Mendicanti e superuomini - Кресс Нэнси (Ненси) 13 стр.


Miranda Sharifi si risedette.

La commissione sembrò sbalordita, e a ragione. Cosa ancora più interessante, anche Leisha Camden apparve sbalordita. Evidentemente non era questo che si era aspettata di sentir dire dalla sua protetta. Sussurrò freneticamente nell’orecchio di Miranda.

— Non ho mai sentito tante stronzate così poco professionali! — esplose Martin Davis Exford, premio Nobel in fisica molecolare, in piedi dietro alla tavola riservata ai commissari. La sua voce possente superò quella di tutti gli altri. Vene color marroncino gli pulsavano sotto la superficie del collo.

— Sono profondamente offeso, signorina Sharifi, per il suo comportamento nei riguardi di questo Foro. Siamo qui per determinare fatti scientifici, non per indulgere in attacchi contro l’uomo!

Un giornalista che indossava un abito di gran moda a strisce gialle, strillò dalla fila anteriore del banco della stampa: — Signorina Sharifi, sta forse cercando di perdere questo caso?

Lentamente, voltai la testa nella sua direzione.

— Ehi, Miranda, guarda da questa parte! — gridò il reporter di un canale di Vivi, con la robocamera che gli fluttuava accanto. — Un bel sorriso!

— Ordine, per cortesia! Ordine! — esclamò la moderatrice Yongers.

— Miranda, sorridi!

Il pandemonio crebbe. Un uomo balzò in avanti dalla sezione riservata al pubblico e caricò in avanti, lungo il corridoio inclinato, in direzione del fondo del Foro.

Ebbi una chiara visuale della sua faccia. Era distorta dalla maschera dell’odio. L’uomo si catapultò verso Miranda, estraendo qualcosa dalla giacca. Diciassette robocamere e tre robot di sicurezza sfrecciarono verso di lui.

Egli colpì lo scudo invisibile a energia-Y davanti alle tavole dei partecipanti e vi rovinò contro con un udibile schianto del cranio o di qualche altro osso. Un robot addetto alla sicurezza lo trascinò via.

— …riportare ordine in questo procedimento; subito…

Miranda Sharifi non si mosse mai.

Alla fine la moderatrice Yongers, non avendo alcuna altra scelta reale, sospese la seduta per il pranzo.

Io mi feci strada a spintoni verso la parte anteriore della caotica aula del Foro, cercando di adocchiare Miranda Sharifi, cosa ovviamente impossibile. Fra di noi si ergeva lo scudo a energia-Y e alcune guardie del corpo dal fisico spettacolare fecero uscire lei e Leisha Camden da una porta sul retro. Le avvistai nuovamente sul tetto, dopo che le guardie ebbero messo KO quattro persone per arrivarvi. Salirono su un aeromobile. Svariate altre le seguirono per braccarle da vicino, ma io mi convinsi che a nessuno di loro sarebbe servito a nulla. Non avrebbero scoperto più di quanto non avessi fatto io.

Che cosa avevo scoperto?

Il giornalista a strisce gialle aveva ragione. La performance di Miranda Sharifi aveva soltanto assicurato che il Caso 1892-A era morto e sepolto. Non soltanto lei aveva messo in discussione la competenza tecnica e intellettuale di otto scienziati, ma li aveva anche insultati. Avevo effettuato una breve ricerca su tre di quegli scienziati, i premi Nobel, e sapevo che non erano affatto mercenari, ma persone della massima integrità. Doveva saperlo anche Miranda. E allora, perché?

Forse a dispetto di qualsiasi ricerca avesse portato avanti, era realmente convinta che tutti i Dormienti fossero corrotti. Sua nonna, una donna brillante, lo aveva creduto. Non so perché, ma non pensavo che fosse il caso di Miranda.

Forse lei credeva che i cinque scienziati non premiati, mediocrità con ottime connessioni politiche, avrebbero inevitabilmente superato nel voto gli imparziali Nobel. Ma se così era, perché alienarsi tre potenziali alleati? E perché accettare l’insediamento delle cinque mediocrità fin dal principio? Tutti i commissari erano stati accettati da entrambe le parti.

No. Miranda Sharifi "voleva" perdere questa causa. Voleva che venisse espressa una decisione contro il Depuratore Cellulare.

Forse si era alienata i commissari per… perché? Per rendere più difficile l’ottenimento dell’approvazione ufficiale del brevetto. Forse stimava la vittoria soltanto se era conquistata con difficoltà. Forse rendere tutto il più difficile possibile faceva parte di qualche codice d’onore Insonne, derivato dal fatto che per loro era tutto sempre molto facile. Come cazzo facevo a saperlo?

Tutta questa razionalizzazione si tradusse in autodisgusto. A dispetto del caldo, era una magnifica giornata a Washington, uno di quei pomeriggi dal cielo limpido e azzurro e dalla luce dorata che sembrano essere portati dal vento da qualche città più privilegiata. Camminai nel centro commerciale, attirando l’attenzione: il Mulo pazzo che andava vestito come un Vivo ritornato alle origini. Spacciatori di droga, innamorati e ragazzini che stavano per salire sulla ferrovia a gravità mi lasciarono in pace, il che mi andò benissimo. Ero in uno di quei brevi e taglienti momenti di autointerrogazione che ti lasciano in seguito sia esausta sia imbarazzata. Che ci facevo io a gironzolare con quegli stupidi vestiti in plastica, cercando di estrapolare qualche difficile significato personale dal seguire persone che mi erano più che evidentemente superiori?

Perché gli Insonni mi erano superiori e non solo in quanto a intelligenza. In quanto a disciplina, pura visuale d’insieme. In quanto all’invidiabile certezza che accompagna sempre lo scopo, anche se non sapevo di che scopo si trattasse, mentre tutto quello che avevo io era un vago e indefinito senso di allarme su dove fosse diretto il mio paese. Un allarme innescato da un cagnolino rosa senziente che era precipitato oltre la balaustra di un terrazzo. Se ci ripensavo, adesso, mi sembrava sciocco.

Non riuscivo nemmeno a stabilire dove pensavo dovesse dirigersi il mio paese. Sapevo solamente impedire, non spingere, e non ero nemmeno certa di ciò che stavo impedendo. C’era sicuramente sotto molto di più del Caso 1892-A.

Non sapevo che cosa stessero cercando di fare gli Insonni. Nessuno lo sapeva. E allora che cosa mi rendeva così maledettamente sicura che dovessi impedire loro di farlo?

D’altra parte, nulla di quello che avevo fatto io fino a quel momento, o che sembrava probabile potessi fare in un prossimo futuro, aveva avuto il benché minimo effetto sui piani di Miranda Sharifi. Non avevo fatto rapporto su di lei all’ECGS, non l’avevo tenuta sotto costante sorveglianza, non avevo nemmeno raggiunto una coerente conclusione su di lei negli intimi e imperscrutabili recessi della mia mente. Io ero completamente irrilevante. Non avevo quindi nulla da rimpiangere, nulla di cui pentirmi di avere o non avere fatto, nulla da cambiare.

Non so perché, ma questo non riuscì a rallegrarmi.

I successivi quattro giorni furono una delusione. Molto tempo venne riservato alla struttura terziaria e quaternaria delle proteine. Ci fu un acceso e incomprensibile dibattito su come le equazioni di trasferimento di Worthington venivano applicate alla codifica ridondante dell’RNA, durante il quale mi addormentai. Non fui la sola. Sempre meno persone si presentavano ogni giorno. Di quelle che lo facevano, solamente gli scienziati apparivano rapiti.

In qualche modo non mi sembrava giusto. Miranda Sharifi ci aveva detto che avevamo davanti la più grande scoperta scientifica degli ultimi duecento anni e alla maggior parte di noi sembrava soltanto alchimia. IL POPOLO DEVE CONTROLLARE SCIENZA E TECNOLOGIA. Già, giusto. Ma come possono degli ignoranti prendere decisioni su magie che non riescono a comprendere?

Alla fine, respinsero la richiesta.

Due dei premi Nobel, Barbara Poluikis e Martin Exford, scrissero opinioni dissenzienti. Favorirono il permesso di effettuare beta-test su volontari umani e non esclusero la possibilità di futuri brevetti. Volevano la conoscenza scientifica. Lo si poteva vedere anche attraverso le parole formali della loro breve opinione congiunta, che sbavavano per essa. Vidi Miranda Sharifi osservarli attentamente.

L’opinione della maggioranza fece di tutto tranne che stamparsi sulla bandiera americana. Sicurezza per i cittadini statunitensi, sacra fiducia, conservazione dell’identità del genere umano, bla, bla, bla. Tutto quello che, in effetti, mi aveva spinto a unirmi all’ECGS nel giorno in cui Katous si era scaraventato giù dal balcone.

A un livello più profondo, credevo ancora che l’opinione della maggioranza fosse giusta. La biotecnologia non regolamentata possedeva un incredibile potenziale distruttivo. Nessuno poteva realmente regolamentare la biotecnologia di Huevos Verdes perché nessuno riusciva realmente a comprenderla. L’intelligenza dei Super-Insonni e la protezione americana dei brevetti si combinavano per assicurarlo. Se non la si poteva regolamentare, meglio tenerla del tutto fuori dal paese.

Lasciai l’aula del tribunale profondamente depressa. Scoprii immediatamente che la mia ignoranza sulla biologia cellulare non era la mia sola e peggiore ignoranza. Pensavo di essere una cinica. Il cinismo, però, è come il denaro: c’è sempre qualcun altro che ne ha più di te.

Mi sedetti sui gradini del Tribunale Scientifico, con la schiena appoggiata a una colonna dorica dello spessore di una piccola sequoia. Soffiava un debole vento. Due uomini si fermarono al riparo della colonna per accendere pipe di sole, una sostanza stupefacente: avevo notato che alla gente dell’Est piaceva fumarla. In California preferivamo berla. Gli uomini, modificati geneticamente nella bellezza, indossavano i severi abiti neri senza maniche che andavano di moda al Campidoglio. Mi ignorarono entrambi. I Vivi notavano immediatamente che non ero una di loro, ma i Muli guardavano raramente al di là delle tute e dei gioielli di latta. Erano motivi sufficienti per il disinteresse.

— Allora quanto pensi che manchi? — chiese un uomo.

— Tre mesi fino al mercato, forse. Immagino che verrà dalla Germania o dal Brasile.

— E se Huevos Verdes non lo facesse?

— John, perché non "dovrebbero"? Ci si può fare una fortuna e quella Sharifi non è una pazza. Io controllerò con grande attenzione la tendenza degli investimenti.

— Sai, non mi interessa nemmeno troppo del fattore investimenti — la voce di John era mesta. — Lo vorrei soltanto per Jana, me e le bambine. Jana ha quelle cisti che vanno e vengono da anni, quello che abbiamo per adesso riesce soltanto a contenerle.

L’altro uomo appoggiò una mano sul braccio di John. — Controlla il Brasile. Ci scommetterei. Sarà una cosa veloce, più veloce che se non l’avessimo patentata qui. E senza tutte le complicazioni di ogni maledetto paese di Vivi che lo pretende per la propria unità medica a costi impossibili.

Accese le pipe, si allontanarono.

Rimasi lì seduta meravigliandomi della mia stupidità. Era ovvio. Rifiutare il Depuratore Cellulare per lo sviluppo americano, creare un immenso capitale politico per la "protezione" dei Vivi, risparmiare uno sbalorditivo ammontare di crediti non offrendo il farmaco rivoluzionario alla propria giurisdizione politica e, quindi, acquistarlo per se stessi e i propri cari Oltreoceano. Ovvio.

Il popolo deve controllare scienza e tecnologia.

Forse il dottor Lee Chang aveva ragione. Forse il Depuratore Cellulare sarebbe andato a male e li avrebbe uccisi tutti. Tutti meno i Vivi, che a quel punto si sarebbero sollevati per formare uno stato giusto e umano.

Già. Giusto. La madre di Desdemona e gli altri Vivi che avevo visto sul treno, messi a controllare una biotecnologia che potrebbe alla fine alterare la razza umana in qualcosa d’altro. I ciechi geni uniti, alla cieca. Giusto.

L’inerzia, cugina di primo grado della depressione, mi afferrò. Rimasi lì seduta, prendendo freddo, finché il cielo non si scurì e il sedere non cominciò a dolermi per il marmo duro. Il portico era deserto da moltissimo tempo. Lentamente, irrigidita, issai il corpo sulle gambe, ed ebbi il primo colpo di fortuna da settimane.

Miranda Sharifi stava scendendo lungo gli ampi gradini, mantenendosi in ombra. Il volto non era il suo e la tuta marrone non era la sua e io l’avevo vista salire insieme con Leisha Camden su un aeromobile che era partito due ore prima inseguita da mezza Washington. Questa Viva aveva la pelle chiara, il naso largo e corti capelli biondo cenere. E allora perché ero così sicura che si trattasse di Miranda? Forse per la testa grossa e la punta di un nastro rosso che, con le lenti focalizzate a zoom, vidi far capolino dalla sua tasca posteriore. Oppure, forse, era solo che avevo bisogno che fosse lei, e che la "Miranda" che era partita con Leisha Camden fosse una sosia.

Mi infilai la mano in tasca per prendere il sensore a infrarossi a media gittata che mi aveva dato Colin Kowalski e lo puntai furtivamente su di lei. Esso superò la scala. Miranda o no, quella persona aveva il metabolismo accelerato di un Super-Insonne. E non c’era alcun agente dell’ECGS in vista.

Non che avrei potuto vederne.

Mi rifiutai tuttavia di cedere al pessimismo. Miranda era mia. La seguii alla stazione della ferrovia a gravità, soddisfatta di come mi stesse tornando in mente, con facilità, tutto il mio vecchio addestramento. Salimmo su un treno locale diretto a nord. Ci accomodammo in una carrozza affollata e maleodorante con così tanti bambini che sembrava quasi che i Vivi dovessero riprodursi lì sul pavimento sporco.

Ci fermammo ogni venti minuti circa in qualche oscura cittadina di Vivi. Non osai dormire: Miranda poteva scendere da qualche parte senza di me. E se il viaggio fosse durato giorni? Arrivati al mattino mi ero abituata a sonnecchiare fra una fermata e l’altra, il mio inconscio allertato. In una pausa sognai di avere perduto Miranda e che il Tribunale Scientifico mi aveva messo sotto processo per inutilità nei confronti dello stato. Il peggiore fu il sogno in cui mi veniva iniettato il Depuratore Cellulare e mi rendevo conto che in effetti era chimicamente identico al detersivo industriale usato dal mio robot delle pulizie nell’enclave di San Francisco e che ogni cellula del mio corpo si stava dolorosamente sciogliendo in candeggina e ammoniaca. Mi svegliai boccheggiando, il mio volto appariva distorto contro il vetro nero.

In seguito rimasi sveglia. Osservai Miranda Sharifi mentre il treno a gravità, miracolosamente privo di guasti, scivolava attraverso le montagne della Pennsylvania e dentro lo Stato di New York.

7

Drew Arlen — Seattle

C’era una grata nella mia testa. Non riuscivo a farla andare via.

La sua forma vi fluttuava ormai costantemente, assomigliando parzialmente ai graticci su cui si arrampicano le rose. Era del color porpora scuro che assumono gli oggetti nel tardo tramonto quando è difficile distinguere di che colore sia effettivamente qualsiasi cosa. Miri mi ha detto una volta che nulla ha "realmente" un colore, era tutta questione di "lunghezza d’onde riflesse accidentale". Non capii quello che intendeva dire. Per me i colori sono troppo importanti per essere accidentali.

La grata si piegava e si chiudeva su se stessa formando un cerchio. Non riuscivo a vedere che cosa c’era all’interno del cerchio, anche se la grata aveva fori a forma di rombo. Tutto ciò che si trovava all’interno rimaneva completamente nascosto.

Non sapevo che cosa fosse quel segno grafico. Non mi suggeriva assolutamente nulla. Non riuscivo a costringerlo a suggerirmi qualche cosa, a cambiarne la forma o a farlo andare via. Non mi era mai successo in precedenza. Io ero il Sognatore Lucido. Le forme che provenivano dal mio inconscio profondo erano sempre cariche di significato, sempre universali, sempre malleabili. Io le modellavo. Le portavo in superficie, al mondo conscio.

Guardai l’ultimo giorno di Miri al Tribunale Scientifico sull’olo-visore in una camera d’albergo a Seattle, dove avevo in programma di dare il concerto revisionato de

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