La sua pelle era squamosa, i suoi occhi gialli come quelli di un serpente, i suoi tratti dispiegati in qualcosa di più draconico, eppure c’era un’innegabile simmetria e bellezza in quei lineamenti. Nerra avrebbe del tutto rifiutato quell’immagine, eppure, guardandola, c’era qualcosa che le ricordava lei stessa. Persino la memoria dei suoi capelli era lì, in ciocche frondose che somigliavano alla cresta di una lucertola. Il suo corpo era altrettanto squamoso e più muscoloso adesso, capace di muoversi sinuoso grazie al riassetto delle sue articolazioni, eppure non aveva l’aspetto di un mostro.
“Certo che sono un mostro!” disse forte e la sua voce era l’unica parte di lei che non sembrava cambiata. Quello rese tutto peggiore in qualche modo, invece che migliore. Come poteva quella parte di lei essere rimasta invariata, quando tutto il resto si era trasformato? Un pensiero la raggiunse: nessuno della sua famiglia l’avrebbe adesso riconosciuta, aveva perso tutto. La rabbia le si scatenò dentro, repentina, improvvisa e totale; afferrò un pezzo di muro del tempio e lo fece a pezzi a mani nude. Fu solo allora che comprese quanto fosse forte nelle sue nuove sembianze.
La rabbia era ancora lì, e Nerra poteva sentirla battersi per emergere in superficie, per avere la meglio, come chi si trasformava al villaggio lasciava spazio a una creatura irrazionale. Nerra si ribellò a essa, allo shock, al dolore profondo di quella trasformazione, relegando tutto nelle periferie del suo essere e rifiutandosi di diventare qualcosa di simile. Si sporse dal lato della pozza, fissando giù nell’acqua, costringendosi a osservare quella versione mutata della sua persona, finché pensò che poteva sopportarlo.
La fontana non l’aveva uccisa, non l’aveva curata, l’aveva cambiata. Era stata come un catalizzatore per la trasformazione connessa alla malattia, ma l’aveva portata direttamente oltre alle creature malfatte che di solito creava, per renderla qualcosa di lucente e flessibile, dall’aspetto umano e di lucertola, tutto in una volta.
Nerra non sapeva cosa fare con quel pensiero, non sapeva come superare lo shock di chi era, di com’era diventata. Non lo comprendeva, non sapeva quale avrebbe dovuto essere la sua mossa successiva. Aveva bisogno di capire cosa stava succedendo e cosa le era successo, ma c’era un solo posto dove avrebbe potuto trovare le risposte ed era lo stesso dove avrebbero potuto ucciderla per com’era ora.
Procedendo a passo lungo sulla superficie del vulcano, Nerra si mise in cammino di nuovo verso il villaggio.
CAPITOLO QUINTO
Pedinare Finnal e la sua gente era abbastanza semplice per Erin; dopotutto, in quanto principessa, poteva andare ovunque nel castello e, in quanto cavaliere, nessuno la guardava due volte se lo faceva in compagnia della sua lancia corta, con la punta ancora coperta dalla custodia a farla sembrare un bastone.
Cosa avrebbero visto davvero se avessero guardato nella sua direzione? Una ragazzina più bassa delle sue sorelle, ricoperta da un’armatura di catene e lastre, con i capelli scuri tagliati corti per evitare che le offuschino la vista nella lotta e i tratti intrisi di determinazione. Non avrebbero potuto carpire le sue intenzioni, non avrebbero potuto immaginare la parte in cui, prima o poi, avrebbe trafitto il cuore di Finnal con la sua lancia. Le persone non volevano guardare le principesse e pensare che potessero fare una cosa del genere.
Le persone erano stupide.
Per ora, Erin lo stava solo pedinando; si muoveva fra la folla del castello, passando dalle coppie di cavalieri alle schiere di domestici, mentre Finnal attraversava il cortile per accedere alla grande sala. C’erano delle tende in cortile al momento, all’ombra delle imponenti mura, con i soldati accampati lì come in attesa di nuovi ordini. Alcuni erano seduti attorno a fuochi cottura all’aria aperta e Finnal si fermò con essi, per fare battute e ridere. A qualcuno, allungò delle monete, forse per comprare la loro lealtà.
Erin non poteva comprendere cosa vi avesse mai visto sua sorella. Oh, era stato abbastanza carino prima delle nozze, sempre elegante e aggraziato, con gli zigomi alti e un sorriso smagliante. Portava indumenti scuri dai bordi dorati, i migliori per attirare le attenzioni altrui sul suo splendore; e senz’altro, ogni volta che passava, tutti attorno a lui gli rispondevano come se il sole in persona fosse appena uscito dalle nuvole. Tuttavia, Lenore si meritava di più; si meritava qualcuno che la amasse davvero.
Di certo non meritava qualcuno che cercasse di tenerla ostaggio nelle nozze, mettendole delinquenti alle calcagna ogni volta in cui si fosse azzardata a uscire dalle mura del castello. Finnal avrebbe pagato per quel gesto, e l’avrebbe fatto amaramente.
Erin sorrise quando lo vide deviare verso le stalle, prima di proseguire nella grande sala. Con così tante persone al castello, era difficile in quel momento trovare un luogo adatto a un’imboscata, ma Erin era certa che lì vi fosse. Conosceva il posto con esattezza.
Abbandonando i suoi tentativi di essere un’ombra silenziosa alle sue spalle, Erin attraversò a corsa il cortile, fino all’angolo appena precedente Finnal. Passò dal retro e, correndo su una rampa di scalini in pietra, si ritrovò al livello più basso delle mura; scivolò oltre a una guardia che guardava le isole della città, muovendosi con passo felpato prima di lanciarsi giù, sul tetto delle stalle.
Si era nascosta lì tantissime volte quando era piccola, in parte perché era il posto perfetto dove accucciarsi per evitare le lezioni di galateo che sua madre voleva seguisse e in parte perché era il punto da cui era possibile vegliare sulle stalle. Erin l’aveva usato per spiare le battute di caccia o i cavalieri che si preparavano per uscire nel regno, provando sempre gelosia che loro potessero fare tutto ciò, mentre lei no. Si fermò lì e osservò, afferrando l’impugnatura della sua lancia.
Voleva farlo davvero? Il nervosismo la raggiunse mentre aspettava perché, nonostante avesse ucciso prima, non l’aveva mai fatto a sangue freddo. Voleva davvero abbattere il marito di sua sorella e lasciarlo morto nelle stalle?
La risposta a ciò era semplice: se non lei, chi doveva farlo? Oh, Lenore aveva parlato delle sue domestiche in azione, per cercare informazioni che avrebbero convinto le persone a liberarsi di Finnal in modo più pulito, ma quali erano le chance di portare a termine quel piano? Anche se avessero ottenuto le informazioni che avrebbero potuto persuadere la maggior parte della gente, Vars avrebbe acconsentito ad annullare il matrimonio? Era stato lui, in primo luogo, a pressare affinché le nozze venissero celebrate il prima possibile.
Forse appena loro padre si fosse svegliato, ma questo era più veloce, più pulito e… beh, Finnal se lo meritava. Nessuno poteva minacciare sua sorella.
Aspettò, finché non sentì delle voci lì sotto.
“… il baio più grande,” disse Finnal, da qualche parte in basso.
“Ma signore, quel cavallo appartiene al Principe Rodry.”
“Ed io desidero onorare la sua memoria mettendolo a servizio di sua sorella,” rispose Finnal e comparve in basso; la sua testa era visibile, con la sua cascata di riccioli. “Ricordati che io sono suo marito e che le terre che adesso possiedo includono… Uhm, da dove hai detto che proviene la tua famiglia?”
La minaccia era lì, appena sotto la superficie, e tutto ciò non fece altro che accrescere la rabbia di Erin. Quell’uomo si era rivelato crudele da quando aveva ottenuto potere; era una serpe dalla pelle graziosa. Oltre a ciò, stava cercando di derubare il suo defunto fratello adesso, mentre minacciava sua sorella. Erin non poteva permettere che tutto ciò accadesse.
“Magari potrei parlare con il responsabile delle stalle,” disse lo stalliere con cui stava parlando.
“Mi sembra un’idea eccellente,” replicò Finnal. “Io aspetterò qui.”
Lo stalliere non intendeva che l’avrebbe fatto subito chiaramente, ma con Finnal in attesa, non aveva scelta. C’era solo un vantaggio in tutto ciò: significava che Finnal sarebbe rimasto solo nelle stalle, eccetto che per i cavalli, dritto nella visuale di Erin. Sfilò dunque la custodia alla sua lancia, mentre il cuore le pompava feroce in petto. Poteva farlo, doveva farlo, per sua sorella.
L’angolazione non era quella perfetta, quindi si spostò più avanti sul tetto, o cercò di farlo. Sentì il piede cederle, mentre sprofondava nella paglia, e dovette sforzarsi di non sussultare quando fu sul punto di cadere. Solo immergendo la sua lancia nella paglia, riuscì a mantenere l’equilibrio ed evitarsi di ruzzolare.
Si accucciò lì diversi secondi, per non essere vista. Poteva sentire il rumore dei passi sulle mura, ma sapeva che le guardie non avrebbero potuto vederla da lì. Era più preoccupata della possibilità di essere sorpresa da Finnal. Tuttavia, quando alla fine si azzardò a guardare di nuovo attraverso la fessura del tetto e nelle stalle, lui era ancora lì, stava osservando i cavalli come cercasse di decidere quale pretendere dopo.
Erin impugnò la lancia e aggiustò la presa, preparandosi a colpire. La lancia era corta ma, da lì, non aveva dubbi che sarebbe riuscita a infilzare il cuore di Finnal. Fece un respiro, approntando la mano, avvertendo la tensione lì e…
E una mano si chiuse sull’asta della lancia, impedendole di scagliarla verso la sua preda.
“Ucciderlo in pieno giorno?” sussurrò Odd, scuotendo la testa in disapprovazione.
Erin si girò verso di lui. L’ex cavaliere portava ancora gli abiti da monaco, che si era guadagnato sull’Isola di Leveros, e aveva la spada legata sulla schiena. Non si aspettava che si muovesse così piano.
“Deve morire,” sibilò Erin in risposta, ma quando tornò a guardare giù attraverso la fessura, Finnal stava uscendo dal suo campo visivo.
“E una volta ucciso che cosa avrete ottenuto?” chiese Odd. Non le aveva ancora rilasciato l’arma. “Per prima cosa, la vostra lancia sporgerebbe dal suo petto. Principessa o no, non potete uccidere il figlio di un duca e restare impunita. Vi farebbero impiccare!”
“Neanche Vars mi farebbe impiccare,” disse Erin. “E per proteggere Lenore…”
“Per proteggere, dovete restare viva!” Ringhiò Odd in risposta e spinse Erin via da lui. “Non potete finire a marcire in una segreta e non potete iniziare una guerra civile che ci farà morire tutti.”
“Uccidere quello… quello metterebbe fine alle cose, non le inizierebbe,” insistette Erin.
“Non quando metà dei nobili sono dalla parte sua e di suo padre,” ribatté Odd. “Dimostrerebbe al regno che la famiglia reale sta cercando di governare, senza accettare consigli né vincoli. Fate la cosa sensata, Erin.”
“Perché voi potete insegnarmi molto al riguardo?” Scattò Erin in risposta e spostò lo sguardo da Odd a dove giaceva il regno. “Credete che non sappia chi siete e chi eravate? Non vi chiamavano Sir Oderick il Giudizioso!”
“No, mi chiamavano il Folle,” replicò lui e, in un attimo, liberò la sua spada dalla custodia. Sfrecciò, ed Erin a malapena riuscì a pararla con la lancia. “Dicevano che ero un matto. Dicevano che ero un mostro.”
Colpì di nuovo, più e più volte, costringendo Erin ad arretrare, un passo, poi un altro.
“Credete che la vostra rabbia sia l’unica cosa che conta? Beh, io ne so molto di rabbia,” disse e colpì ancora; adesso Erin era stufa di restituire i colpi. Sistemò i piedi e…
… eccetto che non c’era nessun ‘e’, perché scoprì che il terreno era finito. Ruzzolò giù, la lancia le sfuggì di mano e, per un momento, era certa che si sarebbe spezzata le ossa sui ciottoli sottostanti. Tuttavia, pareva che Odd non l’avesse solo spinta al bordo del tetto, ma l’aveva anche indirizzata verso un punto sotto il quale giaceva un serbatoio per la raccolta dell’acqua piovana. Erin ci sprofondò con un tonfo, immergendosi rapida e tornando a galla borbottando.
Odd era già da lei e le stava porgendo la sua lancia.
“Vi sentite meglio?” chiese.
“Mi sento come se dovessi colpirvi come foste lui,” replicò Erin e sentì il peso del suo sguardo su di lei. “Ma… non ancora. Avete ragione. Non posso ucciderlo e basta, giusto?”
Odd scosse la testa e le lanciò la sua arma. “Dobbiamo escogitare un altro modo. Per adesso, vostra sorella è in un matrimonio pericoloso e ha meno amici di quanti pensi.”
“Ha me,” affermò Erin, tirandosi fuori dall’acqua.
“Noi,” la corresse Odd.
Erin non mise in discussione quella rivelazione; era semplicemente grata che un guerriero così abile fosse disposto ad aiutarla. Finnal aveva delle risorse dalla sua parte, un ruolo di rilievo e persino l’amicizia di Vars. Schierato contro di lui, tutto ciò che Erin aveva per tenere sua sorella al sicuro era un ex-cavaliere probabilmente pazzo. Tuttavia, avrebbe tenuto Lenore al sicuro, anche se le fosse costato la vita.
CAPITOLO SESTO
Devin era in piedi negli alloggi del Maestro Grey, fra le cianfrusaglie strane che solo un mago poteva raccogliere, fissando una mappa del regno mentre lo stregone indicava dei punti su essa.
“La mia ricerca ha identificato dei luoghi dove si trovano frammenti della Spada Incompiuta,” disse. “Una tomba di famiglia alle colline pedemontane del lontano nord, un santuario fuori dal villaggio al cuore del regno.” Indicò un’altra mezza dozzina di punti, uno dopo l’altro.
Devin cercò di metabolizzare il tutto. “Perché qualcuno dovrebbe sparpagliare i frammenti di una spada del genere?”
“Perché è un’arma di potere,” rispose lo stregone. “Una troppo pericolosa per essere lasciata nelle mani degli uomini in tempi di pace.”
“Ci sono stati tempi di pace recentemente?” chiese Sir Twell il Pianificatore dall’altro lato della stanza. Sir Halfin il Lesto era in piedi accanto a lui; i due cavalieri dello Sperone indossavano un’armatura di lastre e catene, coperta dai mantelli, e i loro scudi erano lisci invece che dotati dello stemma identificativo della loro provenienza. Sir Twell aveva una ferita bendata che aveva accusato in battaglia, ma sembrava muoversi ancora bene. Sir Halfin continuava a spostare il suo peso, come bramoso di agire.
“Non sono le guerre fra uomini a preoccuparmi,” replicò il Maestro Grey.
“Allora cos’è che vi preoccupa?” domandò Devin. Non che si aspettasse una risposta. Non ne avrebbe mai ottenuta una.
“È fondamentale che raccogliate i frammenti della spada,” rispose il Maestro Grey. “Molti giacciono in bella vista, altri in luoghi più… più pericolosi. Con la lama che hai fatto per le nozze, hai dimostrato di poter forgiare il metallo stellare.”
“Meraviglioso,” intervenne Sir Halfin. “Viaggiare insieme per raccogliere quella roba. Sarà proprio come il nostro viaggio a Clearwater Deep.”
“Eccetto che questa volta, Rodry non sarà con noi,” aggiunse Sir Twell, con un tono cupo. “Avete detto che tutto questo è necessario, stregone?”
Il Maestro Grey annuì. “Se hai visto le cose che ho visto io, non dovresti chiedermelo.”
“Ma io devo chiedervelo,” ribatté Sir Twell. “Perché voi volete allontanare due cavalieri dal castello nel bel mezzo di una guerra.”
“Ne manderei di più,” replicò il Maestro Grey. “Ma se si sparge la voce, verrebbero in troppi. Voi due e Devin è più discreto.”
Il cavaliere sospirò a quell’affermazione, perché non era chiaramente ciò che voleva. “E voi vi siete preparato a dovere per questo?”
Il Maestro Grey gli rivolse uno sguardo strano. “Da più tempo di quanto potresti anche solo concepire, Pianificatore. Ma se intendi nel senso più immediato… cavalli, scorte, armi e oro vi attendono di sotto. Tutto ciò che persino tu potresti richiedere.”