Anderson, "è una storia piuttosto semplice. Un tizio di nome Viktor Bjurman è stato trovato su questo marciapiede ieri sera. Lo hanno scoperto due adolescenti in bicicletta. Il sangue stava ancora uscendo dal corpo. È stato dichiarato morto subito dopo l'arrivo dell'ambulanza. L'ultimo rapporto di questa mattina ci dice che le cause del decesso sono molteplici: trauma da corpo contundente alla testa, una costola rotta che è stata spinta verso l'alto perforandogli il cuore, torace e sterno quasi completamente schiacciati, oppure un polmone collassato. Scegliete voi".