I figli dell'aria - Emilio Salgari 10 стр.


 Filiamo come le rondini, Fedoro. Guarda come spariscono i campi, i boschi e i villaggi! Questa macchina volante è una vera meraviglia.

 Purché qualche accidente non le faccia spezzare le ali e ci mandi a fracassarci sulla superficie della terra!

 Non credo che ciò possa accadere disse Rokoff. Questo treno aereo è duna solidità incredibile. Malgrado lo sforzo poderoso delle macchine, non si sente il più leggero fremito nel fuso. Leggerezza, potenza e solidità! Quel diavolo duomo non poteva ottenere di più. Ma e dove andiamo noi? Mi pare che lo «Sparviero» abbia deviato ancora.

 Si dirige verso quella città che vedo sorgere là in fondo disse Fedoro.

 Una città?

 Forse quella di Tschang-pin, perché alla nostra sinistra vedo un corso dacqua che deve essere molto voluminoso. Deve essere il Pei-ho.

 Allora ci dirigiamo al nord.

 E verso la grande muraglia, ne sono certo rispose Fedoro.

 LEuropa non si trova già al nord.

 Lo «Sparviero» piegherà poi verso lovest.

 No, signori disse una voce dietro di loro. Non ora; più tardi, molto tardi.

Il macchinista si era accostato loro tenendo fra le labbra una di quelle monumentali pipe di porcellana, usate dagli olandesi e dai tedeschi.

Il compagno del capitano era un bel giovane di venticinque o ventisei anni, di statura media, muscoloso e ad un tempo di taglia snella, colla pelle assai bruna, gli occhi nerissimi tagliati a mandorla e i capelli ondulati e biondissimi, che portava lunghi.

Dire a quale razza appartenesse, sarebbe stato molto difficile, perché pareva che i lineamenti degli uomini del nord e del sud si fossero fusi in lui. Aveva del semitico, del greco, del romano e dellanglosassone. Da quale paese dunque veniva? Che però appartenesse alla razza bianca, malgrado la tinta oscura della sua pelle, non vi era da dubitare.

 Non piegheremo verso lovest? chiese Rokoff dopo averlo osservato con curiosità.

 Non per ora ripeté il macchinista in cattivo russo. Continueremo dunque la corsa verso il nord.

 Sì, signore.

 Allora andremo in Siberia.

 Non lo so rispose il giovane, quasi si fosse pentito daver detto troppo. È il capitano che comanda.

 Eppure ci aveva detto di condurci in Europa insistette Rokoff.

 Se lo ha detto, manterrà la parola.

 È molto tempo che viaggiate? chiese Fedoro.

 Molto e poco.

 Vale a dire?

 Che non lo so.

 Ecco una risposta strana. Non siete partito col capitano?

 Può essere.

 Non sapremo mai nulla da costui disse Rokoff in francese a Fedoro.

 Non devo parlare, tale è lordine disse il macchinista nellegual lingua e sorridendo.

 Ah! Voi parlate anche il francese! esclamò il cosacco, confuso.

 Ed altre ancora, signore. Ecco Tschang-pin: la gran muraglia non è lontana.

 Faremo provare una gran paura ai cinesi.

 To! Che cosè quellimmenso recinto brulicante danimali? chiese Rokoff indicando una specie di parco che si estendeva per miglia e miglia verso lovest.

 Una delle riserve dellimperatore rispose Fedoro. Ne ha parecchie nella provincia di Pechino.

 Vi sono migliaia di cavalli.

 E tutti di proprietà imperiale.

 E che cosa ne fa lImperatore?

 Non lo saprei, perché non cavalca quasi mai. Tuttavia posso dirti che tiene a sua disposizione quasi centomila destrieri, scelti fra i migliori del suo sterminato impero.

 Tanti da morire prima di averli provati tutti, anche se dovesse diventare vecchio quanto gli antichi patriarchi.

 Sì, Rokoff.

 Vedo anche dei buoi.

 Ne possiede dodicimila.

 E delle pecore.

 Si dice che ne abbia duecentoquarantamila.

 Ecco un proprietario che invidio, Fedoro. E quella massa enorme che sinnalza presso le mura del parco? La si direbbe una campana.

 Fedele copia di quella di Pechino disse il capitano, che si era silenziosamente accostato a loro. Solamente che quella è in pietra, mentre quella della capitale è di bronzo finissimo.

 Io non ho mai potuto vederla, ma se quella è una copia, deve essere ben mostruosa.

 La più grande che esista al mondo, avendo tra una altezza di cinque metri, un diametro di quattro e mezzo e un peso di sessantamila chilogrammi. Se la bella Ko-hi non si fosse sacrificata, non so se i cinesi, per quanto abili, sarebbero riusciti a fonderla.

 Ko-hi! esclamò Rokoff, guardando il capitano. Chi era?

 Una delle più belle fanciulle dellimpero.

 E che cosa centra colla famosa campana?

 Signor Fedoro disse il capitano, volgendosi verso il russo. Non conoscete la storia di questa campana?

 No, signore.

Il capitano sappoggiò al bordo, guardò per alcuni istanti Tschang-pin che ingrandiva a vista docchio, poi disse, quasi bruscamente:

 Narrasi che limperatore Yung-ko avesse incaricato il mandarino Kuang-yo di fondergli una campana che, per mole, non avesse leguale nel mondo. Limpresa era così ardua, che per due volte limmenso torrente di bronzo fuso si riversò nello stampo senza riuscire a dare una campana perfetta. Limperatore, sdegnato, concesse una terza prova, minacciando di morte lo sventurato mandarino nel caso che non fosse riuscito. Interrogato un astrologo, questi aveva predetto che la fusione sarebbe riuscita se assieme al bronzo si fosse mescolato il sangue duna vergine. Kuang-yo aveva una figlia, giovane e bellissima. Apprendendo la profezia dellastrologo e temendo lira dellimperatore contro suo padre, la fanciulla si decise per lorrendo sacrificio. Ed ecco che, quando il fiume di bronzo usciva come lava ardente dallimmensa fornace, la bella giovane si slancia, gridando: «Per mio padre!» Un soldato si precipitò su di lei per trattenerla, ma già il giovane corpo si era immerso nel metallo, non lasciando in mano delluomo, che voleva salvarla, che una delle sue piccole scarpe. Il mandarino, che aveva assistito al sacrificio della figlia, impazzì, ma la fusione riuscì pienamente, come aveva predetto lastrologo. Si dice che il primo suono che diede la campana sembrò un colpo di scarpetta. Era la disgraziata giovane che reclamava ancora, nelle vibrazioni del bronzo, la sua piccola shieh. Macchinista alziamoci! Ecco le prime case di Tchang-pin ed ecco i primi colpi di fucile destinati a noi. Non sono cortesi questi abitanti!

LA GRANDE MURAGLIA

Tschang-pin, più che una città, è una grossa borgata situata quasi ad eguale distanza fra Pechino e la grande muraglia, destinata un tempo a coprire la capitale dalle frequenti invasioni dei bellicosi tartari.

La popolazione, vedendo avanzarsi ed ingrandire rapidamente quelluccello mostruoso, che probabilmente scambiava per un drago fantastico, pronto a divorare uomini, donne e fanciulli e a vomitare fuoco sulle abitazioni, in un momento aveva disertato completamente le piazze e le vie mandando urla di terrore.

Solamente alcuni drappelli di soldati, costumi azzurri a galloni giallo-aranciati, lImpero, si erano schierati sulla cima dun vecchio bastione, aprendo un fuoco violentissimo contro gli aeronauti.

Udendo le palle sibilare, il capitano aveva dato ordine al macchinista di innalzarsi.

Due eliche, disposte orizzontalmente ai lati del fuso e che fino allora erano rimaste mascherate, coperte da tele impermeabili, si erano subito poste in movimento, raggiungendo ben presto una velocità talmente grande da non poterle quasi più scorgere.

Lo «Sparviero», aiutato anche potentemente dalle gigantesche ali che battevano affrettatamente, sinnalzò rapidamente raggiungendo in pochi minuti i millecinquecento metri.

Qualche palla si udiva ancora sibilare, segno evidente che quei manciù facevano fuoco con armi perfezionate, ma non erano più da temersi, perché lalluminio del fuso era più che sufficiente per arrestarle.

 Vorrei dare una lezione a costoro disse il capitano. Se non temessi di uccidere delle persone inoffensive, farei vedere a quegli insolenti di quali armi formidabili noi disponiamo.

 Vorreste gettare loro addosso qualche bomba? chiese Rokoff.

Il capitano non rispose. Guardava attentamente un bastione che si trovava al nord della città, difeso da una grossa torre quadrata, sormontata da un tetto doppio e che pareva in parte diroccata.

 Non vi deve essere nessuno là dentro, disse giacché è inservibile, la rovineremo del tutto. Macchinista: arresta la corsa.

 Avete anche della dinamite a bordo? chiese Fedoro.

 Per che cosa farne? Non ho laria liquida a mia disposizione? Vale meglio del cotone fulminante e di tutti gli altri esplodenti finora inventati. Ora lo vedrete.

Il capitano scomparve nellinterno del fuso, passando per un piccolo boccaporto che si apriva dinanzi alla macchina e poco dopo risaliva tenendo in mano un tubo di ferro che da un parte era aperto e che si univa ad un filo attaccato a un rocchetto.

Lo «Sparviero», trovandosi ormai fuori di tiro, avendo attraversata tutta la cittadella, scendeva in quel momento con una certa rapidità, sorretto solamente dai suoi piani inclinati che funzionavano da paracadute.

Le ali e le eliche non battevano e non giravano più.

Il fuso calava proprio sopra la vecchia torre, con un largo ondulamento, facendo fuggire precipitosamente gli abitanti delle ultime case ed i contadini che lavoravano nelle ortaglie.

Quando giunse a soli cento metri, il capitano abbandonò il tubo, lasciando svolgere rapidamente il filo del rocchetto.

 Macchinista, innalziamoci disse, quando vide il cilindro cadere fra le tegole del tetto superiore. Non è prudente tenersi a così breve distanza. Lo «Sparviero» risaliva rapidamente, mentre il filo continuava a svolgersi. Raggiunse i cinquecento metri, poi i settecento, quindi i mille.

I soldati manciuri, avendolo veduto abbassarsi, si erano slanciati attraverso le vie della città, sparando di quando in quando qualche colpo di fucile.

 Badate! gridò il capitano a Rokoff e a Fedoro. Tenetevi stretti. Do fuoco.

Quasi nel medesimo tempo una spaventosa detonazione rimbombava sotto di essi. Una fiamma immensa squarciò laria, lanciando in tutte le direzioni una tempesta di macigni e di rottami.

Lo «Sparviero», quantunque si trovasse a mille metri, fu violentemente spostato dalla spinta dellaria e sbalzato innanzi, atterrando di colpo Fedoro e Rokoff, i quali non avevano avuto il tempo di aggrapparsi alla balaustrata. Urla terribili si erano alzate dalla città, urla dangoscia e di terrore sfuggite da venti e forse da trentamila petti.

 Ebbene, dovè la torre e dovè andato a finire il bastione? chiese il capitano con voce tranquilla. Guardate, signor Rokoff, e ditemi se laria liquida non vale meglio della dinamite.

Il cosacco, quantunque ancora stordito dal terribile scoppio, si era curvato sulla balaustrata. Che spaventevole disastro! La torre era scomparsa e al posto dove poco prima si elevava il bastione, si vedeva una buca immensa, come se cento mine fossero scoppiate insieme.

 Che cosa avete messo in quel tubo? esclamò, guardando con terrore il capitano.

 Un semplice pezzo di lana immerso prima in una miscela daria liquida e di glicerina; nullaltro.

 E avete ottenuto una simile esplosione!

 Vi sorprende?

 Voi allora potreste distruggere in pochi minuti una città intera.

 Lo credo rispose il capitano, freddamente.

 Quale terribile strumento di guerra è il vostro «Sparviero»! Guai se tutte le nazioni dovessero possederne alcuni!

 Verrà il giorno che ne avranno; allora la guerra sarà finita per sempre, ammenoché non pensino a corazzare le città minacciate. Macchinista a tutta velocità! Andremo a dormire al di là della grande muraglia.

Lo «Sparviero» aveva ripreso lo slancio muovendo direttamente verso il nord, dove si vedevano delinearsi in lontananza alcune catene di montagne, assai frastagliate.

Il suolo sinnalzava gradatamente, interrotto da boschetti di giuggioli, che producono una specie di dattero, da cui i cinesi estraggono una bella tinta gialla; da lauri splendidissimi e da lunghe file di alberi del sevo, bellissimi vegetali dal fogliame verde chiaro e cosparse di mazzetti di bacche che sono ricoperte da una sostanza molto grassa dalla quale si estrae una specie di cera assai bianca, che produce una fiamma brillante e che surroga benissimo quella delle api.

Di quando in quando si vedevano anche delle piantagioni di tabacco, che riesce molto bene nella Cina settentrionale, di cotone che produce un filo splendido adoperato nella fabbricazione del famoso Nanking, e dindaco verde.

Graziosi villaggi, seminascosti sul margine dei boschi o delle piantagioni, apparivano bruscamente ed allora era uno scompiglio fra i contadini.

Gli uomini urlavano, le donne piangevano, i ragazzi fuggivano disordinatamente, nascondendosi fra le piante, ma si rassicuravano presto, perché il terribile mostro alato continuava la sua corsa gareggiando vantaggiosamente cogli aironi che salzavano fra le risaie, coi beccaccini, colle oche selvatiche e cogli immensi stuoli di corvi gracchianti.

Qualche colpo di fucile, sempre inoffensivo, sparato dietro qualche folto cespuglio o presso qualche capanna salutava di quando in quando gli aeronauti. II maldestro bersagliere saffrettava però a fuggire allimpazzata, per paura che il formidabile drago lo facesse a pezzi col suo rostro.

Alle sei di sera lo «Sparviero», che saffrettava sempre, solcando lo spazio con una velocità di trenta miglia allora, si librava sopra la grande muraglia cinese.

Questa gigantesca opera, che per molti secoli fu creduta immaginaria, è una delle più colossali e anche delle più meravigliose, perché si estende ininterrottamente per ben seicento leghe, ossia per duemila miglia, attraverso deserti, a steppe, a montagne e a fiumi dal largo corso, quali lHoang-ho, svolgendosi attraverso le più selvagge regioni della Mongolia e del Kuku-noor.

Il primo imperatore che ne concepì lidea fu Tsing-chi-hoang-ti, il secondo della dinastia dei Tsin.

Vedendo succedersi le invasioni dei tartari, i quali ogni anno mettevano a ferro e a fuoco i confini dellImpero, tutto distruggendo sul loro passaggio, ordinò di chiudere i passi pei quali quei bellicosi predoni entravano in Cina.

I principi, che soffrivano assai da quelle scorrerie, ne imitarono lesempio e la grande muraglia sorse, scorrendo attraverso regioni deserte e spingendosi perfino su monti quasi inaccessibili.

Vista dalla parte del territorio cinese, questa grande muraglia parrebbe una costruzione semplicissima di terra battuta, coronata da merlature e da torri; osservandola invece dal lato esterno si presenta solidissima, piantata su larghi basamenti di pietra che i secoli non hanno potuto ancora danneggiare.

In certi luoghi, reputati allora pericolosi, si innalza per venti e anche venticinque piedi ed è tanto larga che potrebbero avanzarvisi sei cavalli di fronte; ed in altri invece è molto più bassa. In tutta la sua lunghezza è guardata da massicce torri di forma quadrata e da fortezze nelle quali, ai tempi delle invasioni tartare, vi potevano stare perfino un milione di combattenti. Oggidì però, che la Mongolia è sottomessa allimpero, la muraglia non offre più la compattezza duna volta. Vasti tratti sono stati lasciati a rovinare e i posti di guardia sono rari, eccettuato nel tratto settentrionale, destinato a coprire la provincia di Pechino.

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