La figlia dei draghi - Морган Райс 5 стр.


Quello sembrò rendere il cavaliere, se non felice, quantomeno soddisfatto.

Sir Halfin si voltò verso Devin. “E tu cosa ne pensi? Credi che sia una buona idea? Ti fidi dello stregone del re?”

Devin non era sicuro di come rispondere a nessuna delle tre domande. Il Maestro Grey non era un uomo che ispirava fiducia, che dava delle risposte o che quantomeno agiva in un qualsiasi modo che non fosse correlato alle sue misteriose profezie. Di certo non pensava che quel compito fosse sicuro o semplice. Tuttavia, aveva visto lui stesso delle cose che non sarebbe dovuto riuscire a vedere, aveva letto parte dei pensieri dello stregone su un bambino nato sotto alla luna del drago che era vitale. Se era lui, non aveva il dovere di agire?

“Credo che dobbiamo farlo,” rispose Devin e allungò le mani verso gli altri. “Se questo può aiutare il regno, allora dobbiamo almeno provarci. Mi aiuterete?”

Sir Halfin fu il primo ad allungarsi, mettendo la sua mano sopra a quella di Devin. “Lo farò. Se non lo facessi, che Cavaliere dello Sperone sarei?”

Sir Twell impiegò un momento di più, ma poi unì la sua mano alle loro. “Molto bene,” disse. “Lo giuro; ma ho un’altra domanda: come faremo a trovare questi frammenti?”

“Devin avvertirà il metallo stellare quando è vicino,” rispose il Maestro Grey. “Ma oltre a questo…” Estrasse ciò che sembrava una mappa e la dispiegò. Mostrava il regno, mostrava i frammenti che aveva sottolineato e c’era anche qualcos’altro… almeno uno di essi si stava muovendo.

“Magia,” disse Devin meravigliato. Nonostante avesse visto tutto ciò che lo stregone riusciva a fare, quella cosa riusciva sempre a stupirlo.

“La mappa localizzerà i frammenti,” disse il mago. “Con questa, dovreste riuscire ad avvicinarvi. Immagino che quello in movimento sia attualmente nelle mani di un mercante, che lo reputa un ciondolo da vendere.”

“Allora lo porterò indietro,” promise Devin. “Insieme a tutti gli altri.”

“Andate subito,” disse il Maestro Grey, posando una mano sulla spalla di Devin. “Potrebbe non restare molto tempo, per nessuno di noi.”

“D’accordo,” rispose Devin, ma poi pensò per un momento. “C’è solo una cosa che devo fare prima.”

***

Quando Devin raggiunse gli alloggi di Lenore, aveva il cuore in gola. Non era sicuro che gli fosse neanche concesso di vederla, di restare solo con lei per parlarle, o… o cosa? Esprimere tutto ciò che provava? Dirle tutto nonostante adesso fosse una donna sposata?

Devin non lo sapeva. Non sapeva cosa dire o quanto lontano potesse spingersi. Sapeva solo che doveva fare qualcosa. Quindi era andato fino alle sue stanze e già quel gesto di per sé era strano. Non avrebbe dovuto essere negli alloggi di Finnal adesso che era sua moglie?

Restò ancora più sorpreso quando fu un’altra principessa ad aprire la porta, con una lancia in mano come potesse trafiggerlo.

“Chi sei?” domandò la Principessa Erin. “Cosa vuoi?”

“Va tutto bene, Erin,” gridò la voce di Lenore da dietro di lei. “È Devin, un amico di Rodry. Lascialo entrare.”

La Principessa Erin tornò a squadrarlo, come si aspettasse che Devin potesse all’improvviso estrarre un coltello e attaccare, ma poi arretrò.

“Immagino che sei un amico di Rodry, puoi passare.”

Devin non aveva mai visto l’interno delle stanze oltre la porta e, per un momento, quell’ambiente lo fece ritrarre. Seta blu si gonfiava in prossimità delle finestre di una zona giorno, mentre su uno dei divani, Lenore sedeva leggendo e una figura vestita da monaco sostava in piedi un poco più in là, apparentemente focalizzata su niente. Agli occhi di Devin, Lenore appariva più bella che mai; la delicata fragilità dei suoi tratti esibiva un nuovo tipo di determinazione dopo il rapimento, i suoi capelli quasi corvini erano raccolti indietro in un’acconciatura semplice, che in qualche modo le donava ancora più di quelle che in passato avevano richiesto sforzi estremi da parte delle domestiche, e i suoi occhi… Devin sentiva di poter restare immobile a fissarli per sempre.

“Devin,” disse, porgendogli una mano. Lo tirò a sedersi accanto a lei. “Mi fa piacere vederti. Non pensavo che saresti venuto qui.”

“Ho forse sbagliato a venire?” chiese Devin con un broncio. “Io… non vorrei causarvi dei problemi.”

Sapeva che non era normale che un giovanotto di bassa estrazione sociale come lui visitasse una principessa nei suoi alloggi. Non voleva fare niente che potesse portare alla disapprovazione per Lenore.

“No, sono felice che tu sia qui,” rispose lei, e il cuore di Devin saltò un battito. “Io… speravo che saresti venuto, ma pensavo che con tutto quello che hai da fare per il Maestro Grey, non avessi tempo. Pensavo che ti fossi dimenticato di me.”

“Non potrei mai scordarmi di voi,” rispose Devin, e poi rifletté su quelle parole. “Sono solo… Sono solo stato molto impegnato.”

“Deve essere strano lavorare per uno stregone,” replicò Lenore. “La spada che hai forgiato era bellissima, comunque. Sono sicura che Rodry l’avrebbe…”

Ingoiò l’ultima parola e Devin annuì, perché nonostante Rodry non fosse stato suo fratello, riusciva comunque a comprendere il dolore della sua perdita. “Grazie,” disse, perché se c’era una persona che voleva apprezzasse qualcosa che aveva fatto, quella era Lenore. “In realtà, questo è in parte il perché sono qui. Io… Il Maestro Grey mi sta inviando a fare un altro lavoro per lui. Non posso dire di cosa si tratta, ma starò via almeno per un poco.”

Era sconforto quello che Devin scorgeva adesso nei suoi occhi, o stava solo immaginando che lei provasse tutto ciò che sentiva lui al pensiero di non potersi vedere?

“Questo è… un peccato,” disse Lenore. “Mi fa sempre piacere averti nei pressi. Io… Io apprezzo averti qui.”

“Io apprezzo stare qui,” replicò Devin. “Ma credo di dover fare questa cosa e, prima di andarmene, volevo… Beh, volevo darvi una cosa.” Realizzò come suonava tutto ciò. “Voglio dire, perché il regalo nuziale che vi ho fatto ha finito per essere un regalo nuziale per vostro marito.”

“Mio marito, sì,” affermò Lenore come se, per un momento, si fosse quasi dimenticata di Finnal.

Devin colse la sua occasione ed estrasse un piccolo frammento di metallo stellare che era avanzato dalla forgiatura. Lo aveva lavorato, cercando di rafforzare la sua abilità nel processo, dandogli la forma di una serie di sfere a gabbia che si incastravano l’una nell’altra, ciascuna muovendosi liberamente dentro la successiva. Al centro, aveva incastonato un pezzo di vetro colorato, cosicché ogni movimento delle sfere del metallo stellare attorno a esso, cambiava il modo in cui la luce lo colpiva.

“Non è molto,” disse Devin. “Di certo non è comparabile a una spada, ma…”

“È bellissimo,” rispose Lenore, tenendolo nel palmo della mano. “Lo amo.”

Ed io amo voi, voleva dire Devin, ma non lo fece, non poteva. Non con una principessa; una principessa sposata, oltretutto.

“Lo terrò vicino per ricordo mentre sarai via,” aggiunse Lenore. “Lo custodirò con cura.”

“Questo è… Sono molto felice,” replicò Devin. Perché doveva essere così difficile trovare le parole attorno a lei? “Dovrei andare. Gli altri mi stanno aspettando.”

Prese fugace la mano di Lenore, cercando di definire se fosse appropriato o meno baciarla. Forse no; quindi si alzò e si diresse alla porta.

“Devin,” gridò Lenore prima che la raggiungesse. Lui si voltò, speranzoso. “Io… Mi mancherai mentre starai via.”

“Grazie, anche voi mi mancherete,” rispose e poi si precipitò fuori dalla stanza, maledicendosi a oltranza per non essere riuscito a dire l’unica cosa importante.

Di certo, qualsiasi cosa fosse successa là fuori cercando di raccogliere i frammenti… doveva essere più facile di questo?

CAPITOLO SETTIMO

Intrappolato in una tomba con un drago da una parte e gli Invisibili dall’altra, Renard si era trovato in situazioni più scomode. Non gliene veniva in mente neanche una, ma era certo che dovessero esservene.

In teoria, certo, poteva rendere l’intera questione molto semplice: poteva aspettare che il drago se ne andasse e poi uscire per incontrare gli Invisibili. Tutto ciò che doveva fare, era porgere loro l’amuleto che anche adesso drenava le sue forze come un foro sul fondo di un serbatoio.

Non poteva farlo, però. Al contrario, Renard avrebbe dovuto uscirne con le maniere forti.

Controllò cauto le pareti della tomba interna, sperando che vi fosse una qualche via d’uscita nascosta, una fessura o un tunnel che non c’erano stati quando i creatori del posto lo avevano costruito sulla pendenza del vulcano. Un modo carino e comodo per uscire non sembrava troppo esigente come richiesta, giusto?

A quanto pareva, lo era; il che significava che o passava da dov’era arrivato, oppure… oppure usciva dall’apertura soprastante lo spazio principale del mausoleo. Abbracciare la sua morte contro essere catturato dagli Invisibili per cercare di oltrepassarli… Messa così, non aveva proprio scelta.

Renard aprì la serratura delle porte dorate della tomba con i suoi arnesi, udendone lo scricchiolio, sentendo il sudore scorrergli sulla fronte al pensiero di cosa poteva esserci appena oltre. Ancora il suono dei graffi; il drago artigliava per entrare e Renard restò immobile, finché il rumore cessò. Attese un altro minuto, poi due.

Poteva restare lì seduto per sempre ad ascoltare ma, prima o poi, avrebbe dovuto muoversi. Lo fece, aprendo la porta scricchiolante e affacciandosi. Il cielo soprastante era più tenue, la luce nel mausoleo meno forte adesso. Renard non osò accendere la sua lanterna, però, perché quello avrebbe senz’altro attirato l’attenzione della bestia. Al contrario, scivolò fuori, osservando quanto era visibile con la luce naturale.

Laggiù, dal lato opposto della recinzione cavernosa, poteva vedere la mole della creatura. Era ferma, raggomitolata quasi come un gatto che dorme, il suo fianco si sollevava e abbassava lento, seguendo il suo respiro. Renard si tenne a distanza, sospettando che persino il rumore più impercettibile avrebbe svegliato il drago.

Nella luce tenue, ispezionò le pareti interne del cimitero al meglio che poteva. I livelli più bassi erano ricchi di incisioni e monumenti; una scalata facile per uno come lui. Più su, però, la pietra lavorata pareva lasciare spazio alla roccia naturale e quella sembrava una scalata molto più difficile di quanto era stata quella esterna.

O la faceva oppure restava ad attendere che il drago si svegliasse, dunque Renard iniziò a scalare. Si mise in partenza, usando la statua di un guerriero dimenticato per posarvi un piede, poi si lanciò più su per aggrapparsi a un frammento superiore di pietra lavorata. Oscillò con il corpo, piegandosi nel processo, spostandosi ancora più in alto.

Renard sussultò quando un grottesco volto di pietra, al quale era aggrappato con la mano, cedette; parte di esso iniziò a ruzzolare giù. I suoi riflessi, almeno, erano ancora buoni e la sua mano scattò ad afferrarlo, invece di lasciare che sferragliasse contro al suolo sottostante. Per un momento, Renard si tenne con una mano sola, mentre con l’altra sorreggeva quel volto di pietra deformato che sembrava trovare l’intera situazione molto divertente. Era felice che almeno per uno dei due lo fosse.

Cauto, perlustrò la parete con i piedi e trovò un supporto. Con altrettanta precisione, sistemò il volto di pietra su una sporgenza rocciosa dalla quale non sarebbe caduto, rischiando di disturbare il drago sottostante.

Si mosse più rapido adesso, consapevole che neanche la sua presa avrebbe retto tanto a lungo. Si spostò da un supporto all’altro, allungandosi, mettendo in posizione una mano o un piede, spostando il peso. Cercò di definire il suo percorso fino alla zona che esibiva la vegetazione e il respiro gli si bloccò quando notò un problema.

C’era un punto in cui la roccia aveva ceduto, eliminando qualsiasi supporto. Se avesse avuto tempo in uno spazio come quello, non sarebbe stato un problema, perché Renard avrebbe lavorato con punte e martelli e si sarebbe creato una via con le sue mani. Lo aveva fatto una volta nella stanza del tesoro di un mercante, dove persino toccare il suolo avrebbe attivato un’elaboratissima serie di trappole. Adesso, però, non sapeva quanto tempo aveva a disposizione prima che il drago si svegliasse, e non poteva certo far rumore smartellando sulla roccia. Quello lasciava aperta solo un’opzione: sarebbe dovuto balzare oltre al vuoto per raggiungere il supporto successivo.

Per un momento, Renard pensò di tornare a terra e uscire dal tunnel principale, per cercare di sgattaiolare oltre gli Invisibili. In qualche modo, però, dubitava che avrebbe funzionato. Lo avrebbero catturato e poi…

Sì, c’erano senz’altro cose peggiori di cadere.

Lanciò uno sguardo in basso in quel momento e, sotto di lui, vide che uno dei grandi occhi dorati del drago era aperto.

Quello spinse Renard a balzare come nient’altro poteva fare. Udì il ruggito del drago mentre si spingeva in alto e il suo corpo sembrò sospeso nel vuoto per un periodo infinito, prima che le sue mani trovassero una sporgenza rocciosa più su. Aveva i bordi affilati, che gli tagliarono in profondità nelle mani, ma non gli importava; adesso contava solo continuare a salire, fino all’aria aperta sulle pendenze del vulcano.

Il drago uscì, lasciando il vuoto alle sue spalle; ali forti lo sollevarono su nel cielo. Volò in cerchio e, per un attimo, Renard pensò che potesse voltarsi e dirigersi dritto verso di lui. Tuttavia, qualcosa sembrò distrarlo, forse la vista di una preda in lontananza, o forse qualcos’altro. Virò e si allontanò battendo rapido le sue ali.

Renard si adagiò sulla schiena per lunghi secondi, cercando di riprendere fiato dopo quegli ultimi momenti di terrore. Non poteva rimanere così a lungo, però, perché non aveva modo di sapere quando la bestia avrebbe deciso di tornare a prenderlo. Ancora peggio, in assenza del drago, gli Invisibili potevano pensare che valesse la pena addentrarsi sulla sua scia dentro al mausoleo, potevano essersi accorti che se n’era andato.

Si costrinse in piedi, solo perché gli serviva quanto più vantaggio possibile con dei nemici del genere; e loro erano suoi nemici adesso. Lo erano diventati dal momento che li aveva sfidati, dal momento che non si era limitato a tornare da loro con l’amuleto.

Lo avrebbero forse ucciso lo stesso, certo. Le persone di quel genere erano quelle che avrebbero tradito un ladro. Esisteva ancora l’onore nel mondo? Certo, facendo così, avrebbe messo più che se stesso in pericolo. Cosa avrebbero potuto fare a Yselle, o agli altri residenti delle terre di Lord Carrick?

Renard doveva solo sperare che fossero troppo impegnati a scovare lui e quella sembrò una speranza stupida per un uomo. Tuttavia, si mise in partenza lungo la pendenza opposta del vulcano e verso i terreni coltivati più sotto, muovendosi rapido adesso. Poteva sentire il piccolo gocciolio di forza che correva via da lui tramite l’amuleto, ma sembrò che finché non avesse provato a usarlo, sarebbe rimasto solo un gocciolio.

Proseguì ed era alla fine della pendenza, quando si guardò indietro e vide tre figure incappucciate più in alto in lontananza. Sembrava che Void, Wrath e Verdant avessero capito cosa aveva fatto e quello significava che doveva correre.

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