“È sposata? Ha figli?”
“Non penso,” disse Jessie.
“Bene. Già è orribile vivere un’esperienza del genere. Ma è terribile anche per il resto della famiglia. Mia figlia viene nella nostra camera in lacrime quasi ogni notte. Mio figlio ha iniziato a bagnare il letto. Ty si sta occupando di tutto, e sento che sta per crollare.”
“Va tutto bene, tesoro,” disse Ty stringendole la mano. “Sto bene. E i bambini supereranno anche questa. Concentrati su di te. Penso che possa essere di aiuto. Se la signorina Hunt potrà trovare un nuovo modo per acciuffare questo tizio, questo aiuterà tutti a dormire di notte.”
“Pensa di poterlo fare, signorina Hunt?”
“Vi prego di chiamarmi Jessie. E la risposta che spero è sì, con il vostro aiuto.”
Brenda la osservò con i suoi occhi stanchi e annuì.
“Vieni con me, Jessie,” le disse la donna. “Voglio mostrarti una cosa.”
Detto questo si alzò e uscì dalla stanza senza aggiungere una parola di più. Jessie la seguì, voltandosi a guardare Ty, che scrollò le spalle e si alzò a sua volta. Brenda fece strada lungo il corridoio e si fermò accanto a uno scaffale a metà del corridoio.
Allungò la mano e tirò fuori un libro dalla copertina rossa che si trovava all’estremità della mensola. Il libro venne indietro con facilità e poi tornò al suo posto. Jessie udì un sommesso click. Improvvisamente la libreria ruotò indietro come una porta.
Una luce fosforescente si illuminò in alto, mostrando una stanza della grandezza di un piccolo studio. Appoggiata a una parete si trovava una piccola poltrona. Accanto ad essa c’erano due sedie di legno. Al centro si trovava un piccolo tavolino, e nell’angolo stava un minuscolo frigorifero.
A parte qualche rivista e un po’ di libri da colorare e dei pastelli, la stanza era spoglia di ogni divertimento. Alla parete era appeso un vecchio telefono. Su un altro muro era attaccato un grosso poster con la cover dell’album Nevermind dei Nirvana, in cui un bimbo è sott’acqua con le manine allungate verso una banconota da un dollaro.
“Che forza,” disse Jessie, indicando il poster, insicura di cos’altro dire a commento.
“Sì, direi di sì,” disse Brenda. “Lo abbiamo usato perché è abbastanza grande da coprire l’accesso al tunnel che abbiamo scavato sotto la casa fino al cortile davanti.”
“Ok,” rispose Jessie, sorpresa dal tono blando con cui Brenda le descriveva una situazione così poco convenzionale.
“Ti sto mostrando questo perché volevo darti un’idea di come sia la nostra vita adesso. Ho chiesto a Ty di far costruire questa stanza di sicurezza dopo che sono tornata a casa. Non so se sarà realmente utile in caso di emergenza. Ma fino a che non è stata pronta, non sono riuscita a dormire più di due ore alla volta.”
“Capisco,” disse Jessie sottovoce.
“Davvero?” chiese Brenda con tono di sfida.
“Sul serio,” le confermò lei. “Non vi annoierò con i dettagli, ma ho avuto diversi stalker. Ho fatto rifare il mio appartamento per includere diverse misure di sicurezza, usate generalmente nelle banche o nelle strutture del governo. E anche dopo che le minacce imminenti alla mia sicurezza sono state eliminate, mantengo il livello di sicurezza. Quindi capisco cosa vi ha mosso a fare questo.”
Jessie notò che per la prima volta Brenda la guardava come se avesse trovato in lei un’alleata.
“Mi spiace che ti sia successo questo,” le disse. “E puoi chiamarmi Brenda.”
Jessie sorrise.
“Grazie, Brenda. Ti spiace se ci sediamo?” le chiese, indicando la poltroncina.
“Qua dentro?”
“Tanto vale abituarcisi, no?” le disse Jessie.
Brenda guardò suo marito che non aveva detto una parola in tutto il tempo. Lui scrollò di nuovo le spalle.
“Vi aspetto in cucina, così voi due potete avere un po’ di privacy.”
Dopo che se ne fu andato, Brenda premette un pulsante sul muro e la porta si chiuse. Indicò un piccolo interruttore che sembrava essere più o meno nello stesso punto in cui si trovava il libro rosso dall’altra parte. Era contrassegnato dalle parole ‘aperto’ e ‘chiuso’.
“Così nessuno può entrare nella stanza fino a che ci siamo dentro noi, anche se sanno del libro,” disse Brenda.
“Ottima scelta,” disse Jessie. “Altrimenti non sarebbe tanto una stanza di sicurezza, direi.”
Prese l’iniziativa, andò a sedersi sulla poltroncina. Brenda si unì a lei, ma si sedette su una delle sedie vicine.
“Allora,” iniziò Jessie, “so che hai parlato tante volte con la polizia. Ho letto la cartella. Quindi tenterò di non ripetere troppo le loro domande. Io in effetti sono interessata a cose diverse.”
“Tipo cosa?” chiese Brenda incrociando le gambe prima in un senso e poi nell’altro, nervosa.
“Dalla descrizione che avete fornito tu, la seconda e la terza vittima, so che il tuo rapitore indossava degli elaborati travestimenti, incluse parrucche, barbe ed elementi facciali finti. So anche che tutte voi siete state bendate dopo il rapimento. Quindi adesso vorrei concentrarmi di più sulla sua voce. Te la ricordi?”
“Non riesco a levarmela dalla testa,” disse Brenda, “anche se non è che parlasse tanto.”
“Saresti in grado di descriverne il timbro?” chiese Jessie. “Era profonda o alta? O una via di mezzo?”
“Una via di mezzo. Era una voce normale, di tono medio.”
“Ok,” disse Jessie. “E che mi dici dell’accento? Hai notato niente tra le righe? Magari una vibrazione nasale? O un tono più piatto, tipo centro-occidentale? Magari qualcosa che ti ricordava New York o la New England? Usava parole strane che di solito non si sentono in giro?”
“Non ho notato niente di insolito,” disse Brenda, aggrottando la fronte, concentrata. “Io sono di Los Angeles e lui mi è sembrato normale, quindi magari anche lui è di qui?”
“È possibile,” disse Jessie. “E la scelta delle parole? Usava molto slang o aveva un linguaggio più curato? Ti sembrava una persona che avesse studiato molto?”
Brenda si prese un momento per scandagliare la propria memoria.
“Non me lo ricordo parlare in nessun modo elegante. Ma non ricordo neanche che usasse un sacco di slang. Era per lo più un linguaggio piano e standard.”
“Parlava insolitamente lento o veloce?”
Gli occhi di Brenda si illuminarono davanti a quella domanda.
“Magari un po’ più lentamente del solito,” rispose. “Era come se volesse essere sicuro di dire le cose giuste quando parlava. Era molto misurato. È di aiuto?”
“Forse,” disse Jessie. “Esploriamo altre aree. Hai notato un odore particolare?”
Brenda fece silenzio e arrossì.
“Cosa c’è che non va?” chiese Jessie con gentilezza.
Pensava che la donna non avesse intenzione di rispondere, ma dopo qualche secondo alla fine prese la parola.
“A essere onesta,” disse quasi in un sussurro, “non ricordo un odore provenire da lui. Qualsiasi cosa abbia usato per farmi perdere i sensi aveva un odore fortissimo. E poi non ho potuto sentire niente se non la mia stessa puzza, prima per il sudore e gli odori del corpo, e poi per… i miei stessi escrementi.”
Abbassò gli occhi e non aggiunse altro.
“Ok, allora andiamo oltre,” disse Jessie rapidamente. “Perché non parliamo di come si comportava più in generale durante la tua prigionia?”
Nel corso della mezz’ora successiva, Jessie venne a sapere che l’uomo non si arrabbiava mai, ma si irritava se Brenda parlava di suo marito o dei bambini. La donna aveva imparato presto che non era il caso di parlarne. Non rideva mai, ma sembrava più felice del solito quando le portava da mangiare nel ricovero in giardino, o quando la lavava con il tubo dell’acqua.
“Sembrava essere esaltato dai momenti in cui io venivo più umiliata,” le disse Brenda. “Diceva che facevano parte del processo di ‘purificazione’.”
Dopo queste ultime parole scoppiò a piangere e non fu più particolarmente utile. Jessie mise fine all’interrogatorio prima che le cose precipitassero del tutto. Quando ebbero finito, entrambi i Ferguson accompagnarono Jessie alla porta. Brenda sembrava stare un po’ meglio di quando l’aveva incontrata all’inizio. Mentre usciva, rivolse a Jessie una domanda.
“Pensi che potremmo avere il nome di quelli che hanno installato i sistemi di sicurezza a casa tua?”
“Certo,” disse Jessie, travolta dal senso di compassione. “Ti mando un messaggio con le informazioni.”
Mentre tornava all’auto, i suoi pensieri divagavano tra diverse varianti di come poteva essere questo rapitore. Solo quando fu arrivata accanto al veicolo si rese conto che tutti e quattro i copertoni erano stati tagliati.
CAPITOLO SETTE
Jessie ignorò l’improvvisa fitta di tensione allo stomaco e si guardò attorno, alla ricerca di qualsiasi elemento sospetto.
Era stato un atto sorprendentemente sfrontato: in pieno giorno, nella tranquilla via di un quartiere bene. Chiunque avesse agito, chiaramente non aveva poi tanta paura di essere beccato.
Non le balzò all’occhio niente di strano. Circa mezzo isolato più in là lungo la strada, c’era un piccolo furgone bianco rivolto verso di lei. Ma un secondo dopo, due uomini emersero da dietro il veicolo, occupati a trasportare un grosso divano verso una delle case vicine.
Qualche momento dopo Jessie vide un poliziotto in motocicletta sbucare da una strada laterale e dirigersi dalla parte opposta rispetto a lei. Sembrava stesse facendo un normalissimo giro di controllo. Era stata solo una sfortuna che non fosse passato quando le avevano tagliato i copertoni? O c’era dell’altro?
Odiava dover trarre la seconda conclusione, ma non poté fare a meno di considerarla. Era passato solo un mese da quando si era trovata personalmente coinvolta in un caso che aveva svelato un enorme scandalo legato alla corruzione nel mondo della polizia. Il suo contributo aveva portato all’arresto di più di una dozzina di agenti, incluso il capo del Gruppo Investigativo del Dipartimento di Polizia di Los Angeles e del sergente Hank Costabile della centrale di Van Nuys dell’ufficio della Valley.
Durante le indagini, Costabile aveva minacciato – prima sottilmente e poi apertamente – sia lei che sua sorella Hannah. Era forse l’atto di uno dei suoi scagnozzi che cercava vendetta per il suo amico ora incarcerato? Se così fosse, perché aspettare un mese e fare una cosa così casuale e sciocca?
O era forse possibile che il fatto fosse in qualche modo collegato ai rapimenti? Il rapitore stava forse in agguato fuori dalla casa dei Ferguson? Questo era un suo modo di mettere Jessie in guardia? Le sembrava improbabile, dato che dubitava che l’uomo bazzicasse nei paraggi. Anche se fosse stato il caso, non aveva modo di sapere che Jessie, vestita com’era con abiti civili, stava indagando sul caso.
Chiunque fosse stato e qualsiasi fosse il motivo del gesto, non cambiava il fatto che ora Jessie aveva bisogno di un carro attrezzi. Mentre aspettava, chiamò Ryan per aggiornarlo sia sull’interrogatorio che sull’incidente ai copertoni. Gli fornì tutti i dettagli, sperando che gli venisse in mente qualcosa che a lei stava sfuggendo.
“Potrebbero essere stati semplicemente degli odiosi ragazzini,” le propose lui, riguardo ai copertoni tagliati.
“Forse,” gli concesse Jessie. “Ma siamo nel mezzo di una giornata di scuola. Anche se alcuni ragazzi avessero marinato, pensi che se ne andrebbero in giro per il quartiere a tagliare tutti e quattro i copertoni di una singola auto? A me sembra una cosa più mirata.”
“Probabilmente hai ragione,” ammise Ryan. “Hai avuto più fortuna con la vittima del rapimento?”
“Un po’,” gli rispose. “Purtroppo quello che mi ha raccontato ci sarà più utile quando avremo per mano un sospettato. Fino ad allora, non è molto. Tu hai sentito niente?”
“A essere onesto, sono stato concentrato sulla testimonianza di oggi pomeriggio. Se non fosse per quello, verrei a prenderti.”
“Molto dolce da parte tua, ma non è necessario. Ti ci vorrebbe un’ora per arrivare qui, e non ho fretta. Appena mi cambiano i copertoni e torno alla centrale, devo solo rivedere le cartelle del caso Olin.”
Ci fu silenzio dall’altra parte della linea. Jessie si chiese cosa avesse potuto dire di sbagliato.
“Cosa c’è?” gli chiese ansiosa.
“Niente,” disse Ryan. “Stavo solo pensando che per quando riavrai indietro la tua macchina, non ha tanto senso che tu venga qui. Decker è andato al quartier generale per aggiornare i pezzi grossi sul raid della squadra del buon costume. Gli ci vorranno ore prima che torni. E tu hai per le mani una rara giornata tranquilla. Magari dovresti prenderti il pomeriggio libero e stare un po’ con Hannah senza me come terzo incomodo.”
“Non sei un terzo incomodo,” protestò Jessie.
“Sai quello che intendo. Sono sempre stato nei paraggi ultimamente. Questo potrebbe darvi la possibilità di passare un po’ di tempo tra donne. E se Hannah decide di usarlo per condividere qualcosa di personale, non sarebbe poi una brutta cosa.”
Jessie fu sorpresa del suo suggerimento.
“Ti è sembrata incline a fare una cosa del genere?” gli chiese, domandandosi se le fosse sfuggito qualcosa.
“Le ragazze di diciassette anni non hanno sempre qualcosa di personale che vogliono tenere per sé, anche se non hanno passato quello che è capitato a lei?”
“Sì,” disse Jessie. “Mi sto solo assicurando che tu non stia cripticamente alludendo a qualcosa di specifico.”
“No. So solo che Hannah sta andando dalla terapeuta, la dottoressa Banana.”
“Dottoressa Lemmon,” lo corresse Jessie, tentando di non ridere.
“Giusto, giusto. Sapevo che era della cerchia della frutta. E hai anche incaricato Garland Moses di analizzarle il cervello.”
“Sai che mi chiamava per quello ieri sera?”
“Sono un bravo detective. E poi gli hai assegnato una suoneria specifica e hai detto ‘Ciao Garland’ quando hai risposto. C’è da considerare anche questo.”
“Quindi non serviva che tu fossi un veggente, insomma,” lo canzonò.
“Comunque,” proseguì Ryan, senza lasciarsi distrarre. “Ho pensato che magari ad Hannah farebbe bene una chiacchierata con qualcuno che non le parlasse sempre in qualità di professionista di qualcosa. Sai, come una sorella maggiore per esempio.”
Jessie si rese conto che aveva ragione. Lei e Hannah stavano andando sorprendentemente d’accordo ultimamente. Ma per la maggior parte del tempo che passavano insieme, c’era sempre Ryan con loro. Era un’ottima compagnia, ma poteva anche darsi che stesse inavvertitamente trattenendo Hannah dall’addentrarsi in discorsi più pesanti. Magari un po’ di tempo insieme da sorelle l’avrebbe indotta ad aprirsi di più, sempre ammesso che ne sentisse il bisogno.
“Ryan Hernandez,” disse Jessie, sentendosi improvvisamente e inaspettatamente allegra, considerate le condizioni della sua auto, “non sei né la più stupida né la meno sensibile persona che abbia mai incontrato.”
“Grazie?”
“Hai anche un culo adorabile.”
Lo sentì tossire per qualcosa che gli era andato di traverso. Soddisfatta del proprio lavoro, Jessie riagganciò.
*
Hannah fu chiaramente piacevolmente sorpresa quando Jessie si presentò a prenderla direttamente a scuola. Poi divenne estremamente entusiasta quando seppe che si sarebbero fermate a prendere un gelato prima di andare a casa.
“Perché non lavori?” le chiese alla fine, con riluttanza, quando ebbero ordinato i loro coni nella gelateria dietro l’angolo, vicino al loro appartamento.
“Non sono particolarmente occupata adesso,” disse Jessie. “E volevo passare del tempo con te. Sai, senza quello sdolcinato ragazzo attorno.”
“Sdolcinato non è la prima parola che mi viene in mente quando penso al tuo ragazzo,” disse Hannah.
“Attenta,” disse Jessie in tono di finto rimprovero. “Non dobbiamo condividere ogni sensazione nel momento in cui la proviamo.”