Il pianeta dell'esilio - Le guin Ursula Kroeber 9 стр.


— Avranno bisogno delle nostre scorte e delle nostre bestie questa notte, per cibare tutte quelle persone — continuò Anweld. — Non appena queste saranno passate, attaccheranno.

— Mandate le nostre donne e i nostri figli nelle montagne ad ovest, allora. Questa Città è solo una trappola, davanti a un esercito così numeroso.

— Ti ascolto — disse Anweld, annuendo con un'alzata di spalle.

— Adesso… subito… prima che i Gaal ci circondino.

— Questo è già stato detto e ascoltato. Ma altri dicono che non possiamo mandare via le nostre donne a provvedere a se stesse mentre noi rimaniamo al riparo delle mura.

— Allora andiamo via anche noi! — mugugnò Wold. — Gli Uomini di Tevar non sanno più decidere nulla?

— Non hanno capo — rispose Anweld. — Seguono questo e quell'uomo, e quell'altro e nessuno. — Dire di più avrebbe dato l'impressione di voler biasimare Wold e il suo clan; non disse altro, se non: — Per questo attendiamo qui di essere distrutti.

— Io intendo allontanare le mie donne — disse Wold, seccato dalla fredda disperazione di Anweld, e lasciò il grande spettacolo della Migrazione, per discendere lungo la scaletta e per andare a dire ai congiunti di salvarsi finché rimaneva ancora una possibilità. Intendeva accompagnarli. Poiché non si poteva combattere contro un nemico così soverchiante, e una parte, almeno una piccola parte della popolazione di Tevar, doveva sopravvivere.

Ma i giovani uomini del suo clan non erano d'accordo e non erano disposti ad obbedire ai suoi ordini. Volevano fermarsi lì per combattere.

— Ma morirete — disse Wold, — mentre le vostre mogli e i vostri figli potrebbero salvarsi… se non restassero qui con voi. — La sua lingua era di nuovo pesante. Non aspettarono neppure che finisse di parlare.

— Scacceremo i Gaal — disse un giovane nipote. — Noi siamo guerrieri!

— Tevar è una città robusta, Anziano — disse un altro, in tono convincente, adulatore. — Tu ci hai insegnato a costruirla bene.

— Resisterà all'Inverno — disse Wold. — Ma non a diecimila guerrieri. Preferisco vedere le mie donne morire di freddo sulle colline spoglie, piuttosto che saperle vive come schiave e concubine dei Gaal! — Ma non lo ascoltavano: aspettavano soltanto che finisse di parlare.

Uscì nuovamente all'esterno, ma ormai era troppo stanco per salire una seconda volta la scaletta che portava alla piattaforma. Si trovò un posto dove attendere, fuori dell'andirivieni delle strette vie: una nicchia accanto a un muro di sostegno delle fortificazioni sud, non lontano dalla porta. Se saliva sul muro inclinato, fatto di mattoni, poteva guardare al di là delle mura fortificate, e osservare lo svolgersi della Migrazione; quando il vento gli penetrava sotto il mantello, poteva accovacciarsi, con il mento sulle ginocchia, e trovare un po' di riparo nella nicchia. Per qualche tempo il sole splendette su di lui, nel suo nascondiglio. Egli godette il suo tepore e non pensò molto. Una volta o due alzò gli occhi al sole, il sole dell'Inverno, vecchio, debole per la tarda età.

L'erbaverna, le piccole piante dalla vita breve e dalla rapida fioritura che crescevano tra una tormenta e l'altra fino a metà dell'inverno, allorché la neve non si scioglieva più e cresceva soltanto il grano delle nevi, privo di radici, stava già spuntando sulla terra calpestata, sotto le mura. C'era sempre qualcosa che viveva, e ciascuna creatura attendeva il suo tempo per tutto il corso dell'Anno, fioriva e moriva per tornare ad attendere.

Le lunghe ore passarono.

Si udirono grida e gemiti all'angolo nordovest delle mura. Gli uomini passarono di corsa per le strade della piccola città, vicoletti la cui larghezza era appena sufficiente a lasciar passare un uomo per volta, sotto i cornicioni sporgenti. Poi il ruggito delle urla si alzò alle spalle di Wold e all'esterno della porta, alla sua sinistra. V alta porta di legno a saracinesca, che veniva sollevata dall'interno grazie a corde, tremò. Usavano un tronco per spaccarla. Wold si alzò con difficoltà; si era così intorpidito, sedendo laggiù al freddo, che non si sentiva più le gambe. Per un minuto rimase appoggiato alla lancia, poi si mise di guardia con la schiena contro il muro di sostegno, e tenne pronta la lancia, senza la catapulta, in posizione per essere usata a corta distanza.

I Gaal dovevano avere usato delle scale, poiché erano già all'interno della città, sulla parte nord: Wold lo capiva dal rumore. Una lancia volò alta sui tetti, scagliata da una catapulta. La porta rimbombò di nuovo. Ai vecchi tempi non avevano scale e arieti, non giungevano a migliaia, bensì in tribù di straccioni, di barbari codardi che si precipitavano a sud prima del gelo, che non rimanevano nei loro Territori a vivere o morire come facevano i veri uomini… Ne giunse uno dalla faccia larga e bianca, con una penna rossa infilata nei capelli acconciati a forma di corno e ricoperti di pece: correva ad aprire la porta dall'interno. Wold fece un passo avanti e gli gridò: — Fermo lì! — Il Gaal si guardò intorno, e il vecchio gli cacciò la lancia dalla punta di ferro, lunga sei piedi, nel fianco sotto le costole, di punta. Stava ancora cercando di estrada dal corpo che si contorceva, quando, dietro di lui, la porta della città cominciò a schiantarsi. Era una vista orrenda: il legno che si spaccava come cuoio marcio, e la punta di un grosso tronco che faceva capolino dallo squarcio. Wold lasciò la lancia nella pancia del Gaal e corse per la strada, pesantemente, incespicando, in direzione della Casa della sua famiglia. I tetti di legno obliqui della città erano tutti in fiamme, dietro di lui.

CAPITOLO OTTAVO

Nella città straniera

La cosa più strana, in tutte le stranezze di quella casa, era il dipinto sulla parete della grande sala, al piano terreno. Quando Agat se ne era andato e le stanze erano divenute mortalmente silenziose, ella era rimasta a fissare il dipinto finché esso non era divenuto per lei il mondo, ed ella la parete. E il mondo era una rete: una rete profonda, simile ai rami che si intrecciavano nei boschi, simile alle correnti che si attraversavano reciprocamente nell'acqua, argento, grigio, nero, trapassati di verde e di rosa e di un giallo come quello del sole. E quando si guardava quella rete profonda si poteva vedere al suo interno, intessute o come cornice di ciò che vi era intessuto, forme e figure piccole e grandi, bestie, erbe, uomini e donne e altre creature, alcune simili ai Nati Lontano e altre dissimili; e strane immagini, scatole appoggiate su gambe rotonde, uccelli, asce, lance d'argento e piume di fuoco, facce che non erano facce, pietre con le ali e un albero le cui foglie erano stelle.

— Che cos'è? — ella chiese alla donna dei Nati Lontano a cui Agat l'aveva affidata, la sua consanguinea; ed ella, nella sua maniera che costituiva uno sforzo per essere gentile, le rispose: — Un quadro, un disegno… la tua gente disegna, vero?

— Sì, un poco. Di che cosa parla?

— Degli altri mondi e della nostra casa. Vi si vedono le popolazioni… È stato dipinto molto tempo fa, nel primo Anno del nostro esilio, da uno dei figli di Esmit.

— E questo che cos'è? — domandò Rolery, indicando il particolare, da una rispettosa distanza.

— Un edificio… il Grande Palazzo della Lega, sul mondo chiamato Davenant.

— E quello?

— Un eroplano.

— Ti ascolto ancora — disse Rolery, educatamente (si comportava sempre con il massimo della cortesia, ormai), ma quando vide che Seiko Esmit non pareva comprendere la formula rituale, le chiese: — Che cos'è un «eroplano»?

La donna dei Nati Lontano sporse un poco le labbra e disse in tono d'indifferenza: — Una cosa per viaggiare, come un… be', voi non usate neppure le ruote, come posso dirti? Hai visto i nostri carretti? Sì? Be', questo era un carro per viaggiare, ma volava nel cielo.

— Il vostro popolo è capace di costruire simili carri, adesso? — chiese Rolery, spinta da pura meraviglia, ma Seiko interpretò in modo sbagliato la domanda. Rispose con rancore: — No. Come avremmo potuto conservare simili capacità su questo pianeta, dato che la Legge ci ordinava di non sollevarci al di sopra del vostro livello? Dopo seicento anni, il vostro popolo non è ancora riuscito a imparare l'uso della ruota!

Triste in quel luogo straniero, esiliata dal suo popolo, ed ora rimasta sola dopo la partenza di Agat, Rolery aveva paura di Seiko Esmit e di ogni persona ed ogni cosa che incontrava. Ma non era disposta a farsi disprezzare da una donna gelosa, più vecchia di lei. Disse: — Domando perché desidero sapere. Ma non credo che il vostro popolo sia qui da seicento anni.

— Seicento anni della Lega sono dieci Anni di qui. — Dopo un istante, Seiko Esmit continuò: — Vedi, non sappiamo tutto ciò che dovremmo sapere sugli eroplani e su molte altre cose che un tempo appartenevano al nostro popolo, poiché quando i nostri antenati vennero qui, essi giurarono di obbedire a una legge della Lega, la quale proibiva loro di usare molte cose che erano diverse da quelle usate dal popolo indigeno. Questo veniva chiamato Embargo Culturale. Con il passare del tempo vi avremmo insegnato il modo di costruire le cose… ad esempio, i carri a ruote. Ma la Nave partì. Coloro di noi che rimasero qui erano pochi, e non giunse parola dalla Lega, e incontrammo molti nemici fra le vostre nazioni, in quei giorni. Fu difficile per noi attenerci alla Legge e conservare anche le cose che avevamo e le conoscenze di cui disponevamo. Fu così che forse perdemmo molte conoscenze e molte capacità. Non lo sappiamo.

— Era una strana legge — mormorò Rolery.

— Era fatta per il bene vostro… non per quello nostro — disse Seiko con il suo tono di voce affrettato, con la stessa pronuncia aspra e facilmente riconoscibile che contraddistingueva anche Agat. — Nei Canoni della Lega, che noi studiamo da bambini, è scritto: Nessuna Religione o Congruenza dovrà essere disseminata, nessuna tecnica o teoria dovrà essere insegnata, nessun modello o sistema culturale dovrà essere esportato, né si dovrà usare il linguaggio paraverbale con esseri d'intelligenza superiore non Comunicanti, né su alcun Pianeta Coloniale, finché non si sia deciso da parte del Consiglio di Zona, con il consenso del Plenum, che tale pianeta è pronto per il Controllo o per lo stato di Membro… Significa, vedi, che dovevamo vivere esattamente come voi. E nei casi in cui non viviamo allo stesso modo, allora abbiamo infranto le nostre stesse leggi.

— La cosa non ci ha danneggiati molto — disse Rolery. — E a voi non ha giovato molto.

— Tu non puoi giudicarci — disse Seiko, con la sua freddezza carica di rancore; poi, riprendendo ancora una volta il controllo di se stessa: — Adesso c'è del lavoro da fare. Vieni?

Sottomessa, Rolery segui Seiko. Ma, mentre uscivano, rivolse un'altra occhiata al dipinto. Aveva un'integrità superiore a quella di ogni altro oggetto ch'ella avesse visto. La sua severa, argentea, estenuante complessità le faceva lo stesso effetto della presenza di Agat; e quando Agat era con lei, ella lo temeva, ma non temeva altro. Né cose, né persone.

I guerrieri di Landin erano partiti. Avevano qualche speranza, mediante imboscate e attacchi di guerriglia, di spingere i Gaal verso il sud, verso vittime meno aggressive. Era poco più di una speranza, e le donne lavoravano per mettere la città in grado di sostenere un assedio. Seiko e Rolery si presentarono al Palazzo della Lega nella grande piazza, e laggiù le assegnarono al gruppo incaricato di radunare le mandrie di hann, nei lunghi campi a sud della città. Venti donne uscirono insieme; ciascuna, nel lasciare il Palazzo, ricevette un pacchetto di pane e latte cagliato di hann, perché dovevano stare fuori per tutta la giornata. Con la diminuzione del foraggio, le mandrie si erano spostate molto a sud, fra la spiaggia e le colline che l'accompagnavano. Le donne si spinsero a sud per circa otto miglia e poi fecero ritorno, procedendo a zig-zag, raccogliendo e spingendo le piccole, silenziose bestie pelose in numero sempre più grande.

Rolery ora vide le donne Nate Lontano sotto una nuova luce. Le erano parse delicate, quasi delle bambine, con le loro vesti morbide e leggere, la loro voce svelta e la loro mente rapida. Ma adesso erano uscite fra le stoppie bordate di ghiaccio delle colline, si erano vestite in pelliccia e calzoni come le donne umane, e spingevano in direzione del vento del nord le bestie lente e pelose, lavoravano insieme, con abilità e decisione. Erano meravigliose con le bestie, parevano guidarle più che sospingerle, come se esercitassero su di loro una sorta di dominio. Risalirono la strada che portava alla Porta del Mare dopo che il sole era già sceso, un pugno di donne in un mare peloso di bestie trotterellanti, dalle lunghe zampe. Quando le mura di Landin giunsero alla vista, una donna alzò la voce e cantò. Rolery non aveva mai udito una voce che facesse quel gioco con i timbri e i tempi. Dovette battere gli occhi e si senti un dolore alla gola, e i suoi piedi sulla strada scura seguirono il tempo della musica. Il canto passava da una voce all'altra, avanti e indietro; cantavano di una casa perduta che non avevano mai conosciuto, di tessere stoffa e di cucirvi gemme, di guerrieri uccisi in guerra; c'era il canto di una ragazza che era impazzita per l'amore e si era gettata nel mare. «Oh le onde si allontano prima della marea…». Con le loro dolci voci, trasformando il dolore in canto, giungevano insieme con le bestie: venti donne che camminavano nell'oscurità sferzata dal vento. La marea era alta, un'oscurità mormorante dietro le dune, alla loro sinistra. Davanti a loro, sulle alte mura, erano accese le torce, e trasformavano in un'isola di luce la città dell'esilio.

Adesso, tutto il cibo di Landin era strettamente razionato. La gente mangiava in comune, in uno dei grandi edifici che circondavano la piazza, oppure, se voleva, si portava a casa le razioni. Le donne che erano andate a prendere gli animali erano in ritardo. Dopo una cena frettolosa nello strano edificio chiamato Tiatro, Rolery si recò con Seiko Esmit in casa della donna Alla Pasfal. Avrebbe preferito recarsi nella casa vuota di Agat e restarci sola, ma faceva tutto ciò che le veniva chiesto di fare. Non era più una ragazza e non era più libera. Era la moglie di un Alterra, e una prigioniera sopportata. Per la prima volta della sua vita, ella obbediva.

Nel focolare non ardeva alcuna fiamma, e tuttavia l'alta stanza era tiepida; lampade prive di lucignolo bruciavano entro gabbie di vetro sul muro. In quest'unica casa, grande come un'intera Casa Familiare di Tevar, una sola vecchia donna abitava in solitudine. Come potevano sopportare l'isolamento? E come potevano tenere entro le pareti il calore e la luce dell'estate? Ed essi vivevano per tutto l'anno in quelle case, per l'intera durata della loro vita, senza mai muoversi, senza abitare in tende sulle montagne, o nelle ampie Terre Estive, e spostarsi… Rolery sollevò la testa assonnata e lanciò un'occhiata all'indirizzo della vecchia, Pasfal, per vedere se si fosse accorta della sua sonnolenza. Se n'era accorta. Quella vecchia vedeva tutto; e odiava Rolery.

E così la odiavano tutti gli Alterra, quegli Anziani dei Nati Lontano. La odiavano perché amavano Jakob Agat di un amore geloso; perché l'aveva sposata; perché era umana ed essi no.

Uno di loro stava dicendo qualcosa su Tevar, una cosa molto strana ch'ella non poté credere. Ella abbassò gli occhi, ma sulla sua faccia doveva essere comparso il terrore, poiché uno degli uomini, Dermat Alterra, smise di ascoltare gli altri e disse: — Rolery, non sapevi che Tevar è perduta?

— Ti ascolto — ella bisbigliò.

— I nostri uomini hanno attaccato i Gaal per tutta la giornata, da ovest — spiegò il Nato Lontano. — Quando i guerrieri Gaal hanno attaccato Tevar, noi abbiamo attaccato le loro salmerie e gli accampamenti che le loro donne stavano preparando, ad est della foresta. Questo ha distolto una parte dei loro uomini, e alcuni dei tevarani sono riusciti a uscire… Ma sia loro che i nostri si sono dovuti disperdere. Alcuni sono venuti qui; ma non sappiamo con sicurezza che cosa facciano gli altri, a parte il fatto che è una notte fredda e che sono all'addiaccio sulle montagne.

Назад Дальше