Adele sollevò un’altra cartella, la lasciò cadere davanti a sé e iniziò a sfogliare tra le pagine. Le si appannarono gli occhi, la mano che teneva la penna divenne floscia, posata sulla scrivania. Solo altri cinquanta documenti da compilare.
Le gioie di lavorare come corrispondente tra diverse agenzie erano difficili da enfatizzare.
Finalmente trovò la porzione di documento che le interessava e si mise a compilarlo.
Un’altra vibrazione.
“Dannazione!” gridò Adele, lanciando la penna contro la pila di carte che ora coprivano il suo cellulare.
Afferrò il telefono, lo sollevò e lesse ‘4 Nuovi Messaggi’. Tutti da Angus. Il bell’informatico dai capelli ricci l’aveva mollata pochi mesi prima. E al tempo lei aveva addirittura pensato che fossero prossimi al fidanzamento ufficiale.
Adele adocchiò la pila di cartelle, poi il telefono. Poi, mormorando sommessamente tra sé e sé, sbloccò lo schermo e diede una scorsa ai messaggi di Angus.
Ehi, Adele, hai un sec?
Un sec? Caratteristico. Grazioso. Dritto al dunque.
Non so se hai ricevuto il mio ultimo messaggio. Possiamo parlare?
Diede un’occhiata a quando i messaggi erano stati inviati. A sole due ore di distanza l’uno dall’altro. Era solo la sua immaginazione, o Angus era sul disperato? E poi cosa poteva volere da lei?
Adele, senti… Mi spiace di come sono finite le cose. Ci sto pensando un sacco. Credi che potremmo chiarire le cose questa settimana?
Adele inarcò le sopracciglia mentre faceva ritmicamente picchiettare la penna contro i denti. Interessante. Era… era possibile che Angus volesse rimettersi con lei?
Lesse l’ultimo messaggio che diceva semplicemente:
Per favore.
Adele sospirò e infilò di nuovo il telefono sotto alla pila di carte nel portadocumenti di metallo. Non aveva senso starci a pensare adesso. Era sommersa dal lavoro. Ferire un poco i sentimenti di Angus non era niente confronto a quello che l’agente Grant avrebbe potuto fare a lei se avesse posticipato di un’altra giornata la compilazione di quei moduli. E poi Angus aveva fatto la sua parte, in quanto a ferirla, l’ultima volta che avevano interagito.
Adele allargò le spalle e cercò di riportare l’attenzione sulle carte.
Niente da fare.
Si appoggiò allo schienale ed emise un sommesso sbuffo, soffiando verso il soffitto, come se il suo fiato potesse incapsulare la lampadina gialla e fondersi con la luce che emanava. Anche se lui le aveva fatto del male, a lei non interessava rendergli il favore. Era stato un bravo compagno, un compagno solido. Prevedibile? Forse un po’. Affidabile? Di sicuro. Anche onesto, seppure a volte troppo carino, troppo esitante.
Sicuro. Ecco forse la parola più corretta per descriverlo. Adesso anche ricco, se quello che aveva sentito della sua ultima società informatica era vero.
La sua mano sinistra avanzò ancora lentamente verso il telefono, ma Adele esitò, lasciandola sospesa a sfiorare con le dita la superfice liscia della carta. Tutte quelle carte avrebbero potuto essere in qualche modo evitabili – in buona parte – se il suo lavoro non le imponesse costantemente di passare così tanto tempo tra un aereo e l’altro per spostarsi tra le varie agenzie. Quando aveva accettato di lavorare con l’Interpol come corrispondente tra BKA, DGSI ed FBI, aveva pensato di sapere a cosa andava incontro. Ma adesso…
Arricciò di nuovo il naso guardando la pila di cartelle che aveva davanti.
Forse era ora di mettere radici. In movimento, in costante movimento… non era la strada giusta per arrivare a una vita felice, no? Adele aveva recentemente letto un articolo su Psychology Meritus, una rivista di cui l’Unità comportamentale dell’FBI si fidava ciecamente, che diceva che la gente in costante spostamento in età giovane e che poi continuava a muoversi anche in età adulta, spesso aveva difficoltà nel connettersi con gli altri. La minaccia portata da sradicamento e partenze poteva talvolta avere degli effetti traumatici su un bambino.
Adele aggrottò la fronte a quel pensiero. Poteva essere vero? Non era che lei avesse molti amici.
Pensò a Robert e un piccolo sorriso le incurvò le labbra. Anche l’agente Grant, sebbene fosse la sua capa, era una persona su cui poteva fare affidamento.
Il suo sorriso si smorzò un poco quando pensò a John Renee. Tiratore scelto, insuperabile e spiritoso stronzo. Tutt’altro che sicurezza in John. L’anti-Angus, in molti modi.
Ora pensierosa, allungò la mano a prendere il telefono, intenzionata a chiamare Angus. Una chiamata non poteva nuocere, no? Soprattutto se lui voleva tornare con lei. Cosa gli avrebbe detto? Lo avrebbe capito sentendo la sua voce?
Mentre raccoglieva il telefono e ne sentiva il peso leggero, quello iniziò a suonare. Nessuna vibrazione questa volta, ma un trillo acuto. L’unico numero che era impostato per produrre un suono nel suo telefono veniva dal piano di sopra.
Il suo cipiglio si fece più accentuato, tanto che Adele poteva sentire i solchi che le segnavano la fronte mentre si portava il telefono all’orecchio. “Agente Grant, sto lavorando ai moduli. Non ho ancora finito, ma dovrei…”
“Adele, lascia perdere i moduli,” disse la voce dall’altra parte. “Abbiamo bisogno di te di sopra.”
“Sei sicura? Se mi dai ancora qualche ora, sono sicura di poter…”
“Lascia perdere i moduli, Adele,” disse la voce dell’agente Grant. Sembrava forzata, riluttante, ma certa. “Sbrigati. Abbiamo qualcosa per le mani.”
“Arrivo subito.”
Adele aspettò il silenzio dall’altro capo del telefono prima di abbassare il cellulare e fissare per un momento la sua scrivania. Abbiamo qualcosa per le mani. Il modo in cui la Grant l’aveva detto le fece scorrere un formicolio lungo le braccia.
Va bene, le radici – almeno per ora – potevano aspettare.
Adele si alzò dalla sedia, si infilò il telefono in tasca e – tentando di non sorridere troppo – prese distanza dalla pila di carte, uscendo dalla porta e dirigendosi al piano di sopra, verso l’ufficio dell’agente Grant.
CAPITOLO TRE
Mentre entrava nell’ufficio dell’agente Grant, Adele fu sorpresa di vedere la signora Jayne seduta davanti alla scrivania, le mani intrecciate sopra a un ginocchio in misurata e paziente posa d’attesa. Adele esitò e cercò di non aggrottare la fronte per la confusione. Si guardò attorno nella stanza, aspettandosi quasi di vedere apparire anche il direttore Foucault. Ma questa volta non c’era segno del capo francese del DGSI.
La signora Jayne invece lavorava per l’Interpol. Era una donna di una certa età, con occhi luminosi e intelligenti dietro a un paio d’occhiali con la montatura in osso. Aveva i capelli argentati e una corporatura un po’ più pesante della media tra gli agenti sul campo. Adele sapeva per esperienza che la signora Jayne parlava con un accento che lasciava intendere la sua impeccabile padronanza della lingua inglese, che però non sembrava essere la sua lingua madre.
Adele si chiuse la porta alle spalle e si addentrò nell’ufficio dell’agente Grant. Se la signora Jayne aveva ritenuto opportuno venire lì di persona, avevano effettivamente qualcosa per le mani.
L’agente Grant si schiarì la gola dietro alla sua scrivania. La sovrintendente di Adele si passò una mano tra i capelli di media lunghezza e premette le labbra tra loro assumendo un’espressione severa. Aveva solo qualche anno più di Adele, ma c’erano delle rughe premature attorno alla bocca e agli angoli degli occhi. Lee Grant aveva preso il suo nome dai due generali della Guerra Civile ed era ben conosciuta nell’ufficio operativo di San Francisco per le sue incursioni fuori dall’edificio per recarsi di persona sulle scene del crimine ogni qualvolta le capitava l’opportunità o la scusa per sgranchirsi le gambe. Adele sospettava che in segreto l’agente Grant sentisse la mancanza del lavoro sul campo. E anche se non l’avrebbe mai detto, era certa che le abilità della Grant fossero sprecate dietro a una scrivania.
“Sharp,” disse la donna, facendole un cenno di saluto da dietro la scrivania.
“Agente Sharp,” disse la signora Jayne annuendo e facendo così oscillare il suo caschetto di capelli tagliati in modo impeccabile.
“Signora Jayne,” disse Adele con tono esitante. Non aveva mai saputo il nome proprio della donna. Fece poi un cenno di saluto anche alla Grant. “Come posso esservi di aiuto?”
Aspettò, permettendo al silenzio di prendere spazio tra loro mentre le due donne di grado superiore si scambiavano un’occhiata. Poi l’agente Grant spezzò il silenzio. “Abbiamo una situazione… complessa e delicata.”
Gli occhi della signora Jayne si stinsero quasi impercettibilmente dietro ai suoi occhiali. Una breve incrinatura del suo aspetto perfetto e compunto, ma Adele la colse prima che la donna riassumesse la consueta espressione placida, animata dai suoi occhi vivaci.
“Delicata?” chiese Adele. “”Beh, qualsiasi cosa mi abbia tirata via dal mio lavoro cartaceo…” Ridacchiò debolmente, ma vedendo che la battuta non veniva accolta, fece nuovamente silenzio.
“La gente del luogo,” iniziò la signora Jayne con il suo normale tono preciso e netto, “pensa che si tratti dell’attacco di un orso bruno.”
Adele tentò un altro sorriso, ma abbandonò ancora una volta il fiacco tentativo di alleggerire l’atmosfera. “Non sapevo che ci fossero orsi bruni a San Francisco,” disse.
L’agente Grant scosse la testa. “Nelle Alpi.”
“Nelle… nelle Alpi?”
“Una grande catena montuosa che si allunga toccando otto Paesi europei,” spiegò l’agente Grant.
“Oh, ehm, sì, no… cioè sì. So cosa sono. Quindi c’è un caso nelle Alpi?”
Adele pensò ai messaggi di Angus. Pensò al proprio desiderio di mettere radici. Ma allo stesso tempo un leggero brivido di eccitazione le percorse la spina dorsale. Questa volta fece fatica a trattenere il sorriso che minacciava di incurvarle le labbra.
“Sì,” disse l’agente Grant. “Come ho detto, la gente del posto pensa che si tratti dell’attacco di un orso. Una ricca coppia italiana in vacanza in una località sciistica. Entrambi esperti provetti nello sci alpinismo. Entrambi trovati morti, dilaniati.”
Adele annuì. “Ma non un orso?”
La Grant si voltò a guardare l’altra donna nella stanza. La signora Jayne teneva le mani intrecciate sopra al ginocchio e scrutò Adele da dietro i suoi occhiali. “Quelli della squadra di ricerca e soccorso locale hanno accennato ai media la possibilità di un orso bruno. Per ora restano su quella pista.”
Adele annuì. L’inglese della signora Jayne – come sempre – era perfetto, anche se netto e sterile. La corrispondente dell’Interpol continuò. “Al momento stiamo consentendo a questa storia di tenere testa. Per ora.”
“Ma sapete che non si tratta di un orso?” Adele esitò. “Perché la copertura?”
“Nessuna copertura,” disse la signora Jayne. I suoi occhi si socchiusero ancora una volta, appena un secondo, dietro ai suoi occhiali, ma di nuovo il gesto era sparito prima che una qualsiasi persona media potesse notarlo. Adele però passava molto del suo tempo a stare attenta ai dettagli. L’irritazione della signora Jayne non passò inosservata per lei. Ma rimase in silenzio, permettendo alla donna di continuare. “Una situazione delicata,” disse l’inviata dell’Interpol, ripetendo le parole usate dalla Grant. “Una benestante coppia italiana muore in Germania. E dati i collegamenti politici della coppia in Italia, beh… può capire perché l’Interpol voglia gestire la cosa con attenzione, per la soddisfazione di tutte le parti coinvolte.”
“Sono… sono confusa,” disse Adele, percorrendo lentamente con le dita il bordo della scrivania della Grant. Tenne gli occhi bassi, ascoltando ma senza più guardare, seguendo la leggera striscia di polvere rimossa dal lato del tavolo. “Avete detto che questa cosa ha a che vedere con le Alpi. Non un solo resort, non una sola montagna. Ma la catena montuosa… Giusto?”
La signora Jayne annuì. “Sì. Buon intuito. Gli italiani non sono stati l’unico fatto. È sparita un’altra coppia. Svizzeri. A circa trecento chilometri da lì. Una settimana fa: non li abbiamo ancora trovati.”
“E mi faccia indovinare: anche loro nelle Alpi?”
“Esatto. Le Alpi francesi, per l’esattezza.”
Adele resistette all’urgenza di sospirare e fece del proprio meglio per mantenere la propria espressione e respirare in maniera neutra. “Capisco… e lei è venuta qui di persona perché…?”
La signora Jayne stese le gambe, prima accavallate, e posò entrambi i piedi delicatamente sul pavimento. Poi si chinò in avanti e fissò Adele negli occhi. “Non si vedono collegamenti tra la coppia di italiani e quella di svizzeri, a parte il luogo dove sono scomparsi, e pure in quel caso c’erano un bel po’ di chilometri tra loro. Eppure…”
“Mi lasci indovinare: anche la famiglia svizzera di cui stiamo parlando era ricca e importante?” chiese Adele.
La signora Jayne annuì con decisione. “È importante che la cosa venga gestita con discrezione. Ci sono già troppi galli a cantare. Non vorremmo rischiare che non venisse mai giorno.”
“Immagino che lei non sia venuta qui a parlare di galline, comunque.”
L’agente Grant sbuffò leggermente e Adele alzò gli occhi, incrociando lo sguardo della sua sovrintendente. “Stanno cercando un altro gallo,” disse la Grant con un cenno del capo in direzione della signora Jayne.
Questa volta Adele si lasciò andare a un sospiro, anche se cercò di mascherarlo con uno sbadiglio, che subito però considerò essere ancora meno appropriato. Si affrettò quindi a chiedere: “Allora volete che vada sulle Alpi a indagare su un caso di persone scomparse, non collegate tra loro, dove il colpevole potrebbe essere a sua volta congelato, o in alternativa un grizzly famelico?”
La signora Jayne si alzò lentamente in piedi, sistemandosi l’abito fatto su misura. “Orso bruno. E abbiamo forti motivi per credere che le uccisioni non abbiano niente a che vedere con gli animali selvatici. Non sarei venuta qui se non fosse stato così importante. Bene, signorina Sharp, possiamo contare sul suo aiuto?”
Adele inarcò un sopracciglio voltandosi a guardare l’agente Grant che sbuffò e annuì. “Non ho voce in capitolo. I piani alti hanno già confermato. Decisione tua, Adele.”
C’era qualcosa di significativo nell’occhiata che la Grant le lanciò mentre aspettava. Adele la fissò, ma poi distolse lo sguardo. Un altro caso. Altro viaggio. Avrebbe avuto tutto il diritto di rifiutare…
E poi?
Tornare alle scartoffie? Ad Angus? Alla sicurezza.
Era davvero così male?
“Per favore,” disse la signora Jayne. E per la prima volta, Adele scorse una nota di disagio nella voce della donna. Si trattava di un caso personale per la corrispondente dell’Interpol? Perché quell’emozione?
Adele esitò, ma poi guardò l’agente Grant dritta negli occhi. “Se trovi qualcun altro per completare i moduli a cui stavo lavorando, ci sto.”
Gli occhi della Grant si socchiusero, e diversamente dalla signora Jayne, la donna non fece nessuno sforzo per mascherare la sua irritazione. Ma alla fine fu il suo turno di sospirare. Poi agitò una mano in aria, indicando la porta. “Ogni tuo desiderio è un ordine. E poi, il tuo volo è già prenotato.”
CAPITOLO QUATTRO
Adele si diresse verso il parcheggio del terzo piano con una leggera corsa. Erano passati più di due mesi da quando era stata all’estero l’ultima volta. Il suo passo era sicuro e, nonostante la struttura fosse coperta, le sembrava di avere il vento tra i capelli. Le radici potevano aspettare: ora che le si era presentata l’opportunità, Adele provava un leggero sollievo all’idea di viaggiare. Una distrazione dalle riflessioni sulla sua vita e il luogo dove trascorrerla? Forse, o forse certe persone semplicemente non erano fatte per stare ferme e radicate nello stesso posto troppo a lungo.