La rivincita dei mendicanti - Кресс Нэнси (Ненси) 42 стр.


— La prego di rispondere durante i prossimi quindici secondi. Vuole registrare un messaggio?

— No! — gridò Lizzie disperata. — Fammi parlare con la sorella del dottore!

— Un momento, prego.

A quel punto udì una voce debole, spaventata: — Pronto?

— Signorina Aranow! — All’improvviso Lizzie non riuscì a ricordare il nome della sorella di Jackson. Riusciva a vederla, sottile ed elegante col suo vestito a fiori, che teneva in braccio Dirk, le lacrime che le scendevano sul pallido volto terrorizzato. Lizzie riusciva a ricordare il nome del sistema personale di lei, "Thomas" e tutti i suoi codici di accesso. Ma non aveva la minima idea di come si chiamasse di nome la ragazza. — Signorina Aranow, sono Lizzie Francy, l’amica del dottor Aranow. Quella col bambino. Sono in prigione nell’Enclave di Manhattan Est! Dica subito al dottor Aranow e a Vicki di venirmi a prendere, è un’emergenza!

— In prigione? Con il "bambino"? — Cominciò la signorina Aranow.

L’unità medica la spinse repentinamente con un insolito impeto di energia. Il cerotto si attaccò al polso di Lizzie che venne subito avvolta dall’oscurità: non vide nemmeno l’unità medica fluttuare via dalla sua presa per aleggiare sopra il suo corpo, accasciato mezzo sopra e mezzo fuori dalla piattaforma-letto.

Theresa giaceva tremante sul letto. Quella ragazza Viva era in prigione. Con il bambino.

Vide, chiaramente come se fissasse le pareti del suo studio invece di quelle della camera da letto, gli ologrammi presi dai notiziari sui bambini dei Vivi, malformati, deformi, affamati, morenti…

No. Si stava comportando in modo ridicolo. Il bambino di Lizzie non stava morendo. Quel piccolo era Cambiato. Però si trovava in prigione, in una cella da qualche parte, e doveva essere accaduto "qualcosa" a sua madre perché la comunicazione si interrompesse in quel modo. Qualcuno aveva fatto del male a Lizzie Francy? E al bambino?

Theresa non aveva mai visto una prigione. Tuttavia aveva guardato ologrammi di storia e film. Le prigioni, in quelli, erano sudicie e orribili celle che puzzavano e ospitavano persone pericolose che facevano del male agli altri. Di sicuro però non erano più così. I robot-pulitori non permettevano che fossero sudicie. Ma per il resto…

Si sollevò, appoggiandosi contro i cuscini. Le piaghe sulle mani e sul corpo le si erano chiuse. Era in grado di mangiare e di parlare, perfino di camminare un po’, con le stampelle. Aveva avuto anche un fluttuante ma Jackson lo aveva rispedito indietro perché, aveva detto, usarlo non l’avrebbe aiutata a ricostruire la muscolatura. Due volte al giorno, il roboinfermiere istruiva Theresa assistendola con il software di riabilitazione fisica. Alzarsi costituiva comunque uno sforzo, e passare le mani sulla testa calva la faceva piangere. Jackson aveva tolto tutti gli specchi dalle stanze. Durante la maggior parte del tempo, Theresa stava a letto dettando appunti, ore e ore di appunti ossessivi, a Thomas. Su Leisha Camden. Sugli Insonni. Su Miranda Sharifi.

A quel punto disse al sistema: — Thomas, fai emanare da Jones una chiamata a priorità assoluta a mio fratello alla Kelvin-Castner!

— Lo farò subito, Theresa.

Tuttavia fu Cazie, scompigliata e corrucciata, che rispose. — Tess? Cosa c’è che non va? Perché una chiamata di emergenza?

— Ho bisogno di parlare con Jackson.

— Lo so. Ma perché? — Cazie faceva tamburellare le dita su una scrivania invisibile. I capelli neri avevano bisogno di una spazzolata e lei aveva borse sotto gli occhi. Appariva tesa e sconvolta.

Theresa si ritirò contro i cuscini.

— È… privato.

— Privato? Ti senti bene?

— Sì… io… sì. Riguarda qualcun altro.

Lo sguardo di Cazie si concentrò all’improvviso, tagliente. — Chi altri? È arrivato un messaggio per Jackson? Non si tratta di qualcosa riguardo al Rifugio, eh?

— Rifugio? Perché mai Jackson dovrebbe ricevere un messaggio riguardante il Rifugio?

Lo sguardo di Cazie si velò di nuovo. — Niente. Da parte di chi è il messaggio?

— Cos’è questa storia del Rifugio?

— Niente, Tessie. Ascolta, non volevo trattarti male, visto che sei così malata. Torna a dormire, piccola. Jackson è nel bel mezzo di una riunione importante e io non voglio interromperlo, ma gli dirò che hai chiamato. A meno che non si tratti di qualcosa di importante che tu voglia dire a me perché io gliela riferisca. Theresa fissò Cazie negli occhi. Lei le stava mentendo. Theresa lo sapeva. Come? Quello non lo sapeva. Sì, invece. Theresa aveva finto di essere Cazie e ormai riusciva a distinguere quando Cazie stava fingendo. Uno spostamento della voce, un’espressione negli occhi dorati: Jackson non era in riunione. Quindi Cazie voleva tenere Theresa lontana da Jackson. E voleva tenerla lontana da qualcosa che riguardava il Rifugio. Cazie, poi, non aveva mai apprezzato che Jackson aiutasse quella ragazza, Lizzie, e il suo bambino…

— No, no — disse con un filo di voce. — Niente di importante. Soltanto un messaggio da parte di… Brett Carpenter. Quello con cui Jackson gioca a tennis. Per una partita.

— Ma hai detto che si trattava di un’emergenza.

— Io… avevo voglia semplicemente di parlare con Jackson. Mi sento un po’ sola.

Il volto di Cazie si addolcì. — È ovvio che sia così, Tessie. Ti farò chiamare da Jackson nel momento stesso in cui terminerà la riunione. Inoltre verrò questa sera a trovarti. Te lo prometto.

— Va bene. Grazie.

— Adesso riposa come una brava bambina e tutto andrà meglio. — Il collegamento si interruppe.

— Thomas — disse Theresa. — Segnalazione da notiziari, ultime ventiquattro ore. Qualsiasi cosa riguardante il Rifugio.

Non ebbe bisogno di segnalazioni. Lo schermo si attivò sulla notizia del momento, e Theresa vide l’ologramma del Rifugio che saltava in aria, ascoltò il cronista scioccato, seguì la simulazione della traiettoria del missile, udì la condanna infuriata del Presidente Garrison contro i terroristi nucleari ancora senza nome.

— Ripetere — disse Theresa a Thomas. La parola le uscì dalla bocca come un sussurro strozzato e le lacrime salate le bruciarono la pelle ustionata dalle radiazioni. Il notiziario venne ripetuto.

Dunque erano tutti morti. Miranda Sharifi: morta a La Solana, con gli strani e inumani Super che avevano trasformato l’umanità in qualcosa di diverso. Jennifer Sharifi: morta al Rifugio, con il suo brillante, potente popolo che controllava gran parte del denaro di tutto il mondo, in modi che Theresa non aveva mai compreso. Leisha Camden: morta sette anni prima in una palude della Georgia. Tutti morti. Tutte le persone modificate geneticamente in modo da non dover mai dormire, tutte le persone che, diceva Jackson, erano considerate il gradino successivo nell’evoluzione. Tutti morti.

Lizzie Francy e il suo bambino, però, erano vivi. In prigione nell’Enclave di Manhattan Est. "Dillo al dottore! Dillo a Vicki! Venite a prendermi…"

Theresa non era in grado di farlo. Era troppo debole, troppo spaventata.

"La prego, dica al dottor Aranow e a Vicki Turner di venire a prendermi immediatamente, è un’emergenza!"

Ci sarebbe riuscita lei, se fosse divenuta Cazie.

Theresa chiuse gli occhi. Le lacrime smisero di scendere. Jackson non aveva idea, nessuno lo sapeva, di quante volte durante il mese passato Theresa era divenuta Cazie. Stesa sul letto, piena di dolori nonostante gli antidolorifici, lottando per seguire il programma di riabilitazione, costringendosi a pensare all’esplosione a La Solana senza farsi prendere dal panico o da attacchi di ansia. Theresa si era allenata a essere Cazie. A essere una persona che non aveva paura, in grado di decidere cosa fare e poi di farlo.

In quel momento divenne Cazie.

Gradatamente, il respiro di Theresa rallentò. Le mani smisero di tremarle. Cosa più importante, sentì la differenza nella propria testa. Come cambiare canali dei notiziari. Il suo cervello le dava sensazioni diverse. Era possibile? Ma era proprio ciò che provava.

Theresa appoggiò a terra le gambe e allungò le mani per prendere le stampelle. Il roboinfermiere le fluttuò a lato. — Ha bisogno di aiuto, signorina Aranow? Non preferirebbe usare la padella?

— No. Disattivare — disse Theresa, e la parte di lei che era ancora Theresa… c’era sempre quella parte, soltanto che se ci pensava troppo le faceva perdere la parte che non lo era, si accorse dell’espressione decisa del tono. Il tono di Cazie con la voce ancora roca di Theresa.

"Non pensarci."

Lottò per uscire dalla camicia da notte e per infilarsi un vestito. Le pendeva sul corpo scheletrico. Scarpe, giacca. Nell’ingresso colse un’occhiata di se stessa allo specchio.

"No." Oh, Dio, no. Quella testa calva, era sua? Occhi infossati, pelle bruciata sopra il cranio: tutto suo? Riprese a piangere.

No. Cazie non avrebbe pianto. Cazie avrebbe saputo che si trattava di una cosa temporanea, che stava guarendo. Lo diceva sempre Jackson: Cazie si sarebbe messa un cappello. Theresa ne prese uno di Jackson e se lo calzò fin sopra le orecchie.

— Prigione di Manhattan Est, verificare coordinate — disse al robotaxi che l’edificio aveva chiamato per lei; assunse un’espressione truce come quella di Cazie. Aveva aspettato il robotaxi per quasi un quarto d’ora ma era riuscita sempre a rimanere Cazie.

— Sì, signorina Aranow — rispose il robotaxi. Theresa oscurò i finestrini e chiuse gli occhi per non vedersi nel riflesso dei vetri.

Il robotaxi la lasciò davanti a un edificio vicino alla parete orientale dello scudo dell’enclave. Qualche persona che stava camminando in fretta si fermò sul marciapiede, fissandola. Theresa ignorò tutti. Mento in alto, mani serrate strette insieme, disse all’analizzatore di retina nell’atrio deserto: — Sono Theresa Aranow. Sono qui per vedere un… un prigioniero. Lizzie Francy. Oppure chiunque sia il responsabile, qui.

— Lei non è registrata come avvocato, signorina Aranow — rispose l’edificio. — E nemmeno come parente stretta del prigioniero.

— No, io sono… potrei parlare con un essere umano, per favore?

— Mi dispiace, siamo in stato di emergenza. Tutto il personale della Patterson Protect è stato stanziato altrove. Vuole aspettare?

Stato di emergenza. Ovvio. L’attacco al Rifugio. Le persone avevano paura che la bomba successiva cadesse su New York. Se lei non avesse oscurato i finestrini del robotaxi si sarebbe accorta di tutta la gente che abbandonava l’enclave in volo. Non c’era da meravigliarsi che al suo edificio fosse occorso tanto tempo per procurarle un robotaxi. E forse anche la gente dall’aria sconcertata che aveva visto all’esterno non era stata colpita tanto dal suo aspetto bizzarro quanto dalla propria paura. La cosa le tirò su il morale.

— Non voglio aspettare — ribatté. — Voglio portare fuori da qui Lizzie Francy. Cosa devo fare?

— Vuole collegarsi agli Atti Pubblici?

— Sì. — Davvero? Perché no?

— Questa è una registrazione degli Atti Pubblici — disse un sistema diverso. — Come posso esserle di aiuto?

— Io voglio… io voglio portare a casa Lizzie Francy. Con me.

— Francy, Elizabeth, cittadina ID CLM-03-9645-957 — recitò il sistema. — Catturata alle 4.45 pomeridiane. 18 maggio 2121 al 349 Est della 96.ma Strada dal robot poliziotto della Patterson Protect numero di serie 45296, con l’autorizzazione per l’Enclave di Manhattan Est di effettuare operazioni ufficiali all’interno della cupola dell’enclave. Posta in stato di detenzione al quartier generale della Patterson Protect alle 5.01 pomeridiane, personale di guardia, agente Karen Ellen Foster. Motivo della carcerazione: effrazione e violazione di domicilio. Attuale stato legale: operazione limitata all’enclave, non notificata alla NYPD. Attuale stato della detenuta: in custodia, nessun avvocato registrato.

Theresa ripeté in maniera cocciuta, perché non sapeva cosa altro dire: — Voglio portarla a casa.

— La detenuta non è in stato d’arresto da parte della NYPD. La Patteroan Protect non ha diritti di detenzione prolungata senza che ci sia notifica alla nypd. Non è stata inoltrata alcuna notifica per Francy, Elizabeth, cittadina ID CLM-03-9645-957. Tuttavia la persona arrestata non è autorizzata a rimanere all’interno dell’Enclave di Manhattan Est a meno che sia accolta da un cittadina residente.

— Lei è… mia ospite. — Era abbastanza? Cazie lo avrebbe ritenuto sufficiente. Theresa disse, con maggiore fermezza: — Mia ospite. Mia. Di Theresa Aranow.

— Mi consenta di mettere agli atti che, in assenza di notifiche alla nypd da parte della Patterson Protect, la detenuta Elizabeth Francy. cittadina ID CLM-03-9645-957 è stata rilasciata sotto richiesta della cittadina Theresa Katherine Aranow, cittadina ID CGC-02-8735-341. Grazie per il sostegno dato alla Patterson Protect.

Theresa si fece prendere improvvisamente dal panico. — E il bambino! Mi lasci portare a casa anche il bambino, il bambino di Lizzie, non mi ricordo il nome… il bambino!

Il sistema non rispose. Theresa chiuse gli occhi, lottando per mantenere il controllo. Cazie non si sarebbe fatta prendere dal panico. Cazie avrebbe aspettato di vedere se Lizzie fosse uscita da una di quelle porte tenendo in braccio il bambino. Cazie avrebbe aspettato e poi deciso cosa fare… "Lei era Cazie."

— Signorina Aranow? — disse Lizzie. — "Theresa?" Theresa riaprì gli occhi. Lizzie era lì, senza il bambino. La stava fissando con occhi sbarrati e Theresa ricordò che aspetto dovesse avere. Disse: — Dov’è… dov’è il piccolo?

— Il piccolo? Il mio bambino, vuoi dire? A casa con mia madre, lui. Perché?

— Pensavo…

— Che cosa ti è successo?

In quel momento, Theresa crollò. Non era Cazie. Dal momento che c’era qualcun altro, un estraneo, che Lizzie aveva rammentato a Theresa che aspetto avesse, che lei era riuscita a fare uscire Lizzie non era più Cazie. Era Theresa Aranow e sentiva il respiro affannarsi e vedeva il braccio ossuto aggrapparsi alla scompigliata ragazzetta Viva che, per quanto ne sapeva Theresa, poteva anche essere l’unico altro essere umano in un’enclave prossima a essere colpita da una bomba atomica. Theresa gemette.

— No, non qui — disse Lizzie da una certa distanza. — Dio, è proprio come Shockey, vero? E non hai mai inalato un neurofarmaco. Vieni, non cadere, appoggiati a me. No aspetta, ho bisogno di recuperare il mio terminale. Sistema dell’edificio! Voglio lo zaino, io, quello che avevo quando sono arrivata qui!

Le gambe indebolite di Theresa cedettero. Le sue stampelle caddero a terra e lei insieme con loro. In seguito quanto tempo dopo? si sentì mezzo trascinare, mezzo portare all’esterno. Infilare in un robotaxi. Tenere fermamente attorno alle spalle.

— Forza, ragazza mia, va tutto bene. Forza piccola — stava dicendo Lizzie in continuazione. — Non fare così, tu. Non puoi fare così, io ho bisogno di te!

"Ho bisogno di te." Quella frase le penetrò nel cervello. "Ho bisogno di te." Come la gente aveva bisogno di Cazie, come la gente aveva bisogno di Jackson, ma non di Theresa. La gente non aveva mai avuto bisogno di Theresa perché lei era sempre stata quella bisognosa.

Non quella volta.

Si sforzò ancora una volta di diventare Cazie. Il suo respiro rallentò, le strade si misero a fuoco nuovamente, le dita si staccarono da Lizzie. Le scattò di nuovo qualcosa nel cervello.

Lizzie la fissava sbalordita. — Come hai fatto?

— Non posso… spiegarlo.

— Be’, allora non farlo, tu. Abbiamo cose più importanti di cui occuparci. Dove puoi fare andare questo aggeggio per poter parlare?

— A casa!

— No. Probabilmente è sotto controllo. Cos’è tutto quel bosco?

— Central Park. Ma non possiamo…

— Robot — disse Lizzie — scendi al Central Park e fermati in un luogo appartato. Devono esserci un sacco di alberi e niente persone nel giro di cento metri.

Il robotaxi sfrecciò attraverso le strade dell’enclave, entrò nel parco e si fermò sotto un immenso acero presso l’East Green. Con una mano, Lizzie trascinò Theresa fuori dal robotaxi. Con l’altra teneva uno zaino color porpora che aprì sull’erba per estrarre un terminale. Il robotaxi sparì.

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