“Vai”, disse Aaron. “Ci penso io, qui.” Cercò di forzare un sorriso.
Il Dom scrutò i suoi occhi.
“Che ne dici di questo”, propose Farley. “Puoi restare, rallentare la produzione e assicurarti che questo prezioso ragazzo non venga ferito, e io in cambio gli taglierò la paga della metà e per oggi tu non sarai affatto pagato."
“No,” disse Aaron in fretta. Spinse via il Dom. “Vattene. So quello che sto facendo.”
Il Dom si alzò in piedi e fece un passo indietro.
“Vattene”, ripeté Aaron. Nessun contratto. Nessun testimone. Certo che quegli uomini potevano tagliargli lo stipendio come se niente fosse. Non era esattamente un membro del sindacato dei lavoratori del porno amatoriale.
Il Dom strinse la mascella. Si voltò, puntò un dito contro l'uomo appena entrato nella stanza e sussurrò qualcosa.
L'uomo lo ignorò. Il Dom se ne andò, sbattendo la porta dietro di sé.
“Chiudila a chiave”, disse Farley. Poi si rivolse ad Aaron. “Mi dispiace per tutto questo. Non eri quello che mi aspettavo. Normalmente una ripresa di due ore richiede solo due ore.”
Aaron guardò l'orologio sul comodino. “Sono passati solo quarantacinque minuti”, disse.
“E, di quei quarantacinque minuti, ne ho solo tre utilizzabili, e si tratta comunque della tua impacciata presentazione.”
Merda.
“Quindi, quanto manca?” chiese Aaron.
Farley guardò l'orologio. “Due ore. Forse meno. Non preoccuparti. Ralph è molto bravo.”
Lo sconosciuto, presumibilmente Ralph, si avvicinò ad Aaron. “Vuoi che sia veloce o vuoi divertirti?” chiese.
“Quanto veloce è veloce?” rispose Aaron.
“Due ore. Forse meno.” L'uomo fece eco a Farley.
“E se volessi divertirmi?”
“Nessuna garanzia che lo farai.”
Aaron fece un respiro profondo. “Veloce”, rispose.
“Bene. Sono il tuo nuovo Dom. Chiamami Signore. Ti è permesso parlare, ma devi mostrarmi rispetto o sarai punito. Capito?”
“Sì,” rispose Aaron.
Ralph lo afferrò per i capelli, lo fece voltare sullo stomaco e gli sbatté la faccia contro il materasso. Schiaffeggiò il culo di Aaron così forte che era sicuro che avrebbe lasciato un livido.
“Figlio di puttana”, gridò Aaron. “Sì, Signore. Fanculo.”
Ralph lo colpì di nuovo, più forte.
“Dio santo”, disse Aaron. “Cosa diavo…”
Ralph lo colpì di nuovo.
Aaron si morse la lingua. Dopo un momento di silenzio, Ralph tirò fuori la faccia di Aaron dal materasso. “Sai cosa hai fatto di sbagliato?” chiese.
“Sì, Signore”, disse Aaron.
“Sei inutile. Capito?"
“Sì, Signore."
“Sei mio."
“Sì, Signore.”
Capitolo Due
Safe Word
Ralph prese la benda e la legò sopra gli occhi di Aaron.
Era troppo stretta, il suo cazzo era ancora molle e il culo adesso gli faceva male. Si concentrò sulla mazzetta di contanti che lo aspettava in un angolo della stanza. Due ore. Solo altre due ore.
Ralph afferrò i polsi di Aaron. “Corda,” disse. Legò le braccia di Aaron dietro la sua schiena, il che probabilmente era un bene. Aaron non era sicuro di poter resistere all'impulso di colpire quell'uomo in faccia, visto come stava andando la sessione.
Fece rotolare Aaron sulla schiena. “Farley, segnati questa scena da tagliare. Potrebbe urlare. Regina, occupatene tu.”
Qualcuno gli afferrò l'uccello e iniziò a masturbarlo. Arron pensava che fosse Regina ma, sorpresa sorpresa, non ebbe molto più successo nel farglielo drizzare. La sentì spalmare quello che sperava fosse lubrificante sul cazzo.
Ricordati Ashley. Lo faceva sempre anche lei. Era fantastica… e propositiva. Pensa ad Ashley.
Qualcosa gli circondò le palle e la base dell'uccello. Aaron sussultò.
“Abbastanza stretto,” disse Regina. “Lo legherò qui. Sei tu il padrone di tutto il resto. Non verrà fino a quando non lo vorrai.”
“Cosa stai…”
Ralph gli fu addosso prima che potesse finire la frase. Gli tirò forte i capelli e allo stesso tempo gli pizzicò un capezzolo. Lo torse così forte tra le dita che Aaron temette la pelle si sarebbe strappata.
“Basta,” disse Aaron.
Ralph lo torse di nuovo, più forte.
La corda intorno al suo uccello si strinse. Aaron cercò di divincolarsi ma era sdraiato sulle braccia. Diede un calcio al letto nel tentativo di allontanarsi.
Ralph gli lasciò andare il capezzolo e lo spinse sullo stomaco. Aaron sentì un ginocchio premergli in mezzo alle scapole. Aveva il cazzo duro adesso, ma gli faceva anche male.
“Sbarra,” ordinò Ralph.
“Basta,” ansimò Aaron. “Non voglio farlo.”
Non riusciva a capire quante mani lo stessero toccando, ora, ma riuscirono a tenerlo fermo e a divaricargli le gambe.
“Pietà,” gridò Aaron. “Pietà, per favore. Non posso.”
Ralph lo schiaffeggiò di nuovo, il che, a quel punto, era più umiliante che doloroso.
“Dio santo, smettila!”
Ralph lo colpì ancora e ancora. Qualcosa di duro e freddo venne incastrato tra le caviglie di Aaron, che le sentì venire circondate da quelle che sembravano manette. Ralph non aveva smesso di picchiarlo e Aaron sentiva qualcuno ridere.
“Pietà,” gridò ancora Aaron. “Non è questa la safe word?” Sentiva le lacrime agli occhi… per colpa del dolore, della vergogna o di qualcos'altro, non ne era del tutto sicuro.
Ralph smise di colpirlo. “Passami il bavaglio.”
“No!” gemette Aaron.
“Allora stai zitto.”
“Qual è la safe word?” chiese Aaron. “Dico davvero, non credo di poterlo fare. Tenetevi i soldi. Lasciatemi andare.”
Qualcosa di scivoloso gli passò tra le natiche. “Che cazzo era quello?!”
Farley rise. “Per quanto tutto questo sia divertente, quanto tempo ci vorrà prima che io possa registrare qualcosa da usare?”
“Un minuto, promesso,” rispose Ralph.
Quel qualcosa scivolò di nuovo tra le natiche di Aaron, sfiorandogli l'apertura. Un dito. Doveva essere un dito. Aaron cercò di ritrarsi ma la sbarra doveva essere stata agganciata da qualche parte vicino al letto, perché non riuscì a muoversi che di pochi millimetri. Il ginocchio di Ralph era ancora premuto contro la sua schiena.
Aaron stava perdendo la sensibilità nelle braccia. Il suo cuore batteva così velocemente da soffocarlo. E doveva anche ricordarsi come si faceva a respirare.
“Non voglio farlo,” ripeté. “Lasciatemi andare. Tenetevi i soldi ma lasciatemi andare.”
All'improvviso Ralph smise di sfiorarlo e gli infilò un dito dentro. Aaron urlò.
Ralph mosse il dito, affondandolo e ritraendolo in un ritmo persistente.
“Registra,” ordinò. Premette con forza contro lo stretto anello di muscoli e inserì un altro dito. Bruciava.
Aaron era sicuro di stare sanguinando. Si schiacciò contro il letto e sussultò quando l'uccello premette contro il materasso. Aaron sentiva le dita di Ralph muoversi dentro e fuori. Le sentiva premere, allargarlo, torcerlo. Un dito si piegò e toccò qualcosa che gli fece vedere le stelle. Iniziò a piangere, ogni parvenza di dignità ormai sparita.
Ralph colpì ripetutamente quel punto, poi aggiunse un terzo dito. Aaron stava tremando ovunque. Aveva caldo. Ogni ondata di piacere provocata da quelle dita era subito seguita da una di nausea. La sua bocca si riempì di saliva e sale. Stava per vomitare. Stava per essere inculato lì, legato a un letto, nel suo stesso vomito, e sarebbe venuto come una vera puttana. E tutto sarebbe stato caricato online, in modo che migliaia di persone potessero vederlo. Aaron Beaumont è stato scopato nel culo e l'ha adorato. Aaron Beaumont è una puttana. Aaron Beaumont fa schifo.
Le dita di Ralph si muovevano ancora dentro e fuori dalla sua apertura. Gli strisciavano dentro e lui riusciva a sentire ogni dannato tocco. Tre, poi due, poi tre, tre, due, prostata, indietreggiano, due, tre, prostata, prostata, prostata.
Aaron voltò la testa e vomitò.
Ralph ridacchiò. Farley continuava a registrare, o forse no. Forse a quel punto si stava soltanto divertendo.
“Pietà,” sussurrò Aaron. La puzza di sudore, vomito e sesso era forte. Cercò di allontanarsi dal macello che aveva combinato, ma non riuscì a sfuggire a quell'odore, non riuscì a sfuggire a quelle voci.
“Pietà,” singhiozzò.
“Povero ragazzo,” rispose Ralph. “Non è la mia safe word.”
Aaron non riuscì a capire se urlò ancora. Sentì una risata. Venne colpito con forza sulla schiena. Udì qualcosa sbattere, poi un forte scoppio. Sentì qualcuno gridare. Ralph ritrasse le dita.
Lo stomaco di Aaron si rivoltò ma strinse i denti. Girò la testa in direzione dello scoppio. Era arrivato dalla parte opposta della stanza, quella vicino alla porta. Provò a togliersi la benda dagli occhi ma non ci riuscì.
All'improvviso calò il silenzio.
“Spostati da lui,” ordinò una voce profonda.
“Hai distrutto la telecamera,” protestò Farley.
Ci fu un altro scoppio. Il peso sulla schiena di Aaron sparì di colpo.
“Tutti fuori,” disse la voce.
Aaron udì dei passi. Pochi secondi dopo la benda venne tolta di mezzo e Aaron si ritrovò a fissare dei familiari occhi azzurro ghiaccio. Il Dom di prima adesso era vestito e aveva un lungo cappotto gettato su una spalla.
Il Dom non perse tempo per fargli le classiche domande – “Stai bene?” “Sei ferito?” –, piuttosto lavorò rapidamente per slegarlo. Prima le mani, poi la barra divaricatrice. Infine gli liberò l'uccello. Aaron non osò guardare in basso.
“Torneranno tra poco,” disse il Dom. “Dobbiamo sbrigarci.”
Aaron annuì, sbattendo le palpebre davanti alle luci troppo intense della stanza. Si strinse lo stomaco con le braccia.
“Aggrappati a me,” ordinò il Dom con voce tuttavia gentile. “Ti aiuto io ad alzarti.”
Aaron fece come gli era stato detto. Le sue ginocchia tremavano come impazzite ma le costrinse a collaborare.
Il Dom si tolse il cappotto dalla spalla e lo avvolse intorno ad Aaron. Infilò la pistola nella cintura dei pantaloni neri, poi, con un movimento fluido, sollevò Aaron tra le braccia.
Anche col peso di Aaron, si mosse veloce. Si diresse a passo svelto e sicuro verso la porta. Lasciò andare il ragazzo giusto il tempo di raccogliere la borsa con i soldi dall'angolo in cui era stata appoggiata e i vestiti di Aaron. Gli mise tutto tra le mani, poi lo afferrò saldamente e lo riprese tra le braccia.
Alcune voci echeggiarono nel corridoio dietro di loro. Il Dom si mise a correre e Aaron si aggrappò con forza alle sue spalle. Aprì la porta d'ingresso con un calcio, uscendo nell'aria fresca della notte.
“Qual è la tua auto?”
“Quella nera. Laggiù,” rispose Aaron. Indicò una macchina parcheggiata poco distante.
“Le chiavi?”
Aaron frugò nella pila di vestiti che aveva in grembo e recuperò le chiavi. Il Dom lo appoggiò con gentilezza sull'asfalto e Aaron si strinse i vestiti al petto.
L'uomo gli aprì la portiera, poi si affrettò dal lato del guidatore e si mise al volante. Aaron non aveva neppure le forze necessarie per protestare.
Farley era già davanti all'ingresso dell'edificio, affiancato da Ralph e Dio solo sapeva chi altro.
Il motore si accese ruggendo e il Dom fece retromarcia premendo con forza sull'acceleratore. Procedettero all'indietro fino alla fine del vialetto, raggiungendo la strada principale in pochi secondi. Il Dom mise subito la marcia senza fermarsi neanche per un secondo.
Ce l'avevano fatta. Aaron si voltò indietro, osservando la facciata di quel luogo terribile sparire dietro gli alberi. Si lasciò sprofondare nel sedile.
Lanciò un'occhiata all'uomo che in quel momento stava guidando la sua auto, mentre sentiva l'adrenalina scorrergli con forza nelle vene. “Non so neanche come ti chiami,” mormorò.
“Silas.”
Aaron annuì. “Grazie, Silas. Sono in debito con te.”
Capitolo Tre
Al Sicuro
“Dove vivi?” chiese Silas.
Aaron si premette le mani sugli occhi. “Vai a casa tua. Tornerò alla mia da lì.”
“C'è qualcuno che può prendersi cura di te?”
Aaron deglutì a fatica. Robert doveva essere a casa, a meno che non fosse rimasto ancora al bar. Se davvero c'era un Dio in paradiso, lo avrebbe fatto rimanere ancora a lungo fuori casa per impedirgli di assistere alla caduta di Aaron.
“Lo prendo come un no,” disse Silas.
Aaron doveva aver impiegato troppo tempo per rispondere.
“Mio padre,” disse. “Vivo con mio padre.”
“È sicuro?” domandò Silas. “Si prenderà cura di te?”
“Non preoccuparti.” Si spostò sul sedile e il culo gli inviò una fitta. Il fantasma della mano di Ralph gli toccò la carne martoriata. “Accosta,” farfugliò.
“Che succede?”
Aaron si afferrò lo stomaco. “Accosta e basta,” ringhiò. Silas rallentò e fermò l'auto sul ciglio della strada.
Aaron spalancò di colpo la portiera e si sporse fuori. Aveva voglia di vomitare ma non c'era più niente da buttare fuori. Rimase chinato in avanti, ansimando in cerca d'aria.
Silas gli toccò una spalla e Aaron sussultò così forte che quasi cadde a terra.
“Aaron,” mormorò piano l'uomo.
“Non toccarmi,” ansimò Aaron. Sentiva le mani di Ralph ovunque sul proprio corpo.
'Bravo ragazzo.'
Aaron scese barcollando dall'auto, una mano ancora stretta intorno alla portiera. L'erba fresca e bagnata di rugiada gli accarezzò le ginocchia. Sentì la portiera dal lato del guidatore aprirsi e poi richiudersi.
Silas si inginocchiò in modo da avere gli occhi alla stessa altezza dei suoi. “Penso che dovresti andare al pronto soccorso,” mormorò.
Il pronto soccorso. Non era un'emergenza. Non era stato violentato. Si stava solo comportando come un bambino. Aveva soltanto bisogno di calmarsi. Aveva soltanto bisogno di smettere di tremare. “Sto bene,” rispose. Il suo stomaco sussultò di nuovo.
“Hai bisogno di farti vedere da un dottore.”
“Non posso farlo.”
Non posso permettere a nessuno di vedermi così. E che io sia maledetto se rischierò di farmi riconoscere da qualcuno all'ospedale.
“Allora lascia che ti porti a casa mia,” disse Silas gentilmente. “Ero un medico, una volta. Ma capisco se non ti fidi di me.”
Aaron finalmente riuscì ad alzare lo sguardo dal terreno.
Le sopracciglia di Silas erano aggrottate dalla preoccupazione. La sua espressione in qualche modo faceva sentire ancora più dolore ad Aaron.
“Ho bisogno di sapere cos'è successo – se ti hanno drogato e in che modo ti hanno picchiato – ma non voglio metterti a disagio.”
“Mi ha solo messo alcune dita nel culo e schiaffeggiato un po',” borbottò Aaron. “Ecco tutto. Non mi ha violentato.” Barcollò leggermente e strinse la presa sulla portiera. “Non è un grande problema. Sto solo reagendo in modo esagerato. Ogni tanto lo faccio. Probabilmente per attirare l'attenzione. Ignorami e basta.”
“Aaron.” La voce di Silas era ancora dolce ma adesso conteneva anche una punta di autorità. “Questo è un grosso problema.”
“Non lo è,” ribatté Aaron. Aveva la vista offuscata dalle lacrime e stava per piangere di nuovo, dannazione. Non si meritava di tornare a casa. Non si meritava suo padre o suo fratello.
“Riesci a rientrare in auto?” domandò Silas.
Aaron chiuse gli occhi e annuì.
“Hai bisogno di aiuto?”
Scosse la testa. Il minimo che poteva fare era riuscire ad alzarsi da solo. Si sollevò, sentendo le ginocchia tremare con forza, e si rimise seduto. Silas gli chiuse la portiera e prese di nuovo posto dietro il volante.
“A casa mia?” domandò.
“Sì,” mormorò Aaron.
Silas guidò velocemente. Quando raggiunse il quartiere in cui viveva, fece più volte il giro dell'isolato, dicendo che era il modo migliore per assicurarsi che nessuno li stesse seguendo. Dopodiché, si fermò in un vialetto e parcheggiò la macchina.
“Aaron,” lo chiamò, con voce ancora gentile, “ho bisogno che tu prenda le chiavi e ti sieda al volante con le portiere bloccate. Vado a controllare la casa e il giardino per assicurarmi che siamo davvero soli.”
“Non dovresti andare da solo,” disse Aaron.
Silas sembrava quasi offeso. “Ti giuro che andrà tutto bene.” Gli consegnò le chiavi e prese la pistola. “Se vedi qualcosa di sospetto o qualcuno che non sono io avvicinarsi, non aspettarmi: guida il più lontano possibile e il più velocemente possibile, senza guardarti indietro.”