Mendicanti e superuomini - Кресс Нэнси (Ненси) 9 стр.


Colin aveva alzato le spalle. Avevo pensato che si fosse già rammaricato di avermi reclutata, ma mi ero quindi resa conto che lui sperava che le mie buffonate avrebbero distolto l’attenzione dei veri agenti dell’ECGS che si stavano indubbiamente recando a Washington. Il Foro Federale per la Scienza e la Tecnologia, conosciuto altrimenti come Tribunale Scientifico, stava per esaminare la richiesta di brevetto n. 1892-A. Ciò che rendeva tale richiesta di brevetto diversa da quelle che andavano dal numero 1 al 1891 era che questa veniva inoltrata dalla Impresa di Huevos Verdes. Per la prima volta da dieci anni, i Super-Insonni stavano chiedendo l’approvazione governativa per mettere sul mercato una invenzione di modifica genetica patentata negli Stati Uniti. Non avevano una possibilità su un milione, ovviamente, ma era tuttavia interessante. Perché adesso? Che cosa stavano progettando? E si sarebbe presentato personalmente qualcuno dei ventisette all’udienza del Tribunale Scientifico?

E se qualcuno lo avesse fatto, sarei stata in grado di tenerlo o tenerla sotto sorveglianza?

Guardai fuori dal finestrino del treno i campi curati dai robot. Grano o forse soia, non ero sicura di che aspetto avesse nessuno dei due, che cresceva. Dieci minuti dopo Desdemona tornò. Il suo viso fece capolino fra le mie gambe allungate: era strisciata lungo il pavimento, sotto i sedili, attraverso la sporcizia, il cibo caduto e i rifiuti. Desdemona sollevò il piccolo busto fra le mie gambe, tenendosi in equilibrio con una mano appiccicosa sul mio sedile. L’altra mano schizzò in avanti e si chiuse sul mio braccialetto.

Io lo slacciai e glielo diedi nuovamente. La parte anteriore della sua tuta azzurra era sudicia. — Non c’è nessun robot-pulitore su questo treno?

Lei afferrò stretto il braccialetto e sogghignò. — È morto, quello.

Mi misi a ridere. Un istante dopo il treno a gravità si ruppe.

Io venni sbattuta a terra, dove caddi su mani e ginocchia, aspettando di morire. Sotto di me i macchinari stridettero. Il treno si fermò a sobbalzi ma non deragliò.

— Maledizione! — gridò il padre di Desdemona. — Non un’altra volta!

— Non possiamo prenderci un gelato, noi? — piagnucolò un bambino. — Adesso siamo fermi!

— La terza volta questa settimana! Fottuto treno di Muli!

— Non ci date mai un gelato!

Apparentemente i treni non deragliavano. Apparentemente non sarei morta. Apparentemente quei macchinari stridenti erano routine. Seguii tutti gli altri fuori dal treno.

In un altro mondo.

Un vento febbrile soffiava attraverso i chilometri di prateria: caldo, sussurrante, intossicante. Mi vennero le vertigini per la dimensione del cielo. Un infinito cielo azzurro brillante sopra, infiniti campi d’oro brillante sotto. Il tutto accarezzato da quel vento caldo quanto il sangue, impregnato di luce solare, gravido di fragranza. Io, amante della città, resistetti alla folle idea di scalciar via le scarpe e infilare le dita dei piedi nella terra scura.

Seguii invece i Vivi mugugnanti lungo i binari verso la parte anteriore del treno. Si raggrupparono attorno alla olo-proiezione di un tecnico, anche se mi ero accorta che il suo discorso inscatolato veniva diffuso in ogni carrozza. L’ologramma stava "in piedi" sull’erba e sembrava imponente e autoritario. Il proprietario della concessione era mio amico: credeva che i maschi di un metro e novantacinque dalla pelle scura fossero la proiezione ideale per favorire l’ordine.

"Non c’è alcun bisogno di allarmarsi Questo è un guasto temporaneo. Siete pregati di tornare alla sicurezza e alle comodità della vostra carrozza e fra qualche istante vi verranno serviti cibo e bevande omaggio. Un tecnico riparatore è già in viaggio dalla concessionaria ferroviaria. Non c’è alcun bisogno di allarmarsi."

Desdemona sferrò un calcio all’ologramma. Il suo piede vi passò attraverso e lei ammiccò, un inutile e succoso sorriso di trionfo. L’olo abbassò lo sguardo su di lei. "Non farlo più, bambina… mi hai sentito?" Gli occhi di Desdemona si spalancarono e lei volò dietro le gambe di sua madre.

— Non ti spaventare, tu, è soltanto interattivo — schioccò mamma Viva. — Lasciami andare le gambe!

Io strizzai l’occhio a Desdemona che mi fissò sbalordita e poi sorrise, agitando il nostro braccialetto.

"…alla sicurezza e alle comodità della vostra carrozza e fra qualche istante vi verranno forniti cibo e…"

Altre persone si avvicinarono alla motrice, tutte, a parte due, si lamentavano a voce alta. La prima era una donna anziana: alta, dal volto insignificante e spigolosa come un pezzo di gioco a incastro. Non indossava una tuta, ma una lunga tunica lavorata a maglia di delicate e sfumate tonalità di verde, troppo diseguale per essere fatta a macchina. I suoi orecchini erano semplici pietre verdi levigate. Non avevo mai visto prima di allora un Vivo con buon gusto.

L’altra anomalia era un giovanotto basso dai capelli rossi e serici, pelle chiara e una testa un po’ troppo grossa rispetto al corpo.

Sentii pizzicare la nuca.

All’interno delle carrozze, robot-servitori emersero dagli scompartimenti-magazzino e offrirono vassoi di snack di soia sintetizzati di fresco, svariate bevande e droghe leggere. Continuavano a ripetere: "Con gli omaggi del Senatore di Stato Cecilia Elizabeth Dawes. Siamo felici di avervi a bordo". Questo diversivo occupò quasi una mezz’ora. Poi tutti tornarono all’esterno e ripresero a lamentarsi.

— Che razza di servizio si ha al giorno d’oggi…

— …la prossima volta giuro che voto per qualcun altro, io… "chiunque" altro…

"Guasto temporaneo. Siete pregati di ritornare alla sicurezza e alle comodità della…"

Camminai sull’erba incolta al margine del campo più vicino. L’Insonne-travestito-in-modo-inadeguato restò a fissare la folla, osservandola con un atteggiamento pseudo-casuale come il mio. Al momento non mi aveva ancora notato. Il campo era circondato da una bassa recinzione a energia, presumibilmente per trattenere all’interno gli agro-robot. Essi trottavano lentamente fra le file di grano dorato, svolgendo il loro compito. Io balzai al di là della recinzione e ne presi in mano uno. Ronzava dolcemente, una sfera scura dotata di tentacoli flessibili. Sul fondo appariva un’etichetta CANCO ROBOTS/LOS ANGELES. La CanCo si era trovata sul "Wall Street Journal On-line" della settimana precedente: era nei guai. I suoi agro-robot avevano improvvisamente cominciato a rompersi in tutto il paese. La concessionaria stava per affondare.

Il vento caldo sussurrava seducente attraverso il grano dalla dolce fragranza.

Mi sedetti a terra, a gambe incrociate, appoggiando la schiena alla recinzione a energia. Attorno a me gli adulti si misero a giocare a dadi o a carte. I bambini scorrazzavano tutti attorno, gridando. Una giovane coppia mi passò accanto e scomparve fra il grano, sesso nello sguardo. La donna più anziana si sedette per proprio conto a leggere un libro, un vero libro. Non riuscii a immaginare dove potesse esserselo procurato. L’Insonne dalla grossa testa, se questo era ciò che lui-lei era, si stese a terra, chiuse gli occhi e fece finta di dormire. Io sogghignai. Non mi è mai piaciuta l’auto-ironia. Nelle altre persone.

Dopo due ore i robot-servitori portarono nuovamente fuori cibo e bevande. "Con gli omaggi del Senatore di Stato Cecilia Elizabeth Dawes. Siamo felici di avervi a bordo." Quanta soia sintetica trasportava un treno a gravità di Vivi? Non ne avevo idea.

Il sole proiettava lunghe ombre. Salterellai verso la donna che stava leggendo. — Bel libro?

Sollevò lo sguardo su di me, esaminandomi. Se Colin aveva mandato me al Tribunale Scientifico di Washington poteva decisamente avere mandato anche degli agenti legittimi. E se Testa Grossa era un Insonne, poteva avere un "accompagnatore" personale. Tuttavia, qualcosa nel volto della donna che leggeva mi convinse che non era lei. Non era modificata geneticamente, ma non era quello il punto. Si possono trovare famiglie di Muli che rifiutano perfino le modificazioni genetiche permesse e continuano a esistere in corporazioni molto solide ma ai margini della società. Lei non era nemmeno quello. Era qualcos’altro.

— È un romanzo — disse con espressione indifferente la donna. — Jane Austen. È sorpresa del fatto che esistano ancora Vivi che sanno leggere? O che vogliono farlo?

— Sì. — Sorrisi con atteggiamento cospiratore, ma lei mi lanciò soltanto un’occhiata e tornò al proprio libro. Un Mulo rinnegato non stimolava il suo disprezzo, né indignazione, né adulazione. Non le interessavo davvero. Provai uno sciocco rispetto.

Apparentemente non sapevo così tanto sulla varietà dei Vivi come avevo ritenuto.

Il tramonto mi estasiò. Il cielo si fece lucido e vulnerabile, quindi striato di colori rarefatti. I colori si fecero aggressivi e vennero seguiti da tenui e remoti pastello. Divennero quindi freddi e scuri. Un intero rapporto amoroso, empireo, in trenta minuti. Claude-Eugene-Rex-Paul-Anthony-Russel-David.

Non comparve alcun tecnico riparatore. La prateria si rinfrescò rapidamente: risalimmo tutti sul treno, furono accesi le luci e il riscaldamento. Mi chiesi che cosa sarebbe successo se quei servizi, o i robot-servitori, si fossero guastati anche loro.

Qualcuno disse, non a voce alta e a nessuno in particolare: — Il mio gettone-pasto è arrivato in ritardo dalla capitale lo scorso trimestre.

Pausa. Mi sedetti con la schiena più eretta: questo era un tono nuovo. Nessuna lamentela. Qualcosa di diverso.

— Nel mio paese non ci sono più tute. Il Mulo del deposito dice che c’è penuria nazionale, lui.

Pausa.

— Noi siamo su questo treno, noi, per andare a prendere la mia vecchia madre in Missouri. Il riscaldamento a casa sua si è rotto e nessuno l’ha presa con sé. Adesso non ha per niente riscaldamento, lei.

Pausa.

Qualcuno disse: — C’è qualcuno che sa quanto è lontano il prossimo paese? Forse ci potremmo arrivare a piedi, noi.

— Non siamo tenuti a camminare, noi! Loro devono mettere a posto questo fottuto treno! — disse mamma Viva, in un’esplosione di rabbia e saliva.

Il tono pacato era scomparso. — Giusto! Noi siamo votanti, noi!

— I miei bambini non possono camminare fino al paese dopo… Cosa sei tu, un fottuto Mulo?

Vidi l’uomo dalla testa grossa fissare un volto dietro l’altro.

L’ologramma dell’alto tecnico bruno apparve all’improvviso all’interno della carrozza, in piedi nel corridoio centrale. "Signore e signori, la Ferrovia a gravità Morrison si scusa ancora una volta per il ritardo nel servizio. Per rendere la vostra attesa più gradevole ci pregiamo presentarvi una produzione nuovissima, non ancora trasmessa dagli olo-canali, con gli omaggi del Congressista Wade Keith Finley. Drew Arlen, il Sognatore Lucido, nel suo nuovissimo concerto

L’uomo dalla testa grossa osservò tranquillamente i compagni passeggeri che incollavano le facce ai finestrini di sinistra.

Un lungo palo sgusciò dal tetto della carrozza dietro alla nostra, che era posta al centro del treno. Il palo si alzò fino a formare un angolo ottuso rispetto al terreno e si allungò quasi fino al campo di grano. Dall’estremità del palo si estese una luce a ventaglio verso il basso, formando una piramide. Tutti esclamarono "Oooohhhh!". I proiettori portatili non fornivano mai la definizione di una buona unità stabile ma non pensavo che a questo pubblico sarebbe interessato. L’ologramma di Drew Arlen apparve al centro della piramide, tutti esclamarono nuovamente "Oooohhhh!".

Io scivolai fuori dal treno.

Al buio e da vicino, l’ologramma sembrava ancora più strano: un uomo alto quattro metri e mezzo, dai contorni sfuocati seduto su una carrozzella elettrica, con lo sfondo di chilometri di prateria oscura. Sopra, scintillavano fredde stelle, immensamente in alto. Aprii la giacca in plastitessuto che avevo nella tasca della tuta.

L’ologramma disse: "Sono Drew Arlen. Il Sognatore Lucido. Lasciate che i vostri sogni si avverino".

Avevo assistito una volta a una rappresentazione di Arlen dal vivo, a San Francisco, quando bazzicavo nei bassofondi con amici. Ero stata l’unica persona nella Sala da Concerto Congressista Paul Jennings Messura a non rimanere coinvolta. Resistenza naturale all’ipnosi, aveva detto il mio dottore. Il tuo cervello non possiede la necessaria calibrazione biochimica. Sogni di notte?

Non sono mai stata in grado di ricordare uno solo dei miei sogni.

La luce piramidale attorno a Drew Arlen cambiò, in qualche modo, tremolò in modo strano. Schemi subliminali. I modelli si fusero lentamente in forme intricate e la voce di Arlen, bassa e intima, cominciò una storia.

"C’era una volta un uomo di grandi speranze e nessun potere. Quando era giovane, voleva tutto…"

Oh, per cortesia! Chiacchiere grezze che bussavano a desideri basilari. E pensare che alcuni "Muli" definivano quel delinquentello un artista!

Tuttavia le forme erano intriganti. Scivolavano oltre la carrozzella di Arlen piegandosi e aprendosi, alcune apparendo chiare e altre indistinte al limite della percezione conscia. Sentii il sangue scorrere più forte nelle vene, quell’improvviso stimolo di vita che si ha a volte davanti al sesso, alla primavera o alla sfida. Non ero immune ai subliminali. Questi dovevano essere fantastici.

Sbirciai nella carrozza del treno a gravità. I Vivi stavano immobili con le facce premute contro il vetro. Desdemona guardava a bocca aperta, una piccola buca rosa.

Mi rivolsi nuovamente verso Drew Arlen, che dipanava ancora la sua semplice storia. Aveva una voce musicale. La storia era una specie di pseudo ballata popolare priva di sottigliezze, priva di ironia, priva di arte. Le parole rappresentavano soltanto il nudo scheletro su cui scintillava la grafica. Mi era stato detto che ogni persona provava un’esperienza diversa rispetto a un concerto di Drew Arlen, a seconda dei simboli liberati ed evidenziati dalle possenti esperienze infantili, immagazzinate in ogni mente. Mi era stato detto, ma non ci avevo creduto.

Camminai esternamente lungo il treno, nel buio, analizzando i volti dei Vivi dietro ai finestrini. Alcuni erano bagnati di lacrime. Qualsiasi cosa stessero provando sembrava più intensa di tutto ciò che io avevo provato, più intenso della droga o di un lavaggio di nervi. Intenso come un orgasmo.

Nessuno regolava il Sogno Lucido. Arlen aveva un esercito di scadenti imitatori. Non duravano mai a lungo. Qualsiasi cosa stesse facendo Drew Arlen, era l’unica persona al mondo che sapesse come farlo. La maggior parte dei Muli lo ignoravano.

Drew Arlen, come tutto il mondo sapeva, era l’amante di Miranda Sharifi. Era l’unico Dormiente che entrava e usciva da Huevos Verdes a suo piacimento. L’ECGS lo seguiva costantemente, ovvio, insieme con tanti reporter da poter riempire una cittadina. Erano soltanto i suoi concerti che non prendevano seriamente.

Tornai lungo il treno e risalii nella mia carrozza. L’uomo dalla testa grossa era l’unico che non stava pressato contro il finestrino. Giaceva steso su un sedile vuoto, dormendo. O facendo finta di dormire. Per non restare ipnotizzato? Per meglio osservare gli effetti della rappresentazione di Arlen?

Il concerto procedeva noiosamente. Quando tutto terminò, le persone si voltarono l’una verso l’altra, abbracciandosi emozionate, ridendo e piangendo e quindi si riversarono sulla fredda prateria in direzione dell’ologramma di Drew Arlen. Egli sorrideva dolcemente ai propri discepoli. Le forme che lo circondavano erano svanite a meno che non stessero frusciando a livello subliminale, il che era possibile. Alcuni Vivi infilarono le mani nell’ologramma, cercando di raggiungerlo. Desdemona danzò all’interno della piramide e appoggiò la testa sulla coperta posta sopra le ginocchia di Arlen.

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