Delitto (e baklava) - Блейк Пирс 4 стр.


London provò una profonda fitta di nostalgia.

La musica significava qualcosa per lei, assolutamente, più di quanto il Signor Lapham potesse sapere, dopo aver letto il suo curriculum.

Non piangere, si disse.

Ma era difficile non scoppiare in lacrime. Ricordò l’espressione raggiante di sua madre, mentre suonava quella stessa melodia al piano. E, ora, quelle note le suscitarono alcuni dei ricordi più belli della sua infanzia.

“Allora?” Lapham chiese.

London deglutì un nodo di emozione.

“È Mozart” rispose, “e si chiama Eine Kleine Nachtmusik.”

“Che vuol dire?”

“Si può tradurre sia come ‘una musichetta notturna’ oppure come ‘una piccola serenata.’”

“Molto bene” Lapham disse. “Si dà il caso che Nachtmusik è anche il nome di una nuova nave da crociera che ho appena acquistato, non un’enorme nave che naviga l’oceano, come quelle a cui lei era abituata, ma un battello più modesto che navigherà i fiumi in Europa.”

“Un battello da tour?” chiese London..

“Piuttosto un grande yacht di lusso” Lapham disse, “con circa cento passeggeri soltanto. Credo che ci sia un grande futuro nei tour fluviali. Spero davvero di lanciare una nuova era per la Epoch World Cruise Lines. Ma c’è molto in ballo in questa nuova impresa. Voglio predisporre tutto per il miglior inizio possibile. E, per farlo, devo assumere il miglior personale possibile.”

London sentì il cuore balzarle fuori dal petto.

Si rese conto improvvisamente che Jeremy Latham stava per farle una proposta, ma si trattava di un tipo diverso rispetto a quella che aveva ricevuto da Ian la sera precedente.

“Voglio che lei sia la direttrice della Nachtmusik” Lapham disse. “Richiederà responsabilità e doveri di là da quello che ha fatto prima per noi. Ma, prima che accetti o rifiuti, dovrei dirle che, se vuole il lavoro, dovrà essere in Ungheria entro domattina. È lì che la Nachtmusik inizierà il suo viaggio sul Danubio. Le porgo le mie scuse per un così breve preavviso, ma la posizione si è aperta in maniera piuttosto inaspettata.”

London sgranò gli occhi. Finalmente ebbe un senso il fatto che Lapham l’avesse voluta chiamare personalmente. Aveva un’emergenza tra le mani, un posto essenziale da riempire, e questa chiamata era un colloquio per la posizione in questione.

“Come …?” fu la sola parola che lei riuscì a pronunciare in quel momento.

L’uomo continuò a parlare. “Le ho già prenotato un volo per stasera. Ho controllato, e c’è una coincidenza da New Haven a New York, e, poi, ci sarà un volo notturno per Budapest. Ma dovrebbe dirmi subito se è intenzionata ad accettare. Le invierò via email il contratto e i dettagli sul pagamento, che spero troverà soddisfacenti.”

A quel punto, Lapham rimase in silenzio, in attesa della sua risposta.

La mente di London era in piena attività.

Era domenica mattina ora. Se avesse accettato, sarebbe stata in un altro paese per colazione, l’indomani stesso. Un paese meraviglioso, ricco di storia ma anche altamente sviluppato e comodamente moderno.

Ciò nonostante, sembrava una decisione impegnativa, specialmente dopo tutti i dubbi che l’avevano colta dal giorno prima.

In quel momento, come se fosse un segnale, Bret arrivò di corsa nella stanza, seguito dalle due sorelle, che lo stavano attaccando con le spade laser. Urlando, s’infilò sotto le coperte del letto e le sorelle si avventarono e iniziarono a colpire la protuberanza vivente sotto le coperte, con le spade di plastica.

Tia entrò di corsa nella stanza, rimproverando i bambini e prendendo Bret sotto un braccio. Rivolse a London un’occhiata dispiaciuta. I loro occhi s’incontrarono per un istante, e London ebbe, ancora una volta, la sensazione di guardarsi allo specchio o, piuttosto, di vedere un futuro, nel quale lei stessa viveva la vita della sorella fino al più piccolo dettaglio.

Ricordò quello che Ian le aveva detto la sera precedente.

“Avremo un bambino tra due anni, poi un altro ancora dopo altri due anni, e un altro due anni dopo …”

Le venne in mente una cosa.

Quello era esattamente il piano che Tia e Bernard avevano formulato all’inizio del loro matrimonio: tre figli entro i primi sei anni. In quella futura realtà, London avrebbe non solo avuto una famiglia a immagine e somiglianza, ma avrebbe avuto gli stessi giocattoli per i bambini, lo stesso lavandino pieno di piatti, lo stesso …

Tutto!

London avvertì la monotonia della sua vita futura nel tempo in cui Tia radunava i figli fuori dalla stanza degli ospiti e richiudeva la porta.

Alcune delle parole della sorella riecheggiarono nella mente di London.

“Non puoi fuggire in tutto il mondo per il resto della tua vita.”

Ma, per la prima volta, London si rese conto che viaggiare non equivaleva a fuggire, almeno non per lei.

Per me, è la vita stessa.

“Sì” disse a Lapham. “Oh, sì. La ringrazio. Accetto il lavoro.”

CAPITOLO QUATTRO

London camminava frettolosamente per l’aeroporto JFK, quando le squillò il cellulare.

Oh, ti prego, fa’ che sia Ian, pensò, prendendolo dalla borsa.

Aveva provato a mettersi in contatto con lui immediatamente dopo la fine della conversazione con Jeremy Latham, quella mattina. Ma sapeva che, fin dalle prime ore del giorno,  era andato a giocare a golf con un cliente e non avrebbe mai risposto. Sebbene non fosse entusiasta all’idea di parlargli, non voleva lasciare il paese senza aver risolto la questione con lui.

Rispose ed era proprio Ian.

“Ian, ciao” esordì, con il fiato corto.

“Ciao, London.”

“Um … stavo pensando alla nostra ‘fusione’ e …”

“E?”

London stava riprendendo i suoi bagagli a mano, dopo averli passati nel metal detector.

“Come ho detto ieri sera, sono toccata” riprese. “Ma …”

Ci fu silenzio tra loro.

“Ho ricevuto un’offerta stamattina” disse. “Il CEO della Epoch World Cruise Lines mi ha chiamata e mi ha offerto … beh, un lavoro che non ho potuto rifiutare.”

Sentì un grugnito di impazienza nella voce di Ian.

“Altri viaggi?” le chiese severamente.

La domanda la colse di sorpresa. Naturalmente, la risposta era sì, ma era anche molto di più di questo. Questo lavoro era importante per lei, in un modo che non sapeva come iniziare a spiegargli.

“È diverso da quello che ho fatto finora” rispose. “Si tratta di una crociera fluviale sul Danubio. Il viaggio inizia domani da Budapest. E non sarò più una semplice hostess. Sarò la direttrice dell’intero tour.”

Ci fu di nuovo silenzio.

Non è colpito, pensò.

Nello stesso istante, si chiese: perché dovrebbe esserlo? Quelle qualifiche, hostess e direttrice, non significavano alcunché per lui.

“Questo dove ci porta?” chiese Ian.

London ebbe un sussulto, mentre attraversava frettolosamente l’atrio verso il suo gate di partenza.

“Ian, io … io ho paura di non essere ancora pronta per la tua … “fusione.” Non sto dicendo che sarà così per sempre. Forse tra altri due anni di …”

“L’offerta è scaduta” la interruppe Ian.

Huh? London quasi disse ad alta voce.

“Ti ho fatto la mia migliore offerta” Ian aggiunse. “Ora l’ho ritirata. Temo che la questione non lasci più spazio ad alcuna negoziazione.”

London era perplessa.

Non è negoziabile?

Certamente lei non aveva fatto quella supposizione …

Oppure l’ho fatto?

Forse era stata troppo vaga. Forse lui aveva pensato che lei si fosse solo bloccata.

Oppure volesse trattare.

Le parole di Ian, tutte nel gergo economico, apparivano da un lato quasi spaventose ma, in qualche modo, molto educate al contempo.

“Spero che tu capisca, London. È solo che sono un uomo molto impegnato e non resto con le mani in mano. Il treno ha lasciato la stazione, per così dire, e tu l’hai perso. In ogni caso, ti auguro il meglio, e non serberò alcun rancore nei tuoi riguardi.”

“Io … io sono contenta di sentirlo” London rispose.

“Spero che non ti pentirai di questa decisione” Ian aggiunse. “Perdonami se lo dico, ma non mi pare una scelta molto saggia. Ma, del resto, è una tua scelta, non mia. E ti auguro di fare dei bei viaggi, sebbene l’Ungheria mi sembri un posto molto deprimente.”

“Grazie per … la comprensione” London rispose.

Si salutarono e misero fine alla chiamata.

London improvvisamente respirò meglio, come se un grande peso le fosse stato appena sollevato dal petto. Si sentì inaspettatamente sollevata.

Sebbene avesse detto a Ian che la sua scelta non sarebbe stata permanente, ora si rendeva conto che non poteva vivere la vita di sua sorella, men che meno con qualcuno come. … le ci volle un momento per trovare la parola giusta da usare.

Qualcuno così manageriale come Ian.

Era difficile immaginare che, proprio quella mattina, era stata in dubbio se accettare la “fusione” di Ian.

In realtà, forse, se Jeremy Lapham l’avesse davvero licenziata anziché offrirle un lavoro tanto allettante, lei e Tia si sarebbero trovate a progettare il suo matrimonio in quello stesso momento.

Me la sono cavata per un pelo, pensò, mentre mostrava la sua carta d’imbarco all’assistente di volo al gate; poi, si unì alla fila di passeggeri, per imbarcarsi sull’aereo.

*

London spalancò gli occhi, al suono della voce del pilota.

“Siamo appena arrivati all’Aeroporto Internazionale di Budapest Ferenc Liszt, dal nome del grande pianista, direttore d’orchestra, organista e compositore, Franz Liszt …”

Sorrise, mentre lo stesso annuncio veniva ripetuto in francese, tedesco, italiano e naturalmente, ungherese. Fu meraviglioso svegliarsi al suono di tutte quelle lingue.

Sono davvero in Europa, di nuovo, si disse.

Erano ormai le otto del mattino passate, lì a Budapest, sebbene London sapesse che il suo corpo avrebbe continuato a provare a convincerla di essere ancora ore indietro. Ma da viaggiatrice esperta, aveva dei trucchi per diminuire il jet lag del viaggio transatlantico. Da un lato, aveva dormito quanto più possibile nel corso del volo della durata di otto ore mezza. Al momento, si sentiva piuttosto rinvigorita.

Si alzò dal sedile ed aprì la cappelliera, per tirare fuori i suoi bagagli; poi, s’immise nella fila di passeggeri, per scendere dall’aereo. Si sentiva euforica persino per lo schiacciamento dei corpi, mentre proseguiva verso il controllo immigrazione e presentava il form che aveva compilato durante il volo.

“Buona permanenza a Budapest” il sorridente ufficiale addetto all’immigrazione le disse con un accento inglese.

London fece appello al suo coraggio per provare una parola in ungherese.

“Köszönöm” rispose, sorridendogli a sua volta.

Il cenno divertito dell’uomo le suggeriva che poteva non avere pronunciato perfettamente la parola “grazie”, ma che apprezzava lo sforzo.

Poi, si recò a ritirare i bagagli, che arrivarono rapidamente sul nastro trasportatore. Visto che non aveva nulla da dichiarare, non fu necessario fermarsi alla dogana. Un facchino le sistemò i bagagli su un carrello, e lei lo seguì fino al terminal principale.

La vista dell’ampia e moderna “Sky Court” le strappò un’esclamazione di sorpresa: si estendeva tutta intorno a lei, con un soffitto altissimo e una galleria sopraelevata, stracolma di negozietti che vendevano riviste e souvenir.

London si sentì improvvisamente più libera di quanto lo fosse stata da lungo tempo. Si divertì particolarmente a osservare la massa di persone che si riversava in ogni direzione; notò che alcune parlavano lingue delle quali non riuscì a cogliere una sola parola. Era caotico, certamente, ma si trattava del tipo di caos che le si addiceva, certo non di quello che c’era a casa della sorella.

Seguì il facchino all’esterno, dove fermò rapidamente un taxi e caricò le valigie nel portabagagli.

Il tassista la portò nel cuore della parte della città nota come Pest, dove luccicanti edifici in vetro cedevano gradualmente il posto ad altri più vecchi in mattoni, e la città rivelava sempre di più il suo carattere antico.

Infine, London sussultò di meraviglia, mentre la piccola auto gialla svoltava in Soroksári Road. Una melodia familiare riecheggiava nella sua mente: “Sul Bel Danubio Blu.”

Il magnifico fiume era appena apparso davanti a loro, e la scena mozzafiato dimostrava che il famoso valzer aveva il titolo appropriato. Il Danubio era una seducente sfumatura di blu, baciato dalla luce del mattino, e fiancheggiato su ciascun lato da una delle più belle città al mondo.

Budapest si estendeva intorno a lei come una sorta di sogno per metà dimenticato. I grandi monumenti di questa antica città risplendevano nei suoi bellissimi ricordi di ampi edifici in mattoni, cupole e torri, parchi, negozi e artisti di strada.

London sorrise rammentando ciò che Ian le aveva detto prima della partenza.

“L’Ungheria mi sembra un posto molto deprimente.”

Si chiese come diamine si fosse fatto tale idea. Non c’era nulla di deprimente in quella splendida città.

Abbassò il finestrino del taxi e respirò l’aria fresca e pulita. Prometteva di essere una giornata fresca e piacevole, e Budapest risplendeva tutta intorno a lei, davvero all’altezza del suo soprannome, la “Perla del Danubio.”

Stava percorrendo il lungofiume, intenta ad osservare, fuori dal finestrino del taxi, lo splendido Danubio con i suoi bei ponti. Ogni sorta di barca era ormeggiata lungo la riva: si passava da yacht privati a lunghi battelli da tour fluviali, alcuni dei quali potevano ospitare quasi duecento persone. Lungo il fiume, si affacciava l’altra parte della città, nota come Buda, collinare e boscosa, con vecchi edifici dai tetti rossi.

Questo sembrava un buon momento per esercitarsi un po’ con il suo piccolo vocabolario di ungherese.

“Non vengo a Budapest da un po’ di tempo” disse all’autista in ungherese.

“A quando risale la sua ultima visita?” l’autista chiese, sembrando apprezzare che una straniera si stesse prendendo la briga di comunicare con lui nella sua lingua.

“È difficile da dire” London rispose, come se gli anni dietro di sé sembrassero guardarla a bocca spalancata. “Non dal secolo scorso, direi.”

L’autista fece una risatina.

“Questo restringe il campo a circa cento anni” rispose.

Anche London sorrise.

“Beh, allora, immagino che sia stato durante gli anni ’90” concluse.

“Non è tanto tempo fa come sembra. E Budapest non cambia molto, almeno non nel cuore.”

L’autista indicò un grande edificio moderno vicino alla sponda del fiume. Aveva enormi finestre, e sulla parte anteriore c’erano colonne dritte e semplici e forme angolari sul tetto.

“Non può aver visto questo edificio prima” le disse. “È il Müpa Budapest, un centro culturale che ha aperto nel 2005.”

Mentre passavano davanti al Müpa, l’uomo indicò un altro grande edificio, dalla forma particolarmente eccentrica e con un’entrata tondeggiante. “E quello è l’Hungarian National Theatre. Ha aperto nel 2002. Ha un aspetto strano, vero? Almeno, molte persone che vivono qui lo pensano.”

Le date fecero sentire London leggermente nauseata.

È passato davvero così tanto tempo dall’ultima volta che sono stata qui? pensò.

Si sentì improvvisamente più vecchia di quanto in genere pensasse di essere. Ma, almeno, era ancora in grado di porre delle domande in ungherese, e, ancora meglio, riusciva a capire la maggioranza delle risposte.

E vide che la maggior parte della città non era affatto cambiata. Per lo più, era ancora troppo tradizionale e monumentale per cedere al tempo. Dall’altra parte del fiume, vide la Cittadella, un’enorme fortezza di pietra che era stata costruita sulla cima di quella collina nel diciannovesimo secolo. Più distante, lungo la riva opposta, c’era il Castello di Buda, a più di due chilometri di distanza, un edificio mozzafiato con una magnifica cupola che sorgeva al centro. Sembrava persino più grande, mentre proseguivano lungo la sponda.

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