Claire scacciò via il pensiero del concepimento. Non poteva pensarci o le sarebbe venuto un attacco di panico. «Non farò sesso con voi.»
Un ringhio simile lasciò la gola di tutti e tre, come se li avesse sfidati e la cosa fosse di loro gradimento.
Bryce rispose, la voce bassa e ruvida e sicura. «Non ti costringeremo, omega. Tuttavia, sono fottutamente certo che sarai tu a pregarci prima che te ne renda conto.»
Claire si prese il labbro inferiore fra i denti, mentre cercava di convincere se stessa che si sbagliava, che poteva farcela, che i tre alfa non sarebbero riusciti a farla vacillare.
Peccato che sapesse già che era una bugia.
L’organizzazione della libreria indicava che Claire vi passava molto tempo. Il modo in cui ogni oggetto era impregnato del suo profumo non faceva che confermare l’ipotesi.
In ogni caso, Joshua rimase seduto al bancone mentre l’omega si muoveva, cercando di occupare il minor spazio possibile.
Il modo in cui era indietreggiata era impresso a fuoco nella sua memoria, le braccia sollevate come a volersi difendere da un attacco che era certa sarebbe arrivato. Li aveva immobilizzati tutti e tre, in una situazione di stallo tra ciò che volevano e quello che lei si aspettava.
Che vita aveva vissuto per essere così spaventata? Chi aveva prosciugato molta della sua fiducia e del suo senso di sicurezza?
Un’omega non avrebbe dovuto temere gli alfa, soprattutto non lui. Si sarebbe dovuta rilassare in sua presenza, avrebbe dovuto sentire di poter abbassare la guardia, di potersi raggomitolare contro di lui e chiudere gli occhi. Invece, solo il sospetto colorava i suoi occhi, li faceva assottigliare mentre lo guardava.
Non gli aveva mai dato la schiena. Persino quando aveva avuto bisogno di qualcosa negli scaffali più in alto, si era contorta per non perderlo di vista.
Nonostante tutto ciò, l’avrebbe presa per sfinimento.
«Mi piacciono le spiagge», disse Joshua, le parole casuali e offerte come se la sua voce da sola potesse costruire un ponte fra di loro. «Bryce è un tipo da montagna e foresta, ma io? Dammi una spiaggia e il mare che si estende davanti a me e sono felice. Le foreste richiedono troppo lavoro, bisogna accendere un fuoco e camminare. No.» Scosse la testa e picchiò le nocche contro il bancone. «Le spiagge sono la soluzione migliore per le vacanze.»
Claire non disse niente, dandogli lo stesso niente che aveva ricevuto per tutto il giorno. Qualche volta le sue guance si erano contratte in un quasi-sorriso che si rifiutava di lasciar comparire, ma Joshua l’aveva presa per una vittoria. Voleva dire che stava assottigliando il ghiaccio, che lo stava intaccando una battuta dopo l’altra.
Era per quello che avevano deciso di lasciare lui per primo a farle da guardia. Era sempre stato il migliore a conquistare le persone e volevano decisamente conquistare Claire. Bryce tendeva a gettare occhiatacce e minacciare e Kaidan, sebbene non spaventasse le donne, si lasciava mettere i piedi in testa da loro.
Joshua era quello con più chance e per una volta, gli importava che funzionasse. Di solito, flirtava con praticamente ogni femmina ci fosse nei paraggi. L’eccitazione lusingava il suo ego e se finiva con loro avvinghiati nel letto? Beh, a lui andava più che bene.
Joshua evitava le omega, non volendo rischiare nulla. Le poche che aveva preso insieme a Bryce e Kaidan erano rare eccezioni, uno scorcio in un futuro che tutti e tre avevano preso in considerazione ma che nessuno voleva, non ancora.
Eppure, questa volta gli importava. Questa volta, se non fosse riuscito a sedurla, gli sarebbe importato. Non era solo un tentativo di portarla a letto. Quello lo aveva già fatto.
Beh, lo avrebbe fatto volentieri di nuovo, e infatti non gli sarebbe dispiaciuto provarci subito. Avrebbe potuto toglierle quei pantaloni, posizionare il suo piede su una mensola per aprila per bene e—
Lo sguardo di Claire si spostò di scatto, atterrando su di lui, il suo volto attraversato dalla paura.
Giusto.
Non spaventarla.
Joshua scrollò le spalle, riluttante a mentire e dirle che non stava odorando esattamente quello che credeva. Ovviamente, la desiderava e il profumo proveniente dalla sua figa lo costrinse a inspirare profondamente e rilasciare il fiato, continuando poi a parlare come se quello scambio silenzioso non fosse successo. «Kaidan preferisce andare in vacanza nel deserto. Continua a blaterare a proposito del cielo, ma non so. Cactus e marrone ovunque e il caldo? Per farla breve? Lascia sempre pianificare a me le vacanze.»
Claire non si voltò, le sue spalle rigide per la tensione. Stava decidendo se le sarebbe saltato addosso? Se l’avrebbe attaccata?
Sembrava che non ci fosse nulla di più pericoloso per lei di un alfa eccitato.
L’omega iniziò a tremare, i piedi piantati per terra, un libro in mano. Sembrava un coniglio che tentava di decidere in che genere di guai si trovasse, troppo impietrito per muoversi, troppo spaventato per restare.
Joshua si appoggiò al bancone, mostrando teatralmente che non sarebbe andato da nessuna parte. «Va tutto bene», promise, la voce bassa, non volendo dar credito a nessuna delle sue paure. «Continua con quello che stavi facendo, tesoro.»
Claire raddrizzò la schiena, una scintilla di forza, prima di girarsi, spingendo il libro al suo posto sullo scaffale come se la sua mano non tremasse ancora.
Joshua sorrise di fronte allo spettacolo, al carattere che possedeva, anche se lei non ne era consapevole. Senza staccarsi dal bancone, l’alfa continuò il suo monologo. «Non hai nemmeno sentito di quella volta in cui Bryce ci ha portati su una zipline. Spoiler? Gli ho vomitato addosso e ora non saremo più costretti a tornarci.»
Erano passate ormai due ore quando Claire si ritrovò costretta a riconoscere la presenza di Joshua. Non che ignorarlo fosse stato facile.
Aveva parlato quasi senza sosta, commentando ogni cosa che vedeva, ogni suo ricordo o qualsiasi cosa gli saltasse alla mente. Le prime volte che aveva parlato, la sua voce l’aveva fatta sobbalzare. Claire non era abituata ad avere degli uomini intorno e certamente non degli alfa. Tuttavia, con il passare del tempo, visto che era rimasto seduto al bancone del suo negozio, aveva iniziato a rilassarsi.
Non l’aveva toccata, non l’aveva afferrata, non si era approfittato di lei.
Si era persino abituata al suo costante blaterare.
L’aveva fatta sorridere, sebbene avesse tentato di combatterlo. Joshua diceva qualcosa di strano, qualcosa di casuale e Claire doveva prepararsi a lottare contro il contrarsi della sua guancia.
Quel momento fra loro, quando il profumo della sua eccitazione aveva riempito lo spazio, l’aveva scossa. Non solo il profumo, però. A quello era abituata, dato che sembrava che una leggera brezza fosse sufficiente a eccitare un alfa. No, era stata la sua reazione. Era il modo in cui il suo odore le aveva fatto riscaldare il corpo, le aveva fatto desiderare di entrare nella sua testa e sapere a che cosa stesse pensando.
A qualche altra donna? A lei? Alla notte in cui aveva scopato fino al mattino? Claire aveva allontanato quelle idee, imbarazzata dalle sue rassicurazioni, vergognosa per il modo in cui l’avevano aiutata.
Joshua non si era dilungato sulla questione, ma era tornato alle sue battute, ai suoi ricordi, alla sua conversazione, come se non fosse mai successo.
Tuttavia, quando l’orologio segnò le otto quella sera, la sua capacità di starsene seduto sembrò svanire. «Okay, ci siamo.»
Claire si raddrizzò di scatto sul pavimento sul quale era seduta per mettere in ordine alfabetico uno scaffale. «Che cosa?»
«Siamo qui dalle dieci di questa mattina e nessuno dei due ha mangiato. È tempo di andare.»
«Non ho fame.»
«Beh, io sì e tu hai comunque bisogno di mangiare.»
Claire indicò il magazzino. «Ho della carne essiccata di là. È tutta tua.»
Joshua emise un ringhio basso e giocoso. «Nessuno può vivere con quella schifezza. No, vieni. Ti porterò a fare una cena come si deve.»
Claire balzò in piedi quando Joshua si alzò, incapace di sopportare l’idea di trovarsi sul pavimento con lui così vicino. Doveva essere nella condizione di poter correre, di fuggire.
La tensione gli contornava gli occhi, ma l’alfa non perse il suo sorriso. «Sarà anche al rovescio, ma dato che abbiamo già fatto sesso, uscire a cena non è prassi?»
«Non uscirò insieme a te.»
Joshua sbuffò. «Sai, la maggior parte delle ragazze sarebbero lusingate all’idea di essere portate a cena da me.»
«Portaci loro, allora.»
Joshua fece un passo verso di lei, avvicinandosi abbastanza perché il suo profumo le raggiungesse le narici. Non il profumo diluito in cui era stata immersa per tutto il giorno, quello che aveva impregnato i muri del suo negozio mentre lo evitava. Un profumo forte, dovuto alla loro vicinanza. No, questo era un profumo forte direttamente dalla fonte e la tentava ad avvicinarsi.
Joshua allungò una mano, spostandole una ciocca di capelli dietro l’orecchio, la mossa tanto affascinante e falsa quanto lo era lui. «Mi piace quando fai la difficile, tesoro. Eppure, riesco a sentire il tuo stomaco. Hai bisogno di mangiare e di dormire e io sarei un pessimo alfa se non mi assicurassi che accada.»
Claire aprì la bocca per dirgli qualcosa di sgarbato. Voleva dirgli che si era arrangiata da sola per molto tempo e non aveva bisogno di un alfa dispotico che si prendesse cura di lei. Voleva dirgli che tutti gli alfa erano pessimi, quindi sarebbe stato in buona compagnia. Maledizione, voleva dirgli un centinaio di altre cose inframmezzate da insulti.
Invece, Joshua si sporse verso di lei e la zittì con un bacio, un bacio così veloce e buono da non darle la possibilità di prendere in considerazione le ragioni per cui non avrebbe dovuto desiderarlo.
Quando si allontanò e Claire rimase senza parole, il sorriso dell’alfa si allargò. «Volevo impedirti di dire qualcosa che avrebbe potuto ferire i miei sentimenti, perché te ne saresti pentita, una volta che avrò iniziato a piacerti. Ora, se riesci a prestare attenzione e la smetti di distrarmi con i baci, stavamo per andare a cena.»
Claire rimase immobile, mentre Joshua le infilava la giacca sulle spalle e camminava fuori dal negozio. Come fa a farmi questo effetto? Se lo stava ancora domandando venti minuti più tardi, seduta di fronte a lui in un ristorante.
«Perché i libri?»
Claire alzò lo sguardo dal piatto di cibo, cercando di ignorare le candele sul tavolo coperto da una tovaglia bianca, cercando di indossare la sua migliore maschera da “questo non è un appuntamento” a beneficio di chiunque li stesse guardando. «Che cosa?»
Joshua puntò la forchetta verso di lei. «Libri. Gestisci una libreria. Perché? Non conosco molte persone che si svegliano un giorno e dicono “cavolo, mi piacerebbe passare tutto il giorno con i libri”.»
Chi l’avrebbe mai detto che un alfa non fosse in grado di comprendere l’attrattiva di un libro? «Non capiresti.»
«No di certo se non me lo spieghi. Dai, provaci. Che tu ci creda o meno, c’è effettivamente un cervello sotto questo aspetto fantastico.»
Claire posò la forchetta, abbassando lo sguardo sul suo piatto per raccogliere i pensieri. «Mi piace la fantasia che vi è dentro. Quando ero una ragazzina, quando sapevo come sarebbe stato il mio futuro, mi piaceva leggere perché mi permetteva di essere chiunque, di fare qualsiasi cosa.» Fece un respiro profondo, mentre le parole sgorgavano da lei nel loro piccolo separé privato. «Quando ero piccola non aumentavo di peso e, mentre mi facevano degli esami, hanno scoperto che sono un’omega. Sono cresciuta sapendo che sarei stata data o venduta a qualcuno, che non avrei avuto alcun futuro tutto mio. Gli altri bambini crescevano pianificando un futuro. Volevano diventare soldati o dottori o insegnanti. Io, invece, non avevo quella scelta. Non avevo nulla da attendere con impazienza.»
«È così terribile essere una compagna?»
«Il fatto che tu me lo chieda mostra che non capisci. Tu puoi fare ciò che vuoi. Puoi decidere del tuo futuro. Io? Ho dovuto cambiare nome e lasciarmi tutto alle spalle per avere un qualche tipo di vita. Voglio dire, sono qui a cenare con te dopo aver detto di no. Chiaramente, quello che voglio non ha importanza.»
Joshua strinse le labbra e una linea comparve fra le sue sopracciglia. Non disse niente all’inizio, si limitò a sollevare il bicchiere e prendere un sorso, per riempire il silenzio. «Immagino di non averci mai pensato in questi termini.»
«Certo che no. Non ne hai mai avuto bisogno, perché avresti dovuto? Non è parte della tua vita.»
«Avrei dovuto lasciarti morire di fame?»
«Non sarei morta. Era solo un giorno.»
«Ma, come io non riesco a capire come ti senti tu, devi renderti conto che tu non capisci come si sente un alfa.»
«Quanto può essere difficile comprendere il vostro bisogno di controllare ogni cosa?»
L’alfa scosse la testa, spingendo il cestino di grissini verso di lei, lo stesso invito silenzioso a mangiare di più che le faceva da tutta la sera. «Tu lo vedi come controllo, ma per un alfa significa prendersi cura. Quando vedo un’omega, qualcosa di prezioso, si accende in me il bisogno di proteggerla. Quando sei in calore, il mio istinto mi dice di soddisfarti. Quando sei affamata, quando il tuo stomaco brontola e ti massaggi le tempie, il mio istinto esige che io ti sfami. Se non lo faccio, se lascio che tu ti senta a disagio o dolorante, sento come un grido nella mia testa. È un dolore fisico, un bisogno costante.»
Era così che si sentivano? Suonava così piacevole, come un mondo perfetto dove omega e alfa erano due facce della stessa medaglia, dove avevano bisogno gli uni degli altri e si fondevano alla perfezione.
Claire scosse la testa. «È una bella idea, ma ci sono moltissimi alfa che non si prendono cura delle omega.» Mentre parlava, fu attraversata dal ricordo di James, dell’alfa che l’aveva rivendicata a diciotto anni.
Claire ebbe un fremito e gli occhi di Joshua si assottigliarono, ma l’alfa fece quella cosa che aveva già fatto diverse volte e piazzò un sorriso piatto sulle proprie labbra, come per mascherare la sua prima reazione. «Vuoi dirmi chi è stato a insegnartelo?»
«È universalmente noto.»
«Uno non sussulta come hai fatto tu per qualcosa di universalmente noto. A uno non compare neanche quello sguardo tormentato negli occhi. No, tesoro, di qualunque cosa si tratti, è dannatamente personale.» Scrollò le spalle, mentre la tensione scivolava via da lui. «Tuttavia, dato che chiaramente non ne vuoi parlare, che ne diresti di cambiare argomento?» Picchiettò le dita sul tavolo e l’azione attirò lo sguardo di Claire su di esse, costringendola a nascondere il rossore, quando ricordò quanto fosse talentuoso con quelle dita.
Come faceva a riportarla indietro al tempo passato insieme con tanta facilità? Dopo anni passati a evitare e a non volere l’attenzione di alcun alfa, il solo picchiettio delle sue dita la stuzzicava e tentava.
«Stai ascoltando?»
Claire alzò lo sguardo di scatto, le guance calde. Non stava ascoltando, ovviamente, totalmente persa nei propri pensieri.
Il suo sorrisetto indicava che ne era consapevole. «Ci sono cose migliori di cui possiamo parlare.»
«Non ricordo di aver mai voluto parlare con te di nulla.»