John sorrise come se avesse ricevuto un complimento.
“E la signora Jayne?” insistette Adele. “È al corrente di questa storia?”
Foucault abbassò la testa. “È stata lei a suggerirlo. È impegnata con altro e ha voluto che fossi io a comunicarti i dettagli. Ad ogni modo, non ne ho molti. Dettagli, intendo. I fondi sono già stati versati per il viaggio. Abbiamo già organizzato un appuntamento. Volate stanotte.”
“E la ragazza,” disse Adele. “Ha detto che è viva.”
Parte della frustrazione e dell’arroganza scomparvero dall’espressione di Foucault, sostituite da autentica e tacita tristezza. Adele non era abituata a questo lato del direttore, ma restò in attesa, guardandolo.
“La povera malcapitata è stata trovata in mezzo alla statale, mezza nuda, i piedi sanguinanti. Era ricoperta di graffi e tagli, che i dottori hanno immaginato si sia procurata correndo in quello stato in mezzo alla foresta ghiacciata. Le temperature erano davvero basse e i suoi polmoni ne hanno pagato le conseguenze.”
“È priva di conoscenza?” chiese John. “Ipotermia?”
Adele si voltò a guardare il suo collega, stupita. Ma la sorpresa fu ancora maggiore quando il direttore Foucault rispose. “Sì. L’autista cha l’ha trovata pensava di fare del bene, ma il suo camion era troppo caldo per lei. Il freddo, combinato con il rapido riscaldamento, ha creato i suoi danni. Ora si trova in ospedale, priva di conoscenza, attaccata all’ossigeno. Sperano di recuperarla, ma la situazione non è delle migliori.”
“È stata trovata mezza nuda e ricoperta di piccoli tagli, il che significa che si trovava nella foresta e che scappava da qualcosa. Da che cosa?” chiese Adele.
Il direttore Foucault scosse la testa e picchiettò con un dito sulla foto che mostrava la ragazza americana sorridente. “Tutto quello che abbiamo è la storia che ci ha raccontato il camionista. Dice che continuava a parlare di un lui. Una qualche persona, un qualche uomo, che la stava inseguendo. Qualcuno le aveva messo addosso la paura di Dio Onnipotente stesso.”
“Non sapevo che lei fosse un uomo religioso,” disse John, inarcando un sopracciglio.
Adele sussultò dinnanzi a quel commento poco delicato.
Foucault, che aveva più esperienza di Adele nel gestire John, lo ignorò del tutto. “Continuava a dire che ce n’erano degli altri,” continuò il direttore. “Questa è la parte che ci preoccupa. Ed è uno dei motivi per cui è stato richiesto l’intervento dell’Interpol.” I suoi occhi si spostarono su Adele. “Continuava a dire che li avrebbe uccisi tutti. Questo almeno in base a ciò che ci ha detto il camionista.”
Per un breve momento, Adele ricordò il taccuino di suo padre. Scritte, appunti, registrazioni di seconda mano di ciò che sua madre aveva detto. E ora, di nuovo, il camionista che faceva da portavoce per il fatto che una ragazza priva di conoscenza non poteva raccontare la cosa in prima persona. La voce di una vittima. I suoi indizi si sarebbero rivelati inutili come erano stati fino a questo punto quelli di suo padre?
“Altri. Quanti altri?” chiese John.
Foucault scrollò le spalle. “Non lo sapeva. Non l’ha detto. Speriamo che lei si svegli e possiate chiederglielo direttamente. Ma per ora non farei affidamento su una sua possibile ripresa.” La sua voce si fece nuovamente cupa. “È messa male.”
Adele si spostò, passando dall’altro lato di John e guardando fuori dalla finestra verso le strade sottostanti. Molti edifici erano ancora punteggiati di luci accese, dato che Parigi non era il genere di città in cui si andava a letto presto.
“La ragazza: cosa sappiamo di lei?”
“Amanda Johnson,” disse Foucault. “Ventuno anni. Una studentessa universitaria americana che era andata a passare le vacanze estive in Germania con alcuni amici. Si è divisa dal gruppo dopo un mese di viaggio per proseguire da sola. È scomparsa. È sparita dal radar e nessuno l’ha più vista.”
Adele sentì un lento brivido risalirle la schiena. “Amanda,” disse sottovoce. “È qui dall’estate? da mesi?”
“Cinque mesi,” disse il direttore Foucault. “Era scomparsa da cinque mesi.”
John restituì la foto a Foucault. “Cosa ci ha fatto con loro? Con lei? Per cinque mesi? Segni di aggressione sessuale?”
Il direttore sembrava ancora preoccupato, ma a questa domanda la sua espressione si alleggerì, anche se solo di poco. “Non evidenti. Non sembrano esserci segni di alcun genere.”
Ora Adele stava scuotendo la testa. “Nessuna aggressione sessuale? Ma lei non è riuscita a dire nient’altro? È sparita mesi fa, e a quanto pare ne sono scomparsi anche degli altri? Amici? Quelli che viaggiavano con lei?”
Foucault scosse la testa. “No. Gli amici sono stati tutti rintracciati. Ma la Foresta Nera in Germania, le senti anche tu le storie,” disse scrollando le spalle.
“Quali storie?” chiese John.
Questa volta fu Adele a rispondere. “Sparizioni. Alcuni parlano di rapimenti, altri di incidenti. Qualsiasi sia il caso, ci sono un sacco di denunce di persone scomparse in quella zona. Ho seguito un caso lì in passato: alla fine l’abbiamo trovato morto. Comunque, le varie voci e storie ti restano addosso.”
Foucault fece schioccare la lingua. “Almeno è quello che dice la gente del posto. Non lo so. È tutto quello che sappiamo. John, sono serio: comportati bene. Non posso coprirti un’altra volta.”
John alzò le mani in segno di resa. “La sento forte e chiaro.”
Adele tentò di non sospirare troppo forte. L’ultima volta che erano stati in Germania insieme, John aveva lanciato l’attrezzatura di una troupe televisiva in un burrone. Gli era quasi costato il suo lavoro. Dopo una serie di revisioni dei fatti, era stato reinserito la scorsa settimana, ma stava camminando sul filo del rasoio. Un altro incidente si sarebbe potuto rivelare fatale per la sua carriera, se non addirittura per la sua libertà.
“Partiamo stanotte?” chiese Adele.
“Subito,” disse Foucault. “I biglietti sono prenotati. Gli autisti vi stanno aspettando. Buona fortuna a tutti e due. Questa è proprio brutta.” Si interruppe e il suo contegno si incupì. “Me lo sento. C’è qualcosa che non va in questa faccenda.”
“C’è qualcosa che non va in tutti i casi che ci capitano,” disse John.
Il direttore annuì e agitò una mano, sospirando. “Forse. Buona fortuna.” E con queste parole, li invitò ad andare verso la porta.
***
Un altro aereo, un altro viaggio. Adele aveva preso un libriccino dalla libreria dell’aeroporto per il volo, ma ora si trovava a ignorarlo e l’aveva infilato nella tasca elastica sullo schienale del sedile davanti a sé.
John, accanto a lei, stava russando. Era abilissimo ad addormentarsi ovunque andassero. Si voltò a guardarlo, percorrendo con lo sguardo il suo petto muscoloso e passando poi al finestrino, scrutando infine il buio della notte. Spostarsi, spostarsi. Da un posto all’altro. Il cielo in sé non cambiava mai molto. Le nuvole sopra alla Francia erano le stesse che c’erano sopra alla Germania.
Anche gli assassini erano gli stessi.
Francesi o tedeschi: la devastazione che causavano era identica.
Adele incrociò le braccia, ma rimase voltata verso John, fissando la notte al di là del suo petto, sistemata per le poche ore di volo che la separavano dalla Germania.
CAPITOLO CINQUE
Adele si svegliò sentendo bussare delicatamente alla porta della sua stanza di motel. Sbuffò, stiracchiandosi e sentendo la scomodità della notte che le aveva rattrappito il corpo. La comodità del piccolo motel dove erano stati scaricati, vicino all’aeroporto di Zurigo, era perfettamente rispecchiata dai rumori che vi si sentivano. Tutta la notte era stata scossa dal rombo dei motori degli aerei in partenza e in arrivo. E se non erano quelli, ci pensava il termosifone rotto, che sputava nella stanza un flusso d’aria appena tiepido e che aveva fatto rumore per tutta la notte. Adele dava sempre importanza alle sue ore di sonno, ma era anche una che si vantava spesso di svegliarsi prima che la sveglia suonasse.
Con frustrazione, si rese conto di non aver sentito il timer del telefono.
Un altro delicato colpo alla porta. “Arrivo,” disse.
Le ci volle un po’, ma si vestì velocemente, si lavò i denti sul lavandino e prese il resto delle sue cose, infilandole rapidamente nella valigia che si era portata dietro. Spinse il bagaglio sotto al letto e poi uscì dalla porta.
Sorrise quando riconobbe la persona che la aspettava sui gradini del motel.
“Agente Marshall,” disse Adele salutando la donna con un cenno della testa. “Sono contenta di rivederti.”
La giovane agente del BKA – che doveva avere poco più di vent’anni – rispose a sua volta con un cenno del capo. Era piuttosto carina e aveva addosso un’energia che a volte faceva sentire vecchia Adele. Beatrice Marshall tendeva a fare le cose secondo le regole, ma aveva dato prova più di una volta di essere un’agente affidabile. Aveva rinunciato al suo solito modo di fare per coprire Adele al resort sciistico, e aveva addirittura scansato una o due regole a suo vantaggio. Adele era felice che la loro accompagnatrice fosse un volto familiare.
Guardò oltre la Marshall e i suoi occhi si posarono su John, che stava appoggiato al palo arrugginito e scheggiato che faceva da supporto alla balaustra del motel.
“Ti sei svegliato presto,” gli disse accigliandosi.
John le fece l’occhiolino. “Dormivi come una bambina. Russi, sai.”
Adele lo fulminò con lo sguardo. “Non è vero.”
John le rispose con un sorriso. Adele guardò l’agente Marshall esitante, alla ricerca di una conferma al commento di John. La giovane agente però non disse nulla.
“Siete pronti?” chiese loro alla fine. “Vi devo accompagnare alla centrale della Foresta Nera. Il camionista che ha trovato la vittima ci aspetta lì.”
“Pronti a tutto,” disse John.
Adele lo guardò socchiudendo gli occhi. “Non ti ho mai visto tanto mattiniero,” gli disse.
John spostò lo sguardo sull’agente Marshall e ammiccò con le sopracciglia da dietro di lei, in modo che solo Adele lo potesse vedere. “A volte il mattiniero ha solo bisogno del giusto incentivo,” le disse. “E poi questo posto,” disse indicando vagamente il motel, “non è così imprevisto. Sono venuto preparato con due cuscini in più. Il direttore Foucault è famoso per andare a ficcare gli agenti nelle peggio fogne, dopo che lo hanno fatto arrabbiare.”
“Ah sì?” chiese Adele lanciandogli un’occhiataccia. “Avresti potuto dirmelo.”
“Mi è sfuggito di mente.”
Adele sospirò alzando lo sguardo al cielo. “Tu butti una cinepresa dalla montagna, e io finisco a dormire in una scatola di molle. Ti pare giusto?”
John allungò una mano e le diede una carezza sulla guancia. “Ammiro il tuo modo di soffrire in silenzio. Comunque, che ne dici se lasciamo che questa bella e giovane agente ci porti a parlare con il camionista?”
Tese un braccio, che l’agente Marshall accettò con una sommessa risata. Con lei che lo teneva sottobraccio, scesero le scale di metallo dal secondo piano del motel, accompagnati dal rombo del motore di un aereo sopra alle loro teste.
“Bella e giovane agente un cazzo,” mormorò Adele sottovoce. Controllò la fondina, si sistemò la cintura e poi, mogia e ancora con il corpo dolorante dopo la notte appena passata, li seguì verso l’auto che li stava aspettando.
***
La stazione di polizia della Foresta Nera era più piccola di quanto Adele ricordasse dall’ultima volta che ci era stata. C’erano solo un paio di agenti nell’atrio d’ingresso, e un sergente di segreteria doveva essere chiamato ogni volta dal retro quando c’era da occuparsi di nuovi arrivi.
L’agente Marshall, Adele e John aspettarono con pazienza di essere accompagnati sul retro dell’edificio.
Il camionista li aspettava in una delle sale per gli interrogatori. L’uomo indossava una camicia in velluto a coste e aveva dei baffi grigi perfettamente tagliati che si abbinavano con la barba brizzolata che gli copriva il mento.
Quando Adele lo vide, decise che aveva degli occhi gentili. Erano contornati da leggere rughe d’espressione, e anche se teneva le mani strette e intrecciate, non se le stava torturando nervosamente.
Quando lei e John presero posto di fronte a lui su delle sedie di metallo con la seduta imbottita, pensò che quest’uomo doveva essere un tipo tutto d’un pezzo per essersi fermato ad aiutare qualcuno in mezzo alla statale nel cuore della notte.
“Lei è Herman Carmichael?” chiese con voce gentile.
L’autista annuì, la guardò negli occhi e poi spostò lo sguardo su John.
L’agente Marshall rimase in piedi, permettendo che fossero i due agenti più esperti a condurre l’interrogatorio.
“Posso portarle qualcosa da bere? Da mangiare?” chiese Adele.
“Danke. Un caffè sarebbe perfetto,” disse l’uomo.
John inarcò un sopracciglio guardando Adele. In francese lei tradusse: “Potresti andargli a prendere un caffè?”
John tirò su col naso. “Merde. Perché io?”
“Perché tanto non puoi capire una parola di quello che dice. Cerca di essere utile.”
John brontolò tra sé e sé e poi si alzò dal tavolo, uscendo dalla sala degli interrogatori a grandi passi.
Adele riportò la propria attenzione sul signor Carmichael. “È stato lei a trovare la ragazza?”
L’uomo si passò stancamente una mano sul volto, che si era intanto rabbuiato. “Sì. Purtroppo era presa davvero male. Mi hanno detto che avendola fatta scaldare troppo velocemente, potrei averle causato dei danni. Le ho fatto del male?”
Adele scosse la testa. “Da quello che mi hanno raccontato, era messa male già prima che lei la trovasse. Lasciarla lì a se stessa sarebbe stata una condanna a morte. Aspettare un’ambulanza avrebbe portato alla stessa conclusione. Lei ha fatto quello che poteva, non si preoccupi.”
Il signor Carmichael fece un altro respiro, questa volta un po’ più rilassato. Parte della stanchezza che gli segnava il viso sotto forma di rughe accanto agli occhi e sulla fronte parve dissiparsi un poco dopo le parole di Adele.
Adele si schiarì la gola. “C’è nient’altro che può dirmi? Qualsiasi cosa che le sia venuta in mente da quel momento?”
L’uomo si accarezzò la barba con la mano e scosse la testa. “Mi spiace,” disse. “Ho già detto…”
Prima che potesse finire, due persone entrarono nella stanza.
Adele tenne a bada l’irritazione e si guardò alle spalle. John era tornato. Accanto a lui era entrata anche una donna in tailleur, con una tazza di caffè macchiato all’interno di un bicchierino termico che sosteneva con la mano sinistra. Non indossava la solita camicetta da agente di polizia, ma dal portamento era evidente che lo era. Una detective, ipotizzò Adele. Molto probabilmente della squadra omicidi.
“Salve,” disse la donna in tedesco. Porse la tazza all’uomo e, prima che John potesse farlo, si sedette sulla sedia accanto ad Adele. “Sono la detective Klopp,” disse. “Addetta alle normative del distretto di polizia, ma mi hanno chiesto di essere presente per questo colloquio.”
L’agente Marshall restava in silenzio in fondo alla stanza, il suo bloc notes aperto, gli occhi che si spostavano veloci tra i presenti. Adele si mosse un poco sulla sua sedia, le mani premute contro la superficie fredda del tavolo di metallo. Aspettò che il signor Carmichael bevesse un sorso del suo caffè fumante. L’uomo schioccò le labbra e sussultò un poco per la temperatura bollente della bevanda.
“L’ha già interrogato?” chiese Adele rivolgendosi alla detective Klopp.
“Ja. Sono qui solo per verificare ed eventualmente aiutare in ogni modo possibile.”
Adele si ricompose e indicò il camionista. “Bene, gli stavo giusto chiedendo se gli veniva in mente qualsiasi altro particolare riguardo a ieri notte.”
“E come stavo dicendo,” rispose il signor Carmichael sommessamente, “non mi viene in mente nulla. Niente macchine, nessun altro. Solo la ragazza, con le sue impronte insanguinate.”