A Nick: “Mi hai scaricata per Tim. Mi sento sola.” A quel punto avrei anche potuto aggiungere, “Con amore, la tua pazza stalker.”
Nessuna risposta. Aspettai cinque minuti, mentre finivo un bicchiere di vino. Riempii di nuovo il bicchiere. Rilessi i trecento messaggi di Emily che chiedeva dove fossi, ai quali la mia riposta era stata “Nick!!! Scusami. Ci sentiamo dopo.”
Mandai un altro messaggio a Nick. “Ci sei? Sei ancora con Tim?”
“Ehi,” fu la sua riposta.
Un altro messaggio, pochi secondi dopo: “Dobbiamo parlare.”
Buon segno o cattivo segno, mi chiedevo. “Parlare” è un eufemismo per “non parlare”?
Risposi a Nick: “Ok. Dove, quando?”
“Lunedì, ufficio.”
Un pugno allo stomaco. Forza, Katie, forza. Non farti sfuggire questa occasione. C’è ancora speranza. “Non è giusto. Adesso? Scegli un posto.”
“Cattiva idea. Ho bevuto.”
“Me la caverò. Camera 632.”
Nessuna risposta. Pensa pensa pensa pensa pensa pensa pensa. Non ha detto di no. Non ha detto di sì. Potrei riscrivergli e chiedere una risposta chiara, ma potrebbe essere quella sbagliata. Supponi che sia un sì e ricomponiti, ragazza.
Ispezionai l’austera camera d’hotel, il piumone scadente, ingrigito dal lavaggio continuo in lavatrici industriali, il colore sbiadito delle tende risalente agli anni in cui la stanza era per fumatori, una stampa da catalogo raffigurante una barca, appesa sulla carta da parati metallizzata. Non era esattamente ciò che ci si aspetta per un interludio romantico. Misi a posto ciò che riuscivo, tra me e la stanza, e cercai di prepararmi per assumere un comportamento sobrio.
Niente Nick. Camminavo avanti e indietro. Mi lamentavo. Controllavo i messaggi. E poi, improvvisamente, sapevo che era lì, l’avevo sentito con il mio Nick-radar extrasensoriale.
Sbirciai dallo spioncino. Sì, era lì, facendo ciò che facevo io, ma dall’altro lato di quel pezzo di legno massiccio. Però non potevo aprire la porta, o avrebbe scoperto che stavo lì in piedi a guardarlo.
Alzò la mano per bussare. La abbassò. Si girò per andarsene; tornò. Come fosse un artiglio, si passò la mano fra i capelli e chiuse gli occhi.
Bussò alla porta. Trattenni il respiro mentre dicevo una breve preghiera. “Ti prego Dio, aiutami a non mandare tutto all’aria.” Probabilmente non la preghiera meglio concepita o eseguita già pronunciata. Aprii la porta.
Nessuno dei due disse nulla. Feci un passo indietro e lui entrò, stringendo un tovagliolo del bar nella sua mano sinistra. Passava invece la mano destra ancora fra i capelli, un tic nervoso che non avevo mai notato prima di questa sera.
Mi sedetti sul letto. Lui si sedette in una sedia sotto la finestra.
“Hai detto che dobbiamo parlare,” lo imboccai.
Si concentrò sul suo tovagliolo stropicciato per un bel po’. Quando alzò lo sguardo, indicò prima lui e poi me e disse, “La mia vita è troppo complicata adesso. Mi dispiace, ma questa cosa non può succedere.”
Queste non erano le parole che avevo sperato di sentire. Forse erano grossomodo quelle che mi aspettavo di sentire, ma non per questo avevo perso la speranza. La mia faccia andava a fuoco. Conto alla rovescia alla fusione.
“Con ‘questa cosa’ suppongo tu ti riferisca a una qualche ‘cosa’ fra noi due? Ovviamente non può succedere. Sono una socia dello studio.” Ascoltavo la mia voce come se venisse da lontano. Altezzosa. Distante. “So che a volte sembra che stia flirtando, ma faccio così con tutti, Nick. Non preoccuparti. Non ci sto provando con te.”
Potevo quasi intravedere il segno sul suo volto allo schiaffo delle mie parole.
“Ti ho sentita parlare al telefono con Emily quando sei arrivata, oggi pomeriggio.”
Inquietante. “Di cosa stai parlando?”
“Sono passato davanti alla tua camera. La porta era socchiusa, Ti ho vista. Ti ho sentita.”
Protestai, “Come sapevi che ero io?”
“Riconosco la tua voce. Stavi parlando di me. Ho sentito il mio nome. Mi dispiace di aver origliato, ma non sono riuscito a trattenermi. Mi sono fermato e ho ascoltato.”
Provai ad interromperlo, ma andò avanti.
“Hai detto,” e, oh, quanto non avrei voluto sentire ciò che stava per dire, “che non riuscivi a credere quanto fossi attratta da me. Che ti sentivi in colpa perché pensavi più a me che al lavoro o a ciò che è accaduto ai tuoi genitori…” Nick si mangiava le parole, faticava a parlare. “Hai detto ad Emily che non riesci a fare a meno di essere innamorata di me.”
Oddio. Mamma mia. Il sangue non mi arrivava più alla faccia. Avevo detto quelle cose ad Emily per telefono. Mi aveva chiamata per raccomandarsi che andassi alla conferenza e io avevo portato la conversazione su Nick. Era una cosa così normale che l’avevo dimenticata. Diavolo, così normale che probabilmente lei neanche mi stava ascoltando. Improvvisamente, mi resi conto di quanto ero ubriaca e la stanza iniziò a girare.
Forzai una risata acuta. “Sì, ho menzionato il tuo nome, ma questo non è ciò che ho detto.”
“Invece sì,” mi interruppe. “Non sono un idiota. So quello che ho sentito.”
“Beh, lo stai interpretando male,” insistetti. “Non ti sto addosso, Nick. Per quello che ne so, sei ancora sposato. E lavoriamo insieme. Mi dispiace se ti ho messo a disagio. Proverò a non farlo di nuovo.”
“Non mi hai messo a disagio.” Si interruppe e passò una terza volta la mano fra i capelli, fissando il tovagliolo di nuovo. C’era scritto qualcosa su quel maledetto coso. “È solo che…” Sospirò, e si fermò.
“Solo che cosa?”
Nessuna risposta. Vorrei poter dire che è solo per colpa dell’alcol che esordì con sarcasmo, ma è così.
“Perché non interpelli il tuo tovagliolo magico per sapere cosa dovresti dire?”
Si incupì. “Sei stata scortese.”
Iniziavo a scaldarmi. “Beh, sembra che tu sia venuto qui con il tuo discorso pronto. ‘Rimetti la povera Katie malata d’amore al suo posto’.” Inspirai profondamente e buttai tutto fuori, “Non riesco a credere che tu abbia dovuto annotare cosa dire in un tovagliolo da bar.”
“Non sono bravo quanto te con le parole, Signora Avvocata. Volevo fare le cose per bene. Non prendermi in giro perché ho preso la cosa seriamente.”
“Mi dispiace per averti sottoposto a tanto stress.” Allora non mi dispiaceva affatto, e sospetto che il mio tono l’avesse fatto capire. “Per carità, finisci di leggere il tuo tovagliolo.”
Si alzò in piedi. “Non c’è altro sul mio tovagliolo di cui dobbiamo parlare.”
Troppo tardi, mi accorsi di quanto mi stavo comportando male. “Nick, mi dispiace. Dimentica ciò che ho detto. Ho bevuto troppo. Merda, bevo troppo ultimamente, e di sicuro ci darò un taglio. Spero che questo non comprometta la nostra amicizia e che possiamo continuare a lavorare normalmente. Sai come sono fatta. Sono troppo diretta e ho la lingua lunga.” Smisi di blaterare inutilmente e lottai per mantenere il contatto visivo con lui.
I miei pensieri si confondevano. Come avevo fatto a fraintenderlo a tal punto? Avevo sempre creduto che, in fondo, provasse un’attrazione per me — non solamente a livello fisico —come io la provavo per lui. Che se gli avessi dato la giusta opportunità e spinta, mi avrebbe fatto mancare la terra da sotto i piedi e portato nella sua carrozza magica, per vivere felici e contenti.
Che pensiero ridicolo. Non ero Cenerentola. Ero Glenn Close con il coniglio bollito. E lui Michael Douglas che cercava di scappare.
Non sapevo come rimediare. Ogni secondo che passava, il suo sguardo era sempre più ostile. Senza rivolgermi un’altra parola, se ne andò furioso, con quel maledetto tovagliolo stropicciato.
Tre
Hotel Eldorado, Shreveport, Louisiana
15 agosto 2012
Mi svegliai con violenti postumi, tanto colpa dell’umiliazione quanto della Amstel Light e del vino del minibar, e mi ricordai di Nick nella mia camera, e di come mi ero comportata. Era difficile immaginare uno scenario dove fosse andata peggio di così, ma almeno non l’avevo trovato nudo alla mia porta con una rosa fra i denti. Mi sarei alzata e mi sarei rimessa in sesto. Avrei sfoggiato il mio maglioncino verde muschio di Ellen Tracy. Avrei sistemato le cose.
Ma prima, avrei controllato i messaggi, perché il mio telefono stava esplodendo. A quest’ora del mattino?
“Dove CAVOLO sei?” Era Emily.
“?? Mi sto preparando.”
Una verità un po’ distorta, ma la regola fondamentale degli SMS è di essere concisi, per questo omisi qualche dettaglio.
“Abbiamo iniziato. Muovi il sedere!”
Forse non era così presto come pensavo. “Sto arrivando.”
Beh, farmi bella e riprendermi allo stesso tempo era ormai fuori questione, anche se penso ci sarei riuscita comunque date le circostanze, indipendentemente dalla fretta. Mi rimisi in sesto in conformità con le norme igieniche ed estetiche di base e mi unii alla conferenza di team building, giorno due. Speravo di riuscire a fingere abbastanza bene da ingannare i colleghi.
Mi fermai davanti alla porta aperta della sala riunioni e mi misi ad ascoltare il moderatore. Lo studio aveva assunto uno sdolcinato consulente per aiutarci a risolvere gli attriti fra di noi in modo positivo e costruttivo.
“Buona fortuna,” pensai. Mi chiesi se potesse aiutarmi a risolvere il mio “Voglio andare a letto con il mio forse ancora sposato collega che, oh sì giusto, tra l’altro mi odia”.
Questa non era però una conferenza hippie: il consulente era in realtà molto bravo. Oggi si imparava come richiedere uno sforzo maggiore o minore da un collega. Ci chiese di fare coppia con il collega con cui avevamo più bisogno di costruire una relazione di lavoro efficace.
Feci la mia entrata nella sala riunioni a tema floreale. Nel giro di pochi secondi, le coppie erano formate. Analizzai la stanza per individuare i pomposi capelli biondi alla texana di Emily, sperando che mi avesse aspettata, ma era già accoppiata con il capo dei consulenti legali, prendendo l’attività troppo sul serio. Le lanciai un’occhiataccia e lei scrollò le spalle, alzando le sopracciglia, come per dire “Non è colpa mia se mi dai buca e poi non riesci ad alzarti dal letto prima di mezzogiorno.” Sbuffai e mi misi a cercare un partner.
Mentre scrutavo la stanza, gli occhi senza vita di Nick incontrarono i miei. Non bene. Anch’io non lasciavo trasparire alcuna emozione, uno sforzo considerevole considerando che gli snack del minibar della notte scorsa cercavano di tornare fuori. Iniziai a girarmi, quando vidi che stava venendo verso di me. Mi aspettavo che mi superasse, ma non lo fece.
Non disse nulla, così lo feci io. Non riuscii a trattenermi. Conduco sempre io il gioco. Non c’è da stupirsi se mio fratello maggiore mi diceva che allontano gli uomini.
“Quindi, non ne hai avuto abbastanza di me?” E forzai un sorriso autocritico.
Lui non sorrise. “Sembra il modo migliore per risolvere ‘questa cosa’, così possiamo chiarirci prima di tornare in ufficio.” Agitava la mano indicando prima lui e poi me. Mi ricordava la scorsa notte, e non in senso buono.
Ci sedemmo. I fiori sulla carta da parati e sul pavimento non mi stavano risollevando il morale. Le vigne sul tappeto iniziarono improvvisamente ad alzarsi e ad incatenarmi alla sedia per le caviglie. No, testa di rapa, è la tua immaginazione, e troppo alcol. Ugh. Snervante. Sfregai le mani sulle braccia, cercando di smussare la pelle d’oca.
Nick lesse le istruzioni a voce alta. Dovevamo fare una lista di esercizi a turno. Per prima cosa, dovevamo dirci a vicenda le cose che apprezzavamo a vicenda; poi, le cose di cui avevamo più o meno bisogno da parte dell’altro; e infine, cosa volevamo impegnarci a fare di più o di meno. In caso ci fossimo scordati le istruzioni, erano state stampate a caratteri cubitali e incollate in tutte le pareti. Grazie, poster, per smorzare questo incubo floreale, pensai.
“Inizia tu, Nick. Credo tu abbia bisogno di ricordare cosa ti piace di me.” Dissi in tono giocoso.
Non ricambiò, né esitò. “Apprezzo che tu sia una professionista che fa un buon lavoro e lavora sodo. Sei importante per lo studio.” Non proprio caloroso.
“Grazie, Nick. Nient’altro? Puoi andare avanti quanto vuoi con i complimenti.” Provai a sfoggiare un altro sorriso, con la testa inclinata a destra. Il mio lato migliore.
“Ho finito.”
Stava andando alla grande.
“Okay, allora, di te apprezzo che…” mentre lui aveva scelto un atteggiamento puramente professionale, io mi rifiutavo di essere così impersonale, “… la tua creatività e sesto senso, e il lavoro che abbiamo svolto così bene sul caso Burnside.” Internalizzai le frasi fatte di cui trasudava l’atmosfera, come in una versione giuridica di un brutto episodio del Dr. Phil. “E apprezzo che tu non abbia un tovagliolo da bar con te oggi.” Ding, ding — Forza Nick, lasciamocelo alle spalle.
Impossibile. “Adesso passiamo alla seconda parte, più o meno bisogno di.” Si passò le mani fra i capelli. Oh-oh. “Cosa vorrei tu facessi di più è informare Gino quando hai bisogno di aiuto da parte mia, e me ne occuperò io. Cosa vorrei tu facessi di meno è,” esitò, e poi disse, “mettermi all’angolo.”
Avevo sentito male o Nick mi aveva appena scaricata? E accusata di stalking? In altre parole. Anche dopo la fine infelice della nostra serata, le ricadute professionali sembravano esagerate. Stava forse insinuando che l’avessi molestato sessualmente? In meno di un secondo, passai da zero a sessanta in una scala di rabbia.
“Non vuoi più lavorare con me? Ti metto all’ANGOLO? Abbiamo una conversazione difficile a livello personale e tu ti rifiuti di lavorare con me?”
“Puoi abbassare la voce per favore?” sibilò. Gettai le braccia in aria. Lo prese come un sì e continuò. “Voglio solo minimizzare i contatti,” disse. La sua voce rifletteva lo sguardo.
“Assurdo.” Nick alzò la mano, e io aumentai di nuovo il volume. “Siamo un’ottima squadra. Quando lavoriamo insieme portiamo grandi benefici allo studio. Non capisco perché lo stai facendo. Tutto a causa di ieri notte?”
Cento occhi mi stavano guardando mentre cadevo a pezzi emotivamente. No, era solo paranoia. Portai le mani al colletto per cercare di allentarlo.
“Non intendo parlare del perché. Ho solo bisogno di spazio. Se hai un problema con me, devi rivolgerti a Gino.”
Tempo di decisioni e autocontrollo. Se avessi fatto una scenata, l’avrei messo in imbarazzo e non sarei mai riuscita a rimettere le cose a posto. Avevo passato metà della notte prima a fare pace con il fatto che non ci sarebbe mai stato un “noi”, un “Nick e Katie”. Non mi piaceva l’avvocatura, ma nell’ultimo anno, avevo amato lavorare con Nick. Lavorare con lui era meglio di niente. Forse era anche abbastanza. Ma se me l’avesse impedito, l’unica cosa che mi sarebbe rimasta sarebbero stati pensieri che volevo continuare ad ignorare.
Dovevo anche essere realistica. Ero importante per lo studio. Ma il futuro ex-suocero di Nick era il nostro maggior cliente. Questo screzio doveva rimanere fra di noi. Non mi sarei “rivolta a Gino”. Inoltre, cosa gli avrei detto? Gino, Nick non vuole lavorare con me perché pensa che voglia andare a letto con lui. Fai in modo che sia gentile con me o faccio la matta.
Misurai le mie parole. “Immagino di non avere scelta. Rispetterò le tue richieste, ma lasciami essere chiara al cento per cento: questa è una tua decisione. Non la capisco e non è ciò che voglio. Inoltre, prometto di essere sincera con te. Iniziando da adesso.” Sembrava un bell’inizio, dato che gli avevo mentito la sera prima e lui lo sapeva. “Questo mi ferisce. Mi tratti come se mi odiassi. Abbiamo avuto un momento spiacevole questo fine settimana. Penso ne dovremmo riparlare in ufficio.”
“Non la penserò diversamente,” disse Nick. Fece per alzarsi, ma lo fermai.
“Aspetta. Devo dire cosa vorrei tu facessi di più e di meno.”
Si rimise a sedere. Ignorai il dolore lancinante allo stomaco e cominciai. “Vorrei che tu tenessi una mente più aperta, giudicassi meno e prendessi meno decisioni impulsive.”