“Marie, va tutto bene? Se hai bisogno…”
“Ah, vai in bagno e basta!”
La porta del bagno si chiuse silenziosamente pochi secondi dopo: era davvero andato in bagno e basta. Marie si lasciò scappare una singola lacrima che subito asciugò.
Prima che avesse il tempo di riflettere sul suo bizzarro comportamento, il telefono di Chris vibrò di nuovo. Non esitò a prenderlo. Sullo schermo vide l'inizio del messaggio. Non proveniva da nessuno dei contatti salvati, ma il prefisso era quello locale. Questo fu ciò che Marie riuscì a leggere: Non starò sveglia tutta la notte, ma lascerò la porta aperta se tu…
Era tutto ciò che l'anteprima sullo schermo bloccato le consentiva di vedere. Ed era sufficiente. Il dolore immediatamente la travolse.
Incapace di resistere, Marie sbloccò il cellulare di Chris. Lo aveva visto digitare la password diverse volte e non ebbe problemi a ricordarsela. Andò direttamente al messaggio e vide che era solo l'ultimo di un lungo scambio. I messaggi erano brevi, ma raccontavano una storia ben dettagliata e molto esplicita.
Li stava ancora scorrendo quando Chris tornò al tavolo. Vide ciò che stava facendo Marie, e rimase in piedi anziché tornare a sedersi. Marie alzò lo sguardo verso di lui e dovette ricorrere a tutta la propria forza di volontà per non piangere.
Invece di scoppiare in lacrime, lanciò il telefono verso di lui facendolo atterrare rumorosamente sul suo lato del tavolo.
“Cos'è questa roba?” sbottò Marie.
“Perché stai leggendo i miei messaggi?”
“Perché una donna con un prefisso di qui dovrebbe lasciare la porta aperta per te stasera?” controbatté lei. “E, oltretutto, non solo stasera, ma per diverse volte nelle ultime settimane.”
Sapeva di essere stato smascherato. Glielo si poteva leggere in faccia, nel modo in cui i suoi occhi sembravano scandagliare l'appartamento alla ricerca di una via d'uscita.
“Marie… è solo… non è niente di serio.”
“Oh, a me sembra qualcosa di molto serio. Forse emotivamente no, ma fisicamente decisamente sì. Di chi si tratta?”
“Una tipa della compagnia di giochi che abbiamo rilevato il mese scorso.”
“E avevi intenzione di dirmelo, prima o poi, o me lo avresti tenuto nascosto?”
Chris portò il suo piatto al lavandino, poi la squadrò. Prese una postura rigida e un tono autoritario.
“Non vedo questo gran problema.”
“Cosa? Mi prendi in giro?”
“Marie… i tempi cambiano. Abbiamo quasi quarant'anni. Le relazioni al giorno d'oggi sono diverse, sai? Non vedo il problema. Che male c'è ad avere due ragazze?”
“Questa è la cosa più stupida che abbia sentito oggi. E, credimi, ne sento di cose stupide al lavoro.”
“Ma lei…”
“Vai via, Chris.”
“Marie, ascoltami.”
“Oh, l'ho fatto. E ho sentito abbastanza. Ora vattene!”
Avrebbe voluto dire un milione di cose, ma le lasciò tutte da parte. Chris aveva già raggiunto la porta prima che Marie potesse anche solo pensare di dire qualcosa su quanto stava accadendo. Sembrava proprio che lui volesse andare via.
Fu in gran silenzio che chiuse la porta, ma per Marie fu come se l'avesse sbattuta.
Rimase per un momento a fissare la porta, combattendo contro le lacrime, domandandosi se quella pessima giornata potesse addirittura peggiorare.
Non appena elaborò quel pensiero, squillò il telefono.
Era un numero sconosciuto, e il prefisso non era nemmeno quello locale. Rispose, aspettandosi che avessero semplicemente sbagliato.
“Pronto?”
“Buonasera. Parlo con Marie Fortune?” Era una voce maschile, austera, dal tono ufficiale.
“Sono io.”
“Signorina Fortune, sono il vicesceriffo Miles della polizia della contea di Winscott.” Il suo tono era secco ma anche un po' esitante. Era strano, perché le sembrava di riconoscere che tipo di chiamata fosse, ma non aveva familiari in quella zona.
A meno che…
Il cuore le si fermò un istante, in attesa della conferma.
“Mi spiace comunicarle che sua zia June è venuta a mancare.”
CAPITOLO TRE
Marie avrebbe voluto prendersi a schiaffi. Meno di trenta secondi prima, aveva osato chiedersi se la sua giornata potesse peggiorare in qualche modo. Ed ecco la risposta. Aprì la bocca, ma non uscì nessuna parola.
“Signorina Fortune, è ancora lì?”
“Ehm…”
Fu tutto ciò che riuscì ad articolare, la mente invasa dai ricordi della sua prozia June.
Zia June era stata una donna molto eccentrica. Era stata lei a pronunciare la prima battuta sconcia che Marie avesse mai sentito, ed era stato sempre da zia June che aveva bevuto alcol per la prima volta (un sorso di whiskey). Era sempre stata innamorata della casa di sua zia. Anzi, era stata proprio quella casa a instillare nella mente di Marie il sogno di aprire, un giorno, un bed-and-breakfast.
June aveva novant'anni, ma non rimaneva mai a lungo nello stesso posto. Aveva vissuto sulla costa del Maine nell'ultima trentina d'anni ma viaggiava spesso in Florida, a Porto Rico e, chissà mai perché, anche in Wyoming. Era sempre stata una dei parenti preferiti di Marie ed erano state parecchio vicine negli anni della scuola media. E quando sua madre era uscita di scena che Marie era ancora adolescente, la prozia June ne aveva fatto in qualche modo le veci, per un po'.
Ciononostante, Marie non la vedeva da quasi due anni, quando June era stata per l'ultima volta di passaggio a Providence. All'improvviso questi due anni le sembrarono un periodo davvero lungo. Ma, stranamente, i giorni e le settimane che aveva passato da bambina a casa di June le sembravano invece incredibilmente vicini, quasi li potesse toccare. Le passavano davanti come un bizzarro caleidoscopio: la quantità folle di libri, l'enorme salotto, le candele, l'odore del lucido per legno e dell'oceano, la sabbia che le scottava le dita. Poteva facilmente richiamare alla memoria i castelli di sabbia che costruiva sulla spiaggia dietro la casa, cercando di imitare le guglie e le colonne della villa alle sue spalle. E poteva ancora facilmente rivivere l'attesa di percorrere quel tortuoso viale che portava alla casa, che la faceva letteralmente sobbalzare dal sedile per l'eccitazione.
Mentre se ne stava lì immobile con il telefono in mano, all'improvviso le sembrò di sentire l'odore del tè oolong e degli scones bruciacchiati che June preparava ogni volta che lei andava a visitare quella vecchia casa sulla costa del Maine, subito dopo Ogunquit.
I ricordi si interruppero quando si rese conto che, di tutti i familiari, la polizia aveva chiamato proprio lei. Non aveva senso.
“Signorina Fortune? Tutto bene?”
La voce del vicesceriffo la ricondusse alla realtà, strappandola al vago reame dei ricordi. “Ci sono. Sto solo… elaborando.”
“Posso immaginare.”
“Com'è successo?” chiese Marie, combattendo le lacrime per la seconda volta quella sera.
“Crediamo che si sia spenta in pace nel sonno. Un pisolino pomeridiano, forse. La sua vicina ci ha chiamati e ci ha detto che June non rispondeva al telefono da due giorni e che non aveva risposto nemmeno alla porta quando lei è andata a bussare. L'abbiamo trovata adagiata sulla sua sedia.”
“Chi altri avete chiamato?”
“A parte la vicina di casa, lei è l'unica.”
“E gli altri familiari? Voglio dire… siamo state vicine, ma non di recente.”
Nel momento stesso in cui menzionò altri potenziali membri della famiglia, però, capì perfettamente. Per come era messa la sua famiglia, aveva senso che fosse lei l'unica a essere stata contattata.
“C'erano il suo numero di telefono e l'indirizzo e-mail sul frigorifero,” spiegò il vicesceriffo Miles. “La vicina ci ha detto che le parlava sempre molto bene di lei. E dal momento che non abbiamo ritrovato né una rubrica, né un telefono, né nulla che contenesse altri contatti, lei è l'unica persona che potevamo chiamare.”
“Già, immagino che non avesse una rubrica,” commentò Marie. “Né un cellulare.”
Il pensiero di zia June che provava a usare un iPhone le fece affiorare alle labbra un tremolante sorriso. June aveva coniato tanti motti, e uno di questi era: “Quando l’angelo Lucifero è stato cacciato dal paradiso, è caduto nella tecnologia.”
“Beh, la vicina ci ha detto di non essere a conoscenza di altri familiari,” continuò Miles. “Le viene in mente qualcuno che potrebbe occuparsi delle disposizioni? Sembrerebbe che la povera donna fosse tutta sola.”
“Lo era. Ma preferiva così. Era una bisbetica fatta e finita.”
“E non c’è nessuno che le venga in mente a cui dovremmo comunicare la notizia?”
Tristemente, no, non c'era. A dire la verità, Marie sembrava essersi completamente paralizzata in un ricordo molto preciso della sua prozia, che le era tornato in mente. Marie si ricordava un giorno d'estate perfetto. Era seduta nella veranda sul retro e guardava le bianche creste delle onde. June era venuta da lei e le aveva detto che sua madre avrebbe potuto non tornare mai più, che era scomparsa e che nessuno sapeva dove fosse.
In un primo momento, Marie aveva pensato che si trattasse di uno dei soliti scherzi di June, come quella volta che l'aveva convinta che il grosso scoiattolo con cui aveva giocato una volta in giardino fosse in realtà un gatto mutante. Aveva insistito con così tanta determinazione e sicurezza che Marie aveva finito davvero per credere, durante tutta l'estate, che quello stupido scoiattolo fosse un gatto.
Ma quella volta l'espressione tetra sul volto di June nel riportare la notizia alla nipotina quattordicenne era stata molto diversa. Dalla linea sottile delle sue labbra, Marie aveva capito che la zia stava dicendo la verità.
La polizia non era mai riuscita nemmeno a ritrovare l'auto di sua madre. Nessun indizio.
“Mi spiace… Signorina Fortune?”
“Mi scusi. L'ho fatto di nuovo, vero?”
“Sì. Va bene così.”
Marie spazzò via il ricordo della scomparsa di sua madre. Stavolta non era di sua madre che si trattava. Aveva sprecato già abbastanza la sua vita a rimuginarci sopra. Questa volta si trattava di zia June, che era stata trovata morta nella sua casa da sogno.
“Mi occuperò io di tutto ciò che è necessario per il funerale,” assicurò Marie. “Un momento… verrà sepolta, vero?”
“Non lo sappiamo ancora. Dobbiamo trovare il suo testamento prima di occuparci di questo genere di cose. Per caso lei sa qualcosa delle sue ultime volontà?”
“Non vorrei mai dover tirare a indovinare. Zia June era… beh, era una persona insolita. A un certo punto diceva di voler donare il suo corpo alla scienza, per servire da modello ai truccatori delle pompe funebri. Un'altra volta voleva che mettessimo le sue ceneri in un fuoco d'artificio e che lo lanciassimo nel mare. Un'altra volta ancora parlava di farsi trasformare in compost per fertilizzare non so quante piante di lillà chissà dove in Virginia.”
Il vicesceriffo Miles ridacchiò. “Doveva essere proprio un bel tipo.”
“Lo era eccome.”
“Allora annoto che posso contattarla in caso di necessità. Lei sta bene, signorina Fortune?”
“Mi riprenderò,” lo rassicurò Marie, e terminarono la telefonata.
Ma, in realtà, non era sicura di quanto fosse vero. Le venne un groppo in gola e sentì le lacrime colmarle gli occhi.
Si sforzò di non esplodere in quel pianto disperato che stava per dirompere. Pensò alla vecchia casa di June, a come i bambini, a quei tempi, dicessero che fosse infestata. Pensò a quel giorno in cui aveva parlato a June di questa diceria, e si erano messe a canticchiare la sigla di Scooby Doo. Quel motivetto le rimase in testa e le provocò brevi scoppi di risa che arginarono le lacrime.
Andò in camera e si gettò sul letto, sopraffatta da tutti gli eventi di quella giornata. Niente più lavoro. Niente più Chris. E adesso niente più zia June.
C'era un solo pensiero che scongiurava il rischio che quella nottata diventasse un vero e proprio festival del pianto: pensare alla villa di zia June e a quel bellissimo litorale. Stava per tornarci, per motivi molto tristi, certo…
Ma stava per tornarci.
CAPITOLO QUATTRO
Sulla strada per Port Bliss, a venticinque chilometri dalla cittadina, Marie vide l'oceano. Le apparve la prima volta superando un incrocio, quando intravide alla sua destra, in lontananza, uno scintillio blu e bianco.
Dopo che lo ebbe visto, l'oceano le servì da bussola. Sapeva dove andare e cosa attendersi. Condusse la sua vecchia ma affidabile Saab più vicino a Port Bliss, avvicinandosi lentamente alla costa. E quando l'autostrada iniziò a costeggiare l'acqua, separata solo da brevi tratti di boscaglia, casette e lingue dorate di sabbia, le affiorò alle labbra un indelebile sorriso.
Cominciò a vedere, sparsi per il paesaggio, piccoli segni che le ricordavano dov'era diretta. Le banchine per la pesca, i cartelli stradali che segnalavano le attrazioni balneari, le barche trainate a rimorchio da modesti pick-up.
Quando le sue ruote toccarono il primo dei due grandi ponti che attraversavano i bacini idrici e le distese di acquitrini, fu difficile non soccombere alla nostalgia. Il suo passato tornava in forze, come se qualcuno stesse sfogliando, proprio davanti a lei, le pagine di un libro molto familiare.
Poteva già vedere con gli occhi della mente la grande vecchia villa di June, con le sue guglie e le sue grandi finestre. Rivide il mare, che le sembrava così vasto e tremendamente profondo quando era bambina.
Poteva raffigurarsi così bene quella casa perché era stata, dopo tutto, l'ispirazione del suo sogno ad occhi aperti di aprire un bed-and-breakfast.
Erano due anni che non vedeva June ma, cavoli, le sarebbe proprio mancata.
Eppure, era onestamente un po' seccata dal fatto che l'immagine della vecchia villa prevalesse, nella sua memoria, persino sul ricordo di June. Sì, c'erano gli scones e il tè oolong, e le battute e gli incessanti scherzi che potevano continuare per settimane, ma era stata la casa il cuore di tutto. Marie rimaneva per ore nella biblioteca del salotto della zia mentre June e sua madre chiacchieravano bevendo un bicchiere di vino o di brandy. Poi si metteva a correre nei corridoi e sgattaiolava in terrazza.
Ridacchiò nuovamente, meravigliandosi di come la mente potesse reagire in modo strano alla morte di una persona cara.
Per lo meno il funerale si tiene a Port Bliss, pensò. Conoscendo June, avrà sicuramente avuto in mente un mucchio di ambientazioni bislacche per quest'evento.
Ovviamente, il pensiero del funerale era triste. Specialmente il funerale di zia June. Quella vecchia pellaccia aveva vissuto come se fosse immortale. Oltre a scherzare su razzi da lanciare e sul fare da modella per i truccatori delle pompe funebri, June aveva anche accennato a farsi ibernare criogenicamente. Parlava sempre di come Walt Disney e qualche giocatore di baseball fossero ibernati da qualche parte.
Man mano che si avvicinava a Port Bliss, Marie si rese conto che quella che sentiva non era nostalgia, o almeno, non esattamente. Non sapeva se esistesse una parola precisa per descrivere quella sensazione di tornare a casa in un posto che però non è mai stato esattamente casa tua. Eppure, era proprio quello che stava provando. Si immaginò che esistesse una parola giapponese per dirlo, perché i giapponesi hanno una parola per qualsiasi cosa.
Mentre i ricordi di zia June continuavano ad attraversarle la mente, un'altra cosa le accadde. Pensò che in qualche modo il tempismo dell'evento avesse un che di cosmico: forse zia June, ovunque si trovasse in quel momento, se la stava ridendo, sapendo che la sua morte aveva attutito il duro colpo del collasso di una relazione. June sarebbe stata proprio capace di fare una cosa del genere. Anzi, non faceva fatica a immaginare che la zia potesse mettersi a infestare l'appartamento di Chris per ripicca. Quel pensiero la fece sorridere.